Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15173 del 06/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 15173 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Vimercati Margherita, nata in Monza il 07/06/1963
avverso la sentenza del 21/05/2013 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Angelo
Di Popolo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato

DEPOSITATA IN CANCELLERIA
IL

3 APR 2014
L C
Luan

IPRE

Data Udienza: 06/02/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano, con sentenza emessa in data 1 febbraio
2013, in parziale riforma della sentenza in data 25 maggio 2012 del Tribunale di
Monza, impugnata da Margherita Vimercati, dichiarava non doversi procedere nei
confronti dell’imputata in ordine agli omessi versamenti relativi ai mesi di
gennaio, febbraio, e marzo 2005, poiché tali condotte erano estinte per
intervenuta prescrizione; rideterminava conseguentemente la pena per le

convertiva la pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria, infliggendo la
pena complessiva di euro 3.268,00 di multa e confermando nel resto l’impugnata
sentenza.
Alla Vimercati era contestato il reato previsto e punito dall’art. 2, comma 1,
D.L. 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella L. 11 novembre 1983, n. 638 e
succ. modif. perché, in qualità di responsabile dell’impresa “Mon Salon” con
sede in Desio, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso,
ometteva il versamento all’Inps delle ritenute previdenziali ed assistenziali
operate, in qualità di datore di lavoro, sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti
dal gennaio 2005 al febbraio 2007 (versamenti omessi per euro 2.143,00) ed i
fatti commettendo in Arcore dal 16 febbraio 2005 al 16 marzo 2007.
La Corte territoriale giungeva alla sopraindicata conclusione, respingendo i
motivi di appello ed escludendo, in particolare, che l’errore contenuto nella
imputazione, ossia il fatto di essere stata l’imputata identificata come
responsabile dell’impresa “Mon Salon” con sede in Desio, potesse ritenersi
produttivo di conseguenze giuridiche in ordine alla contestazione del fatto ed al
pieno esercizio dei diritti di difesa.

2. Per l’annullamento della sentenza ricorre personalmente per cassazione
Margherita Vimercati affidando il gravame ai seguenti tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b, c, ed e),
cod. proc. pen., la nullità della sentenza di primo grado e di quella di appello per
intervenuta condanna della Vimercati in qualità di legale rappresentante di una
ditta a lei del tutto sconosciuta, nonostante fosse stato dimostrato – e risultasse
anche dagli atti del processo – che la stessa non fosse mai stata titolare di detta
società e non essendo condivisibile l’affermazione contenuta della sentenza di
appello secondo cui l’intervenuta condanna della Vimercati, in qualità di legale
rappresentante di una società, la “Mon Salon”, dovrebbe considerarsi un
semplice errore materiale, tant’è che, pur essendo stata l’eccezione sollevata sin
dal primo atto introduttivo, sia il Primo Giudice che la Corte ben avrebbero
potuto correggere il capo di imputazione che è rimasto inalterato.

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residue violazioni in mesi due e giorni sedici di reclusione ed euro 380,00 multa;

2.2. Con il secondo motivo si lamenta l’eccessività della pena e l’omessa
applicazione dell’attenuante della lieve entità sul rilievo che, in ogni caso,
sarebbe del tutto ingiustificata l’omessa concessione dell’attenuante di cui
all’art.62 n.4 cod. pen. tenuto conto del modesto importo dei contributi non
versati.
2.3. Con il terzo motivo di gravame si deduce come, medio tempore, si
siano ulteriormente prescritte anche le condotte relative ai mesi di aprile e
maggio e derivando da ciò la necessità di procedere alla relativa declaratoria ed

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza di tutti i motivi.

2. Quanto al primo motivo del ricorso, osserva il Collegio che, in tema di
contestazione dell’accusa con specifico riferimento alle garanzie attribuite per la
salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato, deve tenersi conto della
descrizione del fatto nel contesto del capo di imputazione e dunque della
descrizione di esso in tutte le sue componenti, verificando se eventuali errori o
refusi abbiano pregiudicato il diritto alla difesa incidendo sulla validità dell’editio
actionis e dunque sulla esattezza e comprensibilità degli addebiti sui quali
l’imputato è stato chiamato ad esercitare il diritto di difesa nel corso del giudizio.
E’ dunque necessario verificare se il capo di accusa, così come formulato nel
suo complesso, abbia determinato una incertezza assoluta del fatto oggetto
dell’imputazione, con la conseguenza che soltanto nel caso in cui l’imputato non
sia stato posto in grado di comprendere i termini, in linea di fatto, dell’accusa,
può dirsi compromesso il diritto di difesa per essere l’imputato stato costretto ad
affrontare il dibattimento ignorando l’oggetto dell’addebito ascrittogli.
E’ allora di tutta evidenza come nel caso di specie un simile pregiudizio non
può affermarsi si sia verificato sul fondamentale rilievo che all’imputata, sia pure
in una erronea qualità formale, era stato contestato il fatto preciso di aver
omesso il versamento all’Inps delle ritenute previdenziali ed assistenziali
operate, in qualità di datore di lavoro, sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti
dal gennaio 2005 al febbraio 2007 (versamenti omessi per euro 2.143,00) ed i
fatti commettendo in Arcore, ove la ricorrente esercitava l’attività, dal 16
febbraio 2005 al 16 marzo 2007.
Come ha opportunamente chiarito la Corte del merito il fatto di reato era
stato contestato a Margherita Vimercati, correttamente identificata e titolare di
una ditta individuale con sede legale in Arcore, Via Trento e Trieste 10/12, alla
quale era stato rimproverato l’omesso versamento all’Inps delle somme

