Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 14946 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 14946 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Pennetta Francesco, nato a Brindisi il 24/07/1949
avverso la sentenza del 22/05/2013 della Corte di appello di Lecce
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato

Data Udienza: 28/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Lecce, con sentenza emessa in data 22 maggio
2013, in parziale riforma della decisione resa in data 21 dicembre 2011 dal
Tribunale di Brindisi, in composizione monocratica, appellata da Francesco
Pennetta concedeva all’imputato i doppi benefici di legge confermando nel resto
la sentenza di condanna alla pena di mesi quattro di reclusione per il reato di cui
all’art. 10 ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, perché non provvedeva, quale legale

termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta
successivo, al versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione per l’anno
d’imposta 2006, per un ammontare complessivo di euro 50.536,00.

2. Per l’annullamento della sentenza impugnata ricorre per cassazione,
tramite il proprio difensore, Francesco Pennetta, affidando il gravame ad un
unico complesso motivo con il quale deduce nullità della sentenza ai sensi
dell’art. 606, comma 1, lett. b) e d), cod. proc. pen. rispettivamente per
contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione e conseguente erronea
applicazione dell’art. 10 ter d. Igs. n. 74 del 2000.
Si assume come la nullità derivi dalla circostanza che sono state
erroneamente rigettate, sia in primo che in secondo grado, le richieste istruttorie
di acquisizione della dichiarazione Iva nonché la richiesta di esame dell’imputato,
nonostante che la presentazione della dichiarazione Iva costituisca un
presupposto per la integrazione del reato addebitato, tanto più che, come nella
specie, è stato contestato un lieve superamento della soglia di punibilità.
Trattandosi di un reato a mano propria, doveva ritenersi rilevante
l’acquisizione della dichiarazione fiscale, il cui ingresso non è stato consentito,
secondo il ricorrente, con motivazioni del tutto incongrue.
Dovendo allora valutarsi la possibilità di applicare o meno l’art. 10 ter del
d.lgs. n.74 del 2000 al caso di specie, trattandosi di un delitto a soggettività
ristretta, è richiesto, secondo il ricorrente, che la condotta materiale sia posta in
essere personalmente dal rappresentante della società, con la conseguenza che
una tale circostanza deve essere dimostrata dalla pubblica accusa.
Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, soltanto, dunque,
acquisendo la dichiarazione annuale IVA, su cui l’Agenzia delle Entrate avrebbe
eseguito gli accertamenti di rito, nonché le generalità dell’intermediario o del
soggetto che l’avrebbe inoltrata agli uffici competenti per il controllo, si sarebbe
potuta ottenere la certezza assoluta di una condotta penalmente rilevante in
capo all’imputato.

rappresentante della società “Ilario Group s.r.l.”, entro il 27 dicembre 2007

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e dunque inammissibile.

2.

Quanto al primo profilo della doglianza, in relazione alla mancata

assunzione dell’esame dell’imputato, esame che pure era stato ammesso da
parte del Tribunale, va rilevato come la Corte territoriale abbia evidenziato che,
quand’anche la revoca dell’ordinanza ammissiva di detto esame fosse avvenuta

immediatamente dedotta dalla parte presente, che aveva interesse ad eccepirla,
trattandosi di una nullità a regime intermedio, da dedursi quindi nel termine di
cui all’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., con la conseguenza ove detta nullità
si verifichi in presenza della parte che aveva interesse ad eccepirla, il silenzio di
quest’ultima equivale a rinuncia, con conseguente sanatoria ai sensi dell’art.
183, comma primo, lett. a), cod. proc. pen.(Sez. 3, 12/05/2010, n. 24302, L.,
Rv. 247878).
Rispetto a tale ratio decidendi, la doglianza si lascia apprezzare per assoluta
mancanza di specificità, dovendosi solo segnalare, ad ulteriore conferma della
correttezza della decisione assunta dalla Corte •di merito, come l’ordinanza
ammissiva dell’esame fu legittimamente revocata sul presupposto della mancata
presenza in udienza dell’imputato contumace e senza che fosse stato addotto un
giustificato motivo in ordine alla perdurante e volontaria assenza dello stesso.
Essendo l’esame dell’imputato condizionato dal consenso che lo stesso abbia
manifestato nel prestarlo ed in assenza di poteri coercitivi da parte del giudice in
ordine all’assunzione della specifica prova (argumenta ex art. 490 cod. proc.
pen.), è di tutta evidenza come il processo non possa subire ritardi nella sua
sollecita definizione dalla mancata comparizione dell’imputato che potrebbe, in
ogni momento, manifestare, con un contrarius actus, il proprio rifiuto nel
sottoporsi all’esame.
Peraltro la revoca disposta dal giudice di primo grado dell’esame, richiesto
dal difensore, dell’imputato non comparso all’udienza, non comporta alcuna
violazione del diritto di difesa, ben potendo l’imputato presentarsi in appello e
rendere dichiarazioni, a norma dell’art. 523 cod. proc. pen. (Sez. 2, 11/10/2013,
n. 44945, Mezzaferro, Rv. 257312).

3. Quanto infine al secondo profilo della doglianza, il motivo di ricorso è
altrettanto generico in quanto non considera minimamente le ragioni che hanno
indotto i Giudici del merito a ritenere superflua l’acquisizione della dichiarazione
fiscale.

3

in violazione dell’art.495 cod. proc. pen., l’eventuale nullità andava

Il Tribunale aveva infatti motivatamente disatteso la richiesta difensiva
avanzata ex art. 507 cod. proc. pen. ritenendo l’acquisizione, in quanto priva del
carattere della decisività, non necessaria ai fini della pronuncia e tanto alla luce
dei risultati consegnati dall’istruttoria dibattimentale fino a quel momento
espletata, ed in particolare della deposizione del teste Biondolillo, funzionario del
competente ufficio finanziario che aveva accertato la violazione.
Ad analoga conclusione è giunta la Corte di appello che correttamente ha
ritenuto di non dare ingresso all’acquisizione del documento ai sensi dell’art. 603

questa Corte secondo il quale la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale di cui
all’art.603 cod. proc. pen. è istituto di carattere eccezionale che presuppone
l’impossibilità di decidere allo stato degli atti (Sez. 6, 02/12/2002, n. 68 (dep.
08/01/2003), Raviolo, Rv. 222977).
La Corte distrettuale ha pertanto legittimamente ritenuto superflua
l’acquisizione del documento sul rilievo che l’imputato fosse, al momento del
fatto, il legale rappresentante della Ilario Group s.r.l. (che non aveva corrisposto
nel termine di legge l’imposta sul valore aggiunto dovuta per l’anno 2006) e che
la presentazione della dichiarazione infedele, dalla quale era stata desunta
l’evasione, era stata attestata dal funzionario della competente Agenzia delle
entrate che, proprio sulla base della dichiarazione presentata (non essendo
perciò lecito dubitare della sua presentazione), aveva ricavato l’esatta entità
dell’evasione mediante il ricorso a meri calcoli aritmetici.
Al cospetto di una tale specifica e congrua motivazione, le ragioni della
doglianza appaiono del tutto aspecifiche, circostanza ampiamente evidenziata
dalla stessa Corte territoriale laddove ha rimarcato come non fosse possibile
nutrire dubbi di sorta in ordine all’esistenza, al contenuto ed alla paternità della
dichiarazione dei redditi, a prescindere dalla sua presenza o meno in atti, che,
peraltro, era stata solo genericamente posta in dubbio, senza alcuna allegazione
del benché minimo elemento concreto di segno contrario.
Va solo precisato che, trattandosi di un documento proveniente
dall’imputato, quest’ultimo avrebbe potuto esibire la dichiarazione IVA,
richiedendone il rilascio in copia al competente ufficio finanziario, oppure avrebbe
potuto esibire una certificazione attestante la eventuale assenza del documento
agli atti d’ufficio, osservando gli oneri di allegazione e di prova che competono
alle parti processuali, anche nel processo penale, ben potendo un elemento
materiale, che integri o definisca il fatto di reato, essere comprovato dall’accusa
con il ricorso a qualsiasi mezzo di prova idoneo a dimostrare il fondamento del
fatto costitutivo della pretesa punitiva azionata.

4

cod. proc. pen., dovendosi sul punto ricordare il costante insegnamento di

4. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte
costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e
al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro mille alla cassa delle
ammende.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 28/01/2014

P.Q.M.

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