Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1517 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1517 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TARKO ARMEL N. IL 09/02/1989
SHPATA ALEKSANDRO N. IL 07/07/1977
LOMBARDI ANDREA N. IL 30/11/1950
REBESHI ISMAIL N. IL 23/05/1983
HIMA ILIR N. IL 01/01/1972
VITAGLIANO GAETANO N. IL 23/06/1974
avverso la sentenza n. 10881/2011 CORTE APPELLO di ROMA, del
09/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. t1,1?_n
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Udito, per la pafte civile, l’Avv

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Data Udienza: 03/12/2013

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La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 9.07.2012, in parziale riforma della sentenza di condanna del G.i.p. presso il Tribunale di Roma resa il 6.06.2011, all'esito di giudizio abbreviato, assolveva tutti gli imputati dal reato associativo ex art. 74, d.P.R. n. 309/1990 e, con riferimento alle posizioni che oggi vengono in rilievo, assolveva Shapata Aleksandro da specifici episodi in contestazione e rideterminava la pena inflitta in atti otto di reclusione ed C e rideterminava la pena in anni quattro mesi due di reclusione ed C 20.000,00 di multa; assolveva Rebeshi Ismail da alcuni episodi in addebito e, ritenuta l'ipotesi di cui all'art. 73 comma V, d.P.R. n. 309/1990, rideterminava la pena in anni due di reclusione ed C 4.000,00 di multa; assolveva Hima Ilir dal reato di cui al capo 106 e rideterminava la pena in anni quattro mesi due di reclusione ed C 20.000,00 di multa; assolveva Vitagliano Gaetano dal reato di cui al capo 145 e rideterminava la pena in anni quattro di reclusione ed C 18.000,00 di multa. Il Collegio riconosceva nei confronti di Tarko Armel le circostanze attenuanti generiche, rideterminando la pena in anni due e mesi otto di reclusione ed C 12.000,00 di multa. La Corte di Appello premetteva che le indagini che avevano dato causa al procedimento si erano protratte per circa dieci mesi e si caratterizzavano per una imponente attività intercettativa sia ambientale che telefonica e per i servizi di appostamento e pedinamento che avevano pure consentito il sequestro di quantitativi di cocaina. Osservava che ai prevenuti era stata contestata l'ipotesi associativa e circa cento reati fine. Il Collegio rilevava che di notevole interesse erano risultate le dichiarazioni accusatorie rese da Roko Ana, già convivente di Rebeshi Ismail. E sottolineava che l'identificazione dei singoli interlocutori nell'ambito delle conversazioni intercettate era stata effettuata senza perizia fonica, sia perché molte utenze erano intestate agli stessi imputati, sia in ragione degli esiti delle attività di osservazione e controllo. 2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Milano hanno proposto ricorso per cassazione Tarko Armel, Ismail Rebeshi, Andrea Lombardi, Hima Ilir, Shpata Aleksandro e Gaetano Vitagliano. 3. Tarko Armel con unico motivo di ricorso denuncia la manifesta illogicità della motivazione posta a fondamento della sentenza impugnata. La parte osserva che la Corte di Appello ha illogicamente confermato l'affermazione di penale responsabilità nei confronti di Tarko Armel, in riferimento al capo n. 113 della rubrica, pure avendo assolto i coimputati dal reato associativo e da ulteriori reati fine, proprio in considerazione del fatto che il compendio probatorio si esauriva nell'esito delle operazioni di intercettazione (c.d. droga parlata) e stante l'assenza di riscontri. L'esponente rileva che in riferimento alla 3 50.000,00 di multa; assolveva altresì Lombardi Andrea da talune ipotesi di cessione posizione del Tarko non sono stati effettuati sequestri di sostanza stupefacente e che neppure sono stati individuati gli acquirenti della droga, di talché il medesimo criterio interpretativo adottato dalla Corte territoriale, in base al quale gli esiti delle intercettazioni non costituiscono fonte diretta di prova, avrebbe imposto di riformare la sentenza di condanna. Il ricorrente si duole inoltre del mancato riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui all'art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990, osservando che, sul punto, la Corte territoriale ha fatto riferimento alla per il quale Tarko è stato assolto, nel separato procedimento, con sentenza passata in giudicato. 4. Ismail Rebeshi con il primo motivo deduce l'erronea applicazione di legge, in riferimento all'art. 64 cod. proc. pen. La parte rileva che la Corte di Appello ha ritenuto utilizzabili le dichiarazioni eteroaccusatorie rese da Ana Roko benché l'interrogatorio della dichiarante non fosse stato preceduto dagli avvisi di cui all'art. 64, comma 3, cod. proc. pen. Al riguardo, la parte contesta le affermazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove i giudici hanno considerato che, in caso di contrasto nel contenuto tra il verbale riassuntivo e quello redatto in forma stenotipica, debba prevalere il primo; ed hanno ritenuto inapplicabile il disposto di cui all'art. 64, comma 3, cod. proc. pen., rispetto al dichiarante che sia coimputato nel medesimo reato. L'esponente rileva che la giurisprudenza di legittimità ha sempre ritenuto che, in caso di contrasto tra le due verbalizzazioni, debba prevalere quella integrale e non quella riassuntiva. Osserva, inoltre, che la norma di cui all'art. 64, comma 3, cod. proc. pen., si applica anche ai soggetti coimputati, le cui dichiarazioni si rivelino vere e proprie chiamate in reità, come nel caso di specie; e considera che la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla Roko ben può essere dedotta anche nell'ambito del giudizio abbreviato. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 266 cod. proc. pen. e la carenza di motivazione. Osserva che in sede di appello la difesa di Ismail Rebeshi aveva dedotto l'inutilizzabilità delle annotazioni della polizia giudiziaria, poste a margine dei brogliacci relativi alle conversazioni intercettate; rileva che nel caso non si è proceduto alla trascrizione delle intercettazioni nelle forme della perizia; e ritiene che non si possa tenere conto delle annotazioni di P.G. Ciò posto, il deducente assume che la Corte territoriale abbia del tutto omesso di esaminare tale motivo di appello. Con il terzo motivo l'esponente deduce violazione di legge carenza di motivazione in riferimento all'art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990. La parte ritiene che la Corte di Appello abbia omesso di esaminare le censure che erano 4 posizione del coimputato Shpata, rispetto all'episodio del 4 maggio 2009, episodio state dedotte nell'atto di gravame in riferimento al capo 140 della rubrica, con riguardo all'elemento oggettivo del reato. Con il quarto motivo la parte deduce la violazione di legge, in riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio ed al diniego delle attenuanti generiche. 5. Andrea Lombardi, con il primo motivo, deduce la nullità della sentenza impugnata per manifesta illogicità della motivazione. ipotesi di cui all'art. 74, d.P.R. n. 309/1990 e da numerosi reati fine, si sofferma sui fatti di cui ai capi 117), 134) e 150), per i quali è stata affermata la penale responsabilità del prevenuto. La parte richiama il contenuto e lo sviluppo fattuale delle indagini; e rileva che a carico del Lombardi emergono unicamente i rapporti intercorsi con Shpata Aleksandro. L'esponente osserva di avere svolto unicamente il ruolo di autista e di factotum per lo Shpata, senza assumere alcun ruolo attivo nella compravendita degli stupefacenti. Il ricorrente procede poi alla ricostruzione della dinamica dei fatti oggetto di addebito, soffermandosi sul contenuto delle intercettazioni ed insistendo sulla censura di illogicità della motivazione della sentenza di condanna, a fronte delle contestuali assoluzioni per il reato associativo ed altri reati fine. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la mancanza di motivazione, in riferimento al diniego delle attenuanti generiche. Osserva che Lombardi è soggetto incensurato e di circa sessanta anni di età. 6. Hima Ilir deduce violazione di legge e mancanza di motivazione, in riferimento agli artt. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990 e 62 bis cod. pen. L'esponente osserva che la Corte territoriale, nel confermare il diniego delle attenuanti generiche nei confronti di Hima, ha fatto riferimento alla posizione del coimputato Rebeshi. Ciò posto, la parte denuncia l'ingiustificata disparità di trattamento, rispetto al richiamato coimputato, nei confronti del quale è stata riconosciuta l'ipotesi attenuata di cui al V comma dell'art. 73, cit. A sostegno dell'assunto, osserva comparando il tenore delle rispettive imputazioni - che a Rebeshi è stata addebitata la cessione di sostanza stupefacente dissimulata dalla espressione "tre caffè", mentre a Hima è stata riferita la cessione di sostanza stupefacente indicata dai colloquianti con il riferimento ad un solo "caffè". L'esponente ritiene che la Corte di Appello avrebbe dovuto riconoscere la circostanza attenuante di cui al V comma, anche in relazione al capo 92), ascritto a Hima. 7. Shpata Aleksandro con il primo motivo deduce l'inosservanza di legge, in riferimento all'art. 106, comma 4 bis, cod. proc. pen. 5 L'esponente, dopo avere premesso di essere stato assolto dalla più grave La parte reitera la doglianza relativa al fatto che nel corso delle indagini preliminari il medesimo difensore ebbe ad assumere la difesa dei coimputati Roko Ana, Terzia Ghani, Kallazi Elvis e Xhani Gentian. Osserva che i predetti hanno reso dichiarazioni eteroaccusatorie a carico di Shpata Aleksandro, pur assistiti dal medesimo difensore; e rileva che essendosi proceduto nelle forme del rito abbreviato tale violazione determina una grave lesione del diritto di difesa dell'esponente. erroneamente ritenuto che il caso di specie non rientrasse nell'ambito applicativo dell'art. 106, comma 4 bis, cod. proc. pen., osservando che soltanto la Roko aveva reso dichiarazioni eteroaccusatorie a carico del così detto "gruppo romano". Rileva che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il giudice deve effettuare una verifica particolarmente incisiva sul contenuto delle dichiarazioni rese degli imputati, qualora ricorra il richiamato caso di incompatibilità; e considera che detta verifica risulta molto difficoltosa, laddove si proceda nelle forme del rito abbreviato. Il ricorrente osserva che il ragionamento sviluppato dalla Corte di Appello risulta contraddetto dalle dichiarazioni rese dal difensore interessato, il quale ha fatto espresso riferimento ad un problema di compatibilità. Rileva che l'attendibilità della Roko risulta pure compromessa dal fatto che la dichiarante aveva ricevuto dal proprio difensore copia dell'ordinanza cautelare emessa a carico degli altri coindagati. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e carenza di motivazione, in riferimento al disposto di cui all'art. 266 cod. proc. pen., articolando censure di contenuto sovrapponibile a quelle affidate al secondo motivo di ricorso proposto da Ismail Rebeshi. La parte rileva che, nell'atto di appello, si era espressamente doluta dei criteri utilizzati per l'identificazione dei colloquianti, tenuto anche conto del fatto che gli operanti non erano materialmente coloro che ascoltavano le telefonate, giacché l'incombente era stato affidato ad interpreti di lingua albanese. E sottolinea che la Corte di Appello ha omesso ogni considerazione al riguardo. Con il terzo motivo l'esponente lamenta erronea applicazione di legge e vizio motivazionale in riferimento alla affermazione di penale responsabilità del prevenuto, rilevando l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da Ana Roko e la carenza di riscontri oggettivi idonei a sorreggere le diverse ipotesi di accusa. Con il quarto motivo la parte si duole della determinazione della pena inflitta, denunciando carenza di motivazione sul punto. Contesta, in particolare, la mancata concessione delle attenuanti generiche. 