Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15049 del 14/03/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 15049 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Maceri Biagio n. il 31.1.1969
avverso la sentenza n. 1214/2010 pronunciata dalla Corte d’appello di
Salerno il 11.10.2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 14.3.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del doti E. Delehaye, che
ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi per le parti civili gli avv.ti A. Rivellese, R. Lagreca e G. Guerra,
tutti del foro di Sala Consilina, che hanno concluso per il rigetto del
ricorso;
uditi per l’imputato gli avv.ti G. Aricò del foro di Roma e D. Amodeo
del foro di Sala Consilina che hanno concluso per l’accoglimento del
ricorso.

Data Udienza: 14/03/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza resa in data 11.10.2012, la corte d’appello di
Salerno ha integralmente confermato la sentenza in data 20.7.2009
con la quale il tribunale di Sala Consilina, tra le restanti statuizioni, ha condannato Biagio Maceri alla pena di otto anni di reclusione,
oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, in
relazione ai reati di omicidio colposo plurimo in violazione delle
norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, incendio colposo
e omessa collocazione di cautele contro gli infortuni sul lavoro, commessi, in continuazione tra loro, in Montesano sulla Marcellana il
5.7.2006.
In particolare, all’imputato nella qualità di titolare di fatto di
un laboratorio artigianale svolgente attività di materassificio ubicato
nei locali terranei del palazzo c.d. ‘Ciuffo’ sito in una frazione di Montesano sulla Marcellana, era stata contestata la violazione delle norme di colpa specifica riguardanti la prevenzione degli infortuni sul
lavoro analiticamente descritte nei capi d’imputazione, per effetto
della quale all’interno dei locali aziendali gestiti dall’imputato si era
sviluppato un incendio con pericolo di crollo del fabbricato in cui detti locali erano inseriti, nonché il decesso per asfissia da inalazione di
acido cianidrico e monossido di carbonio di due lavoratrici alle sue
dipendenze, Annamaria Mercadante e Giovanna Curcio.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione l’imputato sulla base di quattro
motivi di impugnazione.
Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza
impugnata per aver omesso di rilevare la nullità del provvedimento
assunto dal tribunale di sala Consilina nel corso dell’istruzione dibattimentale con il quale era stata disattesa l’istanza della difesa dell’imputato diretta a consentire la presenza del consulente tecnico
dell’imputato all’escussione testimoniale dei consulenti tecnici del
pubblico ministero, con la conseguente nullità degli atti conseguenti
a detto vizio.
2.1. –

Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza d’appello per avere la corte territoriale omesso di rilevare le ri2.2. –

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petute violazioni di prerogative proprie della difesa nella fase dell’istruzione dibattimentale, segnatamente consistite nell’acquisizione
agli atti del giudizio di un reperto (una multipresa elettrica) il cui
malfunzionamento era stato indicato tra le possibili cause dell’innesco dell’incendio oggetto di causa; reperto mai precedentemente acquisito agli atti del giudizio e illegittimamente custodito negli uffici
dei vigili del fuoco fino al successivo tardivo deposito dello stesso;
circostanza idonea a giustificare la sussistenza di consistenti dubbi
sulla genuinità dell’elemento di prova, attese le discordanze descrittive di tale reperto contenute nei verbali degli organi di polizia giudiziaria acquisiti agli atti del giudizio.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole del mancato rilievo, da
parte della corte territoriale, delle ulteriori violazioni in cui era incorso il giudice di primo grado nel disattendere l’istanza avanzata dalla
difesa per l’ammissione di una perizia o, quantomeno, per l’autorizzazione all’espletamento di una propria consulenza tecnica destinata
all’esame dei reperti tardivamente acquisiti: autorizzazione negata
sul falso presupposto della consentita partecipazione della difesa agli
accertamenti tecnici irripetibili eseguiti nel corso delle indagini preliminari, siccome avvenuti su materiali diversi da quelli in esame.
2.3. – Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla
ricostruzione del nesso di causalità tra le omissioni contestate all’imputato e gli eventi lesivi allo stesso ascritti, non avendo la corte territoriale superato, sul piano probatorio e argomentativo, la soglia del
ragionevole dubbio in ordine all’accertamento dell’effettiva responsabilità dell’imputato, attribuendo le cause dell’incendio a un preteso
difetto dell’impianto elettrico, oppure al malfunzionamento di una
macchina, oppure ancora a una ciabatta multipresa posta a contatto
con i materiali di lavoro, dopo aver ingiustificatamente escluso la
possibilità che detta causa potesse viceversa ricondursi alle conseguenze sviluppate dalla presenza in loco di un mozzicone di sigaretta
non spento.
2.4. – Con l’ultimo motivo, il ricorrente si duole della violazione di legge in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nella determinazione, in termini di eccessiva severità, del trattamento sanziona-

