Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 14949 del 29/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 14949 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Agostinacchio Annalisa, nata a Trani il 17/05/1963
Russo Cataldo, nato a Taranto il 28/10/1965
Marrocco Mauro, nato ad Otranto il 16/10/1968
Marrocco Roberto, nato a Maglie il 12/03/1971
avverso la sentenza del 09/01/2013 della Corte di appello di Lecce
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per
intervenuta prescrizione;
udito per gli imputati (Marrocco e Russo) l’avv. Ubaldo Macrì che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 29/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Lecce, con sentenza emessa in data 9 gennaio
2013, confermava la decisione resa dal Tribunale della medesima città – sez.
dist. di Maglie – con la quale Cataldo Russo, Mauro Marrocco, Roberto Marrocco
ed Annalisa Agostinacchio venivano ritenuti colpevoli del reato di cui agli artt.
110 cod. pen., 44 lett. a) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, così riqualificata
l’originaria contestazione di cui all’art. 44 lett. c) medesimo decreto ed i primi tre

era assolta per non aver commesso il fatto.
Ai ricorrenti si contestava di aver, in concorso fra loro, Annnalisa
Agostinacchio quale proprietaria e committente dei lavori, Cataldo Russo quale
direttore dei lavori, Mauro Marrocco e Roberto Marrocco quali titolari dell’impresa
ex lege esecutrice dei lavori ed esecutori dello sbancamento in area sottoposta a
vincolo paesaggistico e di rilievo storico – artistico – archeologico eseguito lavori
di sbancamento dell’area per un’ampiezza di circa mq 500, intaccando
profondamente la roccia, cancellando tracce dì rilievo storico-artisticoarcheologico presenti e danneggiando la struttura di cinque silos risalenti al XVI
e XVII secolo che venivano in parte distrutti dalla ruspa; il tutto in violazione di
espressa prescrizione speciale della C.E. n. 156/07 che espressamente imponeva
preventivamente che «tutti ì lavori di scavo fossero eseguiti alla presenza di
funzionario della Soprintendenza Archeologica di Taranto» e nonostante fosse
ben nota la rilevanza storico archeologica dell’area ed il pregio dell’area
precedentemente sottoposta 1039/39 a vincolo di in edificabilità assoluta, poi
declassificato ad istanza dei proprietari.
Nel rigettare i motivi di appello, la Corte territoriale riteneva corretta la
decisione del giudice di merito quanto alla mera riqualificazione in iure del fatto
originariamente contestato, senza alcuna violazione del principi di correlazione di
accusa e sentenza, e stimava infondati i motivi di ricorso al cospetto di una
comprovata e formale violazione dell’obbligo delle previa informazione all’organo
di tutela dei beni di pregio storico, artistico ed archeologico, in modo che ai
lavori fosse presente un proprio funzionario ed essendo dall’inadempimento
derivato un danno ai beni oggetto della speciale protezione.

2. Per l’annullamento della sentenza impugnata ricorrono per cassazione, a
mezzo dei rispettivi difensori, Cataldo Russo, Mauro Marrocco, Roberto Marrocco,
sollevando tre motivi di impugnazione, in massima parte comuni, ed Annalisa
Agostinacchio, affidando il gravame ai seguenti due motivi, con i quali denuncia
la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all’art.
44 d.P.R. n. 380 del 2001 ed all’art. 1 cod. pen. avendo la stessa adempiuto alla
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anche del concorrente reato di cui all’art. 733 cod. pen. dal quale l’Agostinacchio

prescrizione contenuta nella concessione edilizia ed a nulla rilevando che i lavori
non ebbero inizio (primo motivo) nonché la violazione dell’art. 606, comma 1,
lett. e) cod. proc. pen. per mancanza, contraddittorietà ed illogicità della
motivazione laddove è stata assolta dal reato di cui all’art. 733 cod. pen. sul
condivisibile rilievo della sua assenza sul posto al momento dello scavo, anche
perché ella era residente in Bari, e dovendosi quindi ritenere che non avesse la
possibilità di seguire i lavori in via continuativa; né la stessa aveva l’obbligo di
presenziare al’esecuzione dello scavo, avendo nominato un direttore dei lavori,

con la conseguenza che, ove tali argomenti fossero stati correttamente
valorizzati per una disamina dell’intera condotta contestata all’imputata,
avrebbero necessariamente determinato l’assoluzione anche per il reato di cui
all’art. 44 lett. a) DPR n. 380 del 2001 (secondo motivo).

