Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15153 del 04/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 15153 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BIGLINO MARCO N. IL 20/08/1962
avverso la sentenza n. 2128/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
19/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/02/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 04/02/2016

- Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione,
dr. Enrico Delehaye, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Milano ha, con sentenza confermata dalla locale Corte di
appello, condannato Biglino Marco per bancarotta fraudolenta patrimoniale e

Equity Value Management srl, dichiarata fallita il 19/1/2006.
Secondo la ricostruzione operata dai giudicanti l’imputato, operando nella qualità
sopradetta, si appropriò della somma di C 23.500, prelevata mediante assegni, e
della somma di C 64.780, prelevata in contanti dalle casse della società; inoltre,
tenne le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del
patrimonio e del movimento degli affari.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, a
mezzo del difensore, affidandosi ai motivi di seguito specificati.
2.1. I Giudici di merito hanno errato nella qualificazione del fatto di bancarotta
patrimoniale, giacché, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, la
compensazione, attuata dall’amministratore, di propri crediti verso la società in
crisi senza l’approvazione degli organi sociali concreta una ipotesi di bancarotta
preferenziale e non distrattiva.
2.2. Quanto alla bancarotta documentale, è stata omessa ogni motivazione in
ordine alla richiesta, avanzata al giudice d’appello, di derubricazione del reato di
bancarotta fraudolenta documentale in quello di bancarotta semplice.
2.3. Secondo un orientamento giurisprudenziale che – sostiene – appare
preferibile, le pene accessorie non possono avere, nel fallimento, una durata
maggiore delle pene principali. Anche sul punto, pertanto, la sentenza d’appello
risulta emessa in violazione di legge, essendo stata confermata l’applicazione
delle pene accessorie disposte dal primo giudice (interdizione ed inabilitazione
per anni dieci).

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

1. Nessun errore è stato commesso dai giudici di merito nella qualificazione della
bancarotta patrimoniale, posto che la tesi difensiva poggia su un dato
indimostrato: il fatto, cioè, che Biglino avesse effettuato finanziamenti a favore

2
(

documentale commessa quale presidente del Consiglio di amministrazione della

della società o ne fosse altrimenti creditore. La tesi, invero, è stata puntualmente
esaminata e confutata dai giudici di merito, i quali hanno rilevato che il prelievo
– mediante assegno – della somma di € 18.500 fu giustificata, in contabilità,
come “anticipo fornitori”, e che il prelievo – in contanti – di € 31.280 era stato
riferito ad una operazione commerciale con la CR Consulting, su cui non era
stata reperita documentazione. Nel corso dell’esame dibattimentale l’imputato
aveva invece parlato di “emolumenti personali” e, a fronte delle contestazioni
ricevute, aveva giustificato l’ammanco facendo riferimento a “spese legali”, che

fatto alla società non vi era traccia contabile e nessuna prova era stata fornita
dalla difesa. E anche la giustificazione – pure fornita – che si trattasse di
compensi, da lui percepiti, per attività svolta a favore della società è risultata
indimostrata. Del tutto conseguenzialmente, quindi, i giudici hanno dedotto che
si sia trattato di appropriazione di somme pertinenti alla società, posto che era
obbligo dell’amministratore dare dimostrazione della destinazione delle stesse
alla soddisfazione di interessi sociali.

2. Altrettanto logica è la deduzione – fatta dai giudici di merito – che la
contabilità sia stata consapevolmente tenuta in modo da non rendere possibile la
ricostruzione del patrimonio e del movimento e degli affari, sia per il numero e la
gravità delle omissioni (è stata riscontrata la mancanza di tutta la
documentazione successiva al 2002 e delle relative schede contabili e sono state
omesse le annotazioni nel libro giornale), sia per la strumentalità dell’omissione
all’occultamento dei prelievi indebitamente operati, di cui sopra. Del tutto logica
è la deduzione, quindi, che non di negligenza si sia trattato, ma di volontaria e
consapevole violazione dell’obbligo di regolare tenuta delle scritture, funzionale
al perseguimento del vantaggio personale.

3. Infondato è anche l’ultimo motivo di ricorso, in punto di pene accessorie. I
giudici di primo e, poi, quelli di secondo grado hanno applicato le pene
accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di

un’impresa commerciale e

dell’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per il periodo
di dieci anni, in conformità alla previsione dell’art. 216, ultimo comma, legge
fallimentare. Così facendo si sono attenenti al prevalente orientamento di questa
Corte, avallato dalla recente pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza n.
134 del 21/05/2012) secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta, è legittima
l’irrogazione delle pene accessorie in misura superiore a quella della pena
principale inflitta, trattandosi di pene accessorie la cui durata è fissata dal
legislatore in misura predeterminata e fissa e, quindi, a prescindere dalla durata

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successivamente riferiva ad altri assegni. Del finanziamento da lui asseritamente

della pena principale, con conseguente inapplicabilità dell’art. 37 cod. pen. (da
ultimo, Cassazione penale, sez. V, n. 15638 del 5/2/2015).

4. Segue il rigetto del ricorso atteso che i motivi proposti, pur se non
inammissibili, risultano infondati per le ragioni sin qui esposte;
ai sensi dell’art. 592 c.p.p., comma 1, e art. 616 c.p.p il ricorrente va
condannato al pagamento delle spese del procedimento.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 4/2/2016

P.Q.M.

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