Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15018 del 13/12/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 15018 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) CEREGHINO ROBERTO, N. IL 30.11.1951
avverso la sentenza n. 1963/2012 pronunciata dalla Corte di Appello di Genova il
15/11/2012;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. Oscar Cedrangolo, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Ricorre per cassazione Cereghino Roberto avverso la sentenza indicata
in epigrafe con la quale la Corte di Appello di Genova ha parzialmente riformato
quella in data 25.5.2010 del Tribunale di Genova che aveva riconosciuto il
predetto colpevole del reato di cui all’art. 186, commi 1 e 2, lett. a) e del reato
di cui all’art. 186, co. 7 C.d.S. (commessi il 26.1.2009), e l’aveva condannato
alla pena di euro mille di ammenda per il primo reato e a quella di mesi due di
arresto ed Euro 2000,00 di ammenda per il secondo, all’esito della diminuzione
prevista per il rito abbreviato, con la sospensione della patente di guida per due
anni.
La Corte di Appello ha assolto l’imputato per il reato di cui all’art. 186, co.1
e 2 lett. a) C.d.S. perché il fatto non è previsto dalla legge come reato ed ha
eliminato la relativa pena, confermando ogni altra statuizione.

Data Udienza: 13/12/2013

Il ricorrente deduce vizio motivazionale in ordine al diniego della
sostituzione della pena inflitta con il lavoro di pubblica utilità ex art. 186, comma
9bis C.d.S.
Premette che con l’atto di appello si era richiesta la menzionata
sostituzione, resa possibile nelle more della celebrazione del giudizio di secondo
grado dall’innovazione normativa recata dalla legge n. 120/2010, ed assume che
la motivazione del diniego, facente riferimento alla conferma della decisione del
primo giudice di non provvedere a sostituzione alcuna, concreta una omissione di

Deduce altresì violazione di legge in relazione all’art. 192 cod. proc. pen.,
per aver la Corte di Appello omesso di tener conto delle ipotesi formulate dalla
difesa in ordine a possibilità alternative rispetto alla colpevolezza dell’imputato,
nonostante l’assoluta carenza probatoria in ordine alla condotta di guida del
Cereghino.
Infine, si duole della mancata sostituzione della pena per la illogica e
erronea motivazione posta a base del diniego.
CONSIDERATO IN DIRMO
2. Il ricorso è infondato e pertanto non merita accoglimento.
2.1. In relaizone al primo ed al terzo motivo di ricorso è opportuno
rammentare che per la costante giurisprudenza di questa Corte la pena
sostitutiva del lavoro di pubblica utilità prevista dal comma 9bis dell’art. 186
C.d.S., introdotto dalla L. 29 luglio 2010, n. 120, è applicabile anche ai fatti
commessi sotto la vigenza del precedente regime; e ciò, quando trattasi del
reato di cui all’art. 186, co.2 lett. c) Cod. str., nonostante sia stata con la
medesima legge anche inasprita la pena detentiva prevista (dal previgente D.L.
23 maggio 2008, n. 92, art. 4), con introduzione del minimo edittale di sei mesi
ed innalzamento del massimo ad un anno di arresto (ferma restando la
congiunta pena dell’ammenda da euro 1.500,00 ad euro 6.000,00).
Infatti è stato ritenuto che, nel complesso, la nuova disposizione, alla luce
dei vantaggi introdotti (in caso di esito positivo, l’estinzione del reato, la
riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e la revoca
della confisca del veicolo sequestrato), pur a fronte del contestuale inasprimento
della sanzione principale, diviene per l’imputato oggettivamente ed in concreto
più favorevole rispetto a quella previgente.
Resta ferma la regola, di più generale valenza, secondo la quale
“l’individuazione, tra una pluralità di disposizioni succedutesi nel tempo, di quella
più favorevole al reo, va eseguita non in astratto, sulla base della loro mera
comparazione, bensì in concreto, mediante il confronto dei risultati che
deriverebbero dall’effettiva applicazione di ciascuna di esse alla fattispecie

2

pronuncia.

sottoposta all’esame del giudice” (Sez. 1, n. 40915 del 2.10.2003, Rv. 226475
ed altre conformi). Inoltre, proprio perché il maggior favore di una disciplina va
valutato con riferimento al complesso degli effetti che dispiega nel caso concreto,
perché possa essere sostituita la pena principale con quella del lavoro di pubblica
utilità occorre determinare la pena da sostituire sulla base della cornice edittale
definita con la legge 120/2010. Infatti, il principio della doverosa applicazione del
trattamento più favorevole all’imputato non permette di combinare un
frammento normativo di una legge a frammento normativo di altra legge, perché

intertemporale non prevista dal legislatore, violando così il principio di legalità
(cfr. Cass. Sez. 4, n. 36757 del 4.6.2004, Rv. 229687; Sez. 4, n. 36291 del
24/05/2012 – dep. 20/09/2012, p.G. in proc. Carosi, Rv. 253515).

