Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1511 del 28/11/2013
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1511 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO
Data Udienza: 28/11/2013
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SCHIANO DI COLA LIBERA N. IL 30/01/1943
CATONE CASTRESE N. IL 25/09/1961
avverso la sentenza n. 2104/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
05/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
cbe ha concluso per 1 /
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Uditi difens Avv. 91,1, Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 5.3.2012 la Corte di Appello di Napoli, in parziale riforma di
quella emessa in data 28.10.2009 dal Giudice monocratico della Sezione distaccata di
Pozzuoli del Tribunale di Napoli, tra l'altro, concesse le attenuanti generiche
equivalenti alla contestata aggravante a Schiano Di Cola Libera, riduceva la pena
inflitta alla medesima ad C 300,00 di multa e quella inflitta a Catone Castrese ad C
600,00 di multa, concedendo al medesimo il beneficio della sospensione condizionale
della pena e riducendo in varia misura le provvisionali assegnate alle parti civili I predetti imputati erano stati riconosciuti in primo grado colpevoli assieme ad altro
imputato (assolto con la stessa sentenza impugnata) del delitto di cui all'art. 590 co.
1, 2, 3, e 4 c.p. per aver cagionato, ciascuno con condotte indipendenti, a Illiano
Rosario e Illiano Giuseppe, che nello stesso cantiere stavano effettuando lavori di
manutenzione, sia pure non alle dipendenze di Catone Castrese, lesioni personali, per
colpa generica, consistita per Schiano di Cola Libera in negligenza ed imprudenza; per
Catone Castrese in negligenza, imprudenza e imperizia; nonché per colpa specifica,
consistita nella violazione delle norme antinfortunistiche di seguito precisate:
- Schiano Di Cola Libera, quale committente di lavori di costruzione di un fabbricato
interamente abusivo sito in Monte di Procida con violazione dell'art. 3 D.L.vo 494/96;
art. 6 comma 2° D.L.vo 494/96, avendo omesso, nella detta qualità, nella fase di
progettazione dell'opera e di esecuzione dei lavori, di attenersi ai principi e alle misure
generali di tutela di cui all'art. 3 D.L.vo 626/94;
- Catone Castrese, in qualità di titolare della ditta di costruzione che ebbe a realizzare
il manufatto abusivo e, in particolare, il cornicione in cemento armato interessato dal
crollo in quanto realizzato in maniera errata, con violazione degli artt. 3 e 4 D.L.vo
626/94, avendo omesso nella fase di progettazione e realizzazione del suddetto
cornicione di valutare tutti i rischi per la sicurezza e di elaborare il documento
concernente la valutazione di tali rischi (acc. il 14.7.2003).
Avverso la sentenza della Corte partenopea ricorrono per cassazione i rispettivi costituite. difensori di fiducia di Schiano Di Cola Libera e Catone Castrese deducendo i motivi di
seguito sinteticamente riportati.
Per Schiano di Cola Libera.
1. L'intrinseca contraddittorietà della sentenza e l'erronea applicazione dell'art.
590 c.p. come reato di mera condotta e il travisamento della prova sul nesso
di causalità, assumendo che la Corte territoriale non aveva svolto alcuna
considerazione in relazione all'efficacia causale della condotta omissiva della
committente circa la mancata adozione dei presidi antinfortunistici rispetto
all'evento verificatosi, in quanto le lesioni degli operai erano derivate da una 2 k caduta dall'alto (di Illiano Giuseppe su Illiano Rosario) cagionata dal cedimento
strutturale di una parte dell'edificio non interessata dai lavori.
2. L'errata applicazione dell'art. 590 c.p. sotto il profilo della colpevolezza, attesa
la mancata considerazione dell'altro argomento fondamentale esaminato
nell'atto di appello, concernente la non prevedibilità dell'evento da parte della
committente.
3. Il travisamento della prova in ordine alla configurabilità del nesso di causalità.
4. Il difetto di motivazione in merito alla responsabilità dell'imputata per la essere stata considerata dall'appellante.
5. Il difetto di motivazione in ordine all'esistenza del responsabile dei lavori che,
diversamente da quanto affermato in sentenza che pure aveva ritenuto
verosimile che responsabile e direttore dei lavori fosse l'Ing. Michele Massa,
avrebbe escluso la sussistenza di profili di responsabilità a carico della
committente.
6. La mancata assunzione di prove decisive in ordine alla sussistenza e
quantificazione dei danni lamentati dalle parti civili, avendo la Corte territoriale
ritenuto che le prove richieste assumessero rilevanza solo in sede civile.
Nell'interesse di Catone Castrese.
