Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15029 del 04/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 15029 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’ANGELO GIUSEPPE N. IL 17/06/1972
avverso la sentenza n. 6032/2012 CORTE APPELLO di TORINO, del
10/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA
Udito il Procuratore Generale in persona del ott.
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che ha concluso per .e7,2..e
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Udito, per la parte civil , l’Avv
Udit i difensor Av

Data Udienza: 04/02/2014

Ritenuto in fatto
1. Ricorre per cassazione D’Angelo Giuseppe avverso la sentenza emessa in data
10.6.2013 dalla Corte di Appello di Torino che, in parziale riforma di quella in data
17.7.2012 del Tribunale di Torino- Sezione distaccata di Susa, riduceva la pena inflitta
al predetto, per il reato di cui all’art. 186 comma 2 lett. b) C.d.S. (fatto del
21.2.2009), a giorni venti di arresto ed C 600,00 di ammenda, sostituendo la pena
detentiva con quella pecuniaria corrispondente, pari ad C 760,00 di ammenda ed
eliminando il lavoro di pubblica utilità.

utilità ex art. 189 comma 9 bis C.d.S., aveva determinato la violazione del divieto
della reformatio in peius.
Assume che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto incompatibili l’istituto
della sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria e quello della
conversione della pena pecuniaria così ottenuta con il lavoro di pubblica utilità.
Rileva che, seguendo il ragionamento della Corte territoriale, in base al principio del
favor rei, si sarebbero dovuti dichiarare inammissibili i motivi di appello relativi alla
conversione della pena detentiva con quella pecuniaria ex art. 53 L. 689/1981 per
carenza d’interesse dell’appellante ed accogliere solo quello relativo alla riduzione
della pena con successiva conversione in lavori di pubblica utilità.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è destituito di fondamento e va, pertanto, respinto.
4. I motivi di appello invocavano, oltre alla riduzione della pena inflitta (che è stata
concessa), anche la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria (che, del
pari, è stata concessa).
Questa Corte, con la sentenza citata dal Giudice a quo (Cass. pen. Sez. IV, n. 37967
del 17.5.2012 Rv. 254361), da cui non vi è ragione di discostarsi in questa sede, si è
già espressa per la non cumulabilità dei due regimi sanzionatori della sostituzione
della pena detentiva con quella pecuniaria corrispondente di cui all’art. 53 L. 689/81
ed il lavoro di pubblica utilità e ciò proprio in relazione al reato di guida in stato di
ebbrezza e per giunta a seguito di ricorso avverso una sentenza di patteggiamento
che nell’occasione è stata annullata senza rinvio.
Infatti, si è scritto al riguardo che i due istituti “avendo una totale autonomia quanto
ai presupposti di applicazione, le modalità esecutive ed in ordine alle conseguenze in
caso di violazione (cfr. L. n. 689 del 1981, artt. 53, 59, 71 e 102 e art. 186 C.d.S.,
comma 9 bis), non possono che trovare applicazione individualmente e senza che i
benefici connessi alla sostituzione si sommino”.
5. Si tratta, quindi, di valutare se la mancata applicazione del lavoro per pubblica
utilità, già concesso in primo grado, abbia comportato una violazione del principio di
cui all’art. 597, comma 3 c.p.p..

2

2. Deduce la violazione di legge assumendo che l’eliminazione del lavoro per pubblica

Senonchè, la detta norma vieta al giudice di appello di irrogare una pena più grave
per specie (detentiva o pecuniaria: art. 17 c.p.) o quantità.

Ma le sanzioni sostitutive, la cui natura è stata a lungo discussa in dottrina, a
differenza di quelle alternative alla detenzione, previste come modalità di esecuzione
della pena detentiva e governate dal Tribunale di Sorveglianza, in quanto applicate
dal giudice di cognizione, si accostano, nella loro funzione, al contenuto retributivo
della pena ma non si collocano sullo stesso piano delle pene principali, sotto plurimi
aspetti tra cui l’assenza della finalità di connotazione dell’antigiuridicità del fatto

una posizione intermedia tra le pene principali e le misure alternative alla detenzione.
Di certo la sanzione sostitutiva, come appunto esprime lo stesso aggettivo che la
qualifica, non può essere parificata alla pena principale alla quale rimane subordinata
e non rientra, pertanto, tra alcuna delle specie contemplate dall’art. 17 c.p..
Consegue che la mancata applicazione di una sanzione sostitutiva, peraltro a sua
volta sostituita con altra con la medesima incompatibile perché non cumulabile, non
comporta alcuna violazione del principio del divieto di “reformatio in peius”.
6. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., il
ricorrente dev’essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 4.2.2014

tipico. In buona sostanza, esse hanno mero carattere surrogatorio e si pongono in

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