Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1463 del 09/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 1463 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: LOCATELLI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DATO VINCENZO N. IL 06/01/1976
avverso l’ordinanza n. 725/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
06/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
LOCATELLI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. )7Q-AA-‘” FAA,t(‘ edii‘
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 09/12/2013

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 8.5.2013 il Tribunale del riesame di Catania,
adito a norma dell’art.309 cod.proc.pen., confermava la misura cautelare
della custodia in carcere disposta dal Giudice delle indagini preliminari nei
confronti di Dato Vincenzo, indagato per il reato previsti dall’art.416 bis
commi 1,2,4 e 6 cod.pen. per avere fatto parte della famiglia catanese di
“Cosa nostra” promossa e diretta da Santapaola Benedetto , Ercolano

territorio; associazione che si avvaleva della forza di intimidazione del
vincolo associativo per commettere una serie indeterminata di reati
contro la vita, la libertà personale, il patrimonio , la pubblica
amministrazione, per acquisire la gestione e comunque il controllo di
attività economiche, per realizzare profitti o vantaggi ingiusti , per
intervenire sulle istituzioni e sulla pubblica amministrazione. Con le
aggravanti di essere l’associazione armata e di aver assunto o mantenuto
il controllo di attività economiche finanziandole in tutto o in parte con i
proventi dei delitti commessi. In Catania ed in provincia sino all’aprile
2010.
Avverso l’ordinanza il difensore propone ricorso per violazione di
legge, mancanza e manifesta illogicità della decisione, formulando i
seguenti motivi: il Tribunale del riesame, dopo aver ritenuto inutilizzabili
per assoluta genericità del narrato le propalazioni di Laudani Giuseppe,
Sciacca Salvatore e Riso Carmelo, ha ritenuto la gravità indiziaria sulla
base delle dichiarazioni di Anselmi Nazareno, Sciacca Mario e Scollo
Antonino, mentre anch’esse dovevano ritenersi affette dal medesimo vizio
di genericità, non essendo dimostrative di uno specifico contributo
causale offerto alla societas sceleris;

richiama una pronuncia della

giurisprudenza di legittimità secondo cui plurime dichiarazioni che si
limitino ad affermare la generica conoscenza dell’appartenenza di un
soggetto ad un sodalizio criminoso non costituiscono un compendio
indiziario sufficientemente grave.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Il Tribunale del riesame ha confermato la sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza a carico del ricorrente, risultanti dalle dichiarazioni di sei

Aldo e Santapaola Vincenzo, articolata in vari gruppi stanziati sul

collaboratori di giustizia. Con riguardo alle dichiarazioni accusatorie dei
collaboratori Sciacca Salvatore, Riso Carmelo e Laudani Giuseppe, che
indicavano Dato Vincenzo come soggetto affiliato al clan Santapaola
gruppo di Picanello, riteneva che esse, essendosi fermate alla semplice
enunciazione della appartenenza di Dato al sodalizio mafioso dei
Santapaola, dovevano essere considerati meri indizi di colpevolezza non
connotati dalla necessaria gravità. Diversamente, integravano i gravi

Anselmi Nazareno, Sciacca Mario e Scollo Antonino i quali avevano fornito
dettagli afferenti a condotte e comportamenti specifici di Dato Vincenzo
concretamente valutabili quali elementi sintomatici di una fattiva
adesione alla vita del sodalizio mafioso Santapaola: in particolare,
Anselmi Nazareno (appartenente al clan Laudani, alleato del clan
Santapaola) riconosceva Dato Vincenzo quale appartenente al “gruppo di
Picanello” del clan dei Santapaola, precisava di averlo conosciuto nel
quartiere Canalicchio in occasione di incontri tra appartenenti al clan
Laudani ed al clan Santapaola e che egli era solito portare “ambasciate”
da Picanello a Canalicchio; Sciacca Mario (appartenente al clan Laudani)
riconosceva fotograficamente Dato Vincenzo come affiliato al clan
Santapaola gruppo di Picanello; affermava di averlo conosciuto durante
una comune detenzione nel carcere di Catania-piazza Lanza nel 2003
dove aveva ricevuto da Dato il titolo di “figghiozzo di galera”,
aggiungendo che Dato si occupava di rapine; a riscontro era acquisita
documentazione attestante la comune detenzione intervenuta nel 2002 e
l’avvenuto arresto di Dato per una tentata rapina ai danni di un ufficio
postale di Torino commessa 23.9.2008; Scollo Antonino( appartenente al
gruppo Lineri -San Giorgio del clan Santapaola) riconosceva Dato
Vincenzo come un appartenente al gruppo di Picanello; lo aveva
conosciuto durante i periodi di comune detenzione nel carcere di Catania
e di Caltagirone; nel 2007 lo aveva rivisto a Picanello in occasione di
incontri con esponenti di quel gruppo.
La motivazione svolta nell’ordinanza impugnata non incorre in alcuna
violazione di legge, non presenta vizi logici, né si discosta dalla
giurisprudenza di legittimità citata dal ricorrente (Sez. 6, n. 40520 del
25/10/2011, Falcone, Rv. 251063), avendo correttamente ritenuto che le

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indizi di colpevolezza le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia

dichiarazioni dei collaboratori che si limitino ad affermare la generica
conoscenza dell’appartenenza di un soggetto ad un sodalizio criminoso
non costituiscono un compendio indiziario sufficientemente grave per
l’adozione di una misura cautelare personale per il reato associativo, pur
costituendo indizi a carico e non elementi del tutto privi di valenza
probatoria (come sostenuto dal ricorrente); con riguardo ai collaboratori
di giustizia Anselmi Nazareno, Sciacca Mario e Scollo Antonino il Tribunale

del ricorrente, con particolare riguardo “alla fattiva partecipazione
dell’indagato a riunioni di tenore associativo tra esponenti di clan alleati,
o comunque tra esponenti di gruppi del medesimo clan”.
A norma dell’art.616 cod.proc.pen. il ricorrente deve essere
condannato al pagamento delle spese processuali e, sussistendo il
presupposto soggettivo, al versamento in favore della Cassa delle
ammende della somma di mille euro.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna al pagamento delle spese
processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del
provvedimento al direttore dell’ istituto penitenziario, ai sensi dell’art.94
comma 1 ter norme att. cod.proc.pen.
Così deciso il 9.12.2013.

del riesame ha invece rilevato che essi riferiscono specifici comportament

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