Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15041 del 07/03/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 15041 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Fabio Antonino n. il 25.11.1964
avverso la sentenza n. 9493/2012 pronunciata dal Tribunale di Patti,
sezione distaccata di Sant’Agata di Militello il 6.2.2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 7.3.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. V. Geraci, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 07/03/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza resa in data 6.2.2013, il tribunale di Patti, sezione distaccata di Sant’Agata Militello, ha condannato Antonino Fabio alla pena di euro 1.000,00 di ammenda in relazione al rifiuto di
sottoporsi all’esecuzione del test per la misurazione del tasso alcolemico ai fini della verifica della guida in stato di ebbrezza (previsto e
punito dall’art. 186, co. 7, c.d.s.) commesso in Rocca di Capri Leone
l’11.8.2011.
Avverso la sentenza del tribunale siciliano, a mezzo del proprio
difensore, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato dolendosi
della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel ritenere il Fabio responsabile del rifiuto contestatogli pur avendo, l’agente di polizia giudiziaria ch’ebbe a
fermare l’imputato, dichiarato in dibattimento di non essere al momento in possesso della strumentazione necessaria per la misurazione del tasso alcolemico.
Sotto altro profilo, il ricorrente censura la sentenza impugnata
per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo il tribunale di
Patti totalmente omesso di dettare alcuna motivazione circa l’invocata sostituzione della pena inflitta all’imputato con la misura del lavoro di pubblica utilità espressamente richiesta.
Considerato in diritto
2. – Preliminarmente, rileva il collegio la ritualità dell’odierna
impugnazione proposta dal ricorrente, dovendo ritenersi inappellabile la sentenza di primo grado che ha condannato l’imputato alla sola
pena dell’ammenda (v. alt. 593, co. 3, c.p.p.), pur in relazione un reato astrattamente punito con la pena detentiva congiunta a quella pecuniaria.
Ritiene, al riguardo, questo collegio (pur consapevole del contrastante indirizzo fatto proprio, tra gli altri, da Cass., Sez. 3, n.
12673/2006, Rv. 234594; Cass., Sez. 6, n. 1644/2002, Rv. 223280) di
dover ribadire l’orientamento già sostenuto in altra precedente occasione (v. Cass., Sez. 4, n. 18654/2013, Rv. 255936) secondo cui deve
considerarsi insuperabile l’inequivoco ed espresso tenore del richiamato alt. 593, comma 3, c.p.p., laddove esclude l’appello avverso le
sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena
dell’ammenda (e non già delle sentenze di condanna per le quali è

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astrattamente prevista la sola pena dell’ammenda): e tanto, non solo
in coerenza al dettato dell’art. 12 prel. c.c. (per cui “nell’applicare la
legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese
dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e
dalla intenzione del legislatore”, alla luce dell’elementare canone interpretativo secondo cui ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit), ma anche in forza della decisiva considerazione secondo cui la mancata impugnazione del pubblico ministero avverso l’illegale determinazione
della pena, rende irretrattabile la valutazione giudiziaria in ordine
alla gravità del reato, compiuta attraverso la comminazione (sia pur
erronea) della sola pena dell’ammenda.
Varrà sul punto considerare — a voler porre un problema di
coerente compatibilità con il sistema che ordinariamente prevede il
duplice grado di giurisdizione — come l’interpretazione qui accreditata impedisce di ipotizzare alcun contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, atteso che il diritto all’appello non è stato costituzionalizzato, sicché esso non può ritenersi imposto dall’art. 24 Cost., né la limitazione dell’appello qui confermata confligge con il principio di ragionevolezza desunto dall’art. 3 Cost., in quanto il legislatore può ragionevolmente escludere l’appello per il caso in cui il giudice abbia
condannato il contravventore alla sola pena dell’ammenda e conservarlo per il caso in cui il giudice abbia irrogato la pena dell’arresto,
atteso che la diversità del trattamento ben può ritenersi giustificata
dalla diversa valutazione giudiziaria della gravità del reato (cfr. in
termini, Cass., Sez. 3, n. 8340/2000, Rv. 218194).
3. – Nel merito, dev’essere disatteso il primo motivo di ricorso
avanzato dall’imputato, dovendo ritenersi del tutto irrilevante la circostanza della contingente indisponibilità, da parte degli agenti
ch’ebbero a fermare l’imputato, della strumentazione necessaria per
la misurazione del tasso alcolemico, nulla impedendo il successivo
reperimento di tale strumentazione a seguito dell’eventuale manifestazione, da parte del fermato, della propria disponibilità a sottoporsi
agli accertamenti richiesti; accertamenti che sarebbero stati eventualmente eseguiti in loco senza necessità di alcun accompagnamento
coattivo dell’indagato in altra sede.
Deve ritenersi viceversa fondata la doglianza avanzata dall’imputato con riguardo all’omessa motivazione in ordine al diniego della

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sostituzione della pena inflitta con la misura della lavoro di pubblica
utilità richiesta dall’imputato, avendo il tribunale di Patti del tutto
immotivatamente disatteso la corrispondente richiesta espressamente avanzata dall’imputato, così come attestato nella medesima epigrafe della sentenza impugnata.
Sulla base delle premesse sin qui richiamate, dev’essere disposto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al diniego della misura del lavoro di pubblica utilità, con il conseguente rinvio al tribunale di Patti per nuovo esame sul punto.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione annulla la impugnata sentenza
limitatamente alla mancata motivazione circa la sostituzione di pena
col lavoro di pubblica utilità e rinvia al Tribunale di Patti per nuovo
esame sul punto.
Rigetta nel resto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7.3.2014.

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