Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 14616 del 25/02/2014

Penale Sent. Sez. 4 Num. 14616 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
X.Y.
avverso la sentenza n. 9713/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
06/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. o. t NcEntz t9 4ete
che ha concluso per tU

Data Udienza: 25/02/2014

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Roma ha
confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Roma ha condannato X.Y.
alla pena di sette mesi di reclusione per i reati p. e p. dagli art. 590 cod.
pen. e 189, commi 1 e 6, cod. strada oltre che al risarcimento del danno in
favore della parte civile, da liquidarsi in separata sede.
Secondo la descrizione del fatto contenuta nel primo capo di imputazione, la

Cola di Rienzo con direzione piazza Risorgimento, giunta alla intersezione con la
via Lucrezio Caro, in violazione dell’art. 154 cod. strada e comunque per
imprudenza, non avendo controllato dallo specchio retrovisore il sopraggiungere
di veicoli, svoltava improvvisamente a sinistra tagliando la strada al motociclo
Honda che sopraggiungeva nella stessa direzione condotto da T.U.
che, rovinato a terra, riportava lesioni personali guaribili in 10
giorni.
Con la seconda imputazione si contestava inoltre alla predetta di aver
omesso, in occasione del sinistro sopra descritto, di prestare soccorso alla
predetta parte lesa, dandosi alla fuga. Fatti commessi il 31/07/2007.
A fondamento della decisione impugnata, la corte territoriale rileva che la
censura mossa dall’imputata, secondo cui la versione dei fatti resa dal T.U. e
dalla teste R.N. è contraddittoria e inattendibile, non può essere
condivisa, non essendovi motivi per non ritenere attendibile il T.U. , «stante
l’assenza di elementi di prova di segno contrario e la presenza di tutta una serie
di elementi di riscontro alle sue dichiarazioni», e che al contrario ad essere
inverosimile è la versione dell’incidente fornita dall’imputata, secondo cui era
stato il T.U. ad andarle addosso apposta e ad allontanarsi dal luogo del
sinistro.
Secondo la Corte d’appello, tale ultima ricostruzione dei fatti è smentita dal
fatto che, come risulta dalla documentazione sanitaria del pronto soccorso,
l’imputato,ha riportato lesioni ed è rimasto sul posto fino al suo trasporto in
ospedale ed inoltre dal fatto che la moto del T.U. era rimasta in terra fino
all’intervento della polizia giudiziaria. Il racconto del T.U. inoltre è stato
ritenuto attendibile anche per quanto concerne il reato di cui al capo B,
risultando dalle sue dichiarazioni che l’imputata si è allontanata dal posto
dell’incidente, senza preoccuparsi di accertare quali erano le sue condizioni
fisiche e che lesioni aveva riportato.

2.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’imputata,

2

predetta, mentre percorreva, alla guida di una Alfa Romeo 147, in Roma, la via

personalmente, sulla base di quattro motivi.

