Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 14668 del 09/01/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 14668 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BARBARISI MAURIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Caccavallo Antonio

n. il 24 ottobre 1966

avverso
l’ordinanza 19 febbraio 2013 — Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila;
sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Maurizio Barbarisi;
lette le conclusioni scritte del rappresentante del Pubblico Ministero, sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione, che ha chiesto il rigetto del ricorso con
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali;

Data Udienza: 09/01/2014

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

Ritenuto in fatto
1. — Con ordinanza deliberata in data 19 febbraio 2013, depositata in cancelleria il 28 febbraio 2013, il Tribunale di Sorveglianza di L’Aquila rigettava l’istanza avanzata nell’interesse di Caccavallo Antonio volta al differimento dell’esecuzione
della pena per grave infermità (ai sensi dell’art. 147 n. 2 cod. pen.).
Il giudice argomentava la propria decisione rilevando che la lamentata incompa-

altà non dalla gravità delle patologie rappresentate e poste in evidenza dalle conclusioni peritali, bensì dalle particolari condizioni della struttura carceraria ove il detenuto è incarcerato che non consentivano, allo stato, il trattamento riabilitativo necessario. Veniva pertanto osservato che occorreva individuare presidi specializzati
ai fini di una riassegnazione del detenuto in struttura più idonea, previa interrogazione sul punto del DAP.
2. — Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore, ha interposto
tempestivo ricorso per cassazione Caccavallo Antonio chiedendone l’annullamento
per vizi motivazionali.
In particolare è stato rilevato dal ricorrente che la decisione interlocutoria del
giudice si risolveva in un vulnus del richiedente che faceva permanere lo stato di
rilevata incompatibilità atteso peraltro che non era certo che sarebbe stato trovato
un istituto idoneo e disponibile.

Osserva in diritto
3. — Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.
3.1 — È noto che, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, il differimento facoltativo della pena per motivi di salute può essere concesso solo se sia
stata diagnosticata una “grave infermità fisica” e ricorra un serio e conclamato pericolo quoad vitam (cfr. Cass., Sez. 1, 22 novembre 2000, n. 8936, rv. 21829, Piromalli; Cass., Sez. 1, 24 giugno 2008, n. 27313, rv. 240877, Commisso) o venga
accertata l’impossibilità di praticare utilmente in ambiente carcerario le cure necessarie nel corso dell’esecuzione della pena. In quest’ultimo caso poi occorre valutare
se le condizioni di salute del condannato siano o meno compatibili con le finalità
rieducative proprie della pena e con le concrete possibilità di reinserimento sociale

Ud. in c.c.: 9 gennaio 2014

Cacca vallo Antonio — RG: 24441/13, RU: 11;

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tibilità dello stato dì salute del richiedente con il regime carcerario, dipendeva in re-

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

del condannato, conseguenti all’attività rieducativa svolta, cosicché l’espiazione della pena debba essere legittimamente differita solo se, per la natura particolarmente
grave dell’infermità del condannato, l’esecuzione della pena possa ritenersi come
avvenuta in aperto dispregio del diritto alla salute e del senso d’umanità, al quale
deve essere improntato il trattamento dei detenuti, per le eccessive e ingiustificate
sofferenze che essa possa arrecare al condannato (cfr. Cass., Sez. 1, 18 giugno
2008, n. 28555, rv. 240602; Sez. 1, 23 settembre 1996, n. 4690, rv. 205750) e le

tuali situazioni acute e di crisi ben possono essere fronteggiate con il ricovero esterno, ex art. 11 L. 26 luglio 1975, n. 354 (Cass., Sez. 1, 28 settembre 2005, n.
36856, rv. 232511, La Rosa).
3.2. — Ciò posto si osserva che il ricorso, largamente volto a non consentita rilettura in fatto, pur deducendo (per valutazione soggettiva) una situazione sanitaria
più grave di quella accertata in atti, non invoca né pericolo quoad vitam, né un’effettiva incompatibilità con l’ambiente carcerario, e neppure uno scadimento al disotto della soglia minima di dignità umana, limitandosi a rilevare alcune difficoltà psicologiche del detenuto che, al più, investono i limiti discrezionali delle opportunità
trattamentali degli operatori di Istituto. Correttamente peraltro il giudice di merito
ha dato adeguatamente conto, con motivazione immune da errori logici e giuridici,
delle specifiche ragioni che hanno portato a ritenere la compatibilità delle condizioni
di salute lamentata dal prefato con il regime carcerario in atto ribadendo che il trattamento intra moenia non costituisce allo stato ostacolo alla sottoposizione ad adeguate cure ovvero potendo il condannato essere appoggiato eventualmente ad altre
strutture facenti sempre parte dell’amministrazione penitenziaria o in luoghi esterni
ai sensi dell’art. 11 L. 26 luglio 1975, n. 354 peraltro di pronta fruibilità.
Il giudice di merito ha inoltre in modo del tutto condivisibile rilevato che le conclusioni peritali, cui fa riferimento anche il ricorrente, non si esprimono affatto per
la assoluta incompatibilità del condannato, bensì per una incompatibilità relativa
alla struttura di quel determinato carcere ove al momento della istanza il soggetto
era ristretto, sicché la decisione interlocutoria di una diversa sistemazione non è
aggredibile sotto il profilo della non accettabilità dei possibili ritardi di individuazione
della struttura adatta, posto che tale specifico profilo attiene a un ambito meramente amministrativo, di gestione amministrativo-logistica del detenuto, non prospettabile in questa sede di legittimità per non incidere sulla tutela di diritti soggettivi.

Ud. in c.c.: 9 gennaio 2014 — Cacca vallo Antonio — RG: 24441/13, RU: 11;

cure necessarie non siano praticabili in istituto, considerando peraltro che le even-

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

4. — Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali

per questi motivi
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Il

nsigliere estensore

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 9 gennaio 2014

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