Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15175 del 06/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 15175 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Paoli Sandra, nata in Camaiore il 19/08/1969
avverso la sentenza del 13/04/2012 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Angelo
Di Popolo, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per i reati
commessi fino al 28/10/2005 con eliminazione della relativa pena. Rigetto nel
resto;
udito per l’imputato

Data Udienza: 06/02/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Firenze, con sentenza emessa in data 13 aprile
2012, confermava la decisione in data 3 giugno 2010 del Tribunale di Lucca, con
la quale Sandra Paoli era stata condannata alla pena, condizionalmente sospesa,
di mesi sette di reclusione per il reato di cui agli artt. 81 cpv. c.p. e 2 (ipotesi di
cui al comma 3) d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per avere, quale legale
rappresentante la Edil PA.S.O. s.r.I., ed al fine di evadere le imposte, avvalendosi
di fatture per operazioni inesistenti emesse dalla ditta individuale “ORI Simone”,
indicato: nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta 2003,
presentata in data 29 ottobre 2007, elementi passivi fittizi pari a complessivi
euro 15.000,00; nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta
2004, presentata in data 28 ottobre 2005, elementi passivi fittizi pari a
complessivi euro 20.000,00; nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di
imposta 2005 presentata in data 12 ottobre 2006, elementi passivi fittizi pari a
complessivi euro 9.000,00; infine, nella dichiarazione dei redditi relativa al
periodo d’imposta 2006, presentata in data 28 settembre 2007, elementi passivi
fittizi pari o complessivi euro 5.000,00.
La Corte territoriale giungeva alla sopraindicata conclusione escludendo che
fosse necessaria una perizia grafica sulle fatture in considerazione dell’oggetto
sociale, del tutto inconciliabile, delle rispettive società, emittente ed utilizzatrice
dei documenti fiscali, dell’oggettiva natura di “cartiera” della società emittente,
in quanto priva di contabilità, organizzazione di impresa e di mezzi adeguati, con
sede operativa coincidente con l’abitazione di Ori Simone, sprovvista delle fatture
di acquisto dei beni materiali con i quali avrebbe eseguito i lavori fatturati alla
Edil P.A.S.O. s.r.I., emittente di fatture per operazioni inesistenti nei confronti di
altre ditte della provincia di Lucca e per un importo di circa 800.000,00 euro,
tutte circostanze che, unitamente alla chiamata in correità di Ori Simone,
convalidavano pienamente la prospettiva accusatoria.

2. Per l’annullamento della sentenza ricorre per cassazione Sandra Paoli, a
mezzo del proprio difensore, affidando il gravame ai seguenti tre motivi.
2.1. Con il primo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc.
pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme
giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale in
riferimento agli artt. 192 e 129 cod. proc. pen.).
Si sostiene come la Corte territoriale abbia omesso ogni valutazione e/o
motivazione su quanto risulta dal certificato della C.C.I.A.A. di Lucca relativo alla
ditta Edilpaso Sri, acquisito agli atti del processo nel corso del secondo giudizio,
documento dal quale risulta che la ditta Edilpaso Sri, costituita nell’anno 1984,

2

,

era amministrata da un Consiglio di Amministrazione di cui Sandra Paoli era
divenuta consigliere in data 4 dicembre 2007 e Presidente solamente in data 3
gennaio 2008.
Per tale fondamentale ragione a costei non potevano essere addebitati i
reati contestati essendo stati tutti commessi precedentemente alla sua nomina a
Presidente del consiglio di Amministrazione, avvenuta ben tre mesi dopo la
pretesa commissione dell’ultimo reato (28 settembre 2007).
2.2. Con il secondo motivo si lamenta la mancata assunzione d! una prova

