Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 14615 del 25/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 14615 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
POTITO SAVERIO N. IL 19/06/1961
avverso la sentenza n. 7338/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
15/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.Vincenzo Geraci
che ha concluso per

Udito, per la parte civile , l’Avvji

Data Udienza: 25/02/2014

RITENUTO IN FATTO
1. In data 15/01/2013 la Corte di Appello di Milano ha confermato la
sentenza emessa dal Tribunale di Milano il 1/07/2011, che aveva dichiarato
Potito Saverio colpevole del reato ascrittogli e lo aveva condannato alla pena di
mesi 6 di reclusione, al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile, da
liquidarsi in separata sede, ed al pagamento in favore della parte civile costituita
della provvisionale di euro 40.000,00. Potito Saverio era imputato del reato di
cui all’art.590, commi 1,2, 3 e 5 cod. pen. perché, in qualità di legale
rappresentante della società Tenda Europa Srl con sede in Voghera, aveva

cagionato per negligenza, imprudenza e imperizia al lavoratore Renzi Luca,
operaio specializzato, lesioni personali consistite in frattura vertebre L3-L4, con
prognosi iniziale di giorni 60, poiché, mentre il lavoratore era intento a svolgere
lavori di montaggio di tende da sole, su un trabattello, all’altezza di circa cinque
metri, era precipitato al suolo, a seguito del ribaltamento del supporto sul quale
si trovava; evento prevedibile, prevenibile ed evitabile solo che fossero state
rispettate le norme in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in
particolare: l’art.140 d. Igs. 9 aprile 2008, n.81, perché il trabattello non era
stato ancorato alla costruzione prospiciente il secondo piano di calpestio e non
era stato livellato il piano delle ruote di scorrimento e di appoggio del supporto;
l’art.71 d. Igs. 9 aprile 2008, n.81, perché non erano state prese in
considerazione le condizioni e caratteristiche specifiche del lavoro da svolgere, in
relazione all’utilizzo del trabattello in conformità alle corrette istruzioni d’uso. Il
fatto si era verificato il 23 giugno 2006.
2. Ricorre per cassazione Potito Saverio censurando la sentenza della Corte
territoriale sulla base dei seguenti motivi:
a) carenza e manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge in
relazione alla positiva valutazione di attendibilità espressa dalla sentenza in
merito alle dichiarazioni rese dalla persona offesa e alla conseguente conferma
della condanna dell’imputato per i reati a lui ascritti. Secondo il ricorrente, la
Corte di Appello avrebbe avallato la ricostruzione e la valutazione probatoria del
giudice di primo grado nonostante dalle risultanze istruttorie non fosse emersa al
di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità penale dell’imputato. Le
valutazioni operate dal giudice di secondo grado, si assume, sarebbero giunte a
conclusioni non logiche dando luogo a un vero e proprio travisamento del fatto
per aver trascurato elementi di pacifica rilevanza emersi dagli atti, in particolare,
alcuni aspetti fattuali della vicenda dai quali emergeva sicuramente un profilo di
responsabilità, per lo meno concorrente, in capo al lavoratore infortunatosi. I s
giudici di merito avrebbero dato per scontato che il lavoratore avesse riferito al
datore di lavoro che sarebbe stato opportuno usare un carroponte, mentre dalla
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deposizione del lavoratore non sarebbe affatto emersa simile circostanza,
secondo quanto risulta dal verbale dell’udienza del 23 maggio 2011 a pag. 31.
Inoltre, sarebbe rimasta sfornita di prova la circostanza che il trabattello non
fosse l’attrezzo adeguato al caso di specie, come è emerso dalle dichiarazioni
rese dalla stessa persona offesa all’udienza del 23 maggio 2011 (verbale pag.
14). Il lavoratore aveva anche specificato di aver proposto lui l’utilizzo del
trabattello (verbale udienza 23 maggio 2011, pag. 20). I giudici di merito
avrebbero omesso di considerare la manchevolezza più evidente riscontrabile