2.1. Con il primo deduce violazione di legge e vizio di motivazione.
Rileva che, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, dall’istruttoria
emergono elementi in contraddizione con quanto affermato dalla parte civile e
dalla teste R.N. , quali in particolare: a) la mancanza di
ammaccature nella carrozzeria della propria autovettura (in contrasto con
l’affermazione del T.U.  di essere caduto sulla macchina); b) la mancata
conferma da parte della teste R.N. del fatto che essa odierna ricorrente
avrebbe profferito espressioni ingiuriose; c) l’affermazione della teste Francesca
Bezzi secondo cui il T.U. si è alzato da terra senza l’aiuto di nessuno e si
presentava lucido e vigile: in contrasto con l’affermazione della teste R.N.
secondo cui il T.U. è rimasto a terra.
Si duole, inoltre, che la Corte d’appello ha omesso di valorizzare la
circostanza che la ricostruzione dei fatti da essa dedotta era stata già resa il
giorno dopo il fatto negli uffici della sezione infortunistica della polizia di
Frosinone.
Osserva ancora che dalle dichiarazioni rese dalla stessa persona offesa
emergeva che questi era consapevole delle manovre che lei stava facendo e che
ciononostante effettuava molto imprudentemente con il suo motociclo la
manovra di sorpasso, vietata nella via che era in quel momento percorsa. Allo
stesso modo anche la versione della teste R.N. , che ha dichiarato ai vigili il
giorno del sinistro che «la moto era affiancata all’auto nella parte posteriore
come se stesse effettuando il sorpasso» e che «è stata costretta a spostarsi
verso sinistra», denota che non c’è stata repentina inversione ad U ma anzi il
motociclista ha avuto il tempo di spostarsi verso sinistra perché accortosi della
manovra che la conducente dell’autovettura stava effettuando.
Rileva ancora che la circostanza che il T.U. si sia allontanato dal luogo del
sinistro è provata dal fatto che il referto medico in suo possesso risale ad appena
11 minuti dopo l’incidente ed è inoltre confermata dalla dichiarazione della teste
Bezzi, che ha affermato di non aver visto alcuna ambulanza ed inoltre che,
subito dopo il sinistro, la moto del T.U. venne spostata e quest’ultimo, lucido e
vigile, si preoccupò di chiamare uno studio presso cui si stava recando a piedi
(mostrandosi dunque, nota la ricorrente, tutt’altro che dolorante e accasciato al
suolo in attesa di ambulanza).

2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione
in ordine alla ritenuta responsabilità per il reato di cui al capo B.
Osserva che l’affermazione della parte civile secondo cui lei sarebbe

..

scappata dopo il sinistro è contraddetta dal fatto che il T.U. ha avuto modo di
guardarla in viso tanto da descriverne le fattezze e dalla affermazione dello
stesso secondo cui la conducente dell’autovettura «si è fermata un attimo per
inveire».

Rileva inoltre che sia dalla propria ricostruzione dei fatti, sia da quanto
dichiarato dalla teste Bezzi, sia dal referto di pronto soccorso, poteva desumersi
che al momento del sinistro il T.U. non manifestava stato di sofferenza alcuna.

contraddittorietà della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio,
lamentando in particolare che la Corte d’appello ha omesso di valorizzare
adeguatamente la «minorata capacità delinquenziale dell’imputata», risultante
dall’assenza di precedenti penali e giudiziari e dalle condizioni di vita individuali,
familiari e sociali, nonché di considerare che essa ricorrente aveva sporto
denuncia per calunnia nei confronti del T.U. , circostanza sintomatica della
ferma convinzione di non aver commesso i fatti.

2.4. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia carenza di motivazione per
non avere la corte territoriale concesso il beneficio della non menzione della
condanna nel certificato del casellario giudiziale, applicabile anche d’ufficio.

3. Con nota depositata in data 24/02/2014 la ricorrente, per mezzo di nuovo
difensore, ha lamentato di non aver ricevuto alcun avviso dell’udienza avanti
questa S.C., essendo stato questo notificato all’Avv. Francesco De Cristofaro che
assume aver nominato esclusivamente per il grado d’appello; si duole inoltre
che, sebbene per tal motivo essa risultasse priva di difensore, non si è
provveduto alla nomina di difensore di ufficio.

Considerato in diritto

4. Non sussiste la dedotta nullità della notifica dell’avviso di udienza.
Risulta dagli atti del processo – che questa Corte può direttamente
esaminare trattandosi di vizio in procedendo

che, con atto depositato in data

20/04/2012 nella Cancelleria del Tribunale di Roma, l’imputata ha nominato, in
vista del proponendo appello, quale suo nuovo difensore di fiducia l’Avv.
Francesco De Cristofaro del Foro di Roma. Diversamente da quanto dedotto dalla
ricorrente con la surrichiamata nota, tale atto non contiene alcuna limitazione del
mandato al solo giudizio di appello, dovendosi pertanto presumere la sua
ultrattività anche per il presente giudizio di legittimità, in mancanza di successive

