Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1486 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 1486 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da

PMT AVELLINO

in proc.
ARAGOSA PAOLO n. 22/06/1968 a Limatola

SACCARDO MARGHERITA n. 5/11/1969 a Summonte
CAPONE DOMENICO n. 10/07/1955 a Pomigliano D’Arco

avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di AVELLINO in data 18/06/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALDO POLICASTRO, che ha concluso per l’annullamento con
rinvio dell’impugnata ordinanza;
udite le conclusioni dell’Avv. F. Patierno del Foro di Benevento, di fiducia per tutti
gli indagati, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità o comunque il rigetto del
ricorso;

Data Udienza: 03/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18/06/2013, depositata in data 19/06/2013, il Tribunale del
riesame di AVELLINO, in accoglimento dell’appello proposto dagli odierni
ricorrenti, annullava il provvedimento 4/04/2013, con cui il GIP del Tribunale di

rigettava; l’ordinanza seguiva quella, emessa il 5/04/2012, con cui il medesimo
GIP aveva convalidato il sequestro preventivo eseguito d’urgenza dalla PG in
data 28/03/2012 e disposto autonomo sequestro preventivo di un fabbricato in
cemento armato per civili abitazioni composto da piano terra, primo piano,
secondo piano, piano sottotetto, sito in Summonte alla via San Sebastiano; il
sequestro veniva operato ai danni del CAPONE (costruttore), del direttore dei
lavori (SACCARDO), quest’ultima anche quale comproprietaria dell’immobile
insieme al marito ARAGOSA, in ordine ai reati di cui all’art. 44, lett. C), d.P.R. n.
380/2001 ed all’art. 181, comma 1-bis, d. Igs. n. 42/2004.

2.

Ha proposto tempestivo ricorso il PM presso il Tribunale di AVELLINO,

impugnando l’ordinanza 18/06/2013 e deducendo un unico motivo di ricorso, di
seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173
disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, in particolare, il PM ricorrente, la violazione di legge e/o l’erronea
applicazione della legge penale; in sintesi, rileva che l’immobile era stato
sottoposto a sequestro perché in corso di realizzazione in area sottoposta a
vincolo paesaggistico ambientale, ai sensi dell’art. 136 D. Lgs. n. 42/2004, in
quanto area di notevole interesse pubblico dichiarato con DM 14/06/1965 (ed,
inoltre, in area vincolata ex art. 142, lett. F), D. Lgs. n. 42/2004, in quanto
eseguita all’interno del parco regionale del Partenio, in totale difformità (art. 32,
comma 3, d.P.R. n. 380/2001) dal permesso di costruire n. 8/2010, rilasciato
illegittimamente dal Comune di Summonte, in difetto di autorizzazione
paesaggistico – ambientale; il GIP, pertanto, aveva ritenuto configurabili sia il
reato urbanistico (art. 44, lett. C), d.P.R. n. 380/2001), sia il reato paesaggistico
(art. 181, comma 1-bis, lett. A), in relazione all’art. 136, D. Lgs. n. 42/2004);
rileva, in particolare, che per gli interventi edilizi non avrebbe potuto essere
rilasciato alcun accertamento di compatibilità paesaggistica né, pertanto, poteva
essere rilasciato alcun accertamento di conformità per i profili urbanistico edilizi; nonostante ciò i ricorrenti erano riusciti ad ottenere dal Comune sia un
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AVELLINO, decidendo sull’istanza di revoca del sequestro preventivo, la

permesso di costruire in variante e in sanatoria all’originario permesso di
costruire n. 8/2010 (in data 28/12/2012) che un’autorizzazione paesaggistico ambientale n. 11 del 2/10/2012, senza tuttavia ottenere dal GIP il dissequestro
delle opere edilizie su parere contrario del PM; deduce, in particolare, che la
motivazione del tribunale del riesame (secondo cui – pur sussistendo
l’incremento dei volumi realizzati con il manufatto abusivo per effetto della

incidere sul bene interesse tutelato, con conseguente inoffensività dell’intervento
edilizio de quo), sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge, trattandosi di
abuso insanabile e idoneo ad offendere i beni protetti sia dalla normativa
urbanistico — edilizia che paesaggistico — ambientale, nonché illegittima, per aver
ritenuto il tribunale che l’inoffensività della condotta avrebbe reso legittimo il
rilascio della sanatoria in ordine alle rilevate difformità, consentendo la
prosecuzione dell’attività edilizia.

