Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 14999 del 13/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 14999 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Alberto Cisterna, nato a Taranto il 20.7.1960
avverso i provvedimenti del 17 e 20 settembre 2012 nonché del decreto del
26 novembre 2012 emessi dal G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria;
visti gli atti, i provvedimenti impugnati e il ricorso;
lette le richieste del sostituto procuratore generale Aldo Policastro che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udita la relazione del consigliere Giorgio Fidelbo.

Data Udienza: 13/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ricorso depositato il 14 febbraio 2013 Alberto Cisterna, tramite i
suoi avvocati di fiducia Giuseppe Milicia e Giovanni Passalacqua, ha proposto
ricorso per cassazione contro il decreto del 29 novembre 2012 con cui il G.i.p.
del Tribunale di Reggio Calabria ha disposto l’archiviazione del procedimento

provvedimenti del 17 e del 20 settembre 2012 con cui lo stesso giudice aveva
rigettato la sua istanza di rilascio di copia della richiesta di archiviazione
inoltrata dal pubblico ministero in data 14 settembre 2012.
Nel ricorso viene fatta valere l’abnormità di tutti e tre i provvedimenti
impugnati per violazione dei diritti di difesa dell’indagato, perché gli sarebbe
stato impedito di prendere visione della richiesta di archiviazione formulata
dal pubblico ministero e, conseguentemente, di confutare la ricostruzione dei
fatti operata dall’accusa. L’abnormità dei provvedimenti di rigetto ex art. 116
c.p.p. travolgerebbe, secondo il ricorrente, lo stesso decreto di archiviazione
“assunto in totale violazione dei diritti di difesa dell’indagato”.
Riguardo ai due provvedimenti del 17 e del 19 settembre 2012 il
ricorrente ne assume l’abnormità in quanto il giudice “ha ritenuto di essere
titolare del potere discrezionale di negare il rilascio di copia della ponderosa
richiesta di archiviazione sulla scorta di un’interpretazione dell’art. 116 c.p.p.
del tutto disancorata dai presupposti (anche impliciti) che ne governano
l’applicazione e fuori dallo specifico contesto procedimentale che regola la
materia”; più precisamente si sostiene che nel caso in esame l’abnormità
rileva sia dal punto di vista strutturale, in quanto non era rimesso alla
discrezionalità del G.i.p. negare il rilascio della copia, soprattutto dopo che
l’indagato aveva appreso dalla stampa del deposito della richiesta di
archiviazione, sia sotto il profilo funzionale, perché il rifiuto avrebbe alterato il
procedimento di archiviazione, privando l’indagato della facoltà di difendersi
attraverso la presentazione di memorie ex art. 121 c.p.p. Si censura il modo
in cui il giudice ha fatto uso del suo potere discrezionale ex art. 116 c.p.p.,
sacrificando il diritto dell’indagato alla propria difesa, cioè a concorrere alla
formazione di una decisione giusta. Sintomo dell’abnormità è, nella
ricostruzione del ricorrente, la stessa motivazione con cui il G.i.p. ha rigettato
la richiesta di copia, là dove ha escluso che il diniego potesse produrre effetti

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nei suoi confronti per il reato di cui all’art. 319-ter c.p., nonché contro i

sul procedimento “a nocumento dell’indagato, non potendo in alcun modo
precludere qualsivoglia efficace esercizio delle garanzie difensive”: al
contrario, si sostiene nel ricorso che la mancata conoscenza della richiesta di
archiviazione ha compromesso il diritto di difesa dell’indagato, consegnando al
giudice una ricostruzione dei fatti senza una consapevole mediazione della
difesa.