Si deduce la violazione di legge, la mancata assunzione di una prova decisiva ed il
vizio motivazionale, rilevandosi come nella "seconda fase dei lavori", alla quale la
Corte napoletana aveva ricondotto l'evento antigiuridico, il Catone fosse uscito
completamente di scena.
Si rappresenta che la Corte aveva anche, senza rendere conto delle ragioni, rigettato
la richiesta formulata con l'atto di appello, di rinnovazione dell'istruttoria
dibattimentale per l'escussione di un teste che avrebbe potuto fugare ogni dubbio
circa la responsabilità dell'imputato.
Si rileva che la sentenza impugnata non aveva spiegato nemmeno per relationem per
quale motivo e per la violazione di quale norma generica o specifica dovessero seconda fase dei lavori che la sentenza, contrariamente al vero, affermava non addebitarsi profili di colpa al Catone, che non era depositario di una posizione di
garanzia al momento del fatto, essendo uscito di scena ed insinua l'elisione del nesso
causale tra fornitura dell'opera e l'incidente per effetto dell'opposizione del
committente alla realizzazione, da parte dell'appaltatore, di opere tese a rimuovere la
situazione di pericolo, nonché l'abnormità del comportamento tenuto dal lavoratore
che aveva calpestato il cornicione/pensilina.
Si contesta, infine, la prevedibilità ed evitabilità dell'evento quale conseguenza
dell'inosservanza della condotta esigibile dall'imputato ed in particolare ci si chiede se
fosse stato prevedibile che un lavoratore o una persona capace violasse una norma di
generica diligenza, prudenza o imperizia nonché una disposizione di legge quale l'art. 3 9pv 5 lett. f) d.lgs. 626/94, evidenziandosi come sul punto la sentenza impugnata non
facesse alcun cenno, nemmeno per relationem.
Considerato in diritto In via preliminare ed assorbente, non ricorrendo cause di inammissibilità né elementi
evidenti che inducano al proscioglimento nel merito ai sensi dell'art. 129, secondo
comma c.p.p., si deve rilevare d'ufficio il decorso alla data del 9.6.2013, attesi i
periodi di sospensione di anni uno e mesi otto in primo grado e di mesi otto e giorni
26 in secondo grado, del termine prescrizionale di anni sette e mesi sei di cui agli artt. contestato. Questo, pertanto, è rimasto estinto per la detta prescrizione che va
immediatamente dichiarata ai sensi del primo comma dell'art. 129 c.p.p., con
l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza per la predetta causa.
Senonchè, l'art. 578 cod. proc. pen. prevede che il giudice d'appello o la Corte di
cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o per prescrizione il reato per il quale
sia intervenuta condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni
cagionati, sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti dei capi della sentenza
che concernono gli interessi civili; "al fine di tale decisione i motivi di impugnazione
proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente non potendosi trovare
conferma della condanna al risarcimento del danno (anche solo generica) dalla
mancata prova dell'innocenza dell'imputato, secondo quanto previsto dall'art. 129
comma secondo cod. proc. pen." (Cass. pen. Sez. VI, n. 31464 del 8.6.2004, Rv.
229385 e successive conformi).
Orbene, nel merito i ricorsi sono infondati.
La sentenza impugnata ha fornito congrua motivazione, richiamando anche quella di
primo grado con la quale comunque si fonde in un unicum inscindibile, in relazione
alla responsabilità di entrambi gli odierni ricorrenti e alla sussistenza degli estremi del
reato contestato, rispondendo esaurientemente a tutte le deduzioni difensive.
E tanto nel rispetto dell'orientamento di questa Corte (Sez. IV, n. 30857 del
14.7.2006, Rv. 234828) secondo il quale, "in tema di prevenzione degli infortuni sul 157 e 161 c.p. (secondo l'attuale e previgente formulazione) previsto per il reato lavoro, quantunque l'obbligo di cooperazione tra committente e appaltatore (o tra
appaltatore e subappaltatore) ai fini della prevenzione antinfortunistica con
informazione reciproca, previsto specificamente dall'art. 7 comma 2° D.Igs 626/1994,
non esiga che il committente intervenga costantemente in supplenza dell'appaltatore
quando costui, per qualunque ragione, ometta di adottare le misure di prevenzione
prescritte, deve tuttavia ritenersi che, quando tale omissione sia immediatamente
percepibile (consistendo essa nella palese violazione delle norme antinfortunistiche), il
committente, che è in grado di accorgersi senza particolari indagini dell'inadeguatezza
delle misure di sicurezza, risponde anch'egli delle conseguenze dell'infortunio
eventualmente determinatosi".
