Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15040 del 07/03/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 15040 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CIANI ROBERTO N. IL 10/07/1969
avverso la sentenza n. 3895/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
19/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Dott. Vincenzo Geraci che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito l’Avv. Vincenzo Sergio Vitale, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;

Udito, per la parte civile, rAvv
Tdit i difensar_Av_vi

Data Udienza: 07/03/2014

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 19/04/2013, ha
confermato la sentenza di condanna emessa, a seguito di rito abbreviato, dal
Tribunale di Milano il 9/02/2012 nei confronti di Ciani Roberto in relazione al
reato di cui all’art.189, commi 1 e 6 , d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, per non aver
ottemperato all’obbligo di fermarsi, avendo con la propria condotta di guida
determinato un incidente dal quale derivavano lesioni personali a terzi, nonché in

ottemperato all’obbligo di prestare assistenza alle persone ferite nel medesimo
sinistro.
2. Il fatto era così ricostruito in base alle risultanze istruttorie: il 1/10/2008,
verso le due di notte, una Fiat 500 di colore bianco, all’incrocio fra Corso Italia e
Porta Ludovico, era stata violentemente urtata nella parte posteriore destra da
una Mercedes, di cui un teste oculare dell’incidente riferiva parzialmente il
numero di targa. La 500 ruotava due volte su se stessa e il conducente della
Mercedes, fermatosi senza scendere dal veicolo poco più avanti, era ripartito
subito rapidamente diretto verso Viale Filippetti. Il passeggero della 500 era
stato trasportato in ambulanza al Pronto Soccorso, ove gli erano stati
diagnosticati “trauma cranico, contusione cervicale a colpo di frusta, contusione
coscia destra” con prognosi di giorni 12. Alla conducente della Fiat era stata
contestata la contravvenzione di omessa precedenza a veicolo proveniente da
destra. La Mercedes era stata trovata poco dopo parcheggiata nell’area di sosta
dei residenti in Viale Filippetti, all’altezza del civico 24: aveva il motore “cocente”
ed era danneggiata nella parte anteriore destra, ove erano visibili tracce di
vernice bianca; dal motore fuoriuscivano liquidi che avevano formato una piccola
pozza, e che erano presenti anche nell’area circostante.
3. Ricorre per cassazione Roberto Ciani, a mezzo di difensore, censurando la
sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) mancanza o insufficienza della motivazione e inosservanza della legge
penale con riferimento all’elemento soggettivo tipico del reato di omissione di
soccorso. Il ricorrente censura la pronuncia per aver ritenuto che il tentativo di
sviamento delle indagini dallo stesso operato, denunciando un’improbabile furto
dell’autovettura, fosse idoneo a superare ogni dubbio circa la consapevolezza da
parte dell’imputato del fatto che fosse avvenuto un incidente, posto che egli mai
ha presentato denuncia di furto;
b) insufficienza e mancanza di motivazione in relazione alla coesistenza delle
norme di cui al comma 6 e 7 dell’art.189 cod. strada. La Corte territoriale, si
assume, avrebbe fornito insufficiente risposta alla censura mossa nell’atto
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relazione al reato di cui all’art.189, commi 1 e 7, cod. strada, per non aver

d’appello, affermando che si tratta di due distinte e autonome condotte, mentre
l’appellante aveva dedotto di non aver avuto contezza delle persone ferite
nell’altra autovettura, non potendo considerarsi consumata la violazione
dell’obbligo di prestare soccorso sulla base della violazione dell’obbligo di
fermarsi;
c) inosservanza ed erronea applicazione dell’art.189 cod. strada, per non
avere la Corte territoriale considerato che l’imputato non aveva alcuna

contestate chiunque sia comunque coinvolto in un sinistro;
d)

mancata applicazione della sospensione condizionale della pena

accessoria della sospensione della patente;
e) violazione di legge per non avere il giudice detratto, nell’applicare la
sanzione accessoria della sospensione della patente di guida, la sospensione già
operata in via cautelare dal Prefetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono inammissibili in quanto
manifestamente infondati.
1.1. E’ necessario premettere, in via generale, che costituisce principio
interpretativo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il
quale, in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, va
ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza d’appello per relationem
a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la
sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli
già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione del
controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata,
non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite dall’appellante nei
motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con
argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e
criticamente censurate. In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo
grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato
organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per
giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello
abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di
primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai
passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei
due gradi di merito costituiscano una sola entità (Sez.6, n.28411 del
13/11/2012, dep. 1/07/2013, Santapaola, Rv. 256435; Sez. 3, n. 13926 del

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responsabilità nel sinistro, ritenendo penalmente responsabile per le violazioni