archiviazione si consumino le esigenze di segretezza presenti nella fase delle
indagini, sicché nessuna circostanza avrebbe dovuto ostacolare il rilascio di
copia degli atti nella fase intermedia tra il deposito della richiesta di
archiviazione e l’adozione del decreto, tantomeno valutazioni ispirate alla
mera opportunità.
Sotto il profilo propriamente funzionale il ricorrente sostiene che i
provvedimenti di diniego abbiano alterato la sequela del procedimento di
archiviazione che si è concluso con un decreto

monstre, non solo per la

lunghezza, ma per il fatto che il giudice, recependo l’impostazione della
richiesta del pubblico ministero, si è diffuso su circostanze del tutto estranee
alla notizia di reato iscritta, con un effetto emulativo, funzionale ad “agevolare
meccanismi sanzionatori (anche in primo luogo quelli mediatici) che esulano
dalle obiettive necessità della procedura di archiviazione”. A questo proposito
si ribadisce che il procedimento di archiviazione costituisce una fase a
cognizione sommaria e neutra, caratterizzata dalla precarietà
dell’accertamento, sicché la rottura di questo schema processuale e la
deviazione funzionale rispetto ai canoni di normalità del procedimento rende
l’atto impugnato abnorme.
Con un distinto motivo il ricorrente deduce l’abnormità dei provvedimenti
impugnati non solo in relazione al parametro dell’art. 111 Cost., ma anche in
rapporto ai principi contenuti negli artt. 6 CEDU e 47 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea.
Infine, nel ricorso viene sollevata questione di costituzionalità degli arti.
116 e 408 c.p.p. nella parte in cui le norme consentono di rifiutare
all’indagato il diritto a conoscere il contenuto della richiesta di archiviazione,
con riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., oltre che agli artt. 6 CEDU e 47
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

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D’altra parte, si sottolinea come sia pacifico che con la richiesta di

2. Successivamente i difensori di Alberto Cisterna hanno depositato una
memoria difensiva in cui contestano la requisitoria scritta con cui il
procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso, ribadendo e
precisando i motivi già proposti nel ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO

3.1. Innanzitutto, con riferimento alle censure riguardanti il rigetto delle
istanze della difesa dirette ad ottenere una copia della richiesta di
archiviazione, deve ribadirsi l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il
provvedimento con il quale il giudice rigetti l’istanza di rilascio di copie degli
atti del procedimento è inoppugnabile. L’art. 116 c.p.p., che disciplina la
materia, non prevede la possibilità di impugnare i provvedimenti adottati al
riguardo, né è rinvenibile nell’ordinamento processuale altra disposizione che
preveda una tale facoltà. Ne consegue che, in forza del principio di tassatività
dei provvedimenti impugnabili e dei relativi mezzi di impugnazione (art. 586
comma 1 c.p.p.) il ricorso per cassazione proposto avverso il rifiuto di
rilasciare copie di atti processuali deve ritenersi inammissibile (Sez. VI, 11
aprile 1995, n. 1412, Iacovelli; Sez. I, 25 maggio 1994, n. 2498, Ascione;
Sez. VI, 10 maggio 1993, n. 1356, Di Napoli; Sez. III, 2 settembre 1993, n.
1851, Boccolato), a meno che non si deduca l’abnormità del provvedimento,
così come ha fatto il ricorrente nel presente ricorso.
Tuttavia, nel caso in esame deve escludersi che il diniego del G.i.p.
all’estrazione di copia della richiesta di archiviazione possa essere considerato
atto abnorme e come tale impugnabile direttamente in cassazione.
Mancando una espressa definizione legislativa di abnormità, la Cassazione
ne ha ormai elaborato i tratti caratteristici, rinvenendoli nell’atto che si ponga
al di fuori dell’ordinamento e determini una stasi del procedimento non
altrimenti rimuovibile se non con l’impugnazione. Più precisamente è affetto
da tale vizio l’atto che, per “singolarità e stranezza” del suo contenuto si
presenti avulso dall’intero ordinamento processuale ovvero quello che, pur
essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, sia emesso al di fuori
dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite
(Sez. un., 25 febbraio 2004, n. 19289, p.m. in proc. Lustri; Sez. II, 5 giugno

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3. Il ricorso è inammissibile.