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2.5. — Con due distinte memorie depositate in data 26.2.2014 e
27.2.2014, il ricorrente ha illustrato motivi aggiunti al ricorso, insistendo per il riconoscimento della nullità delle dichiarazioni rese dai
consulenti tecnici d’ufficio in sede testimoniale, attesa la mancata sanatoria della nullità derivante dalla non consentita partecipazione del
consulente tecnico dell’imputato alla relativa escussione testimoniale,
nonché per il riscontro dell’erronea ricostruzione dei processi di derivazione causale dell’evento lesivo oggetto d’esame rispetto alle condotte omissive contestate all’imputato.
2.6. – All’odierna udienza, le parti civili costituite hanno concluso in conformità alle note scritte contestualmente depositate.
Considerato in diritto
3.1. – Dev’essere preliminarmente disattesa la doglianza avanzata dal ricorrente in relazione alla pretesa nullità del provvedimento
con il quale il tribunale di sala Consilina ha rigettato l’istanza della
difesa diretta a consentire la presenza del proprio consulente tecnico
all’escussione testimoniale dei consulenti tecnici del pubblico ministero, valendo al riguardo la dirimente considerazione dedotta dalla
corte territoriale in ordine alla tardività della corrispondente eccezione dell’imputato, non tempestivamente sollevata immediatamente
dopo la pronuncia dell’ordinanza contestata.
Osserva al riguardo il collegio come la corte territoriale si sia
sul punto correttamente allineata all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui il diniego di autorizzazione alla parte
di farsi assistere dal consulente nel corso dell’esame testimoniale in
dibattimento dà luogo a una nullità di ordine generale, da ritenersi
sanata se non dedotta immediatamente dopo la pronuncia della relativa ordinanza (Cass., Sez. 3, n. 35702/2009, Rv. 244423).
Al riguardo, nessuna rilevanza può essere ascritta, secondo
quanto in questa sede preteso dal ricorrente, all’osservazione genericamente e condizionalmente avanzata dalla difesa solo prima della

torio allo stesso inflitto, nonché in relazione alla mancata concessione
delle circostanze attenuanti generiche, in contrasto con la valutazione
complessiva delle occorrenza concrete nella specie valutabili e della
condotta tenuta dall’imputato.