4 9Pt7 Invero, in materia di infortuni sul lavoro in un cantiere edile, il committente rimane il
soggetto obbligato in via principale all'osservanza degli obblighi imposti in materia di
sicurezza, ex art. 6 del D.Lgs. 14 agosto 1996 n. 494, come modificato dal D.Lgs. 19
novembre 1999 n. 528 (Cass. pen. Sez. III, n. 7209 del 25.1.2007, Rv. 235882;
Cass. pen. Sez. IV, n. 23090 del 14.3.2008, Rv. 240377).
Ed anzi, per il comma 3 dell'art. 7 del D.Igs. n. 626 del 1994 incombe sul datore di
lavoro committente promuovere la cooperazione e il coordinamento: tale obbligo
deve ritenersi escluso soltanto nel caso previsto dall'art. 7 ricordato, comma 3, u.p. attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi");
esclusione che va riferita non alle generiche precauzioni da adottarsi negli ambienti di
lavoro per evitare il verificarsi di incidenti ma alle regole che richiedono una specifica
competenza tecnica settoriale -generalmente mancante in chi opera in settori diversinella conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o
nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine.
Come è ovvio, non può considerarsi rischio specifico quello derivante dalla generica
necessità di impedire cadute da parte di chi operi in altezza essendo, questo pericolo,
riconoscibile da chiunque indipendentemente dalle sue specifiche competenze (cfr.
Cass. pen. Sez. IV, n. 12348 del 29.1.2008, Rv. 239252).
Né risulta dimostrato che sia stato tempestivamente nominato un apposito
responsabile per la sicurezza sul cantiere, ovvero un responsabile dei lavori con
conferimento allo stesso di una delega avente ad oggetto gli adempimenti richiesti per
l'osservanza delle norme antinfortunistiche, funzionalmente idoneo ad estromettere
da ogni responsabilità la committente, tale non potendosi ritenere, come osservato
già dalla sentenza di primo grado, l'ing. Michele Massa, che è stato solo indicato come
progettista o direttore dei lavori, nella cui veste assume un'ulteriore posizione di
garanzia che si affianca, se mai, alle altre.
A ciò s'aggiunga che, nel caso di specie, la costruzione era del tutto abusiva e che
quindi la committente (come già rilevato dalla sentenza di I grado a pag. 17), non (che esclude l'obbligo per il datore di lavoro committente per i "rischi specifici delle curandosi di ottemperare ad alcuna norma preposta alla correttezza tecnicoamministrativa dell'edificazione (effettuata in assenza di permesso per costruire, in
assenza dei calcoli in c.a. e degli atti progettuali), fattivamente dimostrò al contempo
un totale disinteresse anche per le modalità costruttive adottate e per la tutela dei
lavoratori sul cantiere culminata nella determinazione di affidare i lavori a persone
non tecniche, nè specializzate in calcoli strutturali, e ciò in piena violazione dell'art. 7
d.lgs. 626/1994 (cui è subentrato l'art. 26 d.lgs. n. 81 del 2008), con la conseguente
ed ineludibile assunzione di responsabilità circa le conseguenze dannose della cattiva
esecuzione degli stessi. Invero, le suddette considerazioni implicano l'univoco giudizio
che il rispetto delle cautele antinfortunistiche palesemente omesse (il consulente 5 9pi tecnico del P.M. non rinvenne tra le macerie alcun dispositivo a ciò preposto) avrebbe
scongiurato con ogni probabilità, se non con piena certezza, l'evento letale
verificatosi.
Peraltro è palese la sua corresponsabilità anche, e soprattutto, nella seconda fase dei
lavori in cui subentrarono altri operatori, attese le condizioni di lavoro manifestamente
al di fuori di ogni forma di tutela con espletamento di lavori in altezza senza alcun
presidio antinfortunistico (ed in particolare delle misure previste dall'art. 3 Divo n.
626 del 1994) tanto che correttamente il Giudice di merito ha ritenuto di escludere Per altro verso, nulla consente di ritenere che la committente abbia impedito
all'appaltatore di porre in essere opere tese a rimuovere la situazione di pericolo,
ovvero l'abnormità del comportamento tenuto dal lavoratore che calpestò il cornicione
che poi cedette, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore
che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito
estraneo alle mansioni affidategli -e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il
datore di lavoro- o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in
qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi,
prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Cass. pen.
Sez. IV, n. 40164 del 3.6.2004, Rv. 229564).
