Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1471 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 1471 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Gebbia Giuseppe, n. a Chiusa Sclafani il 08/08/1950;
Mirenda Basilio, n.a Tusa il 09/01/1950;

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo in data 10/12/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale E. Delehaye, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udite le conclusioni degli Avv.ti C. Emma e A. Gattuso, difensori di fiducia dei
ricorrenti, che hanno concluso per l’accoglimento;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10/12/2012 la Corte d’Appello di Palermo, quale giudice di
rinvio a seguito di sentenza di annullamento della Sezione Quarta della Corte di
Cassazione del 17/04/2012, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di
Palermo del 09/06/2008, ha ridotto la pena a mesi sette di reclusione ciascuno
nei confronti di Gebbia Giuseppe e Mirenda Basilio per il reato di cui all’art. 589,

Data Udienza: 14/11/2013

commi 1 e 2, c.p. per avere cagionato per colpa, nelle rispettive vesti di agente
tecnico e di direttore dei lavori del cantiere di costruzione di un casotto di
campagna, la morte di Russo Diesi Vincenzo a seguito di lesioni da
precipitazione, dichiarando il concorso di colpa della persona offesa nella misura
del 25%.

Giuseppe che, con un primo motivo, lamenta l’erronea applicazione della legge
penale in relazione agli artt. 40 cpv., 45, 113 e 589 c.p. Dopo avere premesso
che la Corte di cassazione era giunta ad annullare la sentenza di condanna
avendo questa omesso di stabilire se la temporanea assenza dal cantiere di
Gebbia lo esonerasse dalle obbligazioni sullo stesso gravanti, e dopo avere
precisato i compiti spettanti al preposto in relazione a quanto disposto dagli artt.
2 e 19 del d. Igs. n. 81 del 2008 (ed in particolare l’obbligo di sovrintendere e
vigilare sull’osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge e
delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei
mezzi di protezione collettivi e di protezione individuale), evidenzia che gli stessi
presuppongono la presenza nel cantiere; si duole che a fronte del legittimo
allontanamento dal cantiere di Gebbia la Corte di Palermo abbia ancora una volta
affermato che allo stesso dovesse attribuirsi la responsabilità del fatto per avere
omesso di costantemente sorvegliare e vigilare sull’operato degli altri lavoratori.

2.1.Con un secondo motivo lamenta la violazione dell’obbligo di uniformarsi alla
decisione della questione di diritto della Corte di cassazione avendo ancora una
volta sottolineato che la assenza di Gebbia dal cantiere non poteva escluderne la
responsabilità.

2.2. Con un terzo motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione per
contrasto con la sentenza di annullamento della Corte di cassazione, avendo la
sentenza recuperato la responsabilità di Gebbia facendo perno sull’affidamento
colpevolmente riposto nelle capacità del capo squadra Ciulla, definitivamente
condannato, e, così facendo, mutato la natura della responsabilità, trasformata
da culpa in vigilando in culpa in eligendo. In sostanza, a Gebbia si sarebbe
rimproverato di avere consentito che le mansioni di capo squadra venissero
svolte in sua assenza dall’imputato Ciulla quale soggetto tuttavia inidoneo perché
dotato della qualifica di bracciante agricolo. Tuttavia tale argomentazione viene
contraddittoriamente smentita da altre affermazioni contenute nella sentenza e,
segnatamente, dal rilievo in ordine al fatto che l’investitura di Ciulla avvenne non
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2. Ha proposto ricorso per cassazione tramite il difensore anzitutto Gebbia

per estemporanea iniziativa di Gebbia ma, prima ancora dell’inizio dei lavori, in
ragione di un ordine scritto firmato dal direttore dei lavori Mirenda e che la scelta
delle persone da avviare al lavoro in ciascun cantiere era sempre da ricondurre al
direttore dei lavori Mirenda. In ogni caso contesta che Ciulla fosse soggetto non
idoneo alla mansione ricoperta posto che presupposto funzionale all’affermazione
di responsabilità dello stesso da parte della Corte di cassazione è stato il vaglio

incombenza da espletare (e senza rilevare peraltro che la attività di sorveglianza
non richiedeva invece una specifica abilità tecnica posto che l’attività pericolosa
posta in essere non era attinente alle tecniche di costruzione del ponteggio ma
alle modalità di trasporto di materiali).

2.3. Con un quarto motivo lamenta la nullità della sentenza per erronea
applicazione degli articoli 40 e 589 c.p. e di altre norme giuridiche presupposte o
richiamate, dovendo valere anche per il ricorrente il criterio di elisione di
responsabilità per incapacità tecnica o inadeguatezza all’espletamento della
mansione; pur essendo stata rimproverata all’imputato l’inosservanza in
particolare dell’articolo 2087 c.c. e dell’articolo 381 del d.p.r. n. 547 del 1955 per
omessa vigilanza sull’uso del casco da parte della vittima, nessuna delle
sentenze di merito ha mai revocato in dubbio che Gebbia non fosse dotato di
alcuna specifica competenza tecnica non essendo geometra né dotato di alcuna
abilitazione; rileva inoltre che il principio civilistico non può essere applicato a
soggetti diversi dall’imprenditore, soprattutto quando questi non siano dotati
della necessaria formazione e preparazione professionale; del resto l’attribuzione
al preposto di una mole considerevole di oneri e obblighi presuppone che egli
possa adempiervi in ragione delle competenze professionali e nei limiti dei poteri
gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli; e nella
specie la legge regionale Sicilia n. 16 del 1996 dispone che agli agenti tecnici
possano essere richieste prestazioni proprie di tutti i profili professionali
compresi nella qualifica, salvi i casi in cui siano richieste specifiche abilitazioni.
Rileva inoltre che nessuna delle violazioni contestate potrebbe essere posta in
efficienza causale rispetto all’evento e, ancor prima, al comportamento
imprudente posto in essere dal lavoratore giacché nessuna delle misure indicate
dalla Corte avrebbe in concreto evitato l’evento quand’anche adottata. Illogica e
contraddittoria è poi l’affermazione di responsabilità per l’asserita violazione
dell’art. 381 del d.p.r. n. 547 del 1955, perché è stato provato che l’imputato
ebbe a consegnare il 5 maggio 2000 a tutti i lavoratori i presidi personali di
sicurezza e nessuna violazione delle regole di condotta funzionale risulta essere
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preliminare delle capacità tecniche dello stesso con riguardo alla specifica

stata mai segnalata dai lavoratori al preposto nei giorni precedenti l’incidente;
d’altra parte l’uso effettivo del casco avrebbe dovuto essere verificato da chi era
presente in cantiere nelle fasi immediatamente precedenti l’infortunio e non da
chi era giustificatamente assente. Né la morte della persona offesa è stata
causata da trauma cranico bensì da lesioni interne con conseguente assenza del

2.4. Con un quinto motivo si duole della manifesta illogicità risultante da atti
acquisiti al fascicolo del dibattimento e in particolare del travisamento della
prova. Premette che nell’originario atto di appello si era contestata l’affermazione
della Corte di avere egli impartito, su disposizione di Mirenda, l’ordine di
costruire il ponteggio al lavoratore Russo Diesi posto che da un lato in sede di
esame dibattimentale l’imputato aveva affermato che egli lo stesso giorno era
impegnato presso altri cantieri e dall’altro risultando tale presenza presso diversi
cantieri dai documenti prodotti all’udienza del 28 maggio 2007. In proposito la
Corte di Cassazione, annullando la sentenza, aveva rilevato come, di fronte a
dette acquisizioni probatorie, la corte territoriale avrebbe dovuto motivare
adeguatamente la scelta in forza della quale giungeva alle conclusioni relative
all’impartito ordine. Ciò posto, lamenta che la nuova sentenza della corte
territoriale è incorsa in ulteriori e più gravi travisamenti di prova laddove ha
ritenuto provato il conferimento dell’ordine di realizzazione del ponteggio in base
alle dichiarazioni del teste Mamone, posto che questi, nel ricordare il programma
dei lavori da svolgersi che comprendeva anche l’erezione di un ponteggio, ha
collocato la riunione, nella quale egli apprese tale circostanza nel pomeriggio del
10 maggio 2000, ovvero proprio il giorno in cui si verificò l’infortunio; sicché, fu
in quel giorno che avvenne l’incontro presso i locali dell’ispettorato provinciale
tra Mirenda e Gebbia, mentre prima di quella data non era stato ancora disposto
che il tetto venisse realizzato e che il ponteggio venisse innalzato, come
ulteriormente confermato dallo stesso teste Mamone. Pone infine in ogni caso in
rilievo l’illogica motivazione della sentenza impugnata ove la stessa continua a
non dare conto del perché la documentazione inerente i concomitanti impegni del
Gebbia il 9 maggio 2000 (ovvero la data in cui Ciulla ha riferito di avere ricevuto
l’ordine di elevazione del ponteggio) fosse da ritenersi irrilevante o superabile.

3. Ha proposto ricorso anche Mirenda Basilio.
Con un primo motivo lamenta violazione di legge, illogicità e contraddittorietà
della motivazione e travisamento della prova. In particolare lamenta che la Corte
avrebbe stravolto il contenuto delle dichiarazioni del teste Mamone secondo cui
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nesso causale.

la disposizione di erigere l’impalcatura era stata data da Mirenda a Gebbia e da
questi era stata data al capo operaio Ciulla. Tuttavia, poiché secondo Mamone
dette disposizioni erano evidentemente state date da Mirenda all’interno del suo
ufficio in occasione dell’unico incontro tra questi svoltosi a Palermo il giorno
stesso dell’infortunio ai fini delle programmazione dell’attività nei giorni seguenti,
nessuna specifica disposizione sull’erezione del ponteggio poteva essere stata

Mirenda. Lamenta inoltre, illustrando l’ordinario assetto organizzativo dei
cantieri, la non corretta ricostruzione dell’organizzazione del lavoro nel cantiere
di specie che, secondo la Corte, avrebbe reso, in assenza di specifiche
attribuzioni, tutti responsabili di tutto. Censura altresì le argomentazioni della
Corte in ordine al non idoneo impiego ed inquadramento dei lavoratori impegnati
nel cantiere, tra cui la persona offesa, in relazione ai loro profili professionali.

3.1. Con un secondo motivo lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 43

c.p., 2087 c.c., 21, 22 e 36 quater del d.P.R. n. 626 del 1994 nonché art. 381
del d.P.R. n. 547 del 1977. Con riguardo anzitutto all’art. 2087 c.c. osserva che,
incombendo alle figure apicali dell’assessorato competente l’intera materia
concernente la sfera organizzativa dei cantieri, il direttore del cantiere potrebbe
essere ritenuto responsabile solo ove lo stesso si fosse discostato dagli schemi
organizzativi impostigli.
Quanto all’art. 36 quater cit. osserva che, a fronte di un obbligo, previsto da un
complesso di norme antinfortunistiche, di misure da apprestarsi per i ponteggi
posti ad un’altezza di almeno due metri dal suolo, nella specie il piano di lavoro
non superava 1,20 – 1,50 metri; circa poi la violazione degli artt. 21 e 22 del
d.lgs. n. 626 del 1994, contestando nuovamente la mancanza di elementi per
affermare una omessa formazione ed informazione dei lavoratori sui rischi e sulle
norme antinfortunistiche, incombenze, queste, attribuibili non certo a Mirenda
ma al direttore generale delle foreste, all’ispettore provinciale o al responsabile
della sicurezza e, se del caso, all’assessore pro tempore; parimenti contesta che
a Mirenda fosse addebitabile l’omessa vigilanza sull’uso del casco da parte della
vittima anche ammesso che nella circostanza tale uso non sia effettivamente
avvenuto.

3.2. Con un terzo motivo lamenta la violazione di legge in ordine alla mancanza

di nesso di causalità tra la condotta colposa e l’evento. Osserva che l’unica
condotta atta a impedire concretamente l’evento, tanto più essendo stato il
comportamento della persona offesa palesemente anomalo, imprevedibile ed
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data. Inoltre lo stesso Gebbia ha escluso di avere ricevuto tale disposizione da

imprevisto, avrebbe dovuto essere il controllo fisico diretto, continuo e costante,
spettante al solo caposquadra Ciulla, riconosciuto infatti come definitivamente
colpevole. Anche l’attribuzione di una responsabilità ad ognuno nella misura del
25% sarebbe sganciata da una puntuale individuazione di ogni singola condotta
asseritamente illecita. In particolare, rispetto alle violazioni di legge addebitate a
Mirenda non vi sarebbe in sentenza alcuna indicazione da cui potere desumere lì