del trabattello ed il suo livellamento (verbale udienza 23 maggio 2011, pag. 22).
La sentenza impugnata sarebbe incorsa, pertanto, anche in una palese violazione
di legge e in particolare dell’art.20 del d.lgs. n.81/2008, la cui corretta
applicazione avrebbe indotto ad una pronuncia di responsabilità quantomeno
concorrente;
b) carenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla denegata
applicazione delle circostanze attenuanti generiche, per avere il Tribunale
motivato la decisione di non concedere le attenuanti generiche sulla base del
fatto che l’imputato non si fosse adoperato per far ottenere alla persona offesa
un ristoro quantomeno parziale dei danni, nonostante dagli atti risultasse che la
persona offesa non aveva avanzato alcuna richiesta risarcitoria e che il
lavoratore aveva ricevuto totale risarcimento dall’Inail;
c) carenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla condanna al
risarcimento del danno in favore della parte civile, per non essere stata
raggiunta la prova della responsabilità penale dell’imputato in ordine ai reati
contestatigli. In ogni caso, secondo il ricorrente, l’entità della provvisionale
stabilita a favore della parte civile sarebbe del tutto eccessiva, fissata nella
misura di euro 40.000,00 sulla base di postumi permanenti indicati nel 10%
senza che il giudice disponesse di alcuna documentazione medica e senza che
fosse stata disposta una consulenza tecnica d’ufficio. Il giudice di merito, si
assume, avrebbe calcolato il danno da invalidità temporanea e permanente su
parametri del tutto discrezionali. L’Inail avrebbe, inoltre, già stanziato in favore
della persona offesa la somma di euro 100.375,61, ricorrendo pertanto gravi e
giustificati motivi per sospendere o ridurre la condanna al pagamento della
somma liquidata a titolo di provvisionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva preliminarmente la Corte che il reato per il quale l’imputato è
stato tratto a giudizio non è prescritto.

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nella condotta della persona offesa, che non aveva verificato il piano di appoggio

2. Si tratta di fatto commesso in data 23/06/2006. A seguito delle modifiche
apportate all’art.590, comma 3, cod. pen. dall’art.2 I. 21 febbraio 2006, n.102,
la pena per le lesioni personali colpose gravi con violazione delle norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro è da tre mesi a un anno di reclusione o da
euro 500,00 ad euro 2.000,00 di multa. Quanto al tempo necessario a
prescrivere, la disciplina attualmente vigente, applicabile in quanto si tratta di
fatto commesso successivamente alla data di entrata in vigore della I. 5
dicembre 2005, n.251, prevede il termine prescrizionale di sei anni, in ogni caso

complessivi sette anni e sei mesi. Posto che la pronuncia della sentenza di primo
grado in data 1 luglio 2011 ha interrotto il decorso della prescrizione, in base al
combinato disposto degli artt. 156,160 e 161 cod.pen., come modificati con 1.5
dicembre 2005, n.251, alla data del 23/12/2013, ossia in data successiva alla
pronuncia della sentenza in grado di appello, si sarebbe compiuto il termine
massimo previsto dalle norme citate, ma sono rilevabili dagli atti del processo
periodi di sospensione del termine di prescrizione, ai sensi dell’art.159, comma
1, n.3 cod.pen., dal 22/09/2012 al 22/11/2012 e dal 22/11/2012 al 15/01/2013,
dunque per un periodo ampiamente superiore al tempo intercorso dal
23/12/2013 alla data odierna.

3. Esaminando i motivi di ricorso, si deve rilevare che si tratta di censure
infondate, al limite della inammissibilità.

4. Con il primo motivo di ricorso è stato dedotto vizio motivazionale in
quanto, secondo il ricorrente, i giudici di merito avrebbero trascurato elementi di
pacifica rilevanza emersi dagli atti, in base ai quali, tuttavia, è lo stesso
ricorrente ad asserire che si sarebbe potuta accertare, non l’assenza di
responsabilità dell’imputato ma, la grave negligenza del lavoratore, tale da
costituire una concausa nella verificazione dell’evento dannoso. E l’omessa
considerazione di tali emergenze istruttorie sarebbe censurabile, ad avviso del
ricorrente, anche sotto il profilo della violazione dell’art.20 del d. 1gs. n.81/2008.
4.1. E’ necessario premettere, in via generale, che è consolidato nella
giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale, in presenza di una
doppia conforme affermazione di responsabilità, va ritenuta l’ammissibilità della
motivazione della sentenza d’appello per relationem a quella della decisione
impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado
non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi,
in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione del controllo della fondatezza
degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare
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non ulteriormente estensibile oltre un quarto in caso di interruzioni, per