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2.3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce ancora manifesta illogicità e

revoche.
Una volta intervenuta, infatti, la nomina è sorretta dal principio
dell’immanenza, per cui, in assenza di una espressa e contraria manifestazione
di volontà o di una causa risolutiva del rapporto, esplica effetti per tutto il corso
del giudizio, come in caso di ricorso per cassazione, proponibile dal medesimo
difensore che abbia assistito la parte nel merito, senza che necessiti un ulteriore
e specifico mandato (cfr. Sez. 3, n. 22050 del 19/05/2006, Chiras, Rv. 234698;
Sez. 6, n. 8350 del 16/12/2010 – dep. 02/03/2011, Fusco, Rv. 249584; Sez. 1,

Nessuna necessità vi era pertanto di nominare un difensore d’ufficio,
risultando il predetto avvocato De Cristofaro, abilitato al patrocinio in cassazione,
e inoltre la notifica dell’avviso d’udienza, effettuata nei confronti di detto
difensore, deve ritenersi pienamente idonea a consentire alla ricorrente di averne
tempestiva conoscenza, discendendone l’infondatezza dell’ulteriore doglianza
relativa alla mancata notifica dell’avviso alla parte personalmente.
Ed invero, a mente dell’art. 610, comma 5, cod. proc. pen. nessun avviso
dell’udienza di discussione del ricorso in cassazione compete all’imputato,
essendo dovuto solo al suo difensore, abilitato al patrocinio in questa sede di
legittimità. Soltanto nelle ipotesi in cui il ricorrente sia privo di difensore o quello
di fiducia non sia abilitato all’anzidetto patrocinio è dovuto l’avviso alla parte
personalmente nonché al difensore d’ufficio appositamente nominato (v. ex aliis
Sez. 5, n. 29763 del 28/05/2010, Longo, Rv. 248263).

5. È infondato il primo motivo di ricorso.
Questa Corte, chiamata ad esaminare la denunciata contraddittorietà e la
carenza motivazionale, non può invero fare a meno di rilevare l’infondatezza
delle censure al riguardo proposte, non potendosi revocare in dubbio l’intrinseca
coerenza logica e l’adeguatezza del percorso argomentativo della impugnata
sentenza, tanto più in quanto suscettibile di essere integrato – per il nuovo
principio della c.d. doppia conforme – dalle argomentazioni contenute nella
sentenza di primo grado, integralmente confermata.

5.1. Le presunte lacune o contraddizioni segnalate dalla ricorrente investono
invero, con ogni evidenza, aspetti marginali ovvero non possono affatto ritenersi
tali ovvero ancora si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione
delle prove come tale certamente inammissibile nel giudizio di legittimità.
Ed infatti:
sub a) l’esistenza o meno di segni evidenti dai quali possa desumersi la
proiezione ovvero la gravità della caduta del motociclista a seguito dell’impatto,

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n. 3259 del 02/05/2000, Selini, Rv. 216756).

non toglie che quest’ultimo vi sia stato, né che abbia cagionato delle lesioni al
predetto, ciò risultando comunque pacifico in causa, e non essendo negato
nemmeno dalla ricorrente;
sub b) non si ricava affatto dalla motivazione della sentenza impugnata che
la teste R.N. abbia negato che l’imputata abbia profferito parola ingiuriose
nei riguardi del motociclista, ma che ha semplicemente detto di averla vista dalla
sua postazione abbassare il finestrino della propria autovettura e dire qualcosa al
motociclista, precisando tuttavia di non aver percepito il contenuto delle frasi

nemmeno espressamente lo contraddice: fermo restando che anche in tal caso si
tratta di aspetto con ogni evidenza del tutto marginale della vicenda;
sub e) il riferimento alle dichiarazioni della teste Bezzi, tale almeno indicata
in ricorso, è inammissibile, trattandosi di prova mai neppure menzionata né nella
sentenza impugnata, né in quella di primo grado. Ammesso che tale essa fosse ma ciò non è neppure affermato dalla ricorrente, che precisa trattarsi di
dichiarazioni scritte allegate a una memoria depositata in giudizio dalla parte
civile, non constando dunque nemmeno che si tratti effettivamente di prova
testimoniale legittimamente acquisita al processo – l’utilizzo che la ricorrente ne
fa a supporto della propria tesi sottintende evidentemente una doglianza di
omessa valutazione di prova ovvero di travisamento di prova, che (fondata o
meno che sia rispetto alle conclusioni che la parte ne intende trarre) nella specie
deve ritenersi preclusa dal fatto che ci si trova in presenza di una c.d. doppia
conforme e cioè di una doppia pronuncia di eguale segno (nel nostro caso, di
condanna).
In tal caso infatti il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in
sede di legittimità solo nel caso – che nella specie non si verifica – in cui il
ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio
asseritannente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di
valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado.
Ed invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella
dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del
2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando
nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel
processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può
essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella
di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite
del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice
d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti
a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (v. ex multis Sez. 4, n.

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rivolte; il che se non conferma quanto sul punto dichiarato dalla persona offesa,

19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636; Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007,
Medina, Rv. 236130).
Nel caso di specie, invece, il giudice di appello ha riesaminato lo stesso
materiale probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo avere preso atto delle
censure dell’appellante, è giunto alla medesima conclusione della assenza di
responsabilità.
Può ad abundantiam comunque rilevarsi che, stando alle frasi trascritte in
ricorso, nessuna patente contraddizione nemmeno è desumibile dalle

atteso che, da un lato, la teste R.N. non aveva detto al contrario che il
T.U. poté alzarsi da terra soltanto attraverso l’aiuto dei soccorritori, dall’altro,
nemmeno la Bezzi ha escluso che il motociclista dovette essere condotto in
ospedale. Anche in tal caso peraltro trattasi di circostanza marginale nella
ricostruzione del fatto e delle sue conseguenze, non potendosi comunque negare
che conseguenze lesive vi siano state, risultando essa dal referto del pronto
soccorso in sè non contestato nemmeno dalla ricorrente.

5.2. Quanto alle restanti osservazioni, è appena il caso di rilevare che non vi
è alcun motivo logico per attribuire prevalenza alla ricostruzione del sinistro
offerta dall’imputata, sol perché identica a quella da essa stessa resa il giorno
dopo agli agenti della infortunistica stradale di Frosinone, senza considerare che
si tratterebbe comunque al più di una ricostruzione appunto meramente
alternativa a quella accolta dal giudice di merito, come tale certamente inidonea
a dimostrare di per sé che quest’ultima sia incoerente con i risultati
dell’istruttoria o manifestamente illogica.

5.3. È evidente, in definitiva, che – come già accennato – le critiche mosse
dalla ricorrente si risolvono nella mera prospettazione di altra interpretazione
delle emergenze processuali, come noto, in sé irrilevante ai fini del sindacato che
compete in questa sede operare.
Giova al riguardo rammentare che in tema di sindacato del vizio di
motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la
propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, ma solo quello di
stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione,
dandone una corretta e logica interpretazione, con esaustiva e convincente
risposta alle deduzioni delle parti; se abbiano, quindi, correttamente applicato le
regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la
scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del
13/12/1995 – dep. 29/01/1996, Clarke, Rv. 203428; Sez. U, n. 12 del

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dichiarazioni della Bezzi, circa le condizioni del T.U. subito dopo l’incidente,