2.2. In altra decisione questa Corte ha investigato gli effetti che sul quadro
normativo appena abbozzato si producono in ragione dell’intrecciarsi delle
vicende processuali – e delle relative regole – con il fattore ‘tempo’; intreccio che
pone con una certa frequenza la necessità di valutare l’ammissibilità della
sostituzione della pena principale che sia stata inflitta in misura inferiore al
minimo previsto dal testo attualmente vigente dell’art. 186, co. 2 lett. c)
(richiamato quod poenam dall’art. 186, co. 7), alla luce del principio devolutivo e
del principio di preclusione (cfr. sent. n. 42649 del 28.3.2013, Perfumo, non
massimata).
In questa sede non è necessario riproporre l’intera trama argomentativa
posta dalla Corte a fondamento del principio secondo il quale, in tema di
sostituzione della pena principale con quello del lavoro di pubblica utilità, ai sensi
dell’art. 186, co. 9bis C.d.s., ove si versi in ipotesi di reato commesso
anteriormente alla vigenza della I. 120/2010, se la sentenza di primo grado intervenuta dopo il 30.7.2010 -, ha inflitto una pena determinata con riferimento
al trattamento sanzionatorio previgente, la sostituzione della pena inflitta dal
primo giudice può essere disposta soltanto nel caso che con l’appello sia stata
devoluta la questione relativa alla illegalità della pena principale inflitta dal primo
giudice. Ciò in quanto la sentenza di primo grado è qui intervenuta in epoca
antecedente alla novella del 2010 e quindi non è ravvisabile alcun vizio in essa.
Importa però riprendere dalla pronuncia appena ricordata le seguenti
puntualizzazioni:
– posto che la nuova disciplina è da considerarsi più favorevole rispetto alla
previgente pressocchè in ogni caso in cui il giudice ritenga di poter disporre la
sostituzione con il lavoro di pubblica utilità, quando il giudice (di primo o di
secondo grado) abbia pronunciato la decisione dopo l’entrata in vigore della

3

in tal modo si verrebbe ad applicare una terza fattispecie di carattere

legge 120/2010 egli è tenuto, anche in assenza di una esplicita richiesta in tal
senso delle parti, ad individuare il trattamento sanzionatorio ‘legale’, che potrà
essere tale solo se risultante dalla corretta applicazione, tra gli altri, dell’art. 2
cod. pen.;
quando in primo grado sia stata inflitta una pena inferiore al minimo edittale
previsto dalla più recente disciplina, la richiesta di sostituzione della pena che
venga indirizzata al giudice di appello deve ritenersi – ove non diversamente
precisato – come prospettante la sostituzione di una pena principale fissata in

perché tendente a veder applicato un trattamento sanzionatorio illegale).
2.3. Calando tali premesse nel caso in esame, risulta evidente che la
Corte di Appello ha mostrato di ritenere che potesse trovare applicazione nel
caso di specie la disciplina introdotta dalla I. 120/2010, avendo motivato il
diniego della sostituzione della pena principale con la ritenuta disfunzionalità
del lavoro di pubblica utilità rispetto al ‘bisogno di pena’ dell’imputato.
Per la Corte di Appello, quindi, la richiesta della sostituzione della pena era
stata formulata con riferimento ad una pena principale determinata alla stregua
del più recente testo dell’art. 186, co. 2 lett. c).; in termini, quindi, che la
rendevano ammissibile.
Tutto ciò considerato, risulta insussistente il lamentato vizio motivazionale.
Il lavoro di pubblica utilità ha natura di pena sostitutiva di quella principale,
alla quale, ove non risulti l’opposizione dell’imputato e la ricorrenza delle
condizioni ostative rappresentate dalla circostanza aggravante dell’avere causato
un incidente stradale e dalla pregressa fruizione di analoga pena sostituiva, il
giudice può decidere di fare ricorso; si tratta di un potere discrezionale che
concerne l’an della sostituzione ma non la misura della stessa, risultando
predeterminata dalla legge la durata del lavoro di pubblica utilità disposto in
funzione sostitutiva. Questa Corte è avvertita del fatto che altra sezione ha
ritenuto diversamente, affermando che in tema di pena sostitutiva del lavoro di
pubblica utilità di cui all’art. 186, comma nono bis, C.d.S., è inibita al giudice
ogni valutazione circa l’idoneità della misura ad assolvere o meno alla funzione
rieducativa, essendo il divieto di applicazione della stessa normativamente
ricollegato unicamente alla ricorrenza dell’aggravante di avere provocato un
incidente stradale e alla pregressa fruizione di analoga sanzione sostitutiva (Sez.
3, n. 20726 del 07/11/2012 – dep. 14/05/2013, Cinciripini, Rv. 254998). Siffatta
soluzione sembra non considerare il testo della norma, che utilizza il termine
‘può’.
Trattandosi di pena, anche la scelta della sostituzione deve tener conto dei
criteri previsti dall’art. 133 cod. pen. Ed infatti, nessun elemento testuale