questioni sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle
quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e
prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal caso,
infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si
integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale
occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della
motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure
con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti

decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito
costituiscano una sola entità (Sez.6, n.28411 del 13/11/2012, dep. 1/07/2013,
Santapaola, Rv.. 256435; Sez. 3, n. 13926 del 10/12/2011, dep. 12/04/2012,
Valerio, Rv.. 252615; Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 4/02/1994,
Albergamo ed altri, Rv.. 197250).
4.2. Tanto premesso, la censura in esame si pone in palese contrasto con il
testo delle pronunce di merito. In particolare, sia nella sentenza di primo grado
(pag.7), sia nella sentenza di appello (pagg. 4-5), si leggono a chiare lettere, con
logica argomentazione, le ragioni per le quali, pur avendo preso in esame tutte le
risultanze istruttorie, ivi comprese quelle indicate dal ricorrente, i giudici di
merito hanno ritenuto di escludere la configurabilità della condotta del lavoratore
in termini di concausa dell’evento lesivo. Con la dedotta censura si tende, a ben
vedere, ad ottenere una nuova valutazione delle emergenze istruttorie, non
consentita in sede di legittimità. A tale riguardo è opportuno ricordare che le
Sezioni Unite della Suprema Corte, hanno affrontato il tema dei limiti del
sindacato di legittimità in diverse sentenze, che costituiscono il quadro di
riferimento per la valutazione di ammissibilità del ricorso che denunci il vizio di
motivazione. In particolare, in una pronuncia del 1995 (Sez. U, n.930
del 13/12/1995, dep. 29/01/1996, Clarke, Rv.203428), si è ritenuto che il
compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria
valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle
fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli
elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di
essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se
abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle
argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a
preferenza di altre; nel 1996 (Sez. U, n.16 del 19/06/1996, Di Francesco,
Rv.205621) si è affermato il principio che la mancanza e la manifesta illogicità
della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato,
sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del
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riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della

provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già
opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una
diversa ricostruzione, magari altrettanto logica. E nel 1997 (Sez. U,
n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944) si è anche ritenuto che
l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere
limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un
logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza

merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza
alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione
quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito,
senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una
diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.
Nel 2000 (Sez. U, n.12 del 31/05/2000, Jakani, Rv.216260) l’ambito di
valutazione è stato ulteriormente messo a punto nel senso che, in tema di
controllo sulla motivazione, alla Corte di Cassazione è normativamente preclusa
la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze
processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la
tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto
tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di
ragionamento mutuati dall’esterno, e,nel 2003 (Sez. U, n.47289 del 24/09/2003,
Petrella, Rv. 226074), si è puntualizzato che l’illogicità della motivazione,
censurabile a norma dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e)
cod.proc.pen. è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu
°cui/. Il ricorso in esame in nulla si conforma alle predette direttive del giudizio di

legittimità perché non individua fratture argomentative della motivazione ma si
limita a sostituire il proprio ragionamento, per lo più assertivo, a quello svolto
dalla Corte per accreditare una ricostruzione della vicenda più favorevole
all’imputato. Le censure, pertanto, si risolvono in mere deduzioni di fatto dirette
a sovvertire le conclusioni cui perviene la Corte di merito e ad accreditare una
ricostruzione alternativa dei fatti, procedendo da una diversa interpretazione
degli elementi probatori e sollecitando un sindacato di merito che resta precluso
nel giudizio di legittimità.
4.3. La Corte di Appello ha, sul tema qui censurato, condiviso le
considerazioni del primo giudice, espressamente richiamate, ed ha ricordato
come il datore di lavoro sia responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore per
assenza o inidoneità delle misure di sicurezza senza che sia possibile, in tali
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possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di

