Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 14512 del 09/03/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 14512 Anno 2016
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: GIORDANO EMILIA ANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cimino Gioacchino, n. ad Agrigento il 9/7/1954

avverso l’ordinanza del 24/12/2015 del Tribunale di Palermo

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emilia Anna Giordano
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Paolo
Canevelli che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
uditi per il ricorrente i difensori, avv. Salvatore Collura e Silvio Miceli, che hanno

Data Udienza: 09/03/2016

concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del Riesame di Palermo ha
confermato la misura della custodia cautelare in carcere applicata a Cimino
Gioacchino con ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Palermo del 27 novembre 2015, per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. per
avere fatto parte dell’associazione mafiosa denominata “Cosa Nostra” e, in
particolare, della famiglia di Porto Empedocle, mantenendo contatti con il
capofamiglia di Agrigento, Iacono Antonio.

22)–

2. Nell’ordinanza impugnata, si dà atto che il ricorrente aveva partecipato,
nel mese di settembre 2012, ad una riunione tenutasi a casa dello Iacono per la
risoluzione di una questione che non interessava direttamente “Cosa Nostra” nel
corso della quale il Cimino elogiava il Pavia, che gliela aveva sollecitata, come
una “persona affidabile” e “a disposizione” e il contenuto di altra conversazione,
del 16 ottobre 2013, nel corso della quale il Cimino conversava con altri
coindagati, tra i quali Capizzi Francesco, discutendo dell’allontanamento dal
gruppo di tale Franco, e dalla quale si evinceva che il Cimino si era adoperato

questi, però, aveva rifiutato, determinando, così nel Cimino l’intenzione di
allontanarlo dal gruppo. Il Tribunale è pervenuto alla conclusione che le
accertate condotte del Cimino, a prescindere dal rigetto della misura cautelare a
carico del Pavia, ne denotino l’inserimento nel contesto associativo con un ruolo
operativo importante all’interno della famiglia mafiosa, ruolo che gli consentiva
di discutere con esponenti apicali (lo Iacono), di disporre di soggetti a sua
disposizione (il Pavia) e di allontanarne altri (Franco, di cui alla conversazione da
ultimo richiamata).
3. Nell’interesse del Cimino hanno depositato motivi di ricorso, qui
sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., i difensori, avv. Miceli
e avv. Collura. Questi deduce vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione che ha trascurato elementi probatori, pure acquisiti
agli atti, pervenendo alla conferma dell’ordinanza impugnata per realtionem e
senza alcun controllo dell’iter argomentativo riprodotto; vizio di violazione di
legge, in relazione al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., poiché nell’ordinanza
vengono valorizzati elementi quali la mera contiguità compiacente e la vicinanza
e disponibilità a singoli esponenti, anche di spicco dell’associazione, inidonei a
qualificare la condotta di partecipazione che richiede un concreto contributo,
causalmente rilevante, ai fini del mantenimento e rafforzamento del vincolo tra i
consociati; vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 268 e 271 cod. proc.
pen. con riguardo ai decreti che hanno autorizzato le operazioni di
intercettazione telefonica a carico del Cimino, perché privi dei requisiti richiesti
dalla giurisprudenza ai fini di ritenere assolto l’onere motivazionale del giudice
per le indagini preliminari limitatosi a recepire, con una mera formula di stile, la
richiesta di autorizzazione. Analoghi vizi, prospettati anche quale vizio di
travisamento del fatto, deduce l’avv. Miceli con riguardo alla ritenuta condotta di
partecipazione all’associazione mafiosa. Premesso che del tutto generico è il
dedotto rapporto di frequentazione con lo Iacono, documentato dal solo incontro
in atti, il difensore rileva che la ritenuta insussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza a carico del Pavia non può far ritenere apprezzabile, a a carico del

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con il capocosca Messina Francesco per il riavvicinamento con Franco che