4

misura coerente al ‘nuovo’ minimo edittale (diversamente deve essere respinta,

corrobora la tesi della automaticità della sostituzione in assenza di condizioni
ostative. Appare inoltre ingiustificato pretermettere una prognosi giudiziale del
successo del lavoro sostitutivo, che non è un obiettivo in sé ma è esso stesso,
come già la pena principale, strumento di rieducazione, come dimostrano gli
ulteriori effetti favorevoli al reo che si determinano in caso di positivo
svolgimento. Infine, non va taciuto che in tema di stupefacenti si è affermato, a
riguardo dell’analogo istituto, che “l’applicazione della sanzione sostitutiva del
lavoro di pubblica utilità, prevista in caso di riconoscimento della circostanza

rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice”: (Sez. 3, n. 6876 del
27/01/2011 – dep. 23/02/2011, Bartoluccio, Rv. 249542).
2.4. La Corte di Appello ha fatto corretta applicazione del principio
menzionato. Per quanto esplicato con formula non del tutto felice, il giudizio della
Corte territoriale è stato chiaramente quello della inadeguatezza del lavoro
sostitutivo ad assicurare la funzione rieducativa della pena, in ragione della
gravità della condotta (“stato di consistente alterazione alcolica”) e della capacità
a delinquere del Cereghino, desunta da precedenti penali che hanno condotto già
il giudice di primo grado a negare la sospensione condizionale della pena.
Ne consegue la infondatezza del ricorso, sia laddove lamenta l’omissione di
ogni motivazione in ordine al rigetto della richiesta sostituzione della pena
principale, sia nel motivo che ne censura la logicità.

3. Inammissibile è il secondo motivo di ricorso, formulato in termini del
tutto generici.
Nel caso di specie, l’atto di impugnazione omette qualsivoglia indicazione
degli elementi di fatto che, sulla scorta della ricostruzione giuridica offerta,
dovrebbero rendere palese il vizio della decisione impugnata. Ai sensi dell’art.
581, co. 1 lett. c) cod. proc. pen., l’impugnazione deve enunciare, tra gli altri, “i
motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto
che sorreggono ogni richiesta”. L’art. 591, co. 1, lett. c) cod. proc. pen.,
commina la sanzione dell’inammissibilità dell’impugnazione quando venga
violato, tra gli altri, il disposto dell’art. 581 cod. proc. pen. Come costantemente
affermato da questa Corte (tra le altre, sez. 6, 30/10/2008, Arruzzoli ed altri, rv.
242129), in materia di impugnazioni, l’indicazione di motivi generici nel ricorso,
in violazione dell’art. 581 lett. c) c.p.p., costituisce di per sè motivo di
inammissibilità del proposto gravame.
Lo stesso ricorrente prospetta l’esistenza di ipotesi formulate dalla difesa in
ordine a possibilità alternative rispetto alla colpevolezza dell’imputato. Ma
compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del

5

attenuante della lieve entità del fatto per i reati in materia di stupefacenti, è

Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a
dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale della
motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dalla presenza di
argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o
fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla
collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro ovvero
dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente
dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall’aver assunto dati

siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro
rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo
interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente
incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc.
Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri,
Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775;
Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
Nel ritenere accertato che il Cereghino, rinvenuto addormentato al volante
del proprio autoveicolo, si fosse posto alla guida in stato di alterazione da alcol,
la Corte di Appello ha fatto applicazione di una massima di esperienza di sicura
valenza, alla quale il ricorrente non ha opposto alcun elemento fattuale concreto
in grado di evidenziarne la incongruenza rispetto al caso in esame.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

4. Segue, al rigetto del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13.12.2013.

inconciliabili con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA