Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1464 del 09/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 1464 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: LOCATELLI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PETRONIO DOMENICO FRANCESCO N. IL 15/02/1963
avverso l’ordinanza n. 718/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
06/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
LOCATELLI;
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 09/12/2013

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6.5.2013 il Tribunale del riesame di Catania,
adito a norma dell’art.309 cod.proc.pen., confermava la misura cautelare
della custodia in carcere disposta dal Giudice delle indagini preliminari nei
confronti di Petronio Domenico Francesco, indagato per il reato previsti
dall’art.416 bis commi 1,2,4 e 6 cod.pen. per avere fatto parte della
famiglia catanese di “Cosa nostra” promossa e diretta da Santapaola

articolazione operante nel quartiere di Picanello Con le aggravanti di
essere l’associazione armata e di aver assunto o mantenuto il controllo di
attività economiche finanziandole in tutto o in parte con i proventi dei
delitti commessi. In Catania ed in provincia sino all’aprile 2010.
Avverso l’ordinanza il difensore propone ricorso denunciando
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in
relazione alla ritenuta gravità indiziaria: il compendio indiziario posto a
fondamento dell’ordinanza applicativa si esaurisce nelle dichiarazioni
estremamente generiche rese dai collaboratori; il Tribunale del riesame
ha ritenuto la sussistenza di un quadro di gravità indiziaria prescindendo
totalmente dai criteri di valutazione della chiamata in correità elaborati
dalla giurisprudenza di legittimità; le dichiarazioni di Scorciapino non
forniscono alcun elemento idoneo a dare consistenza a quella che rimane
una semplice propalazione; ribadisce il contenuto equivoco della
dichiarazioni resa da D’Aquino Gaetano non potendosi escludere che la
riferita appartenenza al gruppo mafioso dei Santapaola non riguardasse
Petronio ma soltanto il di lui cugino; tra i soggetti con cui Petronio è stato
controllato non vi era nessuno degli appartenenti al gruppo di Picanello;
2) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
avendo il decidente omesso di fornire adeguata motivazione in relazione
alla ritenuta sussistenza della presunzione di pericolosità di cui all’art.273
comma 3 cod.proc.pen; il Tribunale del riesame non ha valutato la
risalenza nel tempo dei fatti addebitati al ricorrente ( collocabili negli anni
2005 e 2006) e non ha fornito alcuna spiegazione in ordine alla proclività
a delinquere del ricorrente che svolge una regolare attività lavorativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

Benedetto , Ercolano Aldo e Santapaola Vincenzo, ed in particolare della

1.11 Tribunale del riesame ha confermato la sussistenza di gravi indizi
di colpevolezza risultanti dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia:
in particolare, Scorciapino Ettore (appartenente alla famiglia Santapaola)
riconosceva fotograficamente Petronio, affermando che faceva
l’infermiere ed era genero di Caudullo Orazio; dichiarava che faceva
parte del “gruppo di Picanello”, si occupava degli affari del suocero
ritirando per suo conto lo stipendio pagato dal sodalizio, trafficava in

mentre per la marijuana si rivolgeva a Gulisano Giuseppe; nel 2006
Petronio si era recato a casa sua su ordine di Melo Salemi per recuperare
la somma di euro 4000 che egli doveva a Ferrante Filippo; D’Acquino
Gaetano ( appartenente al clan Cappello) riferiva che Petronio Domenico,
riconosciuto in fotografia, faceva parte del clan Santapaola e si occupava
di spaccio di stupefacenti; respingeva l’interpretazione proposta dalla
difesa, secondo cui le affermazioni del collaboratore risultanti dal verbale
integrale di interrogatorio avrebbero potuto riferirsi al “cugino in carcere”
di Petronio e non a quest’ultimo; Barbagallo Ignazio, pur ammettendo di
non essere in grado di fornire indicazioni su Petronio Domenico, che
conosceva come genero di Caudullo Orazio, riferiva che in una occasione
questi si era recato a Platania per discutere dello “stipendio” del suocero,
il quale si lamentava di non riceverlo regolarmente e che esso fosse
insufficiente; Petronio voleva discutere di ciò prima con lo stesso
Barbagallo e poi con Magri.
Le argomentazioni svolte dal Tribunale del riesame, a conferma della
sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, non presentano vizi logici e
sono conformi ai criteri legali e giurisprudenziali in materia di valutazione
delle chiamate in correità, avendo il giudice cautelare ritenuto il carattere
non generico delle convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia,
che indicavano il ricorrente come associato, dedito al traffico di droga,
che si era occupato di trattare l’entità dello “stipendio” che
l’organizzazione criminosa riconosceva la suocero.
La motivazione con cui il Tribunale del riesame ha ritenuto che le
dichiarazioni del collaboratore D’Acquino fossero propriamente riferite al
ricorrente e non al di lui cugino, è priva di vizi logici manifesti ed
incensurabile nel merito.

2

cocaina e marijuana; talvolta gli aveva personalmente fornito la cocaina,

Trasmessa copia r”‹ art. 23
n. 332
n, i tor L.

il 5 6EN. 2014

2.11 Tribunale del riesame ha correttamente applicato la regola per
cui la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, con
riferimento ai reati indicati dall’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen.,
può essere vinta attraverso la deduzione, da parte dell’interessato di
elementi specifici di segno contrario. (Sez. 3, n. 25633 del 08/06/2010,
R., Rv. 247698). Nel merito ha valutato che lo svolgimento da parte

escludere la sussistenza di esigenze cautelari, non avendo tale attività
lavorativa svolto alcuna funzione deterrente rispetto alla consumazione
del delitto associativo, né rispetto ai delitti in materia di droga per i quali
il ricorrente aveva già riportato condanna.
La motivazione del giudice cautelare non denotano alcun vizio logico.
Le censure svolte nel motivo di ricorso non evidenziano vizi di legittimità
ma si sostanziano nel prospettare un diverso apprezzamento dei dati
fattuali, non consentito nel giudizio di legittimità.
A norma dell’art.616 cod.proc.pen. il ricorrente deve essere
condannato al pagamento delle spese processuali e, sussistendo il
presupposto soggettivo, al versamento in favore della Cassa delle
ammende della somma di mille euro.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento

delle spese processuali ed al versamento in favore della Cassa delle
ammende della somma di mille euro.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del
provvedimento al direttore dell’ istituto penitenziario, ai sensi dell’art.94
comma 1 ter norme att. cod.proc.pen.
Così deciso in Roma il 9.12.2013.

dell’indagato dell’attività di infermiere non costituiva elemento idoneo ad

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