Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 14952 del 29/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 14952 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Mozzon Paolo, nato a Pordenone il 02/08/1967
avverso la sentenza del 10/01/2013 del Tribunale di Pordenone
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv, Francesco Longo che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 29/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Pordenone, in composizione monocratica, ha condannato,
con sentenza emessa in data 10 gennaio 2013, Paolo Mozzon alla pena di euro
6.000,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, per i reati,
unificati dal vincolo della continuazione, di cui all’art. 256, comma 1, lett. a)
d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 perché, in concorso con Carmen Mazzon, nei cui
confronti si è proceduto separatamente, quale amministratore e legale

assenza della prescritta autorizzazione, stoccava all’interno di area già destinata
alla coltivazione di cava denominata “Grave di Marsure” rifiuti speciali
provenienti da cantieri esterni, costituiti da terre e rocce di scavo non utilizzate
nel rispetto delle condizioni previste dall’art. 186 d.lgs. n. 152 del 2006,
frammiste a residui di laterizi ed altro materiale di scarto, anche vegetale per un
ammontare complessivo di 3.418,01 mc. ed il fatto (capo1) commettendo in
Aviano fino al 5 maggio 2008 nonché del reato di cui all’art. 256, comma 1, lett.
a) d.lgs. n. 152 del 2006, perché, nella qualità ut supra, in assenza della
prescritta autorizzazione, stoccava e lavorava all’interno di area di sua proprietà,
in cumuli, rifiuti speciali provenienti da cantieri esterni costituiti da 3.300 mc. di
terre e rocce da scavo non utilizzate nel rispetto delle condizioni previste dall’art.
186 d.lgs. n. 152 del 2006, nonché un cumulo di circa 80 mc. di terre da scavo
miste e residui di demolizione ed il fatto (capo2) commettendo in Pordenone fino
al 5 settembre 2008.
Nel pervenire a tale conclusione all’esito dell’istruttoria, il Tribunale
osservava come non fosse risultato secondo quale intervento preventivamente
individuato e definito il materiale rinvenuto presso la cava di Aviano fosse stato,
come sostenuto dalla difesa, utilizzato per ritombare la cava, né fosse stata
dimostrata la certezza dell’integrale riutilizzo dei cumuli di materiali rinvenuti sul
fondo a Pordenone, così da poter escludere l’applicazione della disciplina sui
rifiuti, non avendo l’imputato dimostrato la riutilizzazione delle terre e rocce da
scavo secondo un progetto ambientalmente compatibile.

2. Per l’annullamento della sentenza impugnata ricorre per cassazione, a
mezzo del proprio difensore, Paolo Mozzon, affidando il gravame ai due seguenti
motivi.
2.1. Con il primo motivo, denuncia violazione dell’art. 606, comma 1, lett.
b), cod. proc. pen. e, quindi, inosservanza ed erronea applicazione della legge
penale e di altre norme giuridiche rappresentate dagli artt. 181, 183, lett. a) e
n), 184 bis del d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i., nonché dall’art. 5 della Dir. CEE
91/156 e 98/2008 e dal D.M. 32/1998, art. 3, avendo erroneamente il Tribunale

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rappresentante della “Mozzon Daniele di Mozzon geom. Paolo & c. Snc”, in

ritenuto sussumibile nella disciplina dei rifiuti e non invece del sottoprodotto i
residui dell’attività produttiva, rinvenuti presso i siti di Aviano e di Pordenone,
trattandosi di materiale oggettivamente reimpiegato in modo certo e non oggetto
invece di disfacimento.
2.2. Con il secondo motivo di gravame si denuncia violazione dell’art. 606,
comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione alla violazione degli artt. 181,
comma 13 (testo originario), 181 bis, 184 ter del d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i.,
nonché dell’art. 6 della Dir. CEE 2008/98 e del D.M.5 febbraio 1998, art. 3, u.c.