nella misura in cui la Corte di merito, al pari del giudice di primo grado, aveva
ritenuto non necessario l’espletamento della perizia grafica sulle fatture,
fondando la decisione anche sulle dichiarazioni del tutto inattendibili, come
emerso in altri analoghi processi, di Ori Simone che aveva cercato di difendere
se stesso essendo il suo atteggiamento finalizzato ad accreditare il meno grave il
reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti anziché quello che
sanziona l’evasore totale.
2.3. Con il terzo motivo di gravame si deduce inosservanza o erronea
applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener
conto nell’applicazione della legge penale (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc.
pen. in riferimento all’art.192 cod. proc. pen.) e mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione quando il vizio risulta dal testo del
provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificatamente
indicati nei motivi di gravame (art. 606, comma 1, lett., e) cod. proc. pen.).
Si sostiene che la ricostruzione effettuata dalla Corte territoriale, finalizzata
a supportare la credibilità dell’Ori Simone, appare carente, contraddittoria,
illogica ed in contrasto con le risultanze processuali e tanto proprio sul rilievo che
gli indici utilizzati per desumere la natura di cartiera della ditta di Ori Simone
(mancanza di contabilità, luogo della sede sociale coincidente con l’abitazione,
importo delle fatture emesse nei confronti di altre ditte della provincia di Lucca),
costituivano elementi che avrebbero dovuto far ritenere l’Ori Simone un evasore
totale e non un soggetto titolare di ditta funzionalmente predisposta
all’emissione di fatture per operazioni inesistenti.
2.4. In data 17 gennaio 2014 sono stati depositati motivi aggiunti con i quali
si insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso, eccependosi in ogni caso
l’intervenuta prescrizione dei reati contestati come commessi il 29 ottobre 2004
ed il 28 ottobre 2005.

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decisiva e dunque la violazione dell’art.606, comma 1, lettera d), cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza di tutti i motivi.

2. Quanto al primo motivo del ricorso, osserva il Collegio come la sua
inammissibilità derivi dal fatto che la doglianza, così come enunciata per la prima
volta nel giudizio di cassazione, non è stata sottoposta al vaglio della Corte

La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di
ricorso per cassazione, la regola ricavabile dal combinato disposto degli artt.
606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen. – secondo cui non
possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di
appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado
del giudizio o di quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello
– trova la sua “ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato
un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un
punto del ricorso, non investito dal controllo della Corte di appello, perché non
segnalato con i motivi di gravame (Sez. 4, 04/12/2012, n. 10611, Bonaffini, dep.
07/03/2013, Rv. 256631).
Va chiarito come non rilevi assolutamente la circostanza circa la eventuale
produzione, in grado d’appello, del documento dal quale risulterebbe che
l’imputata non facesse parte del consiglio di amministrazione della società, per
dedurne, violando il divieto di “nova” nel giudizio di cassazione, l’estraneità della
ricorrente in ordine alla commissione dei fatti a lei attribuiti, quando non sia
stata formulata, come nella specie, una espressa e specifica censura in tal senso
verso la sentenza di primo grado, che abbia invece ritenuto la qualità contestata,
in modo che il giudice di secondo grado avesse potuto esercitare pieno iure il
controllo sulla censura stessa.

3. Anche il secondo motivo di gravame è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha rigettato la richiesta di rinnovazione del dibattimento
negando l’ingresso ad una perizia grafica sul rilievo che grafia può essere
volontariamente artefatta e, in ogni caso, l’affermazione di responsabilità
dell’imputata non si basava che in minima parte sulle dichiarazioni dell’Ori,
essendo costui oggettivamente impossibilitato ad eseguire i lavori che avrebbe
dovuto svolgere per la ditta dell’imputata secondo le fatture di cui al capo di
imputazione.
Nel pervenire a tale conclusione la Corte del merito si è uniformata
all’indirizzo più volte espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale
4

territoriale.

nel dibattimento del giudizio di appello, la rinnovazione di una perizia può essere
disposta soltanto se il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo
stato degli atti, dovendosi ulteriormente precisare che, in caso di rigetto della
relativa richiesta, la valutazione del giudice di appello, se logicamente e
congruamente motivata, è incensurabile in cassazione, in quanto costituente
giudizio di fatto (Sez. 2, 15/05/2013, n. 36630, Buonaiuto,dep. 06/09/2013,
Rv. 257062).
Nel caso di specie, il rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria

motivazione basata su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in
ordine alla responsabilità (Sez. 6, del 16/07/2013, n. 30774, Trecca, Rv.
257741), si sottrae al sindacato di legittimità, in presenza di una logica e
congrua motivazione adottata

in parte qua dalla Corte del merito, con la

conseguente manifesta infondatezza del motivo di ricorso.