3. Con memoria difensiva, depositata in data 14/11/2013 presso la cancelleria di
questa Corte Suprema, il difensore fiduciario cassazionista degli indagati ha
chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso del PM e/o il rigetto per totale
infondatezza, motivando le predette richieste su quattro punti: 1) carenza di
legittimazione attiva del PM e mancanza di concreto interesse; 2) assoluto difetto
di specificità dei motivi di diritto, affermati con la generica formula “violazione di
legge/erronea applicazione di legge penale”, e mai specificamente indicati né
dimostrati; 3) esposizione di censure di fatto, strumentalmente

e

pretestuosamente rappresentate con mendace narrazione dei fatti e delle realtà
processuali; 4) presunta illogicità e contraddittorietà della motivazione
dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso del P.M. è fondato per le ragioni di seguito esposte.

5. I fatti per cui si procede seguono alla richiesta del PM di convalida del
sequestro preventivo eseguito d’urgenza dalla PG di un fabbricato in c.a. su più
livelli, realizzato in difformità dal permesso di costruire rilasciato dal Comune di
Summonte in area sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale ex art. 136 D.
Lgs. n. 42/2004; l’opera, in corso di esecuzione, non risultava conforme al
progetto assentito per altezza, sagoma e volumetria del fabbricato e per
realizzazione di un piano suscettibile di essere abitabile al posto del sottotetto,
3

maggiore altezza — le difformità rilevate fossero di minimo rilievo, inidonee ad

così ponendo in essere – secondo la prospettazione accusatoria – un organismo
edilizio totalmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano volumetriche e di
utilizzo da quello assentito, anche con la realizzazione di parte di organismo
edilizio con specifica rilevanza ed autonoma utilizzabilità; i reati ipotizzati erano,
da un lato, quello urbanistico – edilizio, previsto dall’art. 110, 113 cod. pen. e
44, lett. c), d.P.R. n. 380/2001 e, dall’altro, il delitto paesaggistico previsto

136 del citato decreto; quanto alle rispettive qualifiche, gli indagati, infine,
venivano chiamati a rispondere dei predetti reati nella qualità: a) il Saccardo e
l’Aragosa, di proprietari e committenti dei lavori; b) la saccardo, anche quale
direttore dei lavori; c) il Capone, infine, quale amministratore della “Capone
Costruzioni” S.p.A., società esecutrice dei lavori.

6.

Nel dettaglio, il GIP del tribunale di Avellino, con ordinanza 5/04/2012,

premessa la legittimità del provvedimento d’urgenza eseguito dalla PG, lo
convalidava emettendo autonomo provvedimento di sequestro preventivo,
ritenendo accertata la difformità del fabbricato realizzato rispetto al permesso di
costruzione n. 8 del 1/10/2010, risultando indubbia l’incidenza sull’assetto
urbanistico del territorio di quanto abusivamente realizzato (maggiore altezza
complessiva del fabbricato, dovuta a maggiore altezza degli interpiani e del
sottotetto, con un aumento della volumetria totale rispetto a quella assentita); il
GIP, peraltro, riteneva sussistere anche il fumus del delitto paesaggistico, attesa
l’assenza di qualsiasi autorizzazione paesaggistico – ambientale, pur insistendo il
fabbricato abusivo in area vincolata; infine, quanto al periculum, il GIP motivava
la necessità di sottrarre il bene alla libera disponibilità degli indagati, per
impedire l’aggravarsi o il protrarsi delle conseguenze del reato ipotizzato (il
provvedimento sembrerebbe riferirsi, sotto tale profilo, al solo reato urbanistico
– edilizio), in considerazione del fatto che i lavori erano in corso all’atto del
sequestro, come desumibile sia dal cartello esposto che dalla presenza sul posto
di materiali ed attrezzature in corso di utilizzazione per la realizzazione del
cemento armato.

7. Con provvedimento emesso il 4 aprile 2013, il GIP del tribunale di Avellino,
decidendo sull’istanza di revoca del sequestro preventivo, acquisito il parere
contrario del P.M. procedente, letta la consulenza tecnica a firma dell’ing. V.
D’Amato e le dichiarazioni rese a chiarimenti alla PG da quest’ultimo in data
22/03/2013 (allegate dalla difesa dei ricorrenti alla memoria depositata in vista
dell’udienza camerale davanti a questa Corte), rigettava la richiesta sulla base
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dall’art. 110 cod. pen., 181, comma 1-bis, d. Igs. n. 42/2004, in relazione all’art.

dei seguenti rilievi: a) l’originaria autorizzazione paesaggistica non poteva
considerarsi valida in considerazione delle variazioni sostanziali al progetto
assentito in corso d’opera; b) vi era stato un illecito incremento di altezza e
cubatura eccedente del 2% rispetto alle dimensioni assentite nel progetto; c) le
opere difformi non ricadevano tra i casi contemplati dall’art. 167, commi 4 e 5,

8. Tale ordinanza veniva impugnata dagli attuali ricorrenti davanti al tribunale
del riesame, che, nel decidere il gravame cautelare, teneva conto
dell’intervenuto rilascio in data 28/12/2012 della variante in sanatoria
all’originario permesso di costruire n. 8/2010 nonché dell’autorizzazione
paesaggistico – ambientale (n. 11 del 2/10/2012); in particolare, come si legge
nel gravato provvedimento, il tribunale del riesame ha ritenuto che, in relazione
alle difformità accertate dal consulente tecnico, la previsione di cui all’art. 181,
comma 1-ter, lett. a), d. Igs. n. 42/2004 – che esclude l’applicabilità delle
sanzioni penali e di quelle amministrative ripristinatorie “per i lavori, realizzati
in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano
determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli
legittimamente realizzati” –

dovesse interpretarsi alla luce del principio di

offensività, nel senso che la speciale sanatoria prevista dalla norma citata va
esclusa in tutti i casi in cui la creazione di superfici utili o volumi o l’aumento di
quelli legittimamente realizzati siano idonei a determinare una compromissione
ambientale, a tal fine richiamando una recente decisione di questa Corte (il
riferimento è alla decisione di questa Sezione, n. 899 del 2012, Cavallaro, non
massimata);

che, in applicazione di tale esegesi del testo normativo, le

difformità rilevate apparivano, rispetto all’entità dell’opera in corso di
realizzazione, di rilievo minimo, inidonee ad incidere sul bene – interesse tutelato
(in particolare rilevando come “l’altezza del fabbricato rimanesse, comunque,
ben al di sotto di quella massima consentita”) e che, inoltre, il sopravvenuto
giudizio di compatibilità ambientale rendeva sanabili tali difformità, consentendo
la

prosecuzione

dell’attività

edilizia,

con

conseguente

annullamento

dell’ordinanza del GIP, dissequestro dell’abuso e restituzione agli aventi diritto.

9. Tanto premesso, con il ricorso presentato davanti a questa Corte, il PM
ricorrente si duole dell’interpretazione fornita dal giudice del riesame, per aver
ritenuto che fossero venute meno, in sostanza, sia il fumus che le esigenze
cautelari dei reati ipotizzati, alla luce di quanto chiarito dal c.t. del P.M. circa la

5

d. Igs. n. 42/2004, con conseguente loro insanabilità.

modesta entità delle difformità e l’intervenuto rilascio dell’accertamento di
compatibilità paesaggistica.
Ritiene il Collegio che sussista la denunciata violazione di legge, unica
suscettibile di sindacato di legittimità in questa sede ex art. 325 cod. proc. pen.