31/5/2000, Jakani, Rv. 216260). E poiché il vizio di motivazione deducibile in
sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo
del provvedimento impugnato, o – a seguito della modifica apportata all’art. 606
comma 1, lett. e) cod. proc. pen., dall’art. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46

da «altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame»,

tanto comporta, quanto al vizio di manifesta illogicità, per un verso, che il
ricorrente deve dimostrare in tale sede che l’iter argomentativo seguito dal
giudice è assolutamente carente sul piano logico e, per altro verso, che questa

interpretazione o di un altro iter, quand’anche in tesi egualmente corretti sul
piano logico; ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato
logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti
si presterebbero ad una diversa lettura o interpretazione, ancorché, in tesi,
munite di eguale crisma di logicità (cfr. Sez. U, n. 30 del 27/9/1995; Sez. U, n.
6402 del 30/4/1997; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; in
termini sostanzialmente identici, ancorché con riferimento alla materia cautelare,
Sez. U, n. 16 del 19/6/1996, Di Francesco, Rv. 205621; e non dissimilmente,
Sez. U, n. 30 del 27/9/1995, Mannino, Rv. 202903; Sez. U, n. 19 del
25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; e, con riguardo al giudizio, Sez. U, n.
930/96 del 13/12/1995, cit.; Sez. U, n. 12 del 31/5/2000, cit).
Inoltre, l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen.., è quella evidente, cioè di spessore tale da
risultare percepibile ictu muli, proprio perché l’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di cassazione limitarsi – come s’è detto – a riscontrare
l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di una nuova
valutazione delle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003;
Petrella, Rv. 226074; Sez. 1, n. 5854 del 30/11/2000 – dep. 12/02/2001,
Andretta, Rv. 218119; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, cit.).
Ebbene una siffatta evidente illogicità non è certamente predicabile rispetto
alla decisione qui impugnata, tanto più se si tiene conto del quadro normativo
nel quale la vicenda va iscritta, rispetto al quale l’opposta valutazione proposta
dalla ricorrente si rivela fondata su argomenti palesemente inconducenti.

5.4. Posto invero che, a ben vedere, la tesi della ricorrente non è che
l’incidente non vi sia stato, né che non abbia avuto le conseguenze lesive
indicate in imputazione, ma ben diversamente che lo stesso sia da attribuire a
condotta colposa del motociclista, per essersi lo stesso avventurato in una
manovra di sorpasso vietata e imprudente, non può non rilevarsi che,

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dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra

quand’anche fosse possibile affermare che la manovra della persona offesa sia
connotata dai caratteri predetti e quand’anche persino si possa ipotizzare che
essa abbia avuto inizio in un momento in cui l’imputata aveva già intrapreso la
svolta a sinistra e per questo non ha potuto avvedersi del suo sopraggiungere da
tergo, ciò non varrebbe comunque ad escludere la rimproverabilità dell’evento
anche a quest’ultima, per essersi posta nelle condizioni di non accorgersi per
tempo della manovra, quand’anche estremamente a sua volta imprudente, del
conducente del motoveicolo.

giurisprudenza di questa S.C., nei reati colposi, perché una condotta
concomitante a quella dell’imputato, consistente nel comportamento imprudente
della vittima, possa escludere il rapporto di causalità, è necessario che essa sia
del tutto slegata dalla condotta dell’imputato, trovandosi del tutto al di fuori dello
sviluppo causale da questi innescato, tanto che l’evento che si verifica si presenti
come assolutamente eccezionale e da attribuire esclusivamente alla azione della
vittima: situazione questa nient’affatto predicabile rispetto alla manovra di
sorpasso di che trattasi in quanto, quand’anche tacciabile di grave imprudenza,
tuttavia pur sempre riconducibile al novero degli eventi prevedibili nell’ambito
della circolazione stradale.
Secondo l’art. 140 cod. strada, invero, gli utenti della strada devono
comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione
stradale ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale e
secondo l’art. 141 vi è obbligo di adeguare la velocità alle concrete condizioni
della circolazione e obbligo di conservare sempre il controllo del veicolo. Tali
disposizioni dimostrano che la misura della diligenza che si pretende nel campo
della circolazione dei veicoli è massima, richiedendosi a ciascun utente, al fine di
controbilanciare la intrinseca pericolosità della specifica attività considerata,
peraltro assolutamente indispensabile alla vita sociale e sempre più in
espansione, una condotta di guida di assoluta prudenza della quale fa parte
anche l’obbligo di preoccuparsi della possibili irregolarità di comportamento di
terze persone. Il principio dell’affidamento dunque, nello specifico campo della
circolazione stradale, trova un opportuno temperamento nell’opposto principio,
secondo cui l’utente della strada è responsabile anche del comportamento
imprudente di altri utenti purché rientri nel limite della prevedibilità (v. ex multis
Sez. 4, n. 27350 del 23/05/2013, Feliziani, non mass.; Sez. 4, n. 17481 del
14/02/2008, Notarnicola, non mass.; cfr. anche Sez. 4, 28168 del 21/03/2013,
Mercurio, non mass.; Sez. 4, n. 12361 del 07/02/2008, Biondo, Rv. 239258;
Sez. 4, n. 9420 del 21/06/1988, Rv. 179227).