4. Anche il terzo motivo di gravame è manifestamente infondato,
risolvendosi la censura in una doglianza di mero fatto e pertanto insuscettibile di
radicare il sindacato di legittimità restando inammissibili, nel giudizio di
cassazione, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una
rivalutazione del risultato probatorio.
Ed infatti, dalla doppia conforme decisione del merito, si è accertato come la
ditta Ori fosse una mera cartiera, priva di ogni contabilità, organizzazione di
impresa e mezzi adeguati allo svolgimento dell’attività di imbiancatura.
La sede operativa della ditta coincideva con l’abitazione del coimputato
(*Ori), il quale non era stato in grado di fornire alcuna fattura di acquisto dei
materiali, pur avendo egli emesso nel giro di tre anni fatture per circa C
800.000,00 nei confronti di svariate ditte della provincia di Lucca.
L’Ori – sentito in dibattimento ai sensi dell’197 bis cod. proc. pen. – aveva
dichiarato di aver offerto fatture per operazioni inesistenti all’imputata, la quale
aveisiti accettato, compilando essa stessa le fatture in cambio delle quali l’Ori
aveva ricevuto l’importo dell’IVA in contanti o con assegno.
La Corte territoriale non ha escluso che la Paoli si sia potuta avvalere anche
di altre ditte, le quali potevano aver svolto regolari lavori, ritenendo neutra una
tale circostanza rispetto al contenuto delle contestazioni, tanto sul logico
presupposto che una tale evenienza non escludeva che l’imputata si fosse
avvalsa di fatture per operazioni inesistenti nel caso dell’Ori ed avesse fatto
ricorso a prestazioni effettivamente eseguite in altri casi, non essendo stata
posta in discussione la reale operatività della Edil PASO ma di quella dell’Ori, che
alla Paoli personalmente aveva proposto le false fatture.

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dibattimentale in appello, fondandosi su una struttura argomentativa della

Parimenti neutre sono state ritenute dalla Corte territoriale le due sentenze
(non irrevocabili) esibite dalla difesa per dimostrare che, in altri processi, le
persone accusate dall’Ori erano state assolte e tanto sul rilievo che le assoluzioni
(in un caso si trattava di una sola fattura) erano fondate su emergenze
processuali e su circostanze peculiari ad ogni singola fattispecie e dunque non
sovrapponibili al caso che vedeva coinvolta la ricorrente.
Al cospetto perciò di una motivazione, da un lato, compiutamente idonea a
rappresentare le ragioni che la Corte del merito ha posto a base della decisione

viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica, non
internamente contraddittoria e neppure incompatibile con altri atti del processo,
la ricorrente impropriamente chiede alla Corte di cassazione di procedere ad una
diversa lettura dei dati processuali o ad una diversa interpretazione delle prove,
operazioni entrambe interdette nel giudizio di legittimità.
Ne consegue l’inammissibilità del motivo.

5.

Quanto ai rilievi contenuti nei motivi aggiunti circa l’intervenuta

prescrizione di taluni episodi contestati, va ricordato che la declaratoria di
inammissibilità del ricorso preclude ogni pronuncia circa l’intervenuta
prescrizione dei reati, maturata (nel caso di specie neppure per tutti i reati) dopo
la pronuncia della sentenza emessa in grado di appello.
Va sul punto segnalato il costante orientamento di questa Corte secondo il
quale l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude ogni possibilità di far
valere e/o di rilevare di ufficio, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., l’estinzione
del reato per prescrizione (Sez. U, 22/03/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164;
nonché Sez. U, 22/11/2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266)).
Tanto sul rilievo che l’intervenuta formazione del giudicato sostanziale
derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perché
contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art. 591, comma, 1, con
eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione; art. 606, comma 3),
preclude ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità
precedentemente maturata, sia di rilevarla di ufficio.
Ed infatti l’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere davanti al
giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab
instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di
assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano
giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi ma giuridicamente
indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale (così, in termini, Sez.
U., Bracale cit.).

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adottata e, dall’altro, sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non

6.

Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte

costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e
al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro mille alla cassa delle
ammende.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 6/02/2014

P.Q.M.

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