10. Ed invero – premessa la irrilevanza in fatto (e, quanto ai profili giuridici,

in prossimità dell’udienza camerale davanti a questa Corte, sia quanto al
comportamento del P.M. ricorrente per non aver analizzato contenutisticamente i
titoli abilitativi legittimanti l’esecuzione delle opere edilizie sotto ambedue i profili
paesaggistico ed urbanistico, sia in ordine alla presunta carenza di interesse
all’impugnazione (,4;r1 v’è dubbio, infatti, che sussista l’interesse ad impugnare
del P.M. rispetto ad un provvedimento emesso in sede cautelare reale ad esso
sfavorevole, ciò al fine di ottenere una verifica sulla legittimità di una misura
cautelare reale, anche a seguito dell’annullamento dovuto al presunto venire
meno del fumus e/o del periculum, allorché – come nel caso in esame – la
decisione sull’impugnazione possa avere effetti significativi sul ripristino della
misura; né, del resto, prospettarsi un difetto di legittimazione del PM ricorrente,
indicato nell’art. 325, comma primo, cod. proc. pen., genericamente come il
“pubblico ministero”, essendo però pacifico che la relativa legittimazione spetta
al solo ufficio requirente presso l’organo la cui decisione viene impugnata, come
nel caso di specie, essendovi identità tra PM ricorrente ed ufficio requirente
presso l’organo la cui decisione viene impugnata), sia, infine, quanto all’asserita
genericità e manifesta infondatezza dei motivi di ricorso, per quanto si dirà oltre
– deve rilevarsi, come correttamente oggetto di censura da parte del P.M.
ricorrente, che i lavori eseguiti avevano determinato un incremento volumetrico,
superiore al 2 °/o , per la maggior altezza del fabbricato in corso di realizzazione
rispetto a quanto originariamente assentito e, che, ancora, non era applicabile la
speciale sanatoria paesaggistica di cui all’art. 181, comma 1-ter, d. Igs. n.
42/2004.
Ciò avrebbe impedito, a prescindere quanto oggettivamente avvenuto con il
rilascio dei titoli abilitativi sananti da parte delle autorità preposte – attesa
l’autonomia della valutazione dell’A.G. penale da quella amministrativa in
materia, posto che, da un lato, il giudice penale deve accertare la conformità
dell’atto agli strumenti urbanistici, in ossequio alla previsione degli artt. 36 e 44
del d.P.R. n. 380/2001, per i quali la concessione in sanatoria estingue i reati
urbanistici solo se le opere risultano conformi agli strumenti urbanistici, senza
ricorrere all’istituto della disapplicazione del provvedimento ex art. 5 della legge
6

l’infondatezza) delle considerazioni espresse nella memoria difensiva depositata

20 marzo 1865 n. 2248, all.E (Sez. 3, n. 18764 del 26/02/2003 – dep.
18/04/2003, Demori, Rv. 224731) e, dall’altro, che ai fini della configurabilità dei
fatti-reato previsti dalle disposizioni di settore, è necessaria la valutazione sulla
legittimità degli atti amministrativi autorizzatori, ovviamente non estesa ai profili
di discrezionalità, allorché tali atti costituiscano il presupposto o elementi
costitutivi o integrativi del reato, atteso che una attività formalmente assentita
non può svolgersi in contrasto con la disciplina di settore e con conseguente

che non potendosi rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria per
l’incremento volumetrico, non poteva nemmeno essere rilasciato il permesso di
costruire in sanatoria.

11. Sul punto, deve farsi chiarezza in merito all’esegesi del chiaro disposto
dell’art. 146, comma 4, d. Igs. n. 42/2004.
Tale disposizione, prevede, in particolare, che “Fuori dai casi di cui all’articolo
167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria
successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi”.

I casi

“eccettuati” sono quelli in cui è ammesso l’accertamento di compatibilità
paesaggistica – per quanto qui rileva – per i lavori, realizzati in assenza o
difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato
creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente
realizzati, precisando la norma, al comma quinto, che

“La domanda di

accertamento della compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell’articolo
181, comma

/-quater,

si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti

di cui al presente comma”. Nel caso in esame, come chiarito dallo stesso c.t. del
P.M. nel verbale di s.i.t. rese il 22/03/2013 (allegato dalla stessa difesa degli
indagati alla memoria difensiva depositata presso la cancelleria di questa Corte il
14/11/2013), sebbene l’iter procedurale fosse legittimo, le difformità accertate
erano da qualificarsi come eseguite in difformità totale dal titolo abilitativo
originario e, non ricadendo nell’ipotesi dell’art. 167, commi quarto e quinto, d.
Igs. n. 42/2004, devono considerarsi insanabili; lo stesso c.t., peraltro, chiariva
ai verbalizzanti che le maggiori altezze di interpiano e del sottotetto comportano
una maggiore altezza complessiva del fabbricato che, da un’altezza prevista fuori
terra di mt. 9,30 a mt. 9,59 con un massimo di mt. 9,91, passa ad un’altezza
variabile di mt. 9,67 a mt. 10,25, quindi con una tolleranza ampiamente
superiore a 2% fissata per legge.
Deve, a tal proposito, ricordarsi che tra le misure comprese nel d.l. 13 maggio
2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 2011, n. 106, è stata
7

lesione del bene protetto finale) – l’accoglimento della richiesta difensiva, atteso

prevista una sanatoria per gli interventi edilizi eseguiti in parziale difformità dal
titolo abitativo. Se la differenza rispetto all’indice contemplato dal permesso di
costruire per cubatura, superficie e altezze risulta minore del 2%, la posizione di
chi ha realizzato l’opera è giuridicamente legittima. La misura del suddetto
parametro di tolleranza è stata espressamente stabilita dall’art. 5, comma 2, del
predetto decreto. La norma, infatti, inserendo il comma