non invece delle materie prime secondarie di cui all’art. 184 ter d.lgs. n. 152 del
2006 i residui dell’attività produttiva, rinvenuti presso i siti di Aviano e di
Pordenone.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è manifestamente infondato sulla base delle seguenti

considerazioni.
I

2. I motivi di gravame, essendo tra loro strettamente collegati, possono
essere trattati congiuntamente.
2.1 . Va premesso che, a seguito di un accertamento compiuto dalla
stazione forestale di Aviano, è emerso che, quanto al materiale rinvenuto
presso la cava di Aviano, esso aveva provenienza diversa da quella dei materiali
presenti in loco e comunque il terreno su cui era stato esaminato il suddetto
materiale non era risultato interessato dall’attività di smaltimento di rifiuti
autorizzata e conclusasi cinque anni prima nella zona limitrofa a quella di cava.
All’interno di una accentuata depressione del terreno formata 4fa lavori di
escavazione, erano stati depositati e livellati ingenti quantitativi di terre e rocce
da scavo provenienti da altri cantieri, che si differenziavano dalla matrice
presente sul posto, per colorazione e per composizione. Effettuati tre sondaggi
della profondità di due metri era stato messo in evidenza che era presente
materiale terroso simile a quello presente in superficie su cui si trovava,
frammista al materiale ferroso, una modestissima presenza di pezzi di asfalto,
cemento e mattoni.
Il perito, in sede di incidente probatorio, aveva svolto accertamenti sui
cumuli di terra presenti presso la cava constatando che dai sondaggi erano
emersi materiali di provenienza alloctona, con residui di laterizi, uno straccio, un
piccolo tronco, presenti in modo diffuso in superficie ed in profondità.
2.2. In relazione ai cumuli rinvenuti presso il terreno di Pordenone, risultanti
di varia natura e composizione, con ciottoli anche di matrice argillosa e composti

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avendo erroneamente il Tribunale ritenuto sussumibile nella disciplina dei rifiuti e

altresì da materiali ghiaiosi da scavo frammisti a mattoni pieni e biforati, asfalti,
pezzi di cemento e di tubi spezzati, era risultato che non apparivano simili al
terreno circostante tenuto altresì conto che non era stato constatato che fosse in
corso un’attività di scavo o di ristrutturazione.
Detto materiale era disposto lungo tutto il perimetro di quell’apprezzamento,
mentre nella sua parte centrale era posizionato un impianto mobile di vagliatura
e selezionatura degli inerti.
2.3. Da tali significative emergenze processuali, il Tribunale, con logica ed

legittimità, ha tratto il corretto convincimento dell’inapplicabilità al caso di specie
della disposizione di cui all’art. 186 d.lgs. n. 152 del 2006 mancando i
presupposti richiesti dalla norma invocata dal ricorrente per poter ritenere
sussumibili nella fattispecie del sottoprodotto o delle materie prime secondarie il
materiale rinvenuto presso i siti di Aviano e di Pordenone.
Va ricordato che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso
giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la
relativa motivazione sia: a) “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare
le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non
“manifestamente illogica”, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da
argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della
logica; c) non internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili
incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le
affermazioni in essa contenute; d) non logicamente “incompatibile” con altri atti
del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la
loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e
determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o radicalmente
inficiare sotto il profilo logico la motivazione (ex multis,Sez. 6, 15/03/2006, n.
10951, Casula, Rv. 233708), sicché costituisce accertamento del giudice di
merito il fatto che il materiale depositato nel sito di Aviano, oltre che di varia
composizione, avesse provenienza diversa da quella dei materiali presenti in loco
e che il materiale depositato presso il sito di Pordenone fosse di altrettanta varia
natura e composizione, con ciottoli anche di matrice argillosa e composti altresì
da materiali ghiaiosi da scavo frammisti a mattoni pieni e biforati, asfalti, pezzi di
cemento e di tubi spezzati.
Ne consegue che la diversa ricostruzione del materiale processuale offerta
nel ricorso attraverso opzioni fattuali, quanto alla natura del materiale rinvenuto
presso i siti controllati, sia per attribuire al predetto materiale la qualifica di
sottoprodotto che quella di materie prime secondarie, non è proponibile in sede
di legittimità, non potendo – a fronte di una motivazione effettiva, non
manifestamente illogica, non internamente contraddittoria e neppure
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adeguata motivazione, insuscettibile perciò di essere sindacata in sede di

logicamente incompatibile – il sindacato della Corte sui provvedimenti
giurisdizionali comportare una rivisitazione dell’iter ricostruttivo del fatto,
attraverso una nuova operazione di valutazione complessiva delle emergenze
processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi diretti ad inficiare
il convincimento espresso dal giudice di merito.

