Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15033 del 11/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 15033 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BATTELLO MAURIZIO N. IL 02/12/1960
avverso la sentenza n. 12588/2008 CORTE APPELLO di TORINO, del
16/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. nem:
che ha concluso per

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Udito, p5rla parte civile, l’Avv
Udit i difetisor Avv.

Data Udienza: 11/02/2014

Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Alessandria, con sentenza in data 11.01.2008, dichiarava
Battello Maurizio responsabile del reato di lesioni colpose, condannando l’imputato
alla pena di C 300,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della
costituita parte civile da liquidarsi in separato giudizio, assegnando a titolo di
provvisionale immediatamente esecutiva la somma di C 11.616,69. Al prevenuto si
contesta, quale titolare della omonima impresa edile, di aver cagionato lesioni

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D12, cadendo al suolo da una trave posta all’altezza di tre metri da terra; per colpa
consistita nella violazione della normativa prevenzionale e, in particolare, per non
aver adottato le misure tecniche ed organizzative previste dal POS con riferimento
ai solai e per aver consentito lavori in quota senza fare uso di idonee cinture di
sicurezza.
2.

La Corte di Appello di Torino, con sentenza in data 16.01.2013,

confermava la richiamata sentenza di condanna resa dal Tribunale di Alessandria.
La Corte territoriale rilevava che non era necessario dare corso alla richiesta di
rinnovo della istruttoria dibattimentale, atteso che la violazione della normativa
antinfortunistica da parte del datore di lavoro risultava inequivocamente accertata.
In riferimento al merito delle accuse, il Collegio considerava poi che l’affermazione
di penale responsabilità dell’imputato doveva essere confermata.
3. Avverso la predetta sentenza della Corte di Appello di Torino ha proposto
ricorso per cassazione Maurizio Battello, a mezzo del difensore.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia l’erronea applicazione della legge
penale, in riferimento agli artt. 42 e 43 cod. pen. e l’illogicità della motivazione, con
riguardo alla inesigibilità della condotta, consistente nella predisposizione di idonee
cinture di sicurezza. La parte osserva che la regola cautelare alla quale l’imputato
avrebbe dovuto conformarsi sarebbe quella di cui all’art. 10, d.P.R. n. 164/1956,
che prevede la predisposizione di impalcati di sicurezza durante l’esecuzione di
lavorazioni che espongono a rischi di caduta dall’alto e, qualora ciò non sia
possibile, l’utilizzo di cinture di sicurezza, con bretelle collegate ad una fune di
trattenuta. Considera che, nel caso di specie, non era tecnicamente possibile dotare
il lavoratore delle cinture di sicurezza suggerite dalla normativa di settore in
quanto, al momento del fatto, non vi era alcuna parete stabile alla quale assicurare
la fune di trattenuta. La parte osserva che la Corte territoriale ha omesso di
spiegare le ragioni in base alle quali ha affermato che la riferita prospettazione
difensiva sarebbe in contrasto con l’ulteriore argomento evidenziato dalla difesa,
secondo il quale l’evento si sarebbe determinato a causa di un improvviso ed
imprevedibile cedimento strutturale della lastra in cemento armato, intorno alla
quale operava il Coutun.
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personali al dipendente Coutun Gheorghe, che riportava fratture dei somi

Sotto altro aspetto, il ricorrente considera che la Corte di Appello ha
illogicamente affermato che, poiché la normativa antinfortunistica risulta prescritta
come doverosa, non poteva trovare ingresso alcun argomento volto a dimostrare la
pratica inapplicabilità della stessa, per motivi di natura tecnica. L’esponente osserva
che la Corte di Appello ha omesso di indicare le ragioni per le quali risulterebbe
sussistente l’elemento soggettivo del reato, a fronte del maggior pericolo che il
rispetto della regola cautelare che prevede dispositivi individuali di protezione
avrebbe generato, nel caso specifico. Conclusivamente sul punto, il deducente