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Giova in proposito rammentare che, secondo pacifica acquisizione della

6. Per analoghe considerazioni si appalesa infondato anche il secondo
motivo di ricorso.
La circostanza che la persona offesa abbia avuto modo di guardare in faccia
la conduttrice dell’autovettura – essendo peraltro pacifico che la stessa si è
fermata, ha abbassato il finestrino e, senza scendere dall’autovettura, si è rivolta
al motociclista per proferirgli delle frasi (ingiuriose a detta della persona offesa)
per poi subito dopo imboccare la via posta alla sua sinistra – lascia emergere una
condotta dall’imputata che comunque, con ogni evidenza, è ben lontana dal

189, comma 1, cod. strada di «fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente a
coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona».
Che poi la persona offesa sia stata o meno in grado di allontanarsi dal luogo
dell’incidente dopo poco tempo, con o senza l’aiuto di soccorritori, non toglie che
comunque quell’obbligo nella specie era divenuto attuale per il solo fatto del
sinistro stradale e dell’evidente coinvolgimento della persona fisica del
motociclista in circostanze (quale in particolare quella, pacifica in causa, secondo
cui lo stesso era

«rovinato per terra»)

certamente idonee a determinare

l’apparenza e a far sorgere il timore di possibili lesioni.
Mette conto sottolineare al riguardo che, secondo il più recente ed ormai
consolidato, nonché assolutamente condivisibile, indirizzo interpretativo di
questa Corte, «in tema di circolazione stradale, l’elemento soggettivo del reato di
cui all’art. 189, comma 6, cod. strada (punito solo a titolo di dolo) ricorre quando
l’utente della strada, al verificarsi di un incidente – idoneo a recar danno alle
persone e riconducibile al proprio comportamento – ometta di fermarsi per
prestare eventuale soccorso, non necessario per contro essendo che il soggetto
agente abbia in concreto constatato il danno provocato alla vittima» (v.

in

termini ex plurimis Sez. 4, n. 5510 del 12/12/2012, Meta, rv. 254667; Sez. 4, n.
7615 del 10/11/2004 – dep. 01/03/2005, Verginella, Rv. 230816). Ai fini della
configurabilità del reato di fuga, quanto all’elemento psicologico, pur essendo
richiesto il dolo, «la consapevolezza che la persona coinvolta nell’incidente ha
bisogno di soccorso può sussistere anche sotto il profilo del dolo eventuale, che
si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che può attenere
anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di
accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo
comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso l’esistenza» (v. in
termini, Sez. 4, n. 34134 del 13/07/2007, Agostinone, Rv. 237239; conf., Sez. 4
n. 21445 del 10/04/2006, Marangoni, Rv. 234570; Sez. 4, n. 8103 del
10/01/2003, Fanello, Rv. 223966).

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potersi considerare satisfattiva dell’obbligo comportamentale imposto dall’art.

