Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15035 del 11/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 15035 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MORELLI ANNAMARIA N. IL 11/01/1973
avverso la sentenza n. 91/2013 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
05/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Udito, per la arte civile, l’Avv
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Data Udienza: 11/02/2014

Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Udine, Sezione distaccata di Cividale, con sentenza in data
12.06.2012, assolveva Morelli Annamaria dall’imputazione di cui all’art. 187 cod.
strada, in assunto accertato in data 28.12.2008, perché il fatto non sussiste. Il
Tribunale rilevava che Morelli Annamaria era stata sottoposta a controllo mentre si
trovava alla guida della vettura Tg. AM 044 ST; che i verbalizzanti, avendo notato
che la donna teneva una strana condotta di guida e che, all’atto del controllo,

l’avevano accompagnata presso il locale Pronto Soccorso, ove dall’esame delle
urine era emersa la positività ai cannabinoidi. Il Tribunale riteneva peraltro non
provato lo stato di alterazione dovuto all’effetto di sostanze stupefacenti, giacché
l’accertamento tecnico non era stato completato da visita medica.
2. La Corte di Appello di Trieste, con sentenza in data 5.06.2013, in riforma
della sentenza assolutoria resa dal Tribunale, dichiarava l’imputata colpevole del
reato ascrittole, condannandola alla pena di mesi due di arresto ed C 1.000,00 di
ammenda. La Corte territoriale sostituiva la pena detentiva in quella pecuniaria
della specie corrispondente e concedeva il beneficio della non menzione.
La Corte territoriale rilevava che l’appello proposto dal Procuratore della
Repubblica era fondato. Al riguardo, il Collegio osservava che ai fini della
configurabilità del reato di cui all’art. 187, cod. strada, lo stato di alterazione del
conducente può essere dimostrato attraverso gli accertamenti biologici, in
associazione ai dati sintomatici rilevati al momento del fatto. Sul punto, il Collegio
valorizzava i sintomi riscontarti dai verbalizzanti che avevano proceduto al
controllo, i quali avevano annotato che la donna, notata per la strana condotta di
guida, presentava equilibrio precario, occhi arrossati e pronunziava frasi sconnesse.
Sul piano sanzionatorio, il Collegio riteneva concedibili le attenuanti generiche e
stimava equa la pena di mesi due di arresto ed C 1.000,00 di ammenda.
3. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Trieste ha proposto ricorso
per cassazione Morelli Annamaria, per mezzo del difensore.
Con il primo motivo, l’esponente denuncia la violazione di legge ed il vizio
motivazionale. Osserva che la prevenuta non venne sottoposta ad apposita visita
medica, funzionale all’accertamento della attualità dello stato di alterazione
conseguente all’uso di sostanze stupefacenti. Rileva che alla mancata effettuazione
della visita medica non possono supplire le dichiarazioni rese dai verbalizzanti sui
sintomi presentati dalla donna al momento del controllo.
Con il secondo motivo la parte si duole della entità della pena inflitta e della
mancata sostituzione della pena con il Lavoro di pubblica utilità.

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presentava equilibrio precario, occhi arrossati e pronunziava frasi sconnesse,

Considerato in diritto

4. Si osserva, primieramente, che il termine prescrizionale, relativo al reato
contravvenzionale in addebito, tenuto conto delle intervenute sospensioni pari a
mesi 3 e giorni 5, non risulta decorso.
4.1 Tanto premesso, si osserva che il ricorso in esame risulta destituito di
fondamento, per le ragioni di seguito esposte.

osserva che questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato che la condotta
tipica del reato di cui all’art. 187, comma 1, cod. strada – come pure della
previgente ipotesi ex art. 187, comma 7, cod. strada, la cui formale abrogazione ha
coinciso con la sostituzione del comma 1, del citato art. 187, con i commi, 1, 1-bis