2003, n. 27716, p.o. in proc. Biagia; Sez. un., 29 maggio 2002, n. 28807,
Manca; Sez. un., 11 luglio 2001, n. 34536, p.g. in proc. Chirico; Sez. un., 24
marzo 1995, n. 8, p.m. in proc. Cimili; Sez. un., 18 giugno 1993, n. 19, p.m.
in proc. Garonzi). Si è anche precisato che l’abnormità dell’atto processuale
può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l’atto per la sua singolarità
si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il

determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (Sez. V, 11
marzo 1994, n. 1465, p.m. in proc. Luchino; Sez. III, 14 luglio 1995, n. 2853,
p.m. in proc. Beggiato; Sez. V, 14 gennaio 1997, n. 87, p.m. in proc.
Biancucei).
La vastità della casistica rende complicata l’individuazione dei caratteri
comuni dell’abnormità, che tuttavia appare identificabile, con una certa
approssimazione, sotto un duplice profilo: da un lato, il provvedimento
abnorme è quello che presenta un forte grado di eccentricità rispetto al
sistema, risulta cioè estraneo e avulso all’ordinamento processuale, inteso
come complesso normativo unitario; dall’altro, la giurisprudenza riconosce la
natura abnorme anche all’atto che sia frutto di un esercizio del potere
processuale legittimo, ma che si caratterizzi per una carenza dei presupposti
particolarmente intensa, tanto da tradursi in irragionevolezza. Inoltre, perché
ricorra questa categoria di atto è necessario che non sia previsto alcun mezzo
di impugnazione, sicché il ricorso per cassazione rappresenta l’unico
strumento per eliminare una situazione che produrrebbe effetti irreversibili. Si
tratta di una categoria di creazione giurisprudenziale che finisce per integrare
il sistema di invalidità degli atti, introducendo un correttivo al principio di
tassatività dei mezzi di impugnazione attraverso il rimedio del ricorso
immediato per cassazione contro provvedimenti non impugnabili
autonomamente e comunque affetti da anomalie talmente radicali da
giustificare una forma di tutela.
Tenendo conto di quanto è stato detto dalla giurisprudenza di questa
Corte riguardo ai caratteri dell’abnormità, deve riconoscersi che il
provvedimento del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria oggetto del ricorso
non rientra in tale categoria.
Non vi rientra ne’ dal punto di vista strutturale, ne’ da quello funzionale,
in quanto si tratta di un provvedimento che non presenta alcun profilo di

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profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo,

”eccentricità” che lo collochi al di fuori del sistema organico della legge
processuale. In altre parole, l’atto con cui si è negata la possibilità di
estrazione di copia della richiesta di archiviazione non può qualificarsi come
avulso o estraneo all’ordinamento giuridico, in quanto è lo stesso art. 116
c.p.p. che conferisce al giudice un tale potere, riconoscendogli un’ampia
discrezionalità nella valutazione dell’interesse della parte richiedente.

discrezionale del giudice e la stessa insussistenza di un diritto della parte
interessata ad ottenere copia degli atti di indagine è stata affermata dalle
Sezioni unite di questa Corte (Sez. un., 3 febbraio 1995, n. 4, Sciancalepore),
che ha confermato l’assunto secondo cui la norma richiamata pone, come
regola generale, una mera possibilità e non un vero diritto della parte
interessata ad ottenere il rilascio di copia degli atti.
Inoltre, deve escludersi una intrinseca irragionevolezza del diniego, tale da
compromettere il diritto di difesa di Alberto Cisterna. Il giudice ha rigettato la
richiesta sulla base di una valutazione comparativa avente ad oggetto, da un
lato, l’interesse del richiedente, che già aveva avuto conoscenza di quasi tutti
gli atti di indagine, dall’altro, il diritto alla riservatezza di terzi, dando
prevalenza a quest’ultimo in forza di una scelta che non assume i tratti
dell’abnormità, intesa appunto come inaccettabile irragionevolezza.
Peraltro, dinanzi ad una richiesta di archiviazione l’indagato non aveva
particolari esigenze difensive da tutelare. E’ vero che dopo il primo diniego i
difensori nel tentativo di evidenziare l’interesse che avrebbe potuto
giustificare l’autorizzazione al rilascio della copia dell’atto, hanno
rappresentato l’esigenza di verificare entro quali limiti si fosse contenuta la
richiesta di archiviazione del pubblico ministero, nell’ambito di una inchiesta
che si riteneva avesse “esplorato temi del tutto eccentrici rispetto al fatto di
corruzione in atti giudiziari in contestazione”, tuttavia, in questo modo
l’istanza non può dirsi che fosse funzionale a tutelare il diritto di difesa in quel
procedimento, dal momento che la richiesta era diretta a verificare proprio
l’esistenza di temi estranei all’oggetto del procedimento.
Inoltre, non può parlarsi di stasi processuale, che è quella determinata da
un atto che non sia funzionale ad introdurre una pausa temporale nella
progressione che porta alla sentenza definitiva e che qualifica una situazione
in termini di abnormità, ne’ tantomeno ricorre un’ipotesi di regressione