pronuncia dell’ordinanza de qua (circa la riserva di eventuali eccezioni di nullità in caso di mancata autorizzazione alla presenza del
consulente di parte all’escussione testimoniale de qua), per l’evidente
esigenza logica secondo cui l’eccezione di nullità di un atto deve necessariamente seguirne, in termini cronologici, il compimento.
Parimenti privo di fondamento deve ritenersi il rilievo argomentato dal ricorrente con i motivi aggiunti al ricorso, circa la mancata sanatoria della nullità derivante dalla non consentita partecipazione del consulente tecnico dell’imputato all’escussione testimoniale, per avere la corte territoriale comunque rilevato il ricorso di tale
nullità. Sul punto, del tutto improprio deve infatti ritenersi il richiamo operato dal ricorrente all’insegnamento di questa corte di legittimità (secondo cui, in tema di nullità a regime intermedio, se la parte
decade dalla possibilità di eccepirla ai sensi del secondo comma
dell’art. 182 c.p.p., l’invalidità non è automaticamente sanata, in
quanto il giudice ha pur sempre il potere di rilevarla d’ufficio nei più
ampi termini di cui all’art. 180 c.p.p.: cfr. Cass., Sez. 4, n.
42667/2013, Rv. 257191), essendo nella specie propriamente mancato il presupposto processuale per l’operatività del meccanismo invocato dall’imputato, costituito dal formale rilievo d’ufficio (tanto da
parte del primo giudice, quanto ad opera della corte d’appello) della
ridetta nullità.
3.2. – Del pari prive di fondamento devono ritenersi le censure
sollevate dal ricorrente in ordine alla pretesa invalidità dell’acquisizione agli atti del giudizio di un reperto (una multipresa elettrica)
tardivamente depositato dagli organi di polizia giudiziaria, nonché in
relazione alla mancata ammissione di una perizia d’ufficio o quantomeno di una consulenza tecnica di parte destinate all’esame di tale
reperto.
Sul punto, la corte territoriale, con motivazione completa ed
esauriente, immune da vizi d’indole logica o giuridica, ha evidenziato
come tutti i reperti utilizzati ai fini del giudizio (ivi compreso quello
in esame) fossero stati nel loro complesso acquisiti, nel corso delle
indagini preliminari, ad esito delle ispezioni compiute dagli organi di
polizia giudiziaria in data 13.7.2006 e in data 4.8.2006: occasione,
quest’ultima, in cui la difesa del Maceri, presente al compimento delle attività istruttorie, aveva incontestatamente accettato tutte le atti-

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vità di sopralluogo (ivi comprese quelle già svolte in precedenza) finalizzate all’acquisizione dei reperti da sottoporre ad accertamenti di
laboratorio, senza sollevare alcuna obiezione, segnatamente con riguardo ai filmati effettuati e alle riprese fotografiche; con la conseguenza che le eventuali nullità riguardanti le operazioni di repertamento vennero in tale data sanate, non avendo i difensori eccepito
alcunché a seguito del regolare avviso agli stessi regolarmente inviato: premesse idonee a dar luogo all’operatività del meccanismo sanante di cui all’art. 183 lett. a) c.p.p., per avere i difensori regolarmente visionato il filmato di tutte le operazioni e preso atto del repertamento di tutto il materiale nel rispetto delle garanzie della difesa, in
tal modo consentendo alla relativa utilizzazione.
Sotto altro profilo, la corte territoriale ha evidenziato, con motivazione dotata di adeguata coerenza logica e consequenzialità argomentativa, come la richiesta dell’espletamento di una perizia o
dell’autorizzazione all’espletamento di una consulenza tecnica di parte sulla multipresa elettrica citata dovesse ragionevolmente considerarsi del tutto irrilevante, consistendo, il reperto de quo, in un mero
residuo completamente carbonizzato e pertanto con ogni prevedibilità inidoneo a fornire alcuna utile informazione in sede di accertamento tecnico, evidenziando inoltre come la natura e la gravità
dell’incendio oggetto d’esame fosse caratterizzato da effetti distruttivi
di entità tale da rendere estremamente difficile l’individuazione, con
analitica precisione, della relativa causa naturalistica; ai fini processuali essenzialmente rilevando, in ogni caso, la ricostruzione del collegamento causale tra le plurime omissioni contestate all’imputato e
il complessivo decorso eziologico dell’incendio, qualunque ne fosse
stata l’eventuale particolare o specifica causa contingente.
3.3. – Con riguardo alla ricostruzione dei processi causali
ch’ebbero a determinare l’incendio e le successive conseguenze lesive
a carico delle operaie decedute, osserva il collegio – in dissenso rispetto alle doglianze sul punto sollevate dal ricorrente (così come ripetute
e integrate con la memoria depositata in data 27.2.2014) – come la
corte territoriale sia pervenuta all’identificazione della sussistenza di
un preciso nesso di collegamento causale tra le omissioni contestate
all’imputato e gli eventi lesivi allo stesso ascritti sulla base di uno sviluppo argomentativo correttamente condotto, tanto sul piano giuridi-