3. Cataldo Russo, Mauro Marrocco, Roberto Marrocco, con il primo motivo di
gravame, lamentano la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc.
pen. per inosservanza delle norme processuali in relazione alla nullità della
sentenza ai sensi dell’art. 521 e 604 cod. proc. pen. sul rilievo che, avendo il
tribunale ritenuto di dichiarare la penale responsabilità in ordine alla fattispecie
di cui all’art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380 del 2001 laddove era stato contestato il
diverso reato di cui all’art. 44 lett. c) medesimo decreto, essi sono stati
condannati per un fatto diverso da quello contestato con conseguente nullità, in
difetto delle contestazioni orali dibattimentali, della sentenza di primo per
violazione del principio della correlazione tra accusa e sentenza (primo motivo);
lamentano inoltre la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
per manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo della sentenza,
avendo la Agostinacchio, come risulta dallo stesso testo della sentenza
impugnata, adempiuto alla prescrizione contenuta nella concessione edilizia ed a
nulla rilevando che i lavori non ebbero inizio (secondo motivo); lamentano
inoltre la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per
manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo della sentenza, avendo
il perito evidenziato come non potesse escludersi che il danneggiamento dei silos
potesse risalire ad epoche remote e non invece alla condotta di scavo (terzo
motivo). Infine la Corte di merito, con specifico riferimento alla posizione di
Roberto Marrocco, avrebbe omesso di considerare che questi, come emerge dal
testimoniale, non aveva preso parte ai lavori di sbancamento (quarto motivo
riguardante la sola posizione di Roberto Marrocco) essendo stato visto sui luoghi
di causa esclusivamente e limitatamente alle operazioni di pulitura del terreno in
un giorno pacificamente diverso da quello in cui fu eseguito lo sbancamento
quando alla conduzione dell’escavatore vi era il fratello Mauro Marrocco.

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per cui non potevasi ascrivere alla stessa alcuna colpa, nemmeno in vigilando,

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono manifestamente infondati e dunque inammissibili.

2. Quanto al motivo di gravame con il quale si lamenta (primo motivo Russo
e fratelli Marrocco) la violazione del principio di correlazione tra accusa e
sentenza per avere la Corte territoriale confermato la statuizione di primo grado

laddove era stata agli stessi originariamente contestato il reato di cui all’art. 44
lett. C) T.U.E., va ricordato come la giurisprudenza di questa Corte sia
consolidata nel ritenere che il principio di correlazione fra accusa contestata e
sentenza risulta violato allorché vi sia una sostanziale immutazione del fatto
contestato, tale cioè da pervenire ad una sostituzione dell’oggetto
dell’imputazione capace di compromettere l’esercizio del diritto di difesa, con la
conseguenza che non vi è immutazione, ma solo diversa qualificazione giuridica,
quando la condotta inizialmente contestata resta identificabile in quella ritenuta
in sentenza, che della prima abbia mantenuto i connotati distintivi fondamentali,
come ad esempio accade quando fra le due condotte vi è un rapporto di
continenza (Sez. 3, 13/07/1999 n. 11861, Firrincieli, Rv. 215551).
Nel Caso di specie, il fatto storico contestato (ossia la violazione alla
prescrizione speciale della C.E. n. 156/07 che espressamente imponeva
preventivamente che «tutti ì lavori di scavo fossero eseguiti alla presenza di
funzionario della Soprintendenza Archeologica di Taranto») è rimasto immutato
ed il giudice si è limitato a dare una diversa qualificazione giuridica al fatto
originariamente attribuito agli imputati che, in ordine ad esso, hanno pienamente
esercitato il diritto di difesa.
Come ha fondatamente evidenziato la Corte territoriale la contestazione
riguardava l’inosservanza di una prescrizione del permesso di costruire e la
sentenza di condanna (che ha ritenuto la condotta sussumibile nell’ambito
dell’art. 44 lett. a d.P.R. n. 380 del 2001 e non dell’art. 44 lett. c come
originariamente contestato) ha riguardato tale fatto storico.
Ne consegue che il primo giudice si è limitato ad attribuire al fatto la sua
corretta qualificazione giuridica senza che risultasse compromesso il diritto di
difesa, il quale è stato ampiamente esercitato con riferimento ad una vicenda
fattuale più ampia (violazione della prescrizione in zona vincolata) sicché la
parte fattuale della contestazione, in ordine alla quale è stata pronunciata la
condanna, era interamente contenuta nell’originario oggetto dell’imputazione.

