Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 15015 del 26/03/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 15015 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: PATERNO’ RADDUSA BENEDETTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI CHIETI
nei confronti di:
PAGLIAROLI GIANNI N. IL 19/07/1986
avverso l’ordinanza n. 111/2013 TRIB. LIBERTA’ di CHIETI, del
18/11/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. BENEDETTO
PATERNO’ RADDUSA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.; Pe..er 31–3 -t-

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Data Udienza: 26/03/2014

1. Con decreto reso ex art 321 cpp dal Gip presso il Tribunale di Lanciano è stato
disposto il sequestro degli atti in originale relativi all’azione amministrativa di
trasformazione urbanistica di una area – meglio identificata nel relativo
provvedimento – sita in San Vito Chietino ; trasformazione dell’area , da agricola in
edificabile, realizzata tramite una variante puntuale e dunque , nella valutazione del
conseguente ingiusto vantaggio patrimoniale per il soggetto proprietario della
stessa, la società Pagliaroli Group srl. Riscontrato dunque il fumus afferente il reato
di cui all’art 321 cpp siccome ascritto ai consiglieri comunali dell’amministrazione di
riferimento ed al privato interessato , in persona del suo legale rappresentante , il
Gip ha poi individuato il periculum nella finalità di arrestare l’ulteriore corso
dell’azione amministrativa che diversamente avrebbe portato alla definitiva
trasformazione dell’area con la illecita edificazione.
2. Interposto riesame , il Tribunale di Chieti ha accolto il ricorso sul presupposto
della ritenuta insussistenza del fumus del reato contestato.
3. Propone ricorso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Chieti ,
ribadendo i temi della violazione di legge e dell’ingiusto vantaggio patrimoniale ,
utili a giustificare il provvedimento di sequestro ex art 321 cpp in ragione del
periculum già riscontrato dal primo giudice della cautela.
4. Con memoria depositata il 20 marzo 2014 la difesa di Pagliaroli Gianni, legale
rappresentante della società proprietaria dell’immobile interessato.
5. Il ricorso è inammissibile pur se per ragioni diverse da quelle stesse poste a
fondamento dell’annullamento del provvedimento impugnato da ritenersi tuttavia
radicalmente assorbenti. Ritiene infatti la Corte abnorme in sé il provvedimento
adottato dal Gip in quanto non solo reso assolutamente al di fuori del perimetro di
riferimento della strumento cautelare utilizzato ma soprattutto perchè adottato in
aperta violazione dei poteri di intervento ascritti al Giudice penale.
6. Il sequestro è caduto sui documenti, si precisa ablati in originale, legati all’azione
amministrativa inerente la trasformazione urbanistica cui sì è accennato in
premessa ; e l’azione cautelare, pacificamente ricondotta all’egida dell’art 321 cpp ,
è stata esplicitamente utilizzata nell’ottica volta ad impedire la ulteriore protrazione
della citata azione ammnistrativa e dunque l’attività di reato ad essa sottostante così
come configurata inizialmente dal Gip .

Gip, in violazione delle regole procedimentali al fine ritenute necessarie con

Siffatta scelta processuale pone l’attenzione su alcuni profili pregiudiziali che
finiscono per travolgere i temi sottesi sia al provvedimento impugnato che al
gravame articolato.
Occorre infatti preliminarmente definire se è possibile e in che termini sequestrare
documenti con lo strumento previsto dall’art 321 cpp laddove attraverso
l’intervento ablativo temporaneo si intenda inibire l’esercizio di una determinata
monte al giudice penale di interferire con l’azione amministrativa, arrestandone il
corso in nome di una ritenuta illiceità dei comportamenti sottesi ad una distorta
applicazione del relativo dato normativo di riferimento.
7. Ad entrambi tali quesiti questa Corte ha già risposto in modo assolutamente
esaustivo con un arresto reso da questa stessa sezione ( sentenza nr 4016/98 RV
212349; vedi anche

Sez.

2,

Sentenza n.

10437 del

09/03/2006

Cc. (dep. 24/03/2006) Rv. 233813) in termini radicalmente ostativi.
Sentenza questa che di seguito viene sostanzialmente e pedissequamente riportata,
considerata l’assoluta condivisibilità delle soluzioni indicate.
7.1 In prima battuta , in linea con gli arresti di questa Corte sopra segnalati va
rimarcato che il sequestro preventivo ” non può essere utilizzato al fine di realizzare

