Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15044 del 07/03/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 15044 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Pizzo Graziella n. il 26.4.1971
Prisinzano Santo n. il 1.9.1967
avverso la sentenza n. 1206/2011 pronunciata dalla Corte d’appello di
Palermo il 24.6.2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 7.3.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. V. Geraci, che ha
concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito, per la parte civile, l’avv.to G. Palmeri del foro di Roma, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 07/03/2014

Ritenuto in fatto
1. – Con sentenza resa in data 21.10.2009, il tribunale di Termini Imerese, sezione distaccata di Corleone, ha condannato Graziella Pizzo e Santo Prisinzano alle pene, rispettivamente, di quattro mesi
e di tre mesi e quindici giorni di reclusione, oltre al risarcimento dei
danni in favore della parte civile costituita, in relazione al reato di lesioni colpose commesso, in violazione delle norme per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro, ai danni di Salvatore Montalbano, in Contessa Entellina 1’11.9.2006.
In particolare, ai due imputati, nelle rispettive qualità di datrice di lavoro dell’operaio infortunato e legale rappresentante dell’impresa appaltatrice, e di direttore tecnico di cantiere e responsabile del
servizio di prevenzione e protezione dei rischi della medesima impresa, era stata contestata la violazione dei tradizionali parametri della
colpa generica, nonché delle norme di protezione antinfortunistica
specificamente richiamati nei capi d’imputazione, in conseguenza
della quale l’operaio addetto alla rimozione della malta cementizia in
eccesso dalle pietre di un arco in muratura alto tre metri, in assenza
della relativa armatura di sostegno che avrebbe dovuto essere eliminata solo a costruzione ultimata, a causa del cedimento dell’arco,
aveva riportato gravi lesioni personali.
Con sentenza in data 24.6.2013, la corte d’appello di Palermo,
in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha concesso agli
imputati i benefici della sospensione condizionale della pena e della
non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale,
confermando nel resto la decisione impugnata.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del comune difensore,
hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati sulla base di quattro motivi di impugnazione.
Con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza
impugnata per vizio di motivazione e violazione di legge, con particolare riguardo alla violazione del principio di correlazione tra accusa e
sentenza, avendo la corte territoriale pronunciato la condanna degli
imputati in relazione al fatto lesivo consistito nella caduta del lavoratore da un ponteggio privo di parapetto, laddove nel capo d’imputazione originariamente sollevato nei confronti degli imputati, agli
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stessi era stata contestata la circostanza per cui l’armatura allestita
per la costruzione dell’arco cui l’operaio infortunato era addetto, era
stata smantellata prima del completamento dei lavori, con il conseguente crollo dell’arco ch’ebbe a investire il lavoratore cagionandogli
le lesioni patite.
Sotto altro profilo, gli imputati si dolgono del travisamento dei
fatti in cui sarebbero incorsi i giudici del merito, avendo questi ultimi
mancato di individuare con certezza la causa del crollo dell’arco cui
l’operaio infortunato era addetto, essendo rimasta esclusa, sul piano
probatorio, la violazione della norma antinfortunistica concernente l’obbligo dell’armatura dell’arco prima dell’ultimazione dei lavori di costruzione, essendosi verificato, l’infortunio oggetto
dell’odierno giudizio, in epoca successiva al completamento dei lavori.
Con il secondo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione di legge in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata per aver
erroneamente ritenuto sussistente l’aggravante della lesione personale grave ai danni del lavoratore infortunato, con la conseguente erronea affermazione della sussistenza delle condizioni di procedibilità a
carico degli imputati, avendo la persona offesa omesso di presentare
alcuna querela in relazione all’accertamento della responsabilità penale per le lesioni lievi effettivamente e concretamente patite.
A tale riguardo, gli imputati censurano la sentenza impugnata
laddove ha utilizzato, al fine di accertare la natura delle lesioni e la
durata della malattia sofferta dalla persona offesa, la perizia d’ufficio
disposta in sede dibattimentale, in contrasto con la disciplina del
giudizio abbreviato nella specie celebrato, incompatibile con l’acquisizione di detta integrazione istruttoria, nella specie avvenuta anche
attraverso l’esame di documentazione originariamente non presente
nel fascicolo del pubblico ministero.
2.2. –