ipotesi, attribuire efficienza causale esclusiva alla condotta del lavoratore
medesimo in ragione della posizione di garanzia che il datore di lavoro assume
nei confronti dei lavoratori, desumendo l’insostenibilità dell’ipotesi difensiva, che
vorrebbe addossare al lavoratore, in tutto o in parte, la responsabilità
dell’infortunio, in base alla considerazione che, pur ammettendo che fosse stato
il lavoratore a suggerire l’utilizzo delle attrezzature inadeguate, sarebbe stato
preciso obbligo del datore di lavoro quello di verificare con gli operai il montaggio
della struttura, il rispetto delle chiare prescrizioni stabilite nel libretto di istruzioni

abdicare agli obblighi normativamente previsti a suo carico e a non
disinteressarsi del lavoro da svolgere e delle modalità con le quali i lavoratori lo
avrebbero svolto. La Corte ha ravvisato nella condotta dell’imputato una delega
al lavoratore dei compiti suoi propri, con corretto governo sia del principio
affermato da questa Corte, secondo il quale, in materia di norme di prevenzione
antinfortunistica, pur potendo l’imprenditore delegare altra persona capace e
idonea per l’adozione e l’osservanza delle misure di sicurezza, giammai la
persona delegata può essere lo stesso lavoratore, beneficiario della tutela
(Sez. 4, n. 14428 del 04/04/1990, Nigro Rv. 185664), sia della disciplina
normativa secondo la quale, in ogni caso, la valutazione dei rischi nella scelta
delle attrezzature di lavoro costituisce oggetto di un obbligo del datore di lavoro
non delegabile a terzi (l’arti, comma 4 ter, d.lgs. n. 626 del 1994, ora art.17
d.lgs. n,81/2008, prevede che non sia delegabile la valutazione dei rischi per la
sicurezza e la salute dei lavoratori nella scelta delle attrezzature di lavoro).

5. Il secondo motivo di ricorso denuncia vizio motivazionale in ordine alla
delegata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, ma anche tale
censura si pone in palese contrasto con il testo della sentenza impugnata (pag.6)
laddove richiama, condividendola, l’ampia motivazione svolta sul punto dal
giudice di primo grado (pag.8), che ha individuato nella condotta dell’imputato
successiva al reato e nella personalità dell’imputato, desunta con specifico
riguardo alla materia antinfortunistica da fatti concreti e specificamente indicati,
le ragioni ostative al più benevolo trattamento sanzionatorio. Trattasi, in
sostanza, di censura che concerne un giudizio, quale quello riguardante la
concessione di circostanze attenuanti generiche, riservato al giudice di merito ed
insindacabile in sede di legittimità ove, come nel caso in esame, congruamente
motivato.
6. Quanto al terzo motivo di ricorso, si tratta di censura inammissibile, in ‘
quanto manifestamente infondata, avendo i giudici di merito fornito ampia
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e la concreta possibilità di ancoraggio, essendo tenuto il datore di lavoro a non

motivazione delle ragioni per le quali hanno ritenuto congrua la concessione in
favore della parte civile di una somma a titolo di provvisionale. E’ peraltro
costante, nella giurisprudenza di questa Corte, l’affermazione tanto del principio
per cui non è impugnabile per cassazione il provvedimento con il quale il giudice
di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna
alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva, trattandosi
di provvedimento per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato
ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez.

tema di provvisionale, la determinazione della somma assegnata è riservata
insindacabilmente al giudice di merito, che non ha l’obbligo di espressa
motivazione quando l’importo rientri nell’ambito del danno prevedibile (Sez. 6,
n.49877 del 11/11/2009, R.C. e Blancaflor, Rv. 245701).

7. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Al rigetto consegue la
condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 cod.proc.pen., al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 25/02/2014

5, n.5001 del 17/01/2007, Mearini, Rv. 236068), quanto del principio per cui, in

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