8. Gaetano Vitagliano, con il primo motivo, deduce l'inosservanza di legge e la carenza di motivazione in riferimento alla ritenuta integrazione della fattispecie 6 Tanto premesso, il ricorrente osserva che la Corte di Appello ha incriminatrice. L'esponente osserva che la Corte di Appello ha confermato la pronuncia di colpevolezza emessa dal G.i.p., nei confronti di Vitagliano, unicamente in relazione al fatto di cui al capo 153 della rubrica. Il ricorrente rileva che non risulta accertata la natura e la quantità della sostanza stupefacente in questione. E ribadisce che l'unica intercettazione ambientale richiamata dai giudici di merito riguarda una conversazione intervenuta tra terzi soggetti. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l'inosservanza dell'art. 192 cod. indiziario. L'esponente rileva che dalla conversazione tra presenti valorizzata dai giudici di merito, in chiave accusatoria, scaturisce un singolo indizio, che non ha trovato alcun elemento di conferma. Osserva che il riferimento proposto nella sentenza impugnata al contenuto di altre conversazioni oggetto di captazione risulta non conferente, atteso che in nessuna di queste captazioni risulta identificabile il Vitagliano quale acquirente di sostanze stupefacenti. Considerato in diritto 9. L'esame dei ricorsi in oggetto muove alle considerazioni che seguono. 9.1 II ricorso proposto nell'interesse di Tarko Armel è destituito di fondamento. Giova, in primo luogo, soffermarsi sulla premessa di ordine metodologico, che apre la motivazione della sentenza impugnata. La Corte di Appello di Roma, dopo aver riportato il criterio di valutazione del compendio probatorio adottato dal primo giudice, ha chiarito che si tratta di un metodo euristico che impone speciale cautela, al fine di evitare distorsioni. La Corte territoriale, in particolare, ha osservato che il criterio interpretativo del materiale probatorio adottato dal G.i.p. era stato quello di qualificare gli indizi emergenti dalle operazioni di captazione come fonte diretta di prova a carico, qualora gli stessi risultassero gravi, cioè attendibili e consistenti; precisi, non equivoci e non suscettibili di diversa interpretazione; e concordanti, cioè non contrastanti tra loro o con altri dati acquisiti. Il Collegio ha, quindi, rilevato che, in difetto di sequestri di sostanza stupefacente, occorreva una particolare cautela nella interpretazione delle conversazioni oggetto di captazione, per evitare interpretazioni distorte o disancorate dal reale oggetto dei colloqui. 9.2 Deve osservarsi che i richiamati criteri interpretativi, che i giudici di merito hanno posto a discrimine della capacità dimostrativa del compendio probatorio derivante dagli esiti delle operazioni di intercettazione, risultano conformi all'orientamento espresso, al riguardo, dalla Corte regolatrice. Invero, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il reato di detenzione a fini di spaccio o quello di spaccio non sono condizionati, sotto il profilo probatorio, al sequestro o al rinvenimento di sostanze stupefacenti, poiché la consumazione di tali reati può essere dimostrata attraverso le risultanze di altre fonti probatorie, quali il contenuto 7 proc. pen. ed il vizio motivazionale, in riferimento alla valutazione del compendio delle intercettazioni (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 46299 del 28.10.2005, dep. 20.12.2005, Rv. 232826). E deve altresì osservarsi che questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato che la consumazione del reato di acquisto di sostanze stupefacenti non richiede la cessione e la conseguente ricezione della droga, giacché la compravendita si perfeziona con il solo incontro delle volontà del compratore e del venditore (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 3950 in data 11.10.2011, dep. 31.01.2012, Rv. 251736). territoriale, con riguardo alla prova dell'intervenuto acquisto di sostanze stupefacenti, anche sulla base degli esiti delle attività di captazione, risulta pienamente conferente, al fine della affermazione della penale responsabilità degli odierni ricorrenti, fatte salve le diverse considerazioni che di seguito si svolgeranno in riferimento alla posizione dell'imputato Vitagliano, rispetto al quale il compendio probatorio si esaurisce in una sola captazione, peraltro relativa alla conversazione intervenuta tra terzi soggetti. 9.3.1 Con specifico riferimento alla posizione del deducente Tarko, rispetto all'episodio di cui al capo 113), verificatosi in data 30 marzo 2009, si osserva che la Corte di Appello, del tutto logicamente, ha considerato che il tenore delle conversazioni intercorse tra Shpata e Tarko - ove Shpata veniva invitato a bere un caffè a Livorno previo invio della somma di Euro 500 - evidenziava la vera natura dei rapporti intercorrenti tra i due, funzionali alla cessione, dal primo al secondo, di un quantitativo di sostanza stupefacente destinata allo spaccio, rimasto imprecisato. Oltre a ciò, preme evidenziare che il Collegio ha valorizzato: le concordanti dichiarazioni rese da Roko Ana; e la circostanza di fatto relativa all'arresto in flagranza di Tarko Armel, trovato in possesso di gr. 500 di cocaina, dopo essere uscito dalla abitazione di Shpata Alksandro, avvenuto in data 4 maggio 2009. Al riguardo, la Corte territoriale ha correttamente rilevato che, ferma la pronuncia assolutoria nei confronti di Tarko, resa all'esito del separato procedimento originato dall'episodio ora menzionato, il sequestro della partita di droga dimostrava il pieno coinvolgimento di Shapta e dei suoi connazionali nel traffico di sostanze stupefacenti. 