2.3. – Con il terzo motivo, il ricorrente censura la violazione di
legge e il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nell’omettere la verifica del difetto delle condizioni di procedibilità nei confronti di Santo Prisinzano, atteso che in relazione allo
stesso (in quanto non destinatario, per legge, dell’obbligo di osser-

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2.4. – Con l’ultimo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza
impugnata per vizio di motivazione e violazione di legge, avendo la
corte territoriale omesso di motivare adeguatamente in ordine al riscontro dell’effettiva applicazione della diminuzione della pena inflitta gli imputati per effetto della scelta del rito abbreviato.
2.5. — All’odierna udienza, la parte civile ha depositato le proprie conclusioni scritte, invocando il rigetto del ricorso.

Considerato in diritto
3. — Dev’essere riconosciuta la fondatezza del primo motivo di
ricorso proposto dagli imputati con riguardo alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
Al riguardo, converrà rimarcare, in termini generali (e nel solco del consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità)
come, nel verificare la mancata corrispondenza tra l’accusa contestata e il fatto ritenuto nella decisione del giudice, occorra riferirsi
all’operatività di criteri non formali o meccanicistici, valendo al riguardo la decisività del principio che impone (nel caso in cui sia accertato lo scostamento indicato) il riscontro dell’avvenuto rispetto dei
diritti della difesa, nel senso che l’imputato abbia avuto, in concreto,
la possibilità di difendersi da ogni profilo dell’addebito; e tanto, a
prescindere dalla differente configurazione formale, in termini commissivi od omissivi, della condotta contestata (cfr. Cass., Sez. 4, n.
41674/2004, Rv. 229893; Cass., Sez. 4, n. 7026/2002, Rv. 223747).
Tale evenienza, in particolare, ricorre in tutti casi in cui
dell’addebito si sia concretamente trattato nelle varie fasi del processo, ovvero in quelli nei quali sia stato lo stesso imputato a evidenziare
il fatto diverso quale elemento a sua discolpa (v. Cass., Sez. 5, n.
23288/2010, Rv. 247761; Cass., Sez. 6, n. 20118/2010, Rv. 247330;
Cass., Sez. 2, n. 11082/2000, Rv. 217222; CaSS., Sez. 2, n. 5329/2000,
Rv. 215903).

vanza dei precetti per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), l’imputazione per il reato di lesioni personali colpose, sia pure gravi o
gravissime, avrebbe potuto essere sollevata esclusivamente a seguito
di querela della persona offesa (nella specie mancante).

In breve, il principio di correlazione tra fatto contestato e fatto
ritenuto in sentenza, di cui all’art. 521 c.p.p., finalizzato alla salvaguardia del diritto di difesa, non è violato qualora la sentenza puntualizzi l’imputazione enunciata formalmente nell’atto di esercizio dell’azione penale con le integrazioni risultanti dagli interrogatori e dagli
altri atti in base ai quali è stato reso in concreto possibile all’imputato
di avere piena consapevolezza del thema decidendum, così da potersi
difendere in ordine a un determinato fatto, inteso come episodio della vita umana (v. Cass., Sez. 4, n. 41663/2005, Rv. 232423; Cass., Sez.
6, n. 9213/1996, Rv. 206208).
Ai fini della valutazione di detta correlazione, occorrerà dunque tener conto, non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza
dell’imputato che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione (v. Cass., Sez.
3, n. 15655/2008, Rv. 239866).
Il vigore di tali principi, tuttavia, è tale da arrestarsi là dove il
giudice abbia posto a fondamento della propria decisione la sussistenza di un fatto completamente diverso ed eterogeneo rispetto al
fatto descritto nell’imputazione, con la radicale immutazione della
stessa nei suoi elementi essenziali (v. Cass., Sez. i, n. 6302/1999, Rv.
213459; Cass., Sez. 6, n. 2642/1999, Rv. 212803), dovendo inevitabilmente ritenersi sussistente la violazione de qua quando nei fatti rispettivamente descritti e ritenuti – non sia possibile individuare un
nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, non
in rapporto di continenza, bensì di eterogeneità (Cass., Sez. 6, n.
81/2008, Rv. 242368).
Nel caso di specie, il giudice di primo grado — in consonanza
con le indicazioni contenute nel capo d’imputazione sollevato nei
confronti degli odierni ricorrenti — è pervenuto all’accertamento della
responsabilità penale degli imputati per avere gli stessi omesso di
adottare le necessarie cautele idonee ad impedire la verificazione del
fatto lesivo sofferto dalla persona offesa, costituito dal crollo dell’arco
in pietra viva in prossimità del quale il lavoratore era intento
all’esecuzione di opere di rifinitura consistenti nella rimozione, con
martello e scalpello, della malta cementizia in eccesso.