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Infatti, l’art. 116 c.p.p. subordina il rilascio ad una valutazione

indebita del procedimento, ritenuta anch’essa tipico sintomo dell’abnormità
del provvedimento. Nella specie, la richiesta di cui all’art. 116 c.p.p. non si
inserisce in alcuna fase processuale in corso, dal momento che il
procedimento si sarebbe concluso con l’archiviazione.
Pertanto, deve escludersi ogni ipotesi di “stasi processuale”, trattandosi
di un procedimento del tutto autonomo – del quale non è neppure certa la

alcun effetto preclusivo di medesime istanze o richieste, diversamente
motivate e argomentate.

3.2. Per quanto riguarda il decreto di archiviazione deve,
preliminarmente, escludersi che sussista l’interesse di Alberto Cisterna
all’impugnazione.
Il provvedimento di archiviazione disciplinato dagli artt. 408 c.p.p. e
segg. è un provvedimento concepito dal legislatore come anteriore
all’esercizio dell’azione penale, correlato alla insussistenza degli estremi per
esercitarla, che in nessun modo può pregiudicare gli interessi della persona
indicata come responsabile nella notizia di reato. Ne consegue che per la
natura di provvedimento “neutro” non ne sono previsti mezzi di
impugnazione, essendo esperibile solo il ricorso per cassazione connesso
all’eventuale abnormità del decreto di archiviazione, a norma dell’articolo 111
della Costituzione, qualora il provvedimento sia caratterizzato da vizi

in

procedendo o in iudicando del tutto imprevedibili per il legislatore che non ha
contemplato per esso alcun mezzo d’impugnazione (cfr., Sez. I, 23 febbraio
1999, n. 1560, Bentivegna).
Il procuratore generale nella sua requisitoria scritta ha messo bene in
evidenza la “neutralità” dell’archiviazione, un provvedimento per sua stessa
natura favorevole all’indagato e comunque inidoneo a spiegare efficacia in
altri procedimenti. Con l’archiviazione viene accertata l’inesistenza dei
presupposti per l’esercizio obbligatorio dell’azione penale nei confronti della
persona sottoposta ad indagine, confermando in tal modo la richiesta del
pubblico ministero circa l’inutilità del rinvio a giudizio. In questa fase
procedimentale non è previsto alcun contraddittorio con l’indagato per la
semplice ragione che nei suoi confronti si sta formando un provvedimento
favorevole, perché contrario alla strutturazione di una formale imputazione

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natura giurisdizionale – e in cui l’atto conclusivo non è in grado di spiegare

nei suoi confronti. L’unico soggetto potenzialmente danneggiato dalla richiesta
di archiviazione è la persona offesa ed infatti l’ordinamento processuale gli
offre la possibilità di opporsi alla richiesta – che per questa ragione gli viene
comunicata qualora lo abbia espressamente chiesto – dinanzi ad una
prospettiva che si presenta sfavorevole ed è solo in tale ipotesi che si realizza
il contraddittorio tra i soggetti interessati davanti al giudice per le indagini

evidente l’interesse dell’indagato a conoscere anche i termini della richiesta di
archiviazione per potersi difendere dall’iniziativa collegata all’opposizione.