9.4 Si osserva che la sentenza impugnata non risulta censurabile neppure in riferimento al diniego della circostanza del fatto di leve entità, nei confronti di Tarko Armel. Occorre considerare che, relativamente alle condizioni per l'applicabilità dell'attenuante di cui al V comma dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990, la Suprema Corte ha da tempo chiarito che in tema di sostanze stupefacenti, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l'azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che 8 9.3 Tanto chiarito, si rileva che l'apprezzamento effettuato dalla Corte attengono all'oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo escludere la concedibilità dell'attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entità" (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4948 del 22/01/2010, dep. 04/02/2010, Rv. 246649). Nel caso, la Corte di Appello ha chiarito che non era concedibile l'invocata attenuante, che presuppone una modesta offensività del fatto criminoso. Ed ha dall'episodio del 4 maggio 2009, sopra richiamato, conducevano ad escludere la ricorrenza di una lieve offensività della condotta. Come si vede, il richiamato percorso argomentativo, che risulta immune dalle denunciate aporie di ordine logico, si colloca nell'alveo dell'insegnamento giurisprudenziale ora richiamato, che delinea l'ambito di operatività della circostanza attenuante di cui si tratta. 10. Il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di Ismail Rebeshi non ha pregio. 10.1 Assume il ricorrente che, in caso di discordanza tra il verbale redatto in forma riassuntiva e quello steonotipico, debba sempre prevalere il secondo; e poiché, nel caso, da quest'ultimo non risulta che alla Roko siano stati fatti gli avvisi ex art. 64, comma 3, cod. proc. pen., l'esponente rileva l'inutilizzabilità delle relative dichiarazioni. In verità, secondo l'orientamento giurisprudenziale di legittimità meno recente (Cass. Sez. 6, sent n. 03784 del 05/10/1994, dep. 07/04/1995, Celone, Rv. 201855) il problema del contrasto tra verbale redatto in forma riassuntiva e quello redatto in forma stenotipica (o anche fonografica) è stato risolto nel senso voluto dal ricorrente. Più recentemente, peraltro, si è profilato un nuovo indirizzo che ha propugnato la tesi opposta - richiamata dalla Corte territoriale - basata sul rilievo che il verbale riassuntivo fa fede fino a querela di falso (Cass. Sez. 1, sent. 20993, in data 01/04/2004, dep. 04/05/2004, Ivone, Rv. 228196). Ciò posto, deve osservarsi che la Corte regolatrice, sul tema in argomento, ha pure affermato un principio diverso, in forza del quale in caso di contrasto tra i due verbali non soccorre un criterio assoluto di prevalenza dell'uno o dell'altro, ma occorre rifarsi ad un principio più flessibile, che tenga conto delle diverse situazioni del caso concreto (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 42761 del 20/10/2005, dep. 25/11/2005, Rv. 232755). 10.2 Tanto chiarito, si osserva che, nel caso di specie, le conferenti considerazioni espresse dalla Corte di Appello, inducono a ritenere che la valutazione effettuata dai giudici di merito, in ordine alla maggiore affidabilità del verbale redatto in forma riassuntiva dall'ausiliario che assisteva il giudice in udienza, rispetto al verbale redatto in forma stenotipica, non risultano sindacabili in 9 logicamente rilevato che i rapporti intercorrenti tra Tarko e Shpata, lumeggiati questa sede di legittimità. Deve peraltro considerarsi, con rilievo di ordine dirimente, che la posizione processuale della dichiarante Roko, in quanto concorrente nei medesimi reati per i quali ha reso dichiarazioni eteroaccusatorie, porta ad escludere che alla Roko fosse dovuto l'avviso di cui all'art. 64, comma 3, cod. proc. pen., come correttamente rilevato dalla Corte territoriale. La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha ripetutamente affermato il principio in base al quale l'imputato concorrente nel medesimo reato ascritto al soggetto cui si previsto dall'art. 64, comma terzo, lett. c), cod. proc. pen., non potendo assumere, prima della definizione del procedimento pendente nei suoi confronti, la veste di testimone "assistito". E ciò, in quanto la proposizione "fatti concernenti la responsabilità altrui" contenuta nell'art. 64, comma terzo, lett. c), cod. proc. pen. deve essere interpretata nel senso di in quanto
afferente a reato connesso ai sensi dell’art. 12, comma primo, lett. c) o collegato ai
sensi dell’art. 371, comma secondo, lett. b) cod. proc. pen. commesso da altri (cfr.
Cass. Sez. 5, Sentenza n. 36685 del 13/06/2008, dep. 24/09/2008, Rv. 241641).
Per quanto detto, le dichiarazioni rese da Roko Ana risultano pienamente
utilizzabili.
10.3 Venendo ad esaminare il secondo motivo di ricorso, si osserva che la
questione afferente alla dedotta inutilizzabilità delle annotazioni effettuate dalla
polizia giudiziaria, a margine dei brogliacci relativi alle conversazioni intercettate,
non risulta adeguatamente prospettata. Invero, il deducente non ha specificato il
contenuto della doglianza, non ha indicato in che termini dette annotazioni
avrebbero inciso sull’apprezzamento del compendio probatorio e non ha allegato o
indicato alcuna documentazione a sostegno del motivo di censura. E questa
Suprema Corte ha ripetutamente affermato che l’atto di ricorso deve essere
autosufficiente, nel senso che deve contenere la precisa prospettazione delle ragioni
di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (cfr. Cass. Sez. 3,
Sentenza n. 16851 del 02/03/2010, dep. 04/05/2010, Rv. 246980). Ciò posto, è
per mera completezza argomentativa che si evidenzia che la giurisprudenza di
legittimità ha chiarito che, in tema di intercettazioni telefoniche, il contenuto delle
conversazioni intercettate può essere provato anche mediante deposizione
testimoniale, non essendo necessaria la trascrizione delle registrazioni nelle forme
della perizia; ed ha affermato che la mancata trascrizione non è espressamente
prevista come causa di nullità, né è riconducibile alle ipotesi di nullità di ordine
generale tipizzate dall’art. 178 cod. proc. pen. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13463 del
26/02/2013, dep. 22/03/2013, Rv. 254910).
10.4 Le censure dedotte con il terzo motivo si pongono ai limiti della
inammissibilità.
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riferiscono le sue dichiarazioni accusatorie non deve ricevere l’avvertimento

Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, invero, il vizio
logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo
della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite
nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze
processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità “deve essere limitato
soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza
spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del

processuali” (in tal senso, “ex plurimis”, Cass. Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep.
10.01.1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato
altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali, hanno precisato che esula dai
poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto, posti
a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al
giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle
risultanze processuali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997,
dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la
modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio
2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può
esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di
legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o
valutazione dei fatti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006,
dep. 23.05.2006, Rv. 234109).
Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si
risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze
esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1769 del
23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 22445 in
data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181).
Ciò posto, si rileva che con il motivo di ricorso in esame la parte si limita a
prospettare una ricostruzione alternativa dell’episodio oggetto di addebito al capo
140 della rubrica. E deve osservarsi che la Corte di Appello ha sviluppato un
conferente percorso argomentativo, che risulta immune dalle denunciate fratture di
ordine logico. Il Collegio, invero, dopo avere premesso che la contestazione
concerne un quantitativo che è rimasto imprecisato di sostanza stupefacente, ha
chiarito (a pag. 20 della sentenza impugnata) che l’espressione con la quale
Rebeshi chiede a Shpata Aleksandro di avere “tre caffè”, in ragione del contesto
probatorio in cui la conversazione tra i due colloquianti si inserisce, deve intendersi
11

merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni

riferita alla necessità del primo di ottenere dal secondo un quantitativo di droga,
destinato allo spaccio. Al riguardo, la Corte territoriale ha sottolineato che la
richiesta di Rebeshi fa seguito ad una conversazione ambientale, nel corso della
quale i colloquianti avevano fatto esplicito riferimento a quantitativi di sostanza
stupefacente, comparandone la qualità.
10.5 II quarto motivo è destituito di fondamento.
Preme evidenziare che la decisione impugnata risulta sorretta da conferente

quanto concerne la dosimetria della pena. E’ appena il caso di considerare che in
tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche,
ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria
della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di
questa Suprema Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Cass. sez.
VI 22 settembre 2003 n. 36382 n. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene
congrua” vedi Cass. sez. VI 4 agosto 1998 n. 9120 Rv. 211583), ma afferma anche
che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed
attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono
censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento
illogico (Cass. sez. III 16 giugno 2004 n. 26908, Rv. 229298). Si tratta di
evenienza che certamente non sussiste nel caso di specie. La Corte di Appello ha
infatti riconosciuto l’attenuante di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990, e
tenuto anche conto del notevole ridimensionamento del ruolo assunto dal
prevenuto, ha rideterminato la pena, originariamente inflitta; il Collegio, peraltro,
ha rilevato che l’inserimento di Rebeshi in ambienti malavitosi, dediti al traffico di
sostanze stupefacenti, risultava ostativo alla concessione delle attenuanti
generiche.
11. Le doglianze affidate al primo motivo del ricorso proposto da Andrea
Lombardi si pongono ai limiti della inammissibilità. Richiamate le considerazioni
sopra svolte analizzando il terzo motivo del ricorso proposto da Ismail Rebeshi, in
ordine ai limiti del presente scrutinio di legittimità, si osserva che la Corte di Appello
ha sviluppato un analitico vaglio delle emergenze probatorie relative a ciascuno
degli episodi di interesse, peri quali è stata confermata l’affermazione di penale
responsabilità del Lombardi, che risulta privo delle dedotte aporie di ordine logico.
Segnatamente, con riguardo al fatto di cui al capo 117), il Collegio ha
sottolineato che la reale ragione del viaggio in Belgio, effettuato dal Lombardi,
traspariva chiaramente dalla viva preoccupazione manifestata dal prevenuto, in
riferimento al contenuto della valigia che portava con sé; oltre a ciò, i giudici hanno
sottolineato che la preoccupazione del Lombardi era tale da spingerlo a diffidare
anche di Shpata Klodian, il quale si era recato in aeroporto e lo stava attendendo
12

apparato argomentativo, che soddisfa appieno l’obbligo motivazionale, anche per

all’uscita. In riferimento al capo 134), nella sentenza si osserva che il ruolo di
concorrente di Lombardi, nella fornitura di droga, emerge dal fatto che il prevenuto
ebbe materialmente ad accompagnare Shpata all’appuntamento con l’acquirente.
Relativamente al fatto di cui al capo 150), il Collegio ha valorizzato l’apporto
logistico offerto dal Lombardi al correo Shpata Aleksandro; e sottolinea che
Lombardi, conversando con Shpata, interloquisce sul prezzo da pagare, sul
quantitativo della sostanza, sulla necessità di organizzare le operazioni di taglio

