Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1470 del 20/11/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 1470 Anno 2013
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Labzaoui Rachida, nato in Marocco il 30.3.1974;
avverso l’ordinanza emessa 1’11 giugno 2012 dalla corte d’appello di Milano;
udita nella camera di consiglio del 20 novembre 2012 la relazione fatta
dal Consigliere Amedeo Franco;
lette le conclusioni del Procuratore generale con le quali chiede
l’annullamento senza rinvio della ordinanza impugnata con trasmissione atti alla corte d’appello di Milano per il giudizio;
Svolgimento del processo
Il tribunale di Monza, con sentenza 10.7.2008, dichiarò Labzaoui Rachida colpevole del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.p.R. 309 del 1990, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia.
L’imputato propose appello lamentando la mancata assoluzione, la mancata concessione delle attenuanti generiche, l’eccessività della pena e
dell’aumento per la continuazione.
La corte d’appello di Milano, con ordinanza 11 giugno 2012, dichiarò
l’inammissibilità dell’appello per genericità.
L’imputato propone personalmente ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione dell’art. 581 cod. proc. pen. in quanto l’appello non era affatto generico, essendo stati specificamente indicati i motivi di diritto e gli elementi di fatto sui quali si fondava l’impugnazione.
2) mancanza e genericità di motivazione della ordinanza impugnata.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.
La corte d’appello ha ritenuto inammissibile l’appello per genericità dein°,

Data Udienza: 20/11/2012

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grua e argomentata motivazione e che il difensore si era limitato a chiedere una
rivalutazione degli elementi probatori già acquisiti.
Ora, quand’anche così fosse, la circostanza non potrebbe comunque essere
un motivo di inammissibilità dell’appello perché il carattere peculiare del giudizio di appello è proprio quello di avere ad oggetto la riproposizione delle medesime questioni prospettate e respinte in primo grado ed una nuova valutazione
degli elementi probatori acquisiti in primo grado, dal momento che non si verte
in un caso di ricorso di legittimità, bensì di una impugnazione di merito, naturalmente diretta ad una piena revisio prioris instantiae, ovviamente nei limiti
del devoluto. Le parti hanno pertanto la facoltà di rivolgere al giudice di appello
le stesse istanze eventualmente svolte e disattese in primo grado, non essendovi
appunto alcuna preclusione ad una piena rivisitazione nel merito. La riproposizione delle stesse questioni, quindi, non può essere di per sé considerata come
genericità dei motivi di appello. Secondo la giurisprudenza, difatti, «In tema di
impugnazioni, la specificità che deve caratterizzare i motivi di appello deve essere intesa alla luce del principio del “favor impugnationis”, in virtù del quale,
in sede di appello, l’esigenza di specificità del motivo di gravame ben può essere intesa e valutata con minore rigore rispetto al giudizio di legittimità, avuto
riguardo alle peculiarità di quest’ultimo. (In applicazione del principio di cui in
massima la S.C. ha censurato l’ordinanza di inammissibilità dell’appello pronunciata dalla Corte territoriale ancorché la difesa avesse prospettato doglianze
non scollegate dagli accertamenti indicati nella sentenza di primo grado, confrontandosi con essi e, pertanto, formulando motivi di appello dotati delle necessarie, sia pure ridotte all’essenziale, connotazioni di specificità)» (Sez. IV,
7.12.2011, n. 48469, El Katib, m. 251934).
Del tutto a sproposito, poi, l’ordinanza impugnata richiama il principio di
ragionevole durata del processo, il quale non può certo portare addirittura alla
negazione del diritto di ottenere un nuovo pieno giudizio di merito in appello.
Del resto, la Corte costituzionale ha precisato che la ragionevole durata del processo «assicura anche che esso duri per il tempo necessario a consentire un adeguato spiegamento del contraddittorio e l’esercizio del diritto di difesa» (sent.
n. 281 del 2010). Appare poi sconcertante il richiamo alla finalità di non impegnare risorse giudiziarie anche economiche al fine di negare il diritto ad un giudizio di appello in contraddittorio.
Giustamente il difensore del ricorrente lamenta come questo tipo di provvedimenti possa essere visto come un tentativo assai pericoloso ed illegittimo di
eliminare surrettiziamente un grado di giudizio attraverso lo strumento della inammissibilità dei motivi.
Altrettanto esattamente il ricorrente lamenta che, semmai, ad essere viziata
da assoluta genericità è proprio l’ordinanza impugnata, la quale si limita a richiamare in astratto una serie di massime di giurisprudenza senza specificarne
l’aggancio con il caso concreto nonché ad affermare apoditticamente che la sentenza di primo grado presenterebbe una motivazione dettagliata ed esaustiva e
che invece l’appello sarebbe generico, dilatorio e pretestuoso, senza dare alcuna

motivi di impugnazione, osservando che gli stessi riproponevano questioni già
tutte prospettate in primo grado e disattese dal primo giudice con ampia, con-

spiegazione di questa considerazione e senza indicare gli elementi posti a fondamento della stessa.
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vo, né sotto il profilo della correlazione tra motivi di appello e quelli posti a base della sentenza impugnata, né sotto il profilo della specificità dei motivi stessi. L’appellante aveva assolto all’onere di indicare in modo chiaro e preciso gli
elementi di fatto che erano alla base delle censure svolte ed aveva posto il giudice dell’impugnazione nella condizione di individuare i rilievi mossi e di esercitare il proprio sindacato di merito. Aveva infatti censurato la motivazione della sentenza di primo grado sotto il profilo della insufficienza degli elementi indiziari senza una valutazione di altri elementi concreti e fattuali presenti nella
fattispecie e specificamente indicati. Aveva poi puntualmente censurato
l’immotivato rigetto delle attenuanti generiche e l’eccessività del trattamento
sanzionatorio richiamando concrete circostanze di fatto ed éccependo l’assoluta
mancanza di motivazione della sentenza di primo grado in proposito. Il giudice
di appello era pertanto in grado di comprendere le censure svolte e di compiere
un nuovo sindacato di merito.
L’ordinanza impugnata deve dunque essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti ad altra sezione della corte d’appello di Milano per il giudizio di merito sull’appello.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti
ad altra sezione della corte d’appello di Milano.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 20
novembre 2012.

Nel caso di specie, poi, i motivi di appello non potevano certamente considerarsi generici nemmeno con un criterio di valutazione rigorosamente restritti-

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