Invero, la condotta del lavoratore Illiano Giuseppe, salito sul tetto per pulizie o
comunque per recuperare attrezzi, era certamente valutabile ex ante, secondo quanto
correttamente ritenuto dal Tribunale e dalla Corte territoriale, atteso il pericolo di
caduta dall'alto (come tale prevedibile ed evitabile) e la cattiva esecuzione dei lavori
pregressi, ben nota alla committente che si era indotta ad interrompere il rapporto di
appalto con la ditta del Castrese e a rivolgersi ad altri operai: al riguardo, va
rammentato che l'esistenza di un contratto d'opera non vale a traslare il rischio
connesso all'esecuzione dei lavori, e il relativo onere di tutela della sicurezza e
dell'incolumità, del committente al prestatore d'opera (Cass. pen. Sez. III, n. 11813
del 19.8.1999, Rv. 214551 e successive conformi).
E', poi, indiscutibile la responsabilità del ricorrente Catone Castrese la cui impresa
realizzò con palesi errori di costruzione (accertati dal consulente tecnico, circostanza
nemmeno negata dell'imputato) il cornicione che poi cedette e che egli stesso ha
definito non completato.
Ritiene questo Collegio che l'appaltatore di lavori edili, nell'esecuzione della propria
attività, in base al principio del neminem ledere, debba osservare tutte le cautele
necessarie per evitare danni alle persone, obbligo non si limita al periodo di mera
esecuzione delle opere appaltate, ma anche alla fase successiva e che si concreta nel
provvedere comunque a non lasciare senza custodia situazioni di grave pericolo e ben
note all'appaltatore. Ciò, dunque, deve ritenersi valga anche nel caso in cui
6 l'ignoranza incolpevole della committente. all'imprenditore realizzatore della parte del manufatto difettosa sia subentrato altro
operatore (imprenditore o lavoratore autonomo) al quale il primo abbia indicato le
cautele da adottare a presidio dell'opera "non completata" ovvero connotata dal
manifesto errore di costruzione, in quanto tali cautele dovevano essere anzitutto
predisposte dal medesimo autore, consapevole del pericolo, non potendo questi
ritenersi scevro da ogni colpa solo per averne messo al corrente il suo successore:
infatti la parte di opera suscettibile di danno a terzi doveva comunque essere
immediatamente segnalata in modo idoneo e visibile ai lavoratori e protetta ab initio Quanto al rigetto delle richieste di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, si
rileva, con particolare riferimento a quella avanzata dalla difesa della Schiano in
relazione alla quantificazione dei danni, che la mancata rinnovazione dell'istruzione
dibattimentale nel giudizio d'appello può costituire violazione dell'art. 606, comma
primo, lett. d), cod. proc. pen. solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la
sentenza di primo grado (art. 603, comma secondo, cod. proc. pen.), mentre negli
altri casi può essere prospettato il vizio di motivazione previsto dalla lett. e) del
medesimo art. 606, sicchè la doglianza, che ha appunto richiamato l'art. 606 comma
primo lett. d) c.p.p., è ab origine improponibile (Cass. pen Sez. V, n. 34643 del
8.5.2008, Rv. 240995).
Quanto, invece, a quella prospettata alla difesa del Castrese, il cui diniego è stato
censurato sotto il profilo del vizio motivazionale, si rileva che la rinnovazione è istituto
di carattere eccezionale e che la Corte avrebbe potuto ammetterla solo qualora
avesse ritenuto di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, sicchè la
motivazione addotta sul punto dalla sentenza impugnata, laddove ha ritenuto non
necessarie ai fini del decidere le richieste di rinnovazione dell'istruttoria
dibattimentale, s'appalesa congrua ed insuscettibile di censura.
Peraltro è da rammentare che, in tema di rinnovazione, in appello, della istruzione
dibattimentale, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve essere
specificatamente motivata, occorrendo dar conto dell'uso del potere discrezionale, da opportune strutture antinfortunistiche. derivante dalla acquisita consapevolezza della rilevanza dell'acquisizione probatoria,
nella ipotesi di rigetto, viceversa, la decisione può essere sorretta anche da una
motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della
pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una
valutazione in ordine alla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di
rinnovare il dibattimento (Cass. pen. sez. VI, 18.12.2006, n. 5782, Rv. 236064),
come appunto deve ritenere essersi realizzato nel caso di specie, laddove la Corte ha
richiamato "i rilievi precedenti, per quanto deciso,...".
Pertanto, ai sensi del richiamato art. 578 c.p.p., vanno confermate le statuizioni civili.
7 Ji Deve disporsi, come richiesto, la trasmissione della sentenza di secondo grado, in
copia, al Procuratore generale della Corte di Cassazione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione;
conferma le statuizioni civili e dispone trasmettersi copia della sentenza di secondo
grado al Procuratore generale della Corte di Cassazione. Così deciso in Roma, il 28.11.2013