11.1 Il secondo motivo di ricorso è destituito di fondamento.
Richiamate le considerazioni sopra svolte sul contenuto dell’obbligo
motivazionale che grava sul giudice di merito in riferimento alla dosimetria della
pena, si osserva che la valutazione espressa dalla Corte di Appello risulta immune
dalle dedotte censure. Invero, la Corte territoriale, dopo avere riportato le
considerazioni espresse dall’appellante sulla entità del trattamento sanzionatorio,
anche in riferimento allo stato di incensuratezza del prevenuto (pag. 7), ha
espressamente rilevato che il concreto ruolo assolto da Lombardi, nel supportare
l’attività illecita alla quale era dedito Shpata Aleksandro, non lo rendeva meritevole
delle attenuanti generiche.
12. Il ricorso proposto nell’interesse di Hima Ilir impone le seguenti
considerazioni.
La questione relativa al mancato riconoscimento della – circostanza attenuante
di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990 non era stata dedotta con l’atto di
appello. Viene allora in rilievo il principio ripetutamente affermato dalla Corte
regolatrice, in base al quale non possono essere dedotte con il ricorso per
cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di
pronunciare, perché non devolute alla sua cognizione (Cass. Sez. 5, Sentenza n.
28514 del 23/04/2013, dep. 02/07/2013, Rv. 255577). Il ricorrente, per quanto
detto, non può pertanto dolersi in questa sede dal mancato riconoscimento della
circostanza attenuante di cui del V comma, dell’art. 73, cit., da parte della Corte
territoriale, in riferimento alla posizione di Hima Ilir, neppure sotto il profilo del vizio
di motivazione.
Tanto chiarito, ci si sofferma sul secondo ordine di doglianze dedotto
dall’esponente, osservando che il percorso argomentativo sviluppato dalla Corte di
Appello di Roma, in ordine al diniego delle attenuanti generiche, risulta privo delle
denunciate aporie di ordine logico. La Corte territoriale, sul punto di interesse, ha
richiamato le valutazioni espresse in riferimento alla posizione del coimputato
Rebeshi, il quale è stato ritenuto immeritevole delle attenuanti generiche, proprio a
causa del suo inserimento in ambienti malavitosi dediti al traffico di sostanze
stupefacenti, condizione di fatto che accomuna il ricorrente Hima Ilir, riconosciuto
13

della stessa e sulla importazione di ulteriori partite di droga.

responsabile dei reati di cui ai capi 38), 53) e 92). Pertanto, il richiamo al ruolo
svolto da Rebeshi, operato dalla Corte distrettuale, ai soli fini del diniego delle
attenuanti generiche nei confronti di Hima Ilir, non determina alcuna manifesta
illogicità della motivazione né alcun profilo di contraddittorietà della stessa.
13. Si viene ora ad esaminare il primo motivo del ricorso proposto
nell’interesse di Shpata Aleksandro.
Il rilievo non ha pregio.

primo luogo considerato che la situazione processuale conseguente alle
dichiarazioni rese dagli imputati Roko Ana, Kallazi Elvis, Terzia Gani e Xhani
Gentian, tutti assistiti dal medesimo difensore, non rientrava nell’ambito applicativo
del disposto di cui all’art. 106, comma 4 bis, cod. proc. pen., laddove è prescritto
che “Non può essere assunta da uno stesso difensore la difesa di più imputati che
abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel
medesimo procedimento”. Al riguardo, il Collegio ha fatto specifico riferimento al
contenuto delle dichiarazioni rese dai predetti imputati ed ha considerato che
soltanto Roko Ana aveva reso dichiarazioni accusatorie nei confronti dei soggetti
compresi nel gruppo romano che faceva capo a Shpata Aleksandro. Oltre a ciò, i
giudici del gravame hanno rilevato che gli altri dichiaranti, che spacciavano droga al
dettaglio a Viterbo, per conto della Roko, non avevano alcun tipo di rapporto con i
fornitori romani e si erano limitati ad ammettere le proprie responsabilità, senza
coinvolgimento di altri soggetti; ed hanno conclusivamente osservato che il fatto
che la dichiarante fosse assistita da un comune difensore non determinava alcuna
incompatibilità e che il problema era quello di verificare, in concreto, la reale
attendibilità delle dichiarazioni rese dalla Roko.
Orbene, le considerazioni sul fatto processuale, oggetto di esame, sviluppate
dalla Corte di merito, appaiono conferenti sul piano della logica dimostrativa, come
subito si vedrà, e pienamente conformi rispetto alla “ratio” della disposizione che
l’esponente ritiene violata. La previsione della incompatibilità di cui all’art. 106,
comma 4 bis, cod. proc., infatti, risponde alla necessità di evitare che la comunanza
delle posizioni difensive influisca sulla genuinità ed indipendenza delle dichiarazioni
accusatorie, rendendole affette da possibili vizi di “circolarità” (Cass. Sez. 2,
Sentenza n. 11865 del 03/02/2006, dep. 04/04/2006, Rv. 233804). E deve
osservarsi che la Corte regolatrice ha pure chiarito che l’inosservanza del disposto
di cui all’art. 106, comma quarto bis, cod. proc. pen., non costituisce causa di
nullità o di inutilizzabilità di dette dichiarazioni, comportando essa (oltre la
eventuale responsabilità disciplinare del difensore) soltanto la necessità, da parte
del giudice, di una verifica particolarmente incisiva relativamente alla loro

14

13.1 La Corte di Appello, nel censire lo specifico motivo di doglianza, ha in

attendibilità (Cass. Sez. U, Sentenza n. 21834 del 22/02/2007, dep. 05/06/2007,
Rv. 236373).
Tanto considerato, deve evidenziarsi che la Corte di Appello, in applicazione
del principio di diritto da ultimo richiamato, ha in concreto proceduto ad esaminare
partitamente le dichiarazioni accusatorie che erano state rese da Ana Roko (si
vedano le pagine 11 e 12 della sentenza impugnata), giungendo a rilevarne la piena
credibilità, secondo un conferente percorso argomentativo, immune da censure. Al

punto una approfondita analisi, all’esito della quale era emerso che la narrazione
della donna offriva una ricostruzione dei fatti coerente ed in sintonia con il
contenuto delle conversazioni telefoniche ed ambientali. La Corte territoriale ha
inoltre rilevato che la credibilità del narrato non risultava scalfita dal dubbio che la
dichiarante avesse agito per ottenere benefici processuali a proprio vantaggio,
sottolineando che la donna era stata tratta in arresto per fatti estranei