2-ter all’art. 34 del

titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o
superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2% delle
misure progettuali. La ratio sottesa alla previsione in oggetto è chiaramente la
salvaguardia del principio della certezza del diritto che consiste nella possibilità
di conoscere la valutazione concreta operata dal diritto positivo con riferimento
alle azioni e situazioni compiute. Non sussistendo, infatti, prima dell’intervento
del “decreto sviluppo” una definizione compiuta ed univoca di parziale difformità,
il rischio per l’operatore non sorretto dalla previsione di standard e conseguenze
predefiniti era quello di esporre la sua attività alle imprevedibili valutazioni ed
apprezzamenti discrezionali della pubblica amministrazione, con buona pace del
legittimo affidamento e della stabilità dei rapporti giuridici.
Presupposto per l’applicabilità della nuova previsione, tuttavia, è che si trattasse
di difformità parziale, laddove, invece, come nel caso in esame, la difformità
accertata e ribadita dallo stesso c.t. del PM a chiarimenti, è una difformità totale,
poiché, ricadendo l’abuso edilizio in zona in area tutelata paesaggisticamente,
trova applicazione quanto disposto dal comma terzo dell’art. 32, d.P.R. n.
380/2001; in altri termini, quindi, gli interventi eseguiti, in quanto effettuati su
immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali (ipotesi
contestata agli indagati: artt. 136 e 142, lett. f), d.lgs. n. 42/2004), sono
considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli
articoli 31 e 44 d.P.R. n. 380/2001, donde non avrebbe potuto trovare nemmeno
applicazione la speciale ipotesi del comma 2-ter dell’art. 34, d.P.R. n. 380/2001.
Conseguentemente, a prescindere dal fatto che il positivo accertamento di
compatibilità paesaggistica dell’abuso edilizio eseguito in zona vincolata non
potrebbe certo escludere la punibilità del delitto paesaggistico previsto dall’art.
181, comma 1-bis, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (v., in termini. Sez. 3, n. 7216
del 17/11/2010 – dep. 25/02/2011, Zolesio e altro, Rv. 249526), appare
evidente l’errore di diritto in cui è incorso il tribunale che, nell’annullare il
provvedimento del GIP, ha non soltanto qualificato gli interventi eseguiti come in
difformità parziale, ma ha anche ritenuto che l’accertamento di compatibilità
paesaggistica – a fronte di una condotta asseritamente inoffensiva – avrebbe
8

‘)i

d.P.R. n. 380/2001, dispone che si esclude la presenza di parziale difformità del

determinato la sanabilità degli abusi, così erroneamente interpretando la chiara
disposizione dell’art. 167, comma quarto, d. Igs. n. 42/2004 che consente
l’accertamento di compatibilità paesaggistica per quegli interventi che

“non

abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di
quelli legittimamente realizzati”, come invece accertato nel caso in esame.
Pertanto, in applicazione dell’art. 146, comma quarto, d. Igs. n. 42/2004,

Igs. citato, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria
successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi.

12. L’ordinanza impugnata dev’essere pertanto annullata con rinvio al giudice
del riesame, che, nell’attenersi a quanto sopra disposto da questo Giudice di
legittimità, nel rivalutare sia il fumus che il periculum dei reati ipotizzati, posti a
fondamento del sequestro preventivo, dovrà riconsiderare la questione
dell’applicabilità del disposto del comma 2-ter dell’art. 34, d.P.R. n. 380/2001,
considerando, altresì, che comunque l’accertamento di compatibilità
paesaggistica non produce alcun effetto estintivo del delitto paesaggistico,
previsto dal comma 1-bis dell’art. 181, d. Igs. n. 42/2004.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Avellino.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2013

Il Con igliere est.

Il Presidente

non rientrando il caso nella previsione dell’art. 167, commi quarto e quinto, d.

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