3. Posto che, quanto alla normativa applicabile ratione temporis, trova
applicazione l’art. 186 d.lgs. n. 152/2006 – la cui natura di norma transitoria,

dicembre 2010, n. 205, destinata ad applicarsi ai fatti commessi fino all’entrata
in vigore del D.M. 161/2012, ai fini della qualificazione delle terre e rocce da
scavo come sottoprodotto, è già stata affermata da questa stessa Sezione (Sez.
3, 04/07/2012, n. 33577, Digennaro, Rv. 253662 e recentemente ribadita da
Sez.3, 17/01/2014, n. 12229 (dep. 14/03/2014), Rossi) — è indubbio che, a
fronte della sopra riportata ricostruzione processuale, le doglianze formulate dal
ricorrente sono destituite di fondamento, risultando del tutto insussistenti le
denunciate violazione di legge, essendo evidente l’attività di raccolta e di
deposito che il ricorrente svolgeva pressi entrambi i siti, ove depositava non solo
terre e rocce da scavo propriamente dette, ma anche materiale proveniente dai
lavori di scavo effettuati altrove, procedendo anche all’attività di vagliatura e
selezione granulometrica anche di quest’ultimo materiale, ossia ad un’attività non autorizzata – peraltro di recupero.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, i materiali residuanti
dalla attività di demolizione edilizia conservano la natura di rifiuti sino al
completamento delle attività di separazione e cernita, in quanto la disciplina in
materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle operazioni di
recupero, tra le quali l’art. 183 lett. h) d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 indica la
cernita o la selezione (ex multis, Sez. 3, 15/06/2006 n. 33882, Rv. 235114).
Tali residui da demolizione vanno pertanto qualificati come rifiuti speciali e
non sottoprodotti o materie prime secondarie e dovendosi ricordare come la
giurisprudenza di questa Corte sia ferma nel ritenere che, per la qualificazione di
sottoprodotti dei materiali, devono sussistere congiuntamente tutte le condizioni
previste dalla legge per qualificare una sostanza come sottoprodotto e che
l’onere della prova certa, nella specie non soddisfatta, del loro utilizzo, nel corso
dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione e
secondo un progetto ambientalmente compatibile, incomba sull’interessato (Sez.
3, 12/06/2008, n. 37280, Pacchioni, Rv. 241087).
In continuità con tale indirizzo, questa Sezione ha recentemente ribadito
che, in tema di tutela dell’ambiente, le rocce e le terre da scavo che presentino
sostante esterne sono sottratte alla disciplina sui rifiuti solo in presenza: a) di

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pur a seguito della sua abrogazione disposta dall’art. 39, comma 4, del d.lgs. 3

caratteristiche chimiche che escludano una effettiva pericolosità per l’ambiente;
b) di approvazione di un progetto che ne disciplini il reimpiego; c) di prova
dell’avvenuto rispetto dell’obbligo di reimpiego secondo il progetto Sez. 3,
18/03/2013, n. 32797, P.G., R.C., Rubegni e altri, Rv. 256661).

4. Sul rilievo che, oltre alle terre e rocce da scavo propriamente dette, nei
siti de quibus venivano trattati materiali di provenienza alloctona e di risulta
edile, diversi dalle terre e rocce da scavo, non può ritenersi applicabile (come

derivante dall’art. 41-bis della legge 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del
c.d. decreto “del Fare”, D.L. n. 69/2013, che introduce nell’ordinamento alcune
disposizioni tese a disciplinare l’utilizzo, come sottoprodotti, dei materiali da
scavo realizzati nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme
vigenti, in deroga a quanto previsto dal D.M. 10 agosto 2012, n. 161, recante il
regolamento per la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo.

5. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte
costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al
versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro mille alla cassa delle
ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 29/01/2014

pure in sede di discussione orale la difesa ha reclamato) la nuova disciplina

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