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alla conseguente riduzione della pena.

trattenute sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti (agli atti in
numero di uno), come riportato da un prospetto allegato in cui si faceva
espressa menzione di debiti variabili fra una somma minima di C 64,00 ed una
somma massima di C 147,00 per ciascuna delle mensilità elencate nel prospetto,
allegato alla denuncia dell’Inps, il quale aveva riportato i dati desunti dalla
dichiarazione DM 10 promanante dallo stesso contribuente.
Sicché, in presenza di un errore materiale macroscopico ed evidente, il
complesso degli elementi contenuti nella denuncia/diffida dell’Inps costituiva,

che nei suoi elementi essenziali era tale indipendentemente dal fatto che solo nel
capo di imputazione, per un evidente refuso, fosse stata riportata l’erronea
indicazione dell’esercizio da parte dell’imputata di una specifica attività
denominata “Mon Salon” in Desio.
E’ vero che i Giudici del merito avrebbero potuto correggere l’errore
materiale (il refuso), così come la stessa imputata avrebbe potuto chiedere la
correzione qualora interessata a ciò, ma il non averlo fatto non trasforma
un’accusa del tutto chiara e comprensibile in una violazione del diritto di difesa.
Peraltro, come si evince dalla sentenza di primo grado, l’eccezione, sollevata
nel corso del giudizio abbreviato, è stata oggetto di espressa rinunzia da parte
della difesa a dimostrazione evidente della piena comprensibilità dell’accusa.

3. Anche il secondo motivo di gravame è manifestamente infondato.
Esso è affetto da assoluta genericità e dunque aspecifico, non avendo la
ricorrente indicato con chiarezza e precisione gli elementi fondanti la doglianza
dedotta ed essendosi limitata a censurare la mancata concessione
dell’attenuante “tenuto conto del modesto importo dei contributi non versati”,
senza alcuna altra specificazione necessaria a consentire il controllo di legittimità
sulla determinazione della pena irrogata, immotivatamente ritenuta “eccessiva”,
e sulla mancata concessione della reclamata attenuante.
Va comunque precisato che, nel caso di reato continuato, l’entità del danno
patrimoniale deve essere valutata, ai fini dell’applicazione della circostanza
attenuante della speciale tenuità, di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., con riferimento
al pregiudizio cagionato dalle singole violazioni e non a quello complessivo.
Tuttavia, pur dovendosi fare riferimento ai singoli episodi delittuosi, l’attenuante
non può trovare applicazione ove la speciale tenuità del danno, come nella
specie, non ricorra in tutti i fatti unificati per continuazione o quantomeno in
rapporto alla violazione di maggior gravità presa in considerazione per la pena
base (ex multis, Sez. 2, 25/05/1988, n. 8342, Scida,dep. 09/06/1989, Rv.
181525).

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senza ombra di dubbio, il nucleo della condotta attribuita all’imputata, condotta

4. Quanto al terzo motivo di gravame, va ricordato che la declaratoria di
inammissibilità del ricorso preclude ogni pronuncia circa l’intervenuta
prescrizione dei reati, maturata (nel caso di specie neppure per tutti i reati) dopo
la pronuncia della sentenza emessa in grado di appello.
Va sul punto segnalato il costante orientamento di questa Corte secondo il
quale l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude ogni possibilità di far
valere e/o di rilevare di ufficio, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., l’estinzione
del reato per prescrizione (Sez. U, 22/03/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164;

Tanto sul rilievo che l’intervenuta formazione del giudicato sostanziale
derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perché
contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art. 591, comma, 1, con
eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione; art. 606, comma 3),
preclude ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità
precedentemente maturata, sia di rilevarla di ufficio.
Ed infatti l’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere davanti al
giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab
instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di
assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano
giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi ma giuridicamente
indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale (così, in termini, Sez.
U., Bracale cit.).

5. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte
costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e
al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro mille alla cassa delle
ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 6/02/2014

nonché Sez. U, 22/11/2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266)).

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