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co, quanto sul piano della coerenza logica del ragionamento probatorio.
Al riguardo, la corte territoriale dopo aver ricordato come
all’imputato fosse stata addebitata una pluralità di profili omissivi di
natura colposa (comprensivi del dovere di non adibire locali interrati
allo svolgimento di attività lavorative; di non utilizzare impianti elettrici non previamente omologati, controllati e sottoposti a regolare
attività manutentive; di non procedere allo svolgimento di attività lavorative senza la previa elaborazione di piani di sicurezza e antincendio con particolare riguardo a piani connessi all’adozione delle misure necessarie per la prevenzione degli incendi e per l’evacuazione dei
lavoratori), ha evidenziato come ognuno di tali condotte omissive (incontestatamente attestate nel corso del giudizio) avesse svolto un
ruolo di fondamentale importanza nel determinismo dell’incendio,
atteso che le analisi sperimentali condotte dagli organi inquirenti
avevano condotto alla conclusione che l’evento fosse da ricollegare a
una scintilla determinatasi a causa del malfunzionamento di un macchinario alimentato elettricamente, tanto essendo inequivocamente
emerso dalle prove di laboratorio relative all’innesco con arco voltaico svolte dai vigili del fuoco del nucleo investigativo centrale, che
avevano attestato la compatibilità di tale causa (ivi compreso il carattere quasi istantaneo dell’innesco) con il complesso delle specifiche e
concrete condizioni ambientali proprie del luogo in cui l’incendio ebbe a svilupparsi: un luogo chiuso, in cui era sistemata una pluralità di
macchine alimentate elettricamente collocate nell’immediata prossimità, in nessun modo cautelata, di materiali ad altissima infiammabilità.
A tale ipotesi concreta formulata dai giudici del merito (adeguatamente e coerentemente fondata su leggi di copertura di carattere scientifico e sperimentalmente confermate, oltre che probatoriamente corroborate dal complesso degli elementi di prova e dalle specifiche evidenze relative al caso in esame, sì da porsi quale conclusione dotata del più elevato di livello di credibilità razionale), la corte
territoriale ha inoltre associato la correlativa esclusione dell’incidenza di eventuali decorsi causali alternativi, con particolare guardo
all’ipotesi dell’innesco provocato da un mozzicone di sigaretta non
spento, fondando tale esclusione sul vigore di argomentazioni caratterizzate, sul piano probatorio, attraverso il richiamo di specifici ele-