un’inibitoria di attività, perché altrimenti se ne snaturerebbe la natura strettamente
reale e la funzione, volta a precludere la perpetuatio criminis o la commissione di altri
reati; in più, adattando uno strumento designato dal connotato della tipicità per uno
scopo atipico corrispondente a finalità che si collegano all’esercizio di poteri di natura
e funzioni diverse. In tal modo incidendo sull’attività criminosa – almeno sotto il profilo
teleologico – da ritenere non ancora esaurita. Ne deriva che il sequestro preventivo non
può sostanziarsi in una inibitoria di attività, dovendo esso esaurirsi in una cautela
imposta sul risultato di una determinata attività. Il che appare puntualmente
comprovato dalla costante giurisprudenza di questa Corte che ha sempre incentrato il
sequestro preventivo sugli effetti materiali del comportamento criminoso ovvero sugli
instrumenta sceleris, sia pure in funzione della necessità di impedire la prosecuzione di
un’attività: si pensi soprattutto al sequestro di immobili, di stabilimenti ed impianti
allo scopo di impedire lo svolgimento di un’attività imprenditoriale non autorizzata
(Sez. I, 12 maggio 1997, Colombelli; ma anche Sez.III, 20 maggio 1997, Rivella; nonché
Sez. III, 9 aprile 1997, Pennelli; Sez I, 2 marzo 1998, Mennuni) , al sequestro di azienda
ove al ravvisi una strumentalità specifica tra la sua gestione ed il fatto reato (Sez. III,

attività ritenuta illecita ; ancora , in termini ancor più radicali, se è consentito a

25 marzo 1997, Cappelli), al sequestro di natanti in funzione inibitoria del reato
previsto dall’art. 1231 cod. nav.(Sez. III, 31 ottobre 1997, Fabris), al sequestro delle
quote in azioni sociali perché esso priva i soci dei diritti relativi alle quote, trasferendo
sul custode designato il diritto di voto (Sez. V 11 novembre 1997, Paolillo, Sez. VI, 12
dicembre 1997, Greco). Il tutto sempre in una prospettiva volta a rimarcare l’effetto
reale del provvedimento ablatorio, attuandosi l’esecuzione del sequestro preventivo
7.2 Ciò non porta ad escludere in radice che l’oggetto del sequestro preventivo
possa anche essere un documento, sempre al fine di inibire un’attività del tipo di
quelle indicate nell’art. 321cp ; ma ciò può verificarsi ” solo nel caso in cui il

documento, inteso come res , incorpori l’attività materiale che si vuol arrestare per far
sì che non si producano ulteriori conseguenze del reato. Se e sempreché il documento
sia collegato da un vincolo pertinenziale con il reato commesso e che se lasciato nella
libera

disponibilità

possa

aggravarne

le

conseguenze.

E’ da escludere piuttosto che il sequestro di un’attività giuridica espressa in un
documento sia figura che può trovare ingresso nel nostro sistema normativo perché
solo quando il documento rappresenta l’estrinsecazione di un contegno penalmente
vietato è possibile la sua ablazione per le finalità indicate dalla legge. Ma in tal caso è
la res-documento a divenire oggetto del sequestro preventivo; un dato quindi non
contrassegnato da connotati che ne rivelino la sua operatività sul piano del possibile
giuridico in quanto puro strumento materiale di un’attività criminosa in via di
svolgimento, così da consentire l’esercizio di poteri inibitori sul risultato dell’attività
criminosa od al fine di impedire che questa venga portata a conseguenze ulteriori”.
7.3 In conclusione, dunque , non è ” configurabile, nel sistema processuale il

sequestro di attività, ma soltanto il sequestro del risultato dell’attività, non potendo
provvedimento cautelare essere utilizzato come una inibitoria atipica di
comportamenti rilevanti sul piano penale, provvedendo alla realizzazione di uno scopo
di tal genere istituti di natura diversa, disciplinati da regole di garanzia funzionali allo
scopo perseguito (arresto, fermo, etc.)”.
E tanto basterebbe nella specie a privare di fondamento alla radice l’originario
intervento cautelare.
8. Assume connotazioni ancor più assorbenti l’ulteriore tema afferente la
legittimazione del giudice penale a procedere al sequestro preventivo di documenti
della pubblica amministrazione nell’ottica volta ad arrestarne la prosecuzione.

mediante l’apprensione del bene sequestrato (Sez. V, 11 novembre 1997, Paolillo)”.

Si legge, sempre nell’arresto qui pedissequamente riportato come sia chiaro che ” è

la stessa funzione assegnata al sequestro preventivo dall’ordinamento a risultare
incompatibile con l’apprensione, con finalità “preventive”, di documenti di un
procedimento amministrativo (anche del tipo di quello ora all’esame della Corte) ed a
precludere, quindi, un simile tipo di intervento da parte dell’autorità giudiziaria.
Attesa la finalizzazione della misura (l’inibizione, cioè, del protrarsi dell’attività
di documenti procedimentali si risolve, per ciò solo, in un’indebita invasione della sfera
di attività della Pubblica amministrazione. Il tutto ferma restando la legittimazione
all’adozione del sequestro in funzione probatoria, senza che ciò comporti alcuna
incidenza sull’attività espressa nel documento. Se vengano, dunque, sequestrati
documenti di un procedimento amministrativo (non al fine di immobilizzare la prova
di un illecito) ma al fine dichiarato di impedire che il reato venga portato ad ulteriori
conseguenze, lo strumento utilizzato resta designato non soltanto dagli errori di
diritto sopra ricordati, ma anche da vistose confusioni concettuali derivanti da
sovrapposizioni non compatibili con l’attuale sistema. In effetti, emerge dal testo del
provvedimento denunciato che il sequestro preventivo si presenta uno strumento
utilizzato con modalità davvero surrettizie, in quanto diretto a sospendere l’attività
dell’amministrazione, violando il principio costituzionale derivante dal combinato
disposto degli art. 103 e 113 della Costituzione (l’uno dettato in funzione
dell’autonomia dell’attività amministrativa l’altro in rapporto al regime – anch’esso
costituzionalmente presidiato – del riparto delle giurisdizioni) e precludendo
l’attuazione del dovere di procedere che caratterizza la seriazione procedimen tale
propria dell’attività amministrativa e ricavabile, fra l’altro, dai rimedi predisposti
contro l’inerzia della pubblica amministrazione. Il tutto trascurando un dato
giuridico-concettuale assolutamente decisivo : che, cioè, non è l’attività
amministrativa in sè considerata ad assumere rilievo ai fini della configurazione del
fatto-reato, ma il comportamento, come tale non collegabile al provvedimento che può
soltanto costituire l’indizio dell’attività criminosa addebitata; e quindi, non suscettibile
di identificarsi con essa. Si determina, in caso contrario, un’erronea giustapposizione
tra il momento precettivo in cui si esprime l’attività della pubblica amministrazione e,
dunque, l’esercizio di una pubblica funzione, con il comportamento criminoso ascritto
agli indagati. Si vuol dire, cioè, che lo strumento del sequestro preventivo risponde ad
esigenze teleologiche del tutto al di fuori dell’azione operante sul piano del possibile

criminosa e l’impedire che questa possa portare a conseguenze ulteriori) il sequestro

giuridico, tendendo esclusivamente ad interdire comportamenti che possano protrarre
gli- effetti del reato, come è dimostrato dalla sua esclusiva incidenza sulla res in
quanto risultato dell’attività criminosa. Un rilievo che diviene davvero cruciale perché
altrimenti l’utilizzazione dello strumento del sequestro preventivo, non al fine di
precostituire la prova della criminosità del comportamento ma esclusivamente, come è
detto expressis verbis nell’ordinanza cautelare, per impedire che il reato possa essere
amministrativa, come tale esorbitante dai poteri di competenza dell’autorità
giudiziaria ordinaria. Il sequestro da parte del giudice penale degli atti di un
procedimento al fine di impedire la conclusione dell’attività di esercizio della funzione
amministrativa attraverso l’ablazione di documenti procedimen tali, in funzione
inibitoria dello svolgimento di un’attività amministrativa, oltre a comportare la già
rilevata abnorme giustapposizione tra comportamento e funzione, mira in realtà ad
incidere direttamente sull’interesse pubblico su cui è fondata l’azione amministrativa,
quasi che il giudice penale possa imporre le cadenze ed i contenuti di un’attività della
pubblica amministrazione. Il sequestro preventivo ha, qui, dunque, il solo scopo di
evitare il succedersi della seriazione procedimentale, trascurandosi – con vistosi errori
di diritto – che il documento, e cioè la “cosa”, viene ora in considerazione non come res,
ma come elemento rappresentativo di un’attività amministrativa. Con significativi,
quanto irragionevoli, riverberi sull’ordine dei rapporti tra processo penale e
procedimento amministrativo. Così, eludendo, il regime del riparto delle competenze
(con decisive ricadute anche in ordine al regime del riparto delle giurisdizioni) col dar
vita ad una “piegamento” del sequestro preventivo per realizzare una sorta di
inibizione all’amministrazione di pronunciare il provvedimento conclusivo della
procedura, essendo il decreto stato adottato in una fase procedimen tale antecedente
all’emanazione del provvedimento”.
Ritiene dunque la Corte , senza che sia necessario aggiungere altro considerata la
chiarezza espositiva dei principi sopra evidenziati , che la assoluta abnormità del
provvedimento genetico finisce definitivamente per travolgere ogni diversa
valutazione sulla fondatezza del gravame che occupa del quale , prescindendo dai
profili fondanti l’intervenuto accoglimento del riesame e l’annullamento del
sequestro , va dichiarata la inammissibilità.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso.

portato ad ulteriori conseguenze, determina una sorta di sospensione dell’attività

Così deciso il 26 marzo 2014

Il Consigliere relatore

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