10/12/2011, dep. 12/04/2012, Valerio, Rv. 252615; Sez. 2, n. 1309 del
22/11/1993, dep. 4/02/1994, Albergamo ed altri, Rv. 197250).
1.2. La Corte territoriale, richiamando e condividendo sul punto la
motivazione svolta dal Tribunale ed evidenziando come i motivi di appello
avessero riproposto questioni già affrontate e risolte dal primo giudice, ha
desunto l’elemento soggettivo del reato di cui all’art.189, commi 1 e 7, cod.
strada dall’inverosimiglianza della versione dei fatti fornita dall’imputato in

conducente dell’altro veicolo e da un testimone, dagli evidenti danni frontali
presenti sulla sua autovettura, dalle dichiarazioni rese in un primo momento dal
Ciani alle ore 14 del 1 ottobre 2008 alla Polizia locale, così come riportate, e non
contestate, a pag.1 della sentenza di primo grado.
1.3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’elemento soggettivo del
reato previsto dall’art.189, comma 7, cod. strada è integrato anche in presenza
del dolo eventuale, ravvisabile in capo all’utente della strada il quale, in caso di
incidente comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni
tali da evidenziare in termini di immediatezza la concreta eventualità che
dall’incidente sia derivato danno alle persone, non ottemperi all’obbligo di
prestare la necessaria assistenza ai feriti. In altre parole, per la punibilità è
necessario che ogni componente del fatto tipico (segnatamente il danno alle
persone e l’esservi persone ferite, necessitanti di assistenza) sia conosciuta e
voluta dall’agente. A tal fine, è però sufficiente anche il dolo eventuale, che si
configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che può attenere
anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di
accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo
comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio: ciò
significa che, rispetto alla verificazione del danno alle persone eziologicamente
collegato all’incidente, è sufficiente che, per le modalità di verificazione di questo
e per le complessive circostanze della vicenda, l’agente si rappresenti la
probabilità – o anche la semplice possibilità- che dall’incidente sia derivato un
danno alle persone e che queste necessitino di assistenza e, pur tuttavia,
accettandone il rischio, ometta di fermarsi (Sez.4, n.6904 del 20/11/2013, dep.
12/02/2014, Richichi, n.m.; Sez.4, n.36270 del 24/05/2012, Bosco, nan.;
Sez. 4, n.33294 del 14/05/2008, Curia, Rv. 242113).
1.4. Le circostanze di fatto ritenute accertate dai giudici del merito rendono
del tutto logica la motivazione, laddove si è dedotto che l’imputato aveva avuto
certamente modo di rendersi conto dell’idoneità dell’incidente da lui provocato a
produrre eventi lesivi. Nè rilevava la presenza di terzi posto che, in caso di
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merito alla levità dell’urto e dalla credibilità delle dichiarazioni rese dalla

incidente, l’obbligo di fermarsi e prestare assistenza agli eventuali feriti, grava
direttamente su colui che si trova coinvolto nell’incidente medesimo, il quale è
dunque tenuto ad assolverlo indipendentemente dall’intervento di terzi e senza
poter fare affidamento sull’arrivo della polizia o di altra autorità già allettate
(Sez.4, n.16891 del 14/03/2012, Krasniqi, n.m.).
1.5. Contrariamente a quanto affermato nel ricorso, dunque, la motivazione
concernente l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato risulta

che dalla doppia rotazione impressa all’altro veicolo e dall’entità dei danni
riportati dalla sua autovettura, con fuoriuscita di liquidi dal motore, fosse del
tutto inverosimile che l’imputato non si fosse reso conto della violenza dell’urto,
con l’ulteriore argomento legato al comportamento dell’imputato ed all’iniziale
versione dei fatti, poi smentita, che lo stesso aveva fornito per asseverare
l’ipotesi della sua estraneità al sinistro, in piena aderenza all’orientamento
interpretativo di questa Corte, sopra enunciato.

2. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
2.1. La censura muove dall’erroneo presupposto che, ai fini della
configurabilità del reato previsto dall’art.189, comma 7, cod. strada, costituisca
antefatto necessario del reato anche l’aver dato causa all’incidente,
argomentando dal tenore letterale dell’art.189, comma 1, cod. strada, a mente
del quale l’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza è imposto all’utente ‘in
caso di incidente comunque riconducibile al suo comportamento’.
2.2. Occorre, in proposito, premettere che la condotta omissiva sanzionata
dall’art.189, comma 7, cod. strada può considerarsi una ipotesi speciale del
delitto di omissione di soccorso previsto dall’art.593, comma 2, cod. pen. (per la
definizione del reato ex art.189, comma 7, cod. strada in termini di omissione di
soccorso, Sez.4, n.20649 del 10/05/2012, Shehi, n.m.; Sez.4, n.9128 del
2/02/2012, Boffa, n.m. sul punto), del quale condivide l’oggettività giuridica e la
condotta dell’omessa assistenza alla persona ferita, con l’aggiunta:
a) dell’elemento tipico del reato proprio mediante individuazione, nell’utente
della strada al cui comportamento sia comunque ricollegabile l’incidente, del
soggetto sul quale grava l’obbligo di garanzia, genericamente indicato nella
norma generale in `chiunque’;
b) di un antefatto non punibile, concretato dall’essersi verificato un sinistro ,
stradale, idoneo a concretare una situazione di pericolo attuale, da cui sorge
l’obbligo di agire.

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correttamente argomentata e fondata prevalentemente sulla logica deduzione

Secondo la preferibile interpretazione della norma generale, il bene giuridico
tutelato dal reato in questione (inserito tra i delitti contro la vita e l’incolumità
personale) è da individuarsi in un bene di natura superindividuale, quello della
solidarietà sociale, da preservarsi soprattutto quando siano in discussione i beni
della vita e della incolumità personale di chi versa in pericolo. In particolare, lo
stato di pericolo è espressamente previsto per la fattispecie di cui al comma 2
dell’art.593 cod.pen., e proprio la necessità di prevenire un danno futuro impone

legislatore ha introdotto, come si evince dal tenore dell’art.189, comma 1, cod.
strada, la presunzione che il verificarsi di un incidente determini una situazione
di pericolo ed ha, conseguentemente, individuato nei soggetti coinvolti nel
sinistro i titolari della posizione di garanzia, imponendo loro l’obbligo di fermarsi
e di prestare assistenza. Assistenza significa quel soccorso che si rende
necessario, tenuto conto del modo, del luogo, del tempo e dei mezzi, per evitare
il danno che si profila. Trattasi, in sostanza di reato istantaneo di pericolo, il
quale ultimo va accertato con valutazione ex ante e non ex post, sicché una
volta verificatosi l’antefatto previsto dal comma 1, da intendersi come sinistro
connesso alla circolazione stradale, sarebbe incompatibile con l’oggetto giuridico
del reato e con la natura di reato di pericolo asserire che l’obbligo di attivarsi sia
escluso per colui che, pur coinvolto nel sinistro, non ne sia responsabile. Simile
interpretazione della norma condurrebbe all’assurda conseguenza per cui il
dovere di attivarsi sarebbe escluso per ogni altro soggetto coinvolto nel sinistro,
ove l’incidente fosse attribuibile in via esclusiva alla persona ferita che necessiti
di assistenza.
2.3. Giova, in proposito, sinteticamente richiamare l’elaborazione dottrinaria
e giurisprudenziale in tema di concorso tra il reato di omissione di soccorso ed i
reati di omicidio o lesioni personali. Rispetto al reato di omicidio doloso o di
lesioni volontarie si è ritenuto che l’omesso soccorso della vittima costituisca
post factum non punibile (Sez. 1, n. 31466 del 08/11/2012, dep. 22/07/2013,
Fenza, Rv. 255749; Sez.5, n.1493 del 24/05/1984, Batissa, Rv.164638), mentre
con riguardo alle corrispondenti ipotesi di reato nella forma colposa, non
costituendo l’omissione di soccorso la normale prosecuzione dell’attività
criminosa, la condotta omissiva è stata ritenuta autonomamente rilevante quale
espressione di una nuova deliberazione criminosa, ed è stato ritenuto
configurabile il concorso di reati.
2.4. Con specifico riguardo all’omissione di soccorso stradale, la previgente
normativa (art.133, comma 3, d.P.R. 15 giugno 1959, n.393) prevedeva I
espressamente il concorso di tale reato con il delitto di lesioni colpose,
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l’obbligo di un intervento soccorritore. Nella materia della circolazione stradale, il

distinguendo l’ipotesi in cui l’investimento derivasse da colpa dall’ipotesi in cui
l’investimento dovesse considerarsi mero antefatto non ascrivibile a
responsabilità di colui che, successivamente, aveva omesso di prestare il dovuto
soccorso. Nella vigente disciplina, dettata dall’art.189, comma 7, cod. strada,
che non ha riprodotto la distinzione, è comunque pacifico l’orientamento
giurisprudenziale secondo il quale è configurabile il concorso di reati tra omicidio
o lesioni colposi ed omissione di soccorso stradale (Sez.4, n.8626 del 7/02/2008,