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menti rappresentativi, nella specie rinvenuti nel mancato rilievo, da
parte dei testimoni superstiti presenti sul luogo dell’incendio, di odore di fumo da sigaretta nell’immediatezza dell’innesco; la lontananza,
dall’iniziale punto di deflagrazione dell’incendio, del luogo di lavoro
dell’unica fumatrice; la circostanza che quest’ultima si fosse limitata a
fumare, secondo le testimonianze acquisite, solo alcune ore prima
che si manifestassero le prime forme dell’incendio senza che, medio
tempore, fosse stato avvertito alcun odore di fumo; la circostanza (attestata sul piano scientifico e caratterizzata dalle occorrenze del caso
di specie) secondo cui la temperatura del tabacco incandescente deve
ritenersi troppo bassa perché la piccola porzione del tabacco eventualmente a contatto con materiali infiammabili abbia la capacità di
andare oltre una iniziale semplice abrasione superficiale.
Le complessive argomentazioni sviluppate nella motivazione
della sentenza impugnata appaiono pienamente coerenti sotto il profilo logico e dotate di congruente consequenzialità sul piano del ragionamento probatorio, sì da risultare rispettose, tanto del consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, con riguardo ai
processi logici e probatori di ricostruzione del nesso di causalità nei
reati omissivi impropri colposi (cfr. la Cass., Sez. Un., n.
30328/2002, Rv. 222138 e successive conformi), quanto di una adeguata misura di coerente corrispondenza con il contenuto del materiale probatorio complessivamente acquisito al giudizio.
3.4. — Dev’essere da ultimo disatteso il quarto motivo di ricorso proposto dal Maceri con riguardo alla mancata concessione delle
circostanze attenuanti generiche e alla particolare severità della pena,
non individuando le doglianze sul punto sollevate dal ricorrente alcuna insufficienza o incongruità nello sviluppo logico della motivazione dettata nella sentenza impugnata, essendosi lo stesso limitato
alla prospettazione di questioni di mero fatto o apprezzamenti di merito incensurabili in questa sede.
In thema, con riferimento al contestato diniego delle attenuanti generiche, è appena il caso di richiamare il consolidato (e qui condiviso) indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di
legittimità, ai sensi del quale la sussistenza di circostanze attenuanti
rilevanti ai sensi dell’art. 62 bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto, e
può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ra-

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gioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati
nell’interesse dell’imputato (in termini, ex multis, Cass., Sez. 6, n.
7707/2003, Rv. 229768).
Quanto all’onere di motivazione sul punto imposto al giudice
del merito, è stato altresì precisato come ai fini dell’assolvimento
dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione
delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (in tal
senso, ex multis, v. Cass., Sez. 1, n. 3772/1994, Rv. 196880).
In particolare, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in
esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene
prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può
essere sufficiente in tal senso (così Cass., Sez. 2, n. 3609/2011, Rv.
249163).
Analoghe considerazioni valgono per quel che riguarda l’entità
della pena, avendo la Corte distrettuale valutato come pienamente
congrua la pena determinata dal primo giudice in relazione alla rilevantissima gravità del fatto e alle conseguenze dannose provocate
dalle omissioni contestate all’imputato.
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha correttamente negato il ricorso di circostanze attenuanti generiche e valutato la congruità del complessivo trattamento sanzionatorio imposto al Maceri dal
giudice di primo grado, correlando tale giudizio al rilievo della grave
noncuranza manifestata dall’imputato (nell’incorrere nel complesso
delle gravi omissioni contestategli) per la vita e la sicurezza delle proprie dipendenti, oltre che per il rispetto delle leggi e dei regolamenti,
come reso manifesto dall’assenza di alcuno scrupolo nel lasciar lavorare le proprie dipendenti in una condizione di totale oscurità fiscale,
previdenziale e istituzionale, così radicando, il conclusivo giudizio

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4. — L’accertamento dell’integrale infondatezza di tutte le doglianze avanzate dal ricorrente, comporta il rigetto del relativo ricorso e la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali,
oltre alla rifusione delle spese del giudizio in favore delle parti civili
costituite secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna
il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese in favore delle parti civili costituite, che liquida, per
il comune di Montesano sulla Marcellana, in complessivi euro 2.500,
oltre accessori come per legge; per Arnone Michele, Arnone Raffaella,
Montemurro Carmela, Ciuffo Antonio Ernesta, Ciuffo Maria Teresa,
Ciuffo Pia Querina, Gorrese Ernesta e Ciuffo Carmen Antonella, in
complessivi euro 6.000,00, oltre accessori come per legge; per Curcio
Pasquale, Petrosino Rosa Maria, Curcio Dora, Curcio Vincenza e Curcio Maria, in complessivi euro 4.500,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14.3.2014.

espresso sul trattamento sanzionatorio, al ricorso di specifici presupposti di fatto, sulla base di una motivazione in sé dotata di intrinseca
coerenza e logica linearità.

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