e 1-ter, ai sensi dell’art. 5, comma 2, lett. a), d.l. 3 agosto 2007, n. 117, convertito
con modificazioni in legge 2 ottobre 2007, n. 160 – non è quella di chi guida dopo
aver assunto sostanze stupefacenti, bensì quella di colui che guida in stato di
alterazione psico-fisica, determinato da tale assunzione. (Cass. Sez. IV, n. 41796,
in data 11.6.2009, dep. 30.10.2009, Rv. 245535). Perché possa, dunque,
sussistere la responsabilità dell’agente occorre provare sia la precedente assunzione
di sostanze stupefacenti, sia lo stato di effettiva alterazione nel momento in cui la
parte si trovava alla guida del veicolo, in conseguenza di tale assunzione. La Corte
regolatrice ha pure chiarito che, ai fini della configurabilità della contravvenzione di
guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti, lo stato di alterazione del
conducente dell’auto non deve essere necessariamente accertato attraverso
l’espletamento di una specifica analisi medica, ben potendo il giudice desumerla
dagli accertamenti biologici dimostrativi dell’avvenuta precedente assunzione dello
stupefacente, unitamente all’apprezzamento delle deposizioni raccolte e del
contesto in cui il fatto si è verificato (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 48004 del
04/11/2009, dep. 16/12/2009, Rv. 245798).

4.2 Soffermandosi sul primo ordine di doglianze dedotte dalla parte, si

4.2.1 Tanto chiarito, deve osservarsi che la Corte di Appello ha ritenuto
accertato che la prevenuta versasse in stato di alterazione, correlata all’uso di
sostanze stupefacenti, sulla base di un duplice ordine di considerazioni: da un lato,
si è osservato che gli effettuati esami clinici avevano evidenziato la positività della
prevenuta ai cannabinoidi; dall’altro, si è considerato che la sintomatologia
presentata dalla Morelli al momento del controllo, come riferita dai verbalizzanti,
induceva a ritenere che lo stato di alterazione derivante dalla assunzione di
sostanze stupefacenti fosse certamente sussistente al momento in cui al donna si
era posta alla guida del mezzo.
Orbene, il percorso argomentativo sviluppato dalla Corte distrettuale risulta
coerente ed esaustivo, rispetto alle circostanze che risultano accertate in corso di
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procedimento e che il Collegio ha preso in esame. Ed è poi appena il caso di rilevare
che la valutazione espressa dalla Corte di merito risulta del tutto conferente rispetto
all’orientamento interpretativo indicato dalla giurisprudenza di legittimità,
richiamato dalla stessa parte ricorrente, poiché l’attualità dello stato di alterazione,
come chiarito, nel caso di specie è stata accertata sulla base dell’effettuato esame
tecnico su campioni di liquidi biologici, congiuntamente alle inferenze discendenti
dagli osservati elementi sintomatici.

La decisione impugnata risulta sorretta da conferente apparato
argomentativo, che soddisfa appieno l’obbligo motivazionale, anche per quanto
concerne la dosimetria della pena. Come noto, in tema di valutazione dei vari
elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio
di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del
sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte
non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Cass. sez. VI 22 settembre 2003 n.
36382 n. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua” vedi Cass. sez.
VI 4 agosto 1998 n. 9120 Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative
al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in
riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo
quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. sez. III 16
giugno 2004 n. 26908, Rv. 229298). Si tratta di evenienza che certamente non
sussiste nel caso di specie. La Corte territoriale ha, infatti, applicato il minimo della
pena e concesso le attenuanti generiche.
4.3.1 Per quanto concerne, poi, il rigetto della richiesta di sostituzione della
pena con il lavoro di pubblica utilità, null’altro che rilevare che la Corte territoriale
ha del tutto legittimamente osservato che la pena detentiva che era stata applicata
rientrava nella cornice edittale anteriore rispetto alle modifiche introdotte dalla
legge n. 120/2010, che avevano comportato un inasprimento della pena detentiva;
e che, di riflesso, non poteva essere applicato il solo frammento della novella del
2010, relativo alla sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità. Trattasi di
valutazione conforme all’insegnamento espresso da questa Corte regolatrice,
laddove si è chiarito che in materia di successione nel tempo di leggi penali, il
giudice, una volta individuata la disposizione complessivamente più favorevole,
deve applicarla nella sua integralità, senza poter combinare un frammento
normativo di una legge e un frammento normativo dell’altra legge secondo il
criterio del “favor rei”, atteso che in tal modo verrebbe ad applicare una terza
fattispecie di carattere intertemporale non prevista dal legislatore con violazione del
principio di legalità (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 7961 del 17/01/2013,
dep. 19/02/2013, Rv. 255103).
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4.3 II secondo motivo di ricorso non ha pregio.

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma in data 11 febbraio 2014.

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