3.3. Nella specie, il ricorrente lamenta che il provvedimento di
archiviazione sia stato condizionato dalla richiesta del pubblico ministero,
dando così luogo ad un provvedimento monstre non solo per la lunghezza
dell’esposizione, ma soprattutto per aver preso in considerazione circostanze
del tutto estranee alla notizia di reato originariamente iscritta, rompendo lo
schema processuale e superando la stessa funzione che viene attribuita
all’archiviazione.
Occorre ribadire che l’interesse a impugnare una decisione giurisdizionale
deve sempre essere commisurato al dispositivo e non alla motivazione,
soprattutto quando si tratta di un provvedimento, come quello di
archiviazione, inidoneo a produrre effetti in altri procedimenti, con la
conseguenza che anche in caso di contraddizione tra motivazione e dispositivo
non vi è spazio per proporre impugnazione qualora quest’ultimo è comunque
conforme alla richiesta del soggetto processuale che si duole della
motivazione, stante la carenza in tal caso di un interesse concreto e attuale.
A questo proposito si segnala l’esistenza di una giurisprudenza risalente
che ritiene abnorme il provvedimento di archiviazione che in presenza di una
richiesta di archiviazione per difetto di una condizione di proseguibilità o di
procedibilità dell’azione penale ovvero per intervenuta estinzione del reato, si
impegni in una motivazione sulla insussistenza di prove favorevoli all’imputato
ex art. 129 comma 2 c.p.p, norma che come è noto non è applicabile alla fase
delle indagini preliminari (Sez. VI, 31 maggio 1994, Rosco, m. 199084).
Si tratta di un orientamento che non può essere condiviso, in quanto
seppure il provvedimento di archiviazione così argomentato sia sfavorevole
all’indagato nella motivazione, tuttavia non esclude che rimanga pur sempre a

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preliminari, in quanto rispetto all’opposizione proposta dalla persona offesa è

lui favorevole nel dispositivo. Infatti, come si è già accennato, nella
giurisprudenza di questa Corte è indiscusso che l’interesse a impugnare una
decisione giurisdizionale va commisurato al dispositivo, non alla motivazione.
Nel caso in esame, d’altro canto, oltre alla manifesta carenza di interesse
all’impugnazione, non vi sono neppure i presupposti per definire abnorme, pur
secondo la ricordata giurisprudenza, il provvedimento impugnato: infatti, nella

quanto, coerentemente, alla constatazione dell’assenza di sufficienti elementi
per sostenere in giudizio l’accusa nei confronti di Alberto Cisterna, ha fatto
seguito l’archiviazione del procedimento. D’altra parte, l’eccessiva lunghezza
della parte motiva del decreto può giustificarsi con l’esigenza di aver dovuto
verificare l’insussistenza dei riscontri alle accuse formulate dal collaboratore di
giustizia (Antonino Lo Giudice) nei confronti del ricorrente.
In conclusione, deve ritenersi che non sussista l’interesse al ricorso da
parte di Alberto Cisterna e, comunque, non ricorrano neppure i presupposti
per ritenere l’abnormità del decreto di archiviazione.

3.4. Infine, deve ritenersi manifestamente infondata la questione di
costituzionalità degli artt. 116 e 408 c.p.p. sollevata in relazione agli artt. 3,
24 e 111 Cost., nonché 6 CEDU, in quanto, come si è detto, il problema della
tutela del diritto di difesa della persona sottoposta si pone solo in caso di
opposizione alla richiesta di archiviazione e in tal caso l’udienza in camera di
consiglio, fissata ai sensi dell’art. 410 comma 3 c.p.p., assicura congruamente
il diritto di difesa anche dell’indagato (cfr., Corte cost., ord. n. 460/2002 e n.
286/2012) ed appare in linea con il principio del giusto processo.

4. In conclusione, alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Non si ritiene di dover
disporre anche la condanna al pagamento di una somma in favore della cassa
per le ammende potendo escludersi la sussistenza della colpa rinvenibile in
capo al ricorrente nell’aver dato corso ad un ricorso inammissibile, in
consideraziotne della questione trattata (Corte cost., 13 giugno 2000, n.186).

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specie non si rinviene alcuna contraddizione tra motivazione e dispositivo, in

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
Così deciso il 13 dicembre 2013

Il Consigl ere estensore

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