Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1457 del 22/11/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 1457 Anno 2013
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: SARNO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) PASSARO DIMITRI N. IL 02/01/1969
2) VALENTI GIANLUCA N. IL 30/06/1972
avverso la sentenza n. 1557/2009 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
23/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIULIO SARNO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. V.(2_410-.che ha concluso per kQ ”‘.,:e=t-e> dea.

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

57-z

Data Udienza: 22/11/2012

Ritenuto in fatto

Quest’ultima contestazione risulta in particolare elevata per avere gli imputati, agendo
in concorso tra di loro, il Passaro quale presidente del consiglio di amministrazione e
legale rappresentante della Alìke Investments S.p.A. proprietaria dell’immobile noto
come il palazzo della RAS sito in Trieste ed il secondo quale direttore dei lavori,
senza autorizzazione rimosso un elemento decorativo posto sulla facciata del palazzo
ed esposto alla pubblica vista raffigurante un leone alato stemma della RAS , bene da
intendersi soggetto al vincolo ex lege ai sensi dell’articolo 11 lett. a) DLvo 42/04.
In ordine a quest’ultimo reato la corte di appello ha richiamato in motivazione il
disposto dell’articolo 169 lettera b) evidenziando come lo stesso espressamente faccia
riferimento agli stemmi, e ritenendo il reato di pericolo presunto, ha ritenuto decisive
alcune circostanze quali la mimetizzazione nel corso dei lavori della rimozione del
leone alato (al posto del quale era stato realizzato un foro per finestra sulla facciata
del palazzo) attraverso l’apposizione di veli, la verifica che il distacco dello stemma
non era menzionata espressamente nella DIA del 30 maggio 2007e compariva
soltanto nei prospetti ad essa allegati, l’assenza di indicazioni formali da parte dei
prevenuti in ordine alle tecniche di salvaguardia, conservazione, smontaggio ed
eventuale ricollocazione dello stemma lapideo in oggetto con conseguente
ipotizzabile pericolo di dispersione danneggiamento dello stesso posizionato, solo
successivamente all’autorizzazione da parte della soprintendenza in data 14 luglio
2008, all’interno del palazzo della RAS.
Deducono in questa sede i ricorrenti:
1) erronea applicazione della legge penale, facendo rilevare l’assenza di idoneità
offensiva della condotta ed evidenziando che la sovrintendenza aveva
successivamente autorizzato il posizionamento dello stemma nell’atrio del palazzo
senza peraltro stabilire particolari cautele nella rimozione, Si contesta inoltre che la
potenzialità offensiva possa essere desunta dalla condotta degli imputati posto che la
sovrapposizione di teli non è circostanze significativa al riguardo e che, se non vi
furono atti formali indicanti tecniche di salvaguardia dello stemma lapideo, ciò fu
dovuto alla ragione che l’intervento avveniva su edificio non soggetto ad alcun
vincolo diretto.
2) Inosservanza dell’articolo 5 del codice penale per l’incertezza del quadro
normativo di riferimento e la lacunosità della contestazione.

Passaro Dimitri e Valenti Gianluca pongono ricorso per cassazione avverso la
sentenza in epigrafe con la quale la corte d’appello di Trieste, in parziale riforma della
sentenza del tribunale della medesima città in data 20 febbraio 2009, assolveva
entrambi dal reato di cui all’articolo 733 del codice penale perché il fatto non sussiste
e, previa concessione delle attenuanti generiche, rideterminava la pena in ordine al
reato di cui agli articoli 110 del codice penale, 169 DLvo 42/04.

4,

Considerato in diritto

In ordine al primo motivo occorre richiamare la decisione di questa Sezione n. 46082
del 08/10/2008 Rv. 241784 con la quale è stato già affermato il principio secondo cui
per il reato d’abusivo intervento su beni culturali (prima previsto dall’art. 118, D.Lgs. 29
ottobre 1999, n. 490, oggi sostituito dall’art. 169, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) il bene
tutelato è esclusivamente l’interesse strumentale al preventivo controllo da parte
dell’Autorità preposta alla tutela dei beni culturali, escludendosi il carattere
plurioffensivo della disposizione.
Nell’occasione sono state già affrontate le questioni relative alla offensività del reato,
che in quanto condivise possono essere richiamate in questa sede.
In particolare si è evidenziato attraverso il raffronto con altre disposizioni del
medesimo decreto (l’art. 181 in particolare) le ragioni per le quali si deve escludere
che il legislatore con l’art. 169 abbia inteso tutelare l’interesse sostanziale al rispetto
finale dei valori del territorio e dell’ambiente.
Per quest’ultima disposizione si è rilevato tra l’altro mancare il meccanismo di
espressa rinuncia alla pena nei casi in cui, pur violando l’interesse strumentale della
pubblica amministrazione, il contravventore rispetti sostanzialmente l’interesse finale
della conformità urbanistica e ambientale.
Di conseguenza già nell’occasione si è ritenuto marginale la circostanza che la
soprintendenza, con valutazione ex post, abbia assentito i lavori.
E, dunque, si appalesa infondato il primo motivo dovendosi ritenere corretta la
motivazione che si limita a rilevare come nella specie il comportamento dei ricorrenti
abbia comportato una oggettiva modifica dei luoghi non autorizzata ed appare logica
la conclusione secondo cui il comportamento dei ricorrenti sia stato improntato a
nascondere alla competente Soprintendenza la rimozione dello stemma onde impedire
qualsiasi possibilità di controllo preventivo.
Del pari infondato è il secondo motivo.
Correttamente la corte di merito evidenzia come l’art. 169 lett. b) punisce chiunque,
senza l’autorizzazione del soprintendente, procede al distacco di affreschi, stemmi,
…. ed altri ornamenti di edifici, esposti o non alla pubblica vista, anche se non vi sia
stata la dichiarazione prevista dall’articolo 13 rilevando l’inequivocità del disposto
normativo.
Peraltro né constano incertezze derivanti da contrastanti orientamenti
giurisprudenziali nell’interpretazione della norma, né si indicano fattori esterni che

Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

possono aver determinato nell’agente l’ignoranza della rilevanza penale del suo
comportamento.
Si deve invece ricordare che, secondo i principi già enunciati da questa Corte, la
scusabilità dell’ignoranza della legge penale, può essere invocata dall’operatore
professionale di un determinato settore solo ove dimostri, da un lato, di aver fatto
tutto il possibile per richiedere alle autorità competenti i chiarimenti necessari e,
dall’altro, di essersi informato in proprio, ricorrendo ad esperti giuridici, così
adempiendo il dovere di informazione (Sez. 3, Sentenza n. 35694 del 05/04/2011 Rv.
251225); e che il dubbio sulla liceità o meno del proprio comportamento deve
semmai indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento, fino, secondo quanto
emerge dalla sentenza 364 del 1988 della Corte Costituzionale, all’astensione
dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga l’incertezza sulla
liceità o meno dell’azione stessa, dato che il dubbio, non essendo equiparabile allo
stato d’inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezza
dell’illiceità (Sez. 2, n. 46669 del 23/11/2011 Rv. 252197).
Al rigetto consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta 2ricorsbe condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 22.11.2012

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