Ornino, quale elemento che ne cristallizza la responsabilità nel reato associativo,
la circostanza che egli abbia indicato il Pavia come persona “a disposizione”. Né è
concludente, nel senso ritenuto dal Tribunale del riesame quale presunta
determinazione relativa all’organigramma della famiglia mafiosa, il contenuto
della conversazione intercorsa con il Capizzi non essendo stato accertato a quale
soggetto si faccia riferimento per la equivocità dei dati di prova; del tutto
indeterminato è, infine, il riferimento alli “attrezzo” di cui alla conversazione
intercorsa con il Capizzi, riferimento che, ove riconducibile ad un’arma, può, al

eccezionale e fondata sui rapporti personali con il Capizzi stesso, tale da
escludere che si tratti di arma a disposizione dell’associazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere accolto, nei limiti e nei termini di seguito indicati.
2. Manifestamente infondato è il motivo di ricorso che attiene alla
inutilizzabilità delle intercettazioni a carico del ricorrente poiché nei motivi di
ricorso non vengono neppure indicati gli atti sui quali si chiede la verifica del
giudice di legittimità, facendo riferimento generico ai “decreti autorizzazione che
riguardano Cimino Gioacchino”. Pur essendo, infatti, consentito alla Corte di
esaminare il fascicolo in presenza della deduzione di un vizio di natura
processuale, l’applicazione di tale principio presuppone in concreto che da parte
del ricorrente venga quantomeno indicato l’atto viziato e che esso sia contenuto
nel fascicolo stesso (Sez. 4 sent. n. 31391 del 18.5.2005, Rv. 231746).
Consegue la inammissibilità del motivo di ricorso che fa generico riferimento a
non meglio indicati e precisati atti del procedimento che riguardano anche
l’indagato.
3. Né sono fondate le censure che deducono il vizio di violazione di legge per
mancanza della motivazione. La giurisprudenza di legittimità, con riguardo ai
requisiti della motivazione in tema di misure cautelari ha rilevato che l’obbligo di
motivazione non può ritenersi adempiuto qualora l’ordinanza del tribunale della
libertà contenga una motivazione per relationem che si risolva nel mero richiamo
alle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, omettendo la
valutazione delle doglianze contenute nella richiesta di riesame ( Sez. 6, n. 9752
del 29/01/2014, Ferrante, Rv. 259111). Si è anche avuto modo di precisare che
è nullo per difetto di motivazione il provvedimento del giudice che riproduca alla
lettera ampi stralci della parte motiva di altra pronuncia, a meno che detta
tecnica di redazione manifesti una autonoma rielaborazione da parte del
decidente e dia adeguata risposta alle doglianze proposte dal ricorrente ( Sez. 4,

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più denotare che il suo prestito al Capizzi costituisce ipotesi del tutto

n. 7031 del 05/02/2013, Conti, Rv. 254937). La tecnica redazionale utilizzata
porta, infatti, ad escludere che ci si trovi di fronte ad un provvedimento che
motivi la decisione del giudice dell’impugnazione esclusivamente per relationem
poiché l’ordinanza in esame costituisce, non solo per le modalità grafiche di
redazione ma per il suo contenuto, un provvedimento autonomo rispetto a quello
genetico in ragione della disamina degli elementi acquisiti e dell’analisi delle
censure difensive, contenute nella richiesta di riesame, censure con le quali,
attraverso più passaggi argomentativi, il Tribunale del riesame si confronta

diritto e, soprattutto, alla intrinseca logicità della motivazione.
4. Come sintetizzato nella parte narrativa, l’ordinanza impugnata ha ritenuto
significativa della partecipazione del Cimino all’associazione facente capo a
Messina Francesco il rapporto fiduciario esistente fra l’indagato e Iacono
Antonino, capomafia di Agrigento, e, soprattutto la possibilità del Cimino di
esercitare un potere decisionale all’interno del gruppo “Cosa Nostra” decretando
l’allontanamento che si fossero resi autori di comportamenti scorretti o
irriguardosi.
5. Riguardo ai rapporti con lo Iacono, tuttavia, la difesa aveva rilevato la
unicità dell’incontro al quale aveva partecipato il Cimino e, soprattutto, che
nell’ordinanza di applicazione della misura della custodia a carico del ricorrente si
era evidenziato che la riunione alla quale aveva preso parte il Cimino “non era
direttamente collegabile agli interessi di Cosa Nostra” e, infine, che non erano
stati ritenuti acquisiti gravi indizi di colpevolezza circa l’appartenenza a “Cosa
Nostra” di Pavia Francesco, cioè della persona che, a causa della controversia
insorta con tale Alba, aveva richiesto l’incontro con lo Iacono per chiarire la
vicenda, persona di cui il Cimino parla con lo Iacono. Alla luce di tali rilievi,
fondati sulle asserzioni contenute nella stessa ordinanza cautelare, non risulta
logicamente argomentata la conclusione del Tribunale a tenore della quale sono
stati ritenuti espressivi dell’appartenenza del Cimino a “Cosa Nostra” i discorsi
che, nel corso dell’incontro, il Cimino faceva con lo Iacono, sull’affidabilità del
Pavia “in quanto era un soggetto a disposizione, per correre, per eseguire, in
altre parole, tutti gli ordini impartitigli dal Cimino ossia per compiere tutte le
attività criminali che gli venivano commissionate” e l’ulteriore conseguenza che il
Tribunale trae in proposito dall’approvazione dello Iacono in quanto il Cimino
“dimostra(va) così di contribuire al rafforzamento dell’organizzazione, anche
avvalendosi di manovalanza mafiosa” (pag. 3 ordinanza citata). Rileva il Collegio
che le conclusioni alle quali il Tribunale è pervenuto non sono giustificate avuto
riguardo alla concreta disponibilità del Pavia a compiere attività criminali,
smentita dal tenore della conversazione che rimanda, secondo l’ordinanza