oal presente

giudizio. Il Collegio ha, pertanto, ritenuto che doveva escludersi che la Roko avesse
deciso di collaborare a seguito di una decisione obbligata dallo stato di detenzione.
13.2 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Si osserva, con rilievo di ordine dirimente, che la questione relativa alla
inutilizzabilità delle annotazioni effettuate dalla polizia giudiziaria, a margine dei
brogliacci relativi alle effettuate captazioni, non era stata dedotta con l’atto di
appello proposto nell’interesse di Shpata. Devono pertanto richiamarsi i rilievi sopra
svolti, analizzando il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse Hima Ilir, in
riferimento alla non deducibilità con il ricorso per cassazione di questioni non
devolute alla cognizione del giudice del gravame di merito.
E’ poi appena il caso di osservare che la Corte territoriale, in riferimento al
coinvolgimento di Shpata nella attività criminosa, come sopra si è già rilevato, ha
sviluppato uno specifico percorso argomentativo, pienamente conferente rispetto
all’acquisito compendio probatorio. La Corte di Appello ha chiarito che il traffico di
sostanze stupefacenti risultava sia dalle dichiarazioni rese da Roko Ana, sia
dall’arresto in flagranza di Tarko Armel, trovato in possesso di gr. 500 di cocaina,
proprio dopo essere uscito dalla abitazione di Shpata Alksandro. E la Corte
territoriale ha considerato – ferma la pronuncia assolutoria nei confronti di Tarko,
resa all’esito del separato procedimento originato dall’episodio ora menzionato – che
il sequestro della partita di droga dimostrava il pieno coinvolgimento di Shpata nel
traffico di sostanze stupefacenti. Oltre a ciò, la Corte di Appello ha individuato
Shpata, come uno dei colloquianti, analizzando gli specifici reati fine, ove il
coinvolgimento del predetto risulta inequivocamente accertato. Al riguardo, si
richiamano le considerazioni sopra svolte analizzando l’episodio di cui al capo 92),

15

riguardo, il Collegio ha evidenziato che già il giudice di primo grado aveva svolto sul

contestato in concorso con Hima Ilir e quello di cui al capo 113), in concorso con
Tarko Armel.
13.3 II terzo motivo di ricorso si pone ai limiti della inammissibilità.
Il motivo in esame, invero, oltre ad essere meramente ripetitivo delle
doglianze affidate al primo motivo di ricorso, relativo alla inutilizzabilità delle
dichiarazioni rese da Ana Roko, risulta del tutto generico ed aspecifico.
Al riguardo, si richiamano pertanto i rilievi sopra svolti in ordine allo

dalla Roko. Per il resto, deve rilevarsi che il ricorrente non propone con il presente
motivo alcuna ragione di censura, che attinga l’apparato motivazionale posto a
fondamento della sentenza di condanna impugnata, in riferimento alla intervenuta
affermazione di responsabilità penale per i diversi reati fine. E questa Suprema
Corte ha chiarito che è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi siano
generici, ovvero non contenenti la precisa prospettazione delle ragioni in fatto o in
diritto da sottoporre a verifica (vedi, da ultimo, Cass. Sezione 3, Sentenza n.
16851 del 02/03/2010, dep. 04/05/2010, Rv. 246980).
13.4 Il quarto motivo è infondato.
La Corte di Appello, in riferimento Shpata Aleksandro, ha rilevato che, benché
le assoluzioni per il reato associativo e per taluni reati fine avessero ridimensionato
la gravità della posizione processuale, residuava una condizione di abitualità della
condotta criminosa, come tale ostativa alla concessione delle attenuanti generiche.
E, con specifico riguardo alla determinazione della pena, il Collegio ha osservato che
in applicazione dei criteri di cui all’art. 133, cod. pen., risultava conforme a giustizia
la pena di anni otto di reclusione ed C 50.000,00 di multa, determinata sulla pena
base di anni dieci e mesi sei di reclusione oltre la multa, in riferimento al più grave
reato di cui al capo 135), pena aumentata per i reati satellite sino ad anni dodici di
reclusione oltre la multa; e quindi ridotta di un terzo per la diminuente di rito.
Orbene, il percorso motivazionale sviluppato dalla Corte di Appello, afferente
al diniego delle attenuanti generiche ed alla complessiva dosimetria della pena,
risulta immune dalle dedotte censure, alla luce delle considerazioni, già sopra
svolte, in ordine al contenuto dell’obbligo motivazionale che grava sul giudice di
merito, ai fini della determinazione della pena. E occorre, altresì, evidenziare che la
Corte regolatrice ha chiarito che, in tema di determinazione della pena nel reato
continuato, deve ritenersi congruamente motivata la sentenza che faccia
riferimento alle modalità dei fatti criminosi, come nel caso di specie; e che non
sussiste, invece, l’obbligo di specifica motivazione per gli aumenti di pena a titolo di
continuazione, valendo a questi fini le ragioni poste a sostegno della quantificazione
della pena base (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27382 del 28/04/2011,
dep. 13/07/2011, Rv. 250465).
16

scrutinio, compiuto dai giudici di merito, sulla attendibilità della narrazione resa

14. I motivi di ricorso proposti nell’interesse di Gaetano Vitagliano, che si
esaminano congiuntamente, sono fondati.
14.1 II G.i.p. aveva affermato la penale responsabilità di Vitagliano in ordine
agli episodi di cui ai capi 145) e 153 della rubrica.
La Corte di Appello ha assolto il prevenuto dal reato di cui al capo 145),
rilevando che tutto l’episodio risulta caratterizzato da forti carenze probatorie, in
riferimento alla cessione di un imprecisato quantitativo di sostanza stupefacente
che Shpata avrebbe effettuato in favore di Vitagliano, con il concorso del Lombardi,