accorgimento tecnico nella attività di montaggio del ponteggio in particolare sulla
base di un piano precedentemente redatto, avrebbe impedito che la persona
offesa salisse scriteriatamente sul muro per passare delle tavole.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Entrambi i ricorsi sono fondati nelle parti in cui lamentano, all’interno dei vari
motivi di doglianza (segnatamente, il primo, secondo, terzo e quarto del ricorso
di Gebbia ed il secondo e terzo motivo del ricorso di Mirenda), una mancanza di
motivazione in ordine al profilo della colpa addebitata agli imputati in relazione ai
rilievi evidenziati dalla Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento con
rinvio.
Va anzitutto posto in rilievo come la Corte territoriale, sia pure ai fini di
delineare, in relazione alla rimodulazione del trattamento sanzionatorio e alla
determinazione delle percentuali di responsabilità gravanti su ciascuno degli
appellanti, il comportamento imprudente ed imperito tenuto dal lavoratore Russo
Diesi, abbia ricostruito, nella sentenza impugnata, la dinamica dell’accaduto in
termini chiari ed inequivoci : il lavoratore, hanno infatti precisato i giudici del
rinvio a pag. 15 della sentenza impugnata, ebbe “senza caschetto protettivo e
privo di imbracatura peraltro non predisposta, facendo forse affidamento sulle
proprie capacità di equilibrio e comunque nel rispetto della direttiva ricevuta,
agendo senza il dovuto controllo da parte del Gebbia e del Mirenda oltre che del
Ciulla” ad avventurarsi “sul cordolo alla sommità del muro in costruzione allo
scopo di passare ai compagni di lavoro alcune tavole di lavoro per montare un
ponteggio”, così contribuendo al verificarsi dell’evento.
Ne consegue come, a fronte, del resto, dell’imputazione incentrata
espressamente sulla mancata adozione delle “necessarie cautele”, in tanto può
essere addebitata agli imputati una condotta omissiva colposa in quanto siano
individuate a loro carico condotte omissive (rispetto a doveri sugli stessi
incombenti per legge) che si pongano in relazione di causalità con tale evento
secondo il necessario parametro del giudizio cosiddetto “controfattuale” nel
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efficienza causale delle stesse rispetto alla verificazione dell’evento. Nessun

senso della necessità di verificare se lo stesso, ipotizzandosi come realizzata la
condotta dovuta (ma omessa), si sarebbe ugualmente verificato.
Ciò posto, la Corte territoriale avrebbe dunque dovuto, per necessaria coerenza
con quanto da essa stessa ricostruito in ordine alla dinamica dell’infortunio,
individuare, all’interno di un percorso motivazionale che tenesse conto, altresì,
delle indicazioni evidenziate dalla Quarta Sezione di questa Corte nella sentenza

affermato con riferimento all’imputato Ciulla) evitato che il lavoratore si
“avventurasse”, appunto, sulla sommità del muro noncurante delle misure
protettive (segnatamente caschetto ed imbracatura) e, in tal modo, cadesse a
terra dall’alto.
Sennonché, mentre con riguardo al già condannato Ciulla, la condotta omissiva è
stata propriamente individuata, come già posto in rilievo da questa Corte, nel
non avere lo stesso, presente al momento del fatto in cantiere, impedito al
lavoratore di salire appunto, in assenza di ogni possibile cautela, sulla sommità
del tetto, ove era in costruzione un ponteggio, per passare agli altri operai il
materiale da utilizzare per detta costruzione, con riguardo agli odierni ricorrenti
la motivazione della sentenza impugnata si è soffermata, senza adeguatamente
considerare i rilievi svolti nella sentenza di annullamento con rinvio, su condotte
che, per come valutate in sentenza, appaiono di per sé non conferenti rispetto al
già considerato necessario piano di causalità colposa.
E ciò anzitutto con riguardo all’addebito, sul quale la sentenza impugnata si
sofferma con particolare attenzione, rappresentato dall’impartito ordine di
realizzazione dell’impalcatura.
Secondo la sentenza impugnata, infatti (si vedano in particolare le pagg. 11 e
12), l’ordine di realizzare detta impalcatura venne dato, come confermato dal
teste Mamone, collega di lavoro di Mirenda, da quest’ultimo a Gebbia affinché
egli poi lo riferisse in particolare al capo operaio Ciulla che era autorizzato, in
assenza dell’agente tecnico, ad impartire le disposizione agli altri operai. E
tuttavia, pur apparendo non sindacabile la valutazione delle prove che hanno
logicamente condotto la Corte ad una tale conclusione (censurata da Gebbia con
sulla base di considerazioni tutte inammissibili giacché volte ad introdurre
considerazioni fattuali e di natura alternativa esulanti dai limiti di cognizione di
questa Corte), la sentenza non spiega, fondamentalmente ricadendo
nell’impostazione già censurata nella sentenza della Quarta Sezione, perché un
tale ordine (peraltro espressivo di una condotta commissiva e non omissiva), di
per sé solo concretante né più né meno che una lecita disposizione di lavoro,
dovrebbe integrare in sé solo considerato un profilo di colpa da porsi in relazione
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di annullamento, specifiche condotte che, ove tenute, avrebbero (come già

causale con un evento (la caduta dal tetto del casotto) da tale ordine dipendente
solo per un fatto di consequenzialità occasionale.
Avrebbe invece la Corte dovuto spiegare le ragioni per le quali in realtà,
evidentemente, non tanto l’ordine in sé di realizzare l’impalcatura quanto quello
di procedere ai lavori ad essa finalizzati in consapevole assenza delle necessarie
regole di cautela (quale condotta del resto addebitata anche al già condannato