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che condannava gli imputati ai sensi dell’art. 44 lett. a) d.P.R. n. 380 del 2001

3. I restanti motivi di gravame (il primo ed il secondo dell’Agostinacchio; il
quarto proposto da Roberto Marrocco ed il secondo e terzo proposto dal Russo e
dai fratelli Marrocco), essendo tra loro strettamente connessi e sostanzialmente
omologhi, possono essere congiuntamente valutati.
Con essi i ricorrenti, pur formalmente denunciando presunti vizi di
motivazione risultanti dal testo della sentenza impugnata, sottopongono alla
cognizione della Corte di cassazione censure non consentite, sollevando questioni
relative alla ricostruzione del fatto e alla valutazione del materiale probatorio, il

cercando, in tal modo, di ottenere una interpretazione del fatto diversa e
alternativa rispetto a quella posta a base del provvedimento impugnato.
La Corte di merito ha ribadito quanto già ampiamente esposto dal giudice di
primo grado ossia che la prescrizione speciale n. 6 della C.E. n. 156 del 2007
espressamente richiedeva che tutti i lavori di scavo fossero eseguiti alla presenza
di un funzionario della Soprintendenza Archeologica di Taranto e che, onde
consentire ciò, alla predetta Soprintendenza doveva essere inviata, con almeno
quindici giorni di anticipo, una comunicazione di inizio dei suddetti lavori, con la
conseguenza che l’oggetto essenziale della prescrizione era l’obbligatoria
presenza del funzionario della Soprintendenza ai lavori de quibus, cui era
funzionale l’avviso di inizio dei lavori da inoltrare almeno quindici giorni prima
dall’inizio del lavori stessi.
La prescrizione quindi non richiedeva l’inoltro di una formale comunicazione
ma imponeva due obblighi congiunti, e non alternativi, di cui uno partecipativo
ed un altro comunicativo: ai lavori di scavo doveva necessariamente presenziare
un funzionario della Soprintendenza Archeologica di Taranto ed alla
Soprintendenza doveva essere inviata almeno con quindici giorni di anticipo, una
comunicazione di inizio dei suddetti lavori per consentire all’ente di incaricare un
funzionario che presenziasse ai lavori.
Dalla ricostruzione del fatto eseguita dai Giudici del merito (e, sul punto,
neppure contestata e, dunque, pacifica) è risultato che i lavori furono eseguiti
senza la presenza del funzionario della Soprintendenza e che la Agostinacchio
inviò, in data 12 marzo 2008, una comunicazione con la quale avvertì che i
lavori sarebbero iniziati il 3 aprile successivo, circostanza smentita dal fatto che
sbancamento avvenne solo nel luglio del medesimo anno.
Dalla prova testimoniale (esame di Giampaolo Ciongoli, archeologo della
Soprintendenza) è emerso come la comunicazione del 12 marzo fosse del tutto
inidonea allo scopo in quanto i lavori non furono eseguiti in via continuativa,
tanto che il teste, essendosi recato sul posto per effettuare un controllo in data
3 aprile, in relazione alla comunicazione del precedente 12 marzo, non trovò

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cui apprezzamento rientra alla esclusiva competenza del giudice di merito,

alcuno sul cantiere ed analogo esito ebbero i controlli successivi effettuati dal
personale di vigilanza della Soprintendenza.
Il lasso di tempo intercorso tra la data di invio della comunicazione alla
Soprintendenza (marzo 2008) e quella di effettivo inizio dei lavori (luglio 2008)
esclude che l’Agostinacchio non fosse a conoscenza della circostanza che i lavori
non fossero iniziati (e comunque richiedeva che fosse prestata da parte sua la
necessaria diligenza per informarsi che, alla data del 3 aprile, il competente
funzionario fosse intervenuto in loco) e le imponeva di ripetere la comunicazione

La Corte leccese ha poi puntualmente evidenziato le singole responsabilità:
dell’Agostinacchio, quale principale destinataria della prescrizione edilizia di cui al
punto n. 6 del Pdc; del Russo, quale direttore dei lavori ed dei fratelli Marrocco
quali esecutori degli stessi, atteso che il Pdc n. 156 del 2007 alla lettera b) delle
condizioni generali disponeva che “il titolare del permesso, il direttore dei lavori e
l’impresa esecutrice sono responsabili dell’inosservanza delle norme, e dei
regolamenti generali, nonché delle modalità di esecuzione di cui al presente
Permesso”.
Al cospetto di una motivazione articolata ed immune da vizi logici, anche
con specifico riferimento alle responsabilità individuali), i ricorrenti chiedono alla
Corte una rivisitazione, non consentita, del materiale probatorio attraverso
censure, da un lato, eccentriche rispetto al tema di prova, che è limitato
all’inosservanza della prescrizione edilizia da parte dei soggetti cui incombeva
l’obbligo di osservarla, e che, dall’altro, non tengono conto della natura del
controllo demandato alla Corte di legittimità.
Ne consegue che la sentenza impugnata non merita le critiche che le
vengono mosse neppure con riferimento alle altre tre doglianze (quella di
Roberto Marrocco secondo la quale egli, non avendo eseguito materialmente lo
sbancamento, non sarebbe penalmente responsabile dell’addebito (quarto
motivo in parte qua); quella del Russo e dei fratello Marrocco secondo cui il
danneggiamento dei silos risalirebbe ad epoca remota e non sarebbe
riconducibile alle attività di scavo (terzo motivo

in parte qua);

e quella

dell’Agostinacchio che lamenta il vizio di contraddittorietà della motivazione per
essere stata ritenuta responsabile della violazione della prescrizione pur essendo
stata assolata dal reato di danneggiamento (secondo motivo in parte qua).
3.1. Quanto alla responsabilità di Roberto Marrocco, la Corte territoriale ha
spiegato come la penale responsabilità, in ordine alla specifica posizione, fondi
sulla circostanza, comprovata dal testimoniale (esame Zappatore), di una sua
concreta ingerenza nell’esecuzione dei lavori, tanto da essere stato visto,
sebbene in una circostanza diversa dal luglio 2008, alla guida dell’escavatore
nonché sul fatto di essere contitolare della ditta, che ha effettuato gli

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per adempire alla prescrizione imposta.

sbancamenti, sicché tale ultima circostanza, unitamente alla certa
frequentazione del cantiere, ha logicamente e correttamente indotto la Corte
territoriale a ritenere la responsabilità, quantomeno a titolo di
compartecipazione, del ricorrente.
Sul punto, la censura si risolve in una doglianza di mero fatto e pertanto
insuscettibile di radicare il sindacato di legittimità restando inammissibili, nel
giudizio di cassazione, le censure che siano nella sostanza rivolte, come nella
specie, a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio.

del danneggiamento dei silos, avendo la Corte distrettuale chiarito come dalle
fotografie (n. 5, 7 ed 8) scattate dal consulente del pubblico ministero fossero
stati evidenziati con frecce direzionali i chiari segni lasciati dai denti della ruspa
sui silos rinvenuti nell’area e come, quanto ai danneggiamenti di silos risalenti ad
epoca remota e segnalati dallo stesso consulente del pubblico ministero, gli
stessi avessero riguardato silos diversi e di età precedente rispetto a quelli
rinvenuti.
3.3. Quanto infine al vizio di motivazione denunciato dall’Agostinacchio
(assolta dal reato di danneggiamento dei silos non poteva essere condannata per
la violazione urbanistica), la doglianza è manifestamente infondata, avendo i
Giudici del merito correttamente distinto la violazione della prescrizione n. 6 del
permesso di costruire, che di per sé sola fonda la penale responsabilità e della
cui osservanza era innanzitutto onerata la ricorrente, dal danneggiamento delle
opere protette dal vincolo storico ed archeologico, della cui responsabilità la
ricorrente stessa è stata esonerata sul rilievo che, diversamente dagli altri
coimputati, essa non fosse continuativamente presente sul cantiere e dunque sui
luoghi di scavo e di sbancamento.
Alcuna contraddittorietà pertanto sussiste quanto all’esito delle rispettive
regiudicande, essendone logico e corretto l’epilogo, non sussistendo alcuna
pregiudizialità tra le stesse ed essendo quindi l’inosservanza della prescrizione
indipendente dalla condotta di danneggiamento delle opere protette.

4. La declaratoria di inammissibilità dei ricorsi preclude ogni pronuncia circa
l’intervenuta prescrizione dei reati, maturata peraltro dopo la pronuncia della
sentenza emessa in grado di appello.
Va sul punto ricordato il costante orientamento di questa Corte secondo il
quale l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude ogni possibilità di far
valere e/o di rilevare di ufficio, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., l’estinzione
del reato per prescrizione (Sez. U, 22/03/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164;
nonché Sez. U, 22/11/2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266)).

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3.2. Al medesimo trattamento non si sottrae la doglianza relativa all’epoca

Tanto sul rilievo che l’intervenuta formazione del giudicato sostanziale
derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perché
contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art. 591, comma, 1, con
eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione; art. 606, comma 3),
preclude ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità
precedentemente maturata, sia di rilevarla di ufficio.
Ed infatti l’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere davanti al
giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab

assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano
giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi ma giuridicamente
indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale (così, in termini, Sez.
U., Bracale cit.).

5. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte
costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al
versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro mille alla cassa delle
ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 29/01/2014

instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di

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