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In particolare, agli imputati è stata rimproverata (ciascuno in
correlazione alle funzioni corrispondenti al proprio ruolo) la mancata
raccomandazione e l’omesso controllo sul rispetto della regola cautelare (nella specie violata) che impone la necessità di procedere in
modo progressivo (dall’alto verso il basso) alla rimozione
dell’armatura di sostegno di manufatti (quali archi, vòlte, etc., in cemento armato o muratura di ogni genere), coordinandone
l’esecuzione in corrispondenza con l’avanzamento delle varie fasi di
lavoro, sì da impedire ogni possibile rischio d’infortunio a carico delle
persone chiamate all’esecuzione di opere sul ridetto manufatto (cfr.
art. 64 d.p.r. n. 164/56).
Viceversa, la corte d’appello, inspiegabilmente trascurando la
causa dell’infortunio occorso ai danni del lavoratore offeso, così come
descritta e ricostruita dal giudice di primo grado (con riguardo al
crollo dell’arco in pietra in prossimità del quale la persona offesa si
trovava al lavoro), ha proceduto alla conferma della responsabilità
penale degli imputati ascrivendo agli stessi la verificazione di un fatto
radicalmente diverso da quello posto dal primo giudice a fondamento
della propria decisione, segnatamente costituito dall’omessa assicurazione della regolarità del ponteggio sul quale il lavoratore era intento all’esecuzione della propria attività: ponteggio dal quale il Montalbano sarebbe caduto provocandosi le lesioni denunciate a causa
dell’assenza di parapetti di protezione.
Osserva il collegio come, in relazione alla rilevata discrasia tra
il nucleo dei fatti rilevanti considerati nelle diverse decisioni dei giudici di merito (tra il crollo dell’arco e la caduta dal ponteggio, quali
alternative cause delle lesioni patite dal lavoratore infortunato) non
sia prospettabile la mera individuazione di un diverso (ed eventualmente aggiunto) profilo di colpa rinvenibile nel comportamento degli
imputati, trattandosi bensì della configurazione di un fatto storico del
tutto diverso, radicalmente modificato nella considerazione delle relative componenti materiali, rispetto alla cui contestazione la corte
d’appello ha integralmente omesso di evidenziare le modalità
dell’eventuale rispetto o dell’avvenuta conservazione dell’integrità
delle prerogative di difesa inderogabilmente spettanti agli accusati.
L’accertata violazione, ad opera del giudice d’appello, del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all’art. 521 c.p.p. im-

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Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, annulla la impugnata sentenza con rinvio alla Corte di appello di Palermo per nuovo esame.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7.3.2014.

pone pertanto di procedere alla pronuncia dell’annullamento della
sentenza impugnata, rimanendo in tal senso assorbita la valutazione
degli ulteriori profili di criticità sollevati dagli odierni ricorrenti, potendo prospettarsi l’eventuale esame circa la sussistenza delle condizioni di procedibilità nei confronti degli imputati solo a seguito della
concreta precisazione del fatto agli stessi addebitato.

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