rileva che alla inesigibilità della condotta consegue l’assenza di colpevolezza.
Con il secondo motivo l’esponente si duole del mancato espletamento di
perizia, che era stata richiesta in sede di appello, ai sensi dell’art. 603 cod. proc.
pen. La parte rileva che la Corte territoriale ha obliterato del tutto il dato derivante
dalle acquisite testimonianze, con riguardo alla impossibilità tecnica di adottare
idonee cinture di sicurezza in quel particolare momento operativo; e che proprio la
domandata valutazione peritale sulla esigibilità della condotta prescritta dall’art. 10,
d.P.R. n. 164/1996, rendeva decisivo ai fini del decidere il richiesto incombente.
Con il terzo motivo viene dedotta l’erronea applicazione della legge penale,
in riferimento agli artt. 42 e 43 cod. pen., circa l’eccezionalità della frattura della
lastra in cemento armato, tale da far venire meno l’elemento soggettivo del reato.
La parte osserva che, nel caso, si è verificata la frattura di una lastra di cemento
armato, progettata per sostenere il peso di un intero solaio; e che tale
imprevedibile frattura ha determinato la caduta a terra del lavoratore. L’esponente
rileva che la Corte di Appello ha del tutto omesso di soffermarsi sulla questione
relativa alla imprevedibilità della predetta frattura; e rileva che, sul punto, neppure
possono richiamarsi le considerazioni espresse dal primo giudice, il quale ha
attribuito il fatto di reato contestato al prevenuto a titolo di responsabilità
oggettiva. Il ricorrente ritiene che la Corte di Appello non abbia risposto al quesito
relativo alla inevitabilità dell’evento, in concreto verificatosi, anche in caso di
osservanza della norma cautelare che si assume violata.
Considerato in diritto
4. Si osserva primieramente che il termine prescrizionale, relativo al reato
in addebito, commesso il 27.03.2006, pari ad anni sette e mesi sei, tenuto conto
delle intervenute sospensioni per complessivi mesi 9 e giorni 24, per adesione dei
difensori alla astensione dalle udienze, non risulta decorso.
4.1 Ciò premesso, ci si sofferma sul primo motivo di ricorso, che risulta
destituito di fondamento.
La Corte di Appello, sviluppando un percorso logico argomentativo
saldamente ancorato all’acquisito compendio probatorio ed immune dalle dedotte
aporie di ordine logico, ha riferito che l’infortunio si era verificato durante la posa in
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opera di una lastra predalles per solai; che il lavoratore non stava facendo uso di
idonea cintura di sicurezza, in patente violazione dell’art. 10, d.P.R. n. 164/1956, in
quanto il datore di lavoro, nelle attività che espongono a rischi di caduta dall’alto, e
quando non sia possibile disporre di impalcati o parapetti, deve posizionare una
linea di ancoraggio fissata a parti stabili, ove l’operaio, collocato in punti meno
protetti, possa vincolarsi tramite imbracatura. Il Collegio ha poi sottolineato che il
Piano Operativo di Sicurezza, redatto dall’odierno ricorrente, indicava tra i sistemi di
sicurezza proprio l’uso di cintura con bretella, collegata a fune di trattenuta.