6.1. Giova ancora precisare che, per pacifica giurisprudenza, nel reato de
quo,

l’accertamento dell’elemento psicologico va compiuto in relazione al

momento in cui l’agente pone in essere la condotta e, quindi, alle circostanze
concretamente rappresentate e percepite a quel momento, che siano
univocamente indicative di un incidente ricollegabile al proprio comportamento
ed idoneo ad arrecare danno alle persone, dovendo riservare ad un successivo
momento il definitivo accertamento delle effettive conseguenze del sinistro.
E giova evidenziare, altresì, che il dovere di fermarsi sul posto dell’incidente

rivolte ai fini dell’identificazione del conducente stesso e del veicolo condotto,
perchè, ove si ritenesse che la durata della prescritta fermata possa essere
anche talmente breve da non consentire né l’identificazione del conducente, né
quella del veicolo, né lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalità
dell’incidente e sulle responsabilità nella causazione del medesimo, la norma
stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilità pratica (cfr., ex plurimis,
Sez. 4, n. 20235 del 25/01/2006, Mischiatti, Rv. 234581).
Non può dubitarsi che nella specie, alla stregua dei dati pacifici in causa, tale
obbligo non può considerarsi rispettato, non valendo nemmeno a giustificare la
condotta dell’imputata l’addotta esigenza di spostare l’autovettura dal flusso
della circolazione, tale esigenza dovendo soccombere rispetto a quella primaria
di scendere dall’auto per accertarsi delle condizioni della persona coinvolta
nell’incidente, sia pure per il tempo necessario eventualmente ad un compiuto
accertamento e/o sincerarsi della esistenza di altri idonei soccorsi, ovvero essere
soddisfatta in altri modi che non richiedano un allontanamento dal luogo del
sinistro e, soprattutto, dalla vittima in ipotesi abbisognevole di soccorso.

7. Infondato è anche il terzo motivo di ricorso.
È al riguardo appena il caso di rammentare che, per quanto riguarda la
dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità sul tema, la
giurisprudenza di questa Corte ammette la c.d. motivazione implicita (Sez. 6, n.
36382 del 04/07/2003, Dell’Anna, Rv. 227142) o con formule sintetiche (tipo «si
ritiene congrua» v. Sez. 6 , n. 9120 del 02/07/1998, Urrata, Rv. 211583),
precisando che «la determinazione della misura della pena tra il minimo e il
massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il
quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi
indicati nell’art. 133 cod. pen. Anzi, non è neppure necessaria una specifica
motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una
fascia medio bassa rispetto alla pena edittale»
20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).

11

(Sez. 4, n. 41702 del

deve durare per tutto il tempo necessario all’espletamento delle prime indagini

In relazione alle esposte coordinate di riferimento è da escludersi che, nel
caso in esame, la quantificazione della pena sia frutto di arbitrio o di illogico
ragionamento o che comunque si esponga a censura di vizio di motivazione,
avendo il giudice a quo ampiamente e specificamente motivato sul punto facendo
in particolare riferimento alla gravità del reato ed anche al comportamento
successivo.

8. È infine inammissibile l’ultimo motivo di ricorso, relativo alla mancata

casellario giudiziale.
Per pacifico indirizzo, dal quale non v’è motivo di discostarsi, la mancata
concessione della non menzione della condanna non è infatti deducibile con il
ricorso per cassazione quando il beneficio non è stato richiesto nel corso del
giudizio di merito (v. Sez. 4, n. 43125 del 29/10/2008, Marci Gavino, Rv.
241370), essendosi altresì precisato che il giudice di secondo grado, in assenza
di richiesta dell’impugnante, non ha alcun dovere di motivare il mancato
esercizio del potere discrezionale, conferitogli dall’art. 597 quinto comma cod.
proc. pen., di applicare d’ufficio il beneficio, nè tale mancato esercizio può
costituire motivo di ricorso per cassazione (Sez. U, n. 10495 del 09/10/1996,
Nastasi, Rv. 206175).
Nella specie non risulta che la richiesta del beneficio sia stata avanzata in
primo grado, né proposta in grado d’appello.

9.

Il ricorso va pertanto rigettato, con la condanna della ricorrente al

pagamento delle spese processuali e alla rifusione in favore della parte civile
delle spese sostenute per la sua difesa nel presente giudizio di legittimità,
liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore della
parte civile, che liquida in euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso il 25/02/2014

concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del

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