4

pervenendo a soluzioni che, tuttavia, non soddisfano quanto alla conformità al

impugnata nella parte in cui esamina la rilevanza e concretezza del contributo
all’associazione del Pavia, ad una “generica disponibilità, senza un preciso
contenuto”, in netto contrasto con il dato valorizzato nei confronti del Cimino che
avrebbe contribuito al rafforzamento del vincolo associativo

attraverso la

utilizzazione di manovalanza mafiosa.
6. La debolezza argomentativa del passaggio della motivazione del Tribunale
ora illustrata non è superata dalla forza dimostrativa dell’ulteriore elemento
valorizzato a carico del ricorrente (illustrato sempre a pag. 3 dell’ordinanza) che,

Messina Francesco, sia perché denota che il Cimino si era rivolto al Messina “da
pari a pari”, contestandogli di avere allontanato dalla famiglia un soggetto, sia
perché, una volta appurato che l’errore era stato commesso da Francuzzu il
Cimino manifestava l’autonomo potere di decretare l’allontanamento di questi.
Tuttavia la ricostruzione del giudice di merito non solo risente della mancata
identificazione del Francuzzu ( condividendo a tal proposito l’assunto del giudice
per le indagini preliminari che non possa trattarsi del Pavia) ma, soprattutto
riconduce in termini meramente probabilistici la identificazione del suo
interlocutore, tale Cicco (v. pag. 4, primo paragrafo dell’ordinanza), a Messina
Francesco, in quanto riconosciuto vertice del clan di Porto Empedocle con la
conseguente possibilità di inferire, in termini univoci, che il ricorrente

abbia

esercitato un potere di veto quanto alla permanenza nel gruppo di un associato.
7. Infine non è approfondito, a tenore della motivazione, il rapporto di solidarietà
mafiosa con il Capizzi, evocato in relazione alla consegna a questi dell’arma
personale del ricorrente.
8. Si impone, pertanto, un nuovo esame del Tribunale del riesame sui punti
indicati ove dovrà valutarsi l’esatta portata dei dati desumibili dalle conversazioni
intercettate, ovvero da ulteriori elementi presenti in atti, al fine di verificare se le
condotte del Cimino denotino la condotta di partecipazione che va riferita, ai fini
della individuazione della condotta di partecipazione ascritta al ricorrente,
piuttosto che ad un mero status di appartenenza, di contiguità ovvero di
vicinanza mafiosa, ad un rapporto di stabile e organica compenetrazione con il
tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare un ruolo attivo nel sodalizio
criminoso.
9.

E’ bene evidenziare che l’annullamento con rinvio dell’ordinanza

impugnata non determina l’inefficacia della misura cautelare poiché ad essere
colpito da annullamento è il provvedimento emesso in sede di riesame e non
l’ordinanza cautelare genetica, che rimane ferma. Consegue l’obbligo di
comunicazione di cui all’art. 94, comma 1-ter disp.cod. proc. pen.
P.Q.M.

5

cioè, egli si era adoperato per risolvere il contrasto insorto tra tale Francuzzu e

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
Palermo.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma

1-ter

disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso il 9 marzo 2016

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