del sinistro costituisca elemento costitutivo del delitto di omissione di soccorso
stradale.
2.5. Il reato in esame trova, dunque, il suo fondamento nell’obbligo giuridico
di attivarsi previsto dall’art.189, comma 1, cod. strada, che attribuisce all’utente
della strada, coinvolto in un sinistro “comunque” riconducibile al suo
comportamento, una posizione di garanzia per proteggere altri utenti coinvolti
nel medesimo incidente dal pericolo derivante da un ritardato soccorso. La
posizione di garanzia trova, nel caso in esame, la sua ratio nel dato di esperienza
per cui i protagonisti del sinistro sono in condizione di percepirne
nell’immediatezza le conseguenze dannose o pericolose, dunque di evitare,
indipendentemente dall’ascrivibilità agli stessi di tali conseguenze, che dal
ritardato soccorso delle persone ferite possa derivarne un danno alla vita ed
all’integrità fisica. Come già affermato da questa Sezione, il combinato disposto
dei commi 1, 6 e 7 dell’art.189 d.lgs. n.285/1992, non lega l’obbligo di
assistenza alla consumazione e all’accertamento di un reato, ma al semplice
verificarsi di un incidente comunque ricollegabile al comportamento dell’utente
della strada al quale l’obbligo di assistenza è riferito. Nella previsione
incriminatrice manca qualsiasi rapporto che condizioni la esistenza dell’obbligo di
attivarsi alla qualificazione come reato della condotta dell’utente. All’evidenza, la
sola condizione per la esigibilità della assistenza e la punibilità della sua
omissione è posta nella generalissima relazione di collegamento (a qualsiasi
titolo) tra incidente e comportamento di guida dell’utente della strada (Sez.4,
n.34138 del 21/12/2011, dep. 6/09/2012, Cilardi, Rv. 253745).
2.6. In definitiva, l’art.189, comma 1, cod. strada, disponendo che “L’utente
della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo
comportamento, ha l’obbligo di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente a
coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona”, ha inteso
attribuire all’espressione ‘incidente comunque ricollegabile al suo
comportamento’ il valore di antefatto non punibile idoneo ad identificare il
titolare della posizione di garanzia. La Corte territoriale ha, dunque,
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Di Vece, Rv.238973), dovendosi correlativamente escludere che la responsabilità

correttamente interpretato la disposizione che sanziona la condotta omissiva
dell’utente della strada, comunque coinvolto in un sinistro, che non presti
assistenza alle persone ferite, ritenendo che l’obbligo di attivarsi sussista
indipendentemente dalla responsabilità nel sinistro.

3. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
3.1. Questa Corte ha costantemente affermato che il beneficio della

ma non alle sanzioni amministrative (Sez.3, n.39499 del 19/09/2008, Prencipe,
Rv.241292; Sez.3 n.34297 del 5/07/2007, Moretti, Rv.237220; Sez.4, n.3209
del 21/02/1997, Ceccherini, Rv.207874).
3.2. La tesi interpretativa esposta nel ricorso, secondo la quale la
sospensione della patente di guida applicabile in caso di accertamento del reato
di cui all’art.189 cod. strada costituirebbe sanzione penale in ragione del fatto
che, a differenza della sanzione amministrativa prevista in altre ipotesi di
violazione al codice della strada, per il reato in esame il legislatore non ha
comminato la sanzione dell’ammenda, è priva di pregio, ponendosi in evidente
ed insuperabile contrasto con il tenore letterale della norma, che definisce
espressamente la sospensione della patente di guida in termini di sanzione
amministrativa accessoria.

4. Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
4.1. Con riguardo alla relazione tra la sanzione in esame, irrogata da parte
del giudice penale, e l’avvenuta applicazione in via amministrativa della
medesima sanzione da parte del Prefetto, correttamente il ricorrente assume che
il periodo di sospensione determinato dal Prefetto debba detrarsi dal computo
della sanzione irrogata dal giudice penale, ma si tratta di detrazione da
effettuarsi in via esecutiva, senza che sia precluso al giudice penale di
commisurare la sanzione in termini maggiori rispetto a quelli determinati dal
Prefetto (Sez.1 n.18920 del 26/02/2013, Carnielletto, Rv.256005; Sez.0 n.20
del 21/06/2000, Cerboni, Rv.217020).
4.2. Nel caso concreto, inoltre, il ricorrente ha del tutto ignorato che la
sentenza di primo grado, confermata dalla Corte territoriale, aveva
espressamente irrogato la sanzione accessoria della sospensione della patente di
guida per anni uno e mesi sei “ove non fosse stata nel frattempo sospesa in via
amministrativa”, con tale statuizione demandando al Prefetto, organo di
esecuzione della sanzione amministrativa accessoria, il compito di detrarre il
periodo di sospensione eventualmente presofferto.
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sospensione condizionale della pena si applica alle pene principali ed accessorie

5. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; al rigetto consegue, i
sensi dell’art.616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 7/03/2014

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