La Corte distrettuale ha quindi considerato che l’osservanza della norma
antinfortunistica ora richiamata è prescritta come assolutamente doverosa e che
non poteva essere demandata a valutazioni di mera opportunità, secondo la tesi
sostenuta dalla difesa.
4.1.1 Tanto chiarito, preme evidenziare che sussiste continuità normativa
tra le disposizioni di cui agli artt. 10 e 70, d.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, ora
richiamate – benché formalmente abrogate dall’art. 304, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81,
Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro – e
la vigente normativa antifortunistica. Invero, il contenuto delle predette disposizioni
risulta ad oggi recepito dall’art. 148, d.L.gs n. 81/2008, e successive modificazioni,
ove è stabilito che prima di procedere alla esecuzione di lavori su lucernari, tetti,
coperture e simili, deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente
per sostenere il peso degli operai; e che nel caso in cui sia dubbia tale resistenza,
devono essere adottati i necessari apprestamenti, pure facendo uso di idonei
dispositivi di protezione individuale anticaduta.
4.2 Il secondo motivo di ricorso non ha pregio.
Occorre, al riguardo, osservare che la giurisprudenza di legittimità ha da
tempo chiarito: che il vigente codice di rito penale pone una presunzione di
completezza dell’istruttoria dibattimentale svolta in primo grado; che la
rinnovazione, anche parziale, del dibattimento, in sede di appello, ha carattere
eccezionale e può essere disposta unicamente nel caso in cui il giudice ritenga di
non poter decidere allo stato degli atti; e che solo la decisione di procedere a
rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso
del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter
decidere allo stato degli atti, (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6379 del 17/03/1999,
dep. 21/05/1999, Rv. 213403).
Nell’alveo dell’orientamento interpretativo ora richiamato, la Suprema Corte
ha poi affermato che l’esercizio del potere di rinnovazione istruttoria si sottrae, per
la sua natura discrezionale, allo scrutinio di legittimità, nei limiti in cui la decisione
del giudice di appello, tenuto ad offrire specifica giustificazione soltanto
dell’ammessa rinnovazione, presenti una struttura argomentativa che evidenzi – per
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il caso di mancata rinnovazione – l’esistenza di fonti sufficienti per una compiuta e
logica valutazione in punto di responsabilità (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 40496
del 21/05/2009, dep. 19/10/2009, Rv. 245009).
Orbene, nel caso di specie, la Corte di Appello, nel rigettare la richiesta di
rinnovo della istruttoria dibattimentale, ha espressamente rilevato che non
ricorrevano i presupposti per disporre la richiesta perizia tecnica, né per procedere
a nuovo esame dei testi escussi, atteso che le acquisite risultanze probatorie

sinistro e della specifica dinamica dell’infortunio. Come si vede, si tratta di
argomentazioni che, in applicazione dell’orientamento interpretativo ora richiamato,
non risultano sindacabili in sede di legittimità.
4.3 D terzo motivo di ricorso si pone ai limiti della inammissibilità.
L’esponente deduce motivi di doglianza che lambiscono il profilo della
inammissibilità. Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, invero, il
vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal
testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni
inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle
risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità “deve
essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argomentativo, senza spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni,
utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro
rispondenza alle acquisizioni processuali” (in tal senso, “ex plurimis”, Cass. Sez. 3,
n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato
altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali, hanno precisato che esula dai
poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto, posti
a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al
giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle
risultanze processuali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997,
dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la
modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio
2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può
esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di
legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o
valutazione dei fatti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006,
dep. 23.05.2006, Rv. 234109).

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consentivano una chiara ricostruzione delle caratteristiche del cantiere teatro del

Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si
risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze
esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1769 del
23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 22445 in
data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181).
4.3.1 Così delineato l’orizzonte dello scrutinio di legittimità, deve osservarsi
che la Corte di Appello di Torino ha sviluppato un conferente percorso

Collegio, invero, ha in primo luogo evidenziato che la tesi difensiva, in base alla
quale l’evento si sarebbe verificato a causa di un improvviso cedimento strutturale
della lastra di cemento conseguente ad un difetto di fabbricazione, era stata
dedotta in termini non conducenti, tanto da apparire meramente strumentale. Non
di meno, il Collegio si è comunque confrontato con la richiamata prospettazione
difensiva, osservando che il teste Polvere aveva chiarito che le cinture di sicurezza
non erano state nel caso utilizzate, perché mancavano gli stessi ancoraggi, ove
assicurare la fune di trattenuta. Sulla scorta di tali rilievi, la Corte distrettuale ha
quindi rilevato che risultava accertata la totale inosservanza delle disposizioni
dettate dagli artt. 10 e 70, d.P.R. n. 164/1956. E deve allora rilevarsi che la
normativa antinfortunistica richiamata dai giudici di merito stabilisce – in particolare
– che prima di procedere alla esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e
simili, deve essere specificamente accertato che questi abbiano resistenza
sufficiente per sostenere il peso degli operai; e che, nel caso in cui sia dubbia tale
resistenza, devono essere adottati i necessari apprestamenti, pure facendo uso di
idonei dispositivi di protezione individuale anticaduta, atti a garantire l’incolumità
delle persone addette.
5. Al rigetto del ricorso, che si impone, segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma in data 11 febbraio 2014.

argomentativo, privo di fratture logiche od incongruenze rilevabili in questa sede. Il

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