carenze che il Collegio chiarisce non possono essere colmate dai rapporti esistenti
tra Shpata e Vitagliano.
Di converso, la Corte di Appello ha confermato l’affermazione di penale
responsabilità del Vitagliano, in riferimento all’episodio di cui al capo 153). Al
riguardo, la Corte di merito ha osservato che correttamente il G.i.p. aveva
valorizzato il contenuto della conversazione tra presenti, intercorsa tra Lombardi
Andrea e la moglie, conversazione nel corso della quale Lombardi aveva riferito:
che Vitagliano (indicato come “Nino”) aveva maturato un debito di droga nei
confronti di Shpata; e che il medesimo Vitagliano, il giorno seguente, avrebbe
ricevuto un ulteriore quantitativo di sostanza stupefacente (“altra roba”)
quantificata in un chilo, con la precisazione che il relativo prezzo, in tale ultimo
caso, doveva essere saldato immediatamente.
Approfondendo l’esame del percorso motivazionale sviluppato dalla Corte
distrettuale, si osserva che, rispetto all’episodio di cui a capo 153), il Collegio ha
rilevato che il colloquio intercorso tra Lombardi e la moglie valeva a chiarire il tipo
di rapporto esistente tra Shpata e Vitagliano; e che tale evenienza consentiva
anche di affermare che i successivi contatti intercorsi tra Shapta e terzi soggetti,
aventi ad oggetto il reperimento di droga, fossero funzionali alla esecuzione
dell’accordo concluso con Vitagliano. Si osserva, inoltre, che il Collegio, nello
scrutinare le ulteriori contestazioni dedotte dalla difesa, ha dichiarato di riportarsi
alla motivazione resa dal G.i.p.
14.2 Orbene, la motivazione espressa dalla Corte territoriale, nei termini ora
richiamati, in riferimento al capo 153), presenta profili di contraddittorietà rispetto
all’impianto complessivo della sentenza e risulta specificamente carente, in
riferimento al dovuto scrutinio dei temi che erano stati espressamente dedotti dalla
difesa del Vitagliano, nell’atto di appello.
Come si è sopra considerato, la Corte distrettuale ha dichiarato di condividere
il criterio interpretativo del materiale probatorio adottato dal primo giudice, che era
stato quello di qualificare gli indizi emergenti dalle operazioni di captazione come
fonte diretta di prova a carico, qualora gli stessi risultassero gravi, cioè attendibili e
consistenti; precisi, non equivoci e non suscettibili di diversa interpretazione; e
17

A,

concordanti, cioè non contrastanti tra loro o con altri dati acquisiti. E che il Collegio
ha pure precisato che, in difetto di sequestri di sostanza stupefacente, occorreva
una particolare cautela nella interpretazione delle conversazioni oggetto di
captazione.
Orbene, in riferimento all’episodio di cui al capo 153) della rubrica, la Corte
territoriale ha in realtà valorizzato un unico elemento, dato dalla conversazione
intercorsa tra terzi soggetti, Lombardi e la moglie, che difetta dei requisiti della

di una partita di droga ceduta da parte di Shpata, non essendo stata fatta piena
luce sulla natura della relazione corrente tra i due coimputati. Sul punto, deve
considerarsi che è la stessa Corte di Appello, nell’esaminare l’episodio di cui al capo
145, temporalmente contiguo a quello per cui si procede ed in assunto intercorso
tra i medesimi protagonisti, ad evidenziare che i rapporti tra Shpata e Vitagliano,
per come accertati, non erano sufficienti per ritenere provata la specifica attività di
cessione di sostanze stupefacenti.
14.3 Tanto rilevato, deve considerarsi che la difesa del Vitagliano, nell’atto di
appello, aveva sottolineato che il fatto storico di cui al capo 153) era stato attribuito
al Vitagliano in assenza di alcun contatto intercorso tra il prevenuto ed il cedente; e
che il primo giudice aveva erroneamente tratto il convincimento circa la
responsabilità del Vitagliano, dall’esame di conversazioni telefoniche intercettate tra
Shpata e terzi soggetti, ove i colloquianti non facevano alcun riferimento al
Vitagliano.
La Corte di Appello ha ignorato i temi di doglianza ora richiamati; ha del tutto
omesso di prendere specifica contezza del materiale probatorio acquisito agli atti, in
riferimento al punto devoluto; ed ha dichiarato di riportarsi in dettaglio alla
motivazione sviluppata dal G.i.p.
Ebbene, in tale contesto argomentativo, il mero rinvio alla motivazione
espressa dal giudice di primo grado risulta inidoneo a soddisfare l’obbligo
motivazionale gravante sul giudice di appello, rispetto ai temi oggetto di
devoluzione. Si osserva che la giurisprudenza di legittimità ha definito l’ambito
funzionale della tecnica di motivazione c.d. “per relationem” legittimamente
adottabile da parte del giudice di seconda istanza, chiarendo che sussiste il vizio di
motivazione, sindacabile ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc.
pen., quando il giudice del gravame si limita a respingere i motivi d’impugnazione
specificamente proposti dall’appellante ed a richiamare la contestata motivazione
del giudice di primo grado in termini apodittici o meramente ripetitivi, senza farsi
carico di argomentare sull’inconsistenza ovvero sulla non pertinenza delle relative
censure (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 35346 del 12/06/2008, dep. 15/09/2008, Rv.
241188).
18

gravità e della precisione, circa l’identificazione del Vitagliano quale reale acquirente

15. Per quanto detto, la sentenza impugnata deve essere annullata nei
confronti di Vitagliano Gaetano, con rinvio alla Corte di Appello Roma, per nuovo
esame della posizione del prevenuto, rispetto al fatto di cui al capo 153) della
rubrica, alla luce dei principi di diritto ora richiamati.
15.1 Al rigetto dei ricorsi proposti da Tarko Armel, Ismail Rebeshi, Andrea
Lombardi, Hima Ilir e Shpata Aleksandro segue la condanna dei predetti ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Vitagliano Gaetano con rinvio alla
Corte di Appello di Roma per nuovo esame. Rigetta i ricorsi degli altri imputati che
condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma in data 3 dicembre 2013
Il Consigliere est.

P.Q.M.

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