E ciò senza trascurare, da un lato, le rispettive qualifiche dagli imputati stessi
rivestite, peraltro all’interno di una organizzazione che la sentenza stessa (vedi
pag.10 -11 della sentenza) ha definito come “piramidale” (da ciò derivando la
necessità di tenere conto, nel contesto evidentemente gerarchico che
contrassegna l’Ispettorato Forestale, della latitudine di spazi decisionali
consentita ai vari soggetti in esso operanti), ed i conseguenti compiti da esse
derivanti in concreto e, dall’altro, l’elemento della assenza dal cantiere, il giorno
del fatto, dell’agente tecnico Gebbia.
Sotto il primo aspetto, in particolare, deve ribadirsi, quanto al direttore dei lavori
Mirenda, che, come già ricordato dalla Sezione Quarta di questa Corte, la
qualifica di direttore dei lavori non comporta automaticamente la responsabilità
per la sicurezza sul lavoro ben potendo l’incarico di direttore limitarsi alla
sorveglianza tecnica attinente alla esecuzione del progetto (Sez. 4, n. 49462 del
26/03/2003, Viscovo, Rv. 227070;Sez. 4, n. 12993 del 25/06/1999, Galeotti, Rv.
215165; Sez.3, n. 11593 del 01/10/1993, Telesca, Rv.196929). Si è infatti
chiarito, sia pure con riferimento agli artt.4 e 5 del d.P.R. n. 547 del 1955
(essendo sotto tale profilo analogo il disposto degli attuali art.17, 18 e 19 del d.
Igs. n. 81 del 2008), che destinatari delle norme antinfortunistiche sono i datori
di lavoro, i dirigenti e i preposti, mentre il direttore dei lavori per conto del
committente è tenuto alla vigilanza dell’esecuzione fedele del capitolato di
appalto nell’interesse di quello e non può essere chiamato a rispondere
dell’osservanza di norme antinfortunistiche ove non sia accertata una sua
ingerenza nell’organizzazione del cantiere. Ne consegue che una diversa e più
ampia estensione dei compiti del direttore dei lavori, comprensiva anche degli
obblighi di prevenzione degli infortuni, deve essere rigorosamente provata,
attraverso l’individuazione di comportamenti che possano testimoniare in modo
inequivoco l’ingerenza nell’organizzazione del cantiere o l’esercizio di tali
funzioni.
Sotto il secondo aspetto, poi, sempre questa Corte, con la sentenza di
annullamento con rinvio, ha posto in rilievo la necessità di stabilire se la

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Ciulla) fosse ricollegabile e in che modo alla posizione dei due imputati.

temporanea assenza comunque giustificata di Gebbia potesse dare luogo a valido
esonero dalle obbligazioni di garanzia che sullo stesso gravavano.
Entrambi tali aspetti, già evidenziati con la sentenza di annullamento di questa
Corte, sono stati formalmente presi in esame dal giudice di rinvio; quanto al
primo, avendo i giudici di appello definito, sulla base delle dichiarazioni del teste
Mamone, Mirenda “principale gestore del cantiere” e non semplice incaricato

potesse valere,a fronte dell’omissione di cautele doverose, il fatto del contestuale
impegno lavorativo presso altri cantieri, tanto più essendo emerse palesi carenze
nella individuazione dei collaboratori.
Entrambe le risposte, tuttavia, si fondano sulla premessa, come già visto in
principio, non corretta, che a fondare la colpa contestata sia stata di per sé
sufficiente la sola prescrizione, rivolta, lungo la “catena” gerarchica, al lavoratore
di procedere alla realizzazione dell’impalcatura mentre l’analisi dell’incidenza
“esimente” dei due profili indicati nella sentenza di annullamento avrebbe dovuto
essere, più correttamente, secondo i principi sopra esposti, parametrata sul
nesso di causalità con l’evento verificatosi rispetto al quale tale realizzazione si
poneva unicamente come antecedente storico.
Sicché, in definitiva, la sentenza impugnata ha finito per riproporre le cadenze di
un ragionamento già ritenute non correttamente motivate, imponendosene,
quindi, l’annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di
Palermo per un nuovo giudizio che tenga conto dei principi sopra evidenziati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di
Palermo.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2013
Il Con ‘gliere st.

della sorveglianza tecnica, e, quanto al secondo, avendo ritenuto che a nulla

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