Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1451 del 20/11/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 1451 Anno 2013
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso — erroneamente qualificato come appello — proposto da
Imbrogio Ponaro Valeria, nata a Castell’Umberto il 15.11.1980;
avverso la sentenza emessa il 24 giugno 2009 dal giudice per le indagini
preliminari del tribunale di Patti;
udita nella pubblica udienza del 20 novembre 2012 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Enrico Delkhaye, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. Alessandro Pruiti;
Svolgimento del processo
Con sentenza 24 giugno 2009 il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Patti dichiarò Imbrogio Ponaro Valeria colpevole del reato di cui
agli artt. 7 e 17 1. 30.3.2001, n. 152, per avere, in concorso con Di Stefano
Rosario Vincenzo, giudicato separatamente, pur non essendo un istituto di
patronato e di assistenza sociale, dato vita ad una agenzia privata e svolto opera
di mediazione a favore di singoli con riferimento ad istanza per il
riconoscimento di pensioni di invalidità civile e delle relative indennità, e la
condannò alla pena di E 6.000,00 di ammenda, con la sospensione condizionale.
L’avv. Alessandro Pruiti, per conto dell’imputata, propone ricorso per cassazione — erroneamente qualificato come appello — deducendo:
1) assoluzione perché il fatto non sussiste o ex art. 530, comma 2, cod.
proc. pen. Lamenta che vi è stata violazione del principio di correlazione tra
contestazione e sentenza, perché era stato contestato all’imputata di avere gestito una agenzia privata in S. Angelo Militello, mentre il giudice ha accertato che
ella svolgeva attività di patronato in Tortorici. Inoltre, è stato accertato che

Data Udienza: 20/11/2012

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N

l’Imbrogio era responsabile di zona del patronato Labor, e in tale qualità aveva
— come espressamente consentito dalla legge — fornito informazioni e consulenza agli assistiti. I due assistiti di cui parla la sentenza si erano rivolti su consiglio dei loro avvocati allo studio del medico legale dott. Di Stefano, molto noto
nella zona, per il disbrigo delle pratiche e dei ricorsi medico-sanitari. Tutt’al
più, pertanto, sarebbe ravvisabile l’infrazione di cui all’art. 17, comma 1, 1.
152/2001, che prevede come sanzione la decadenza dai contributi finanziari.
2) l’indagine si è conclusa nel 2006 ed i fatti sono precedenti al 2006, sicché il reato è prescritto è comunque doveva essere applicato l’indulto.
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Il ricorso non può certamente ritenersi manifestamente infondato.
E difatti, all’imputata era stato contestato il reato di cui agli artt. 7 e 17 1.
30.3.2001, n. 152, per avere, in concorso col medico legale Di Stefano Rosario
Vincenzo, pur non essendo un istituto di patronato e di assistenza sociale, dato
vita ad una agenzia privata e svolto opera di mediazione a favore di singoli con
riferimento ad istanze per il riconoscimento di pensioni di invalidità civile e
delle relative indennità. Sennonché la sentenza impugnata, da un lato, ha accertato che l’Imbrogio aveva la qualità e il ruolo di responsabile di zona
dell’istituto di patronato Labor e, da un altro lato, ha omesso qualsiasi motivazione sulla esistenza di elementi idonei a provare che la stessa avesse dato vita
ad una vera e propria agenzia privata che operasse a lato (e in concorrenza) del
patronato Labor di cui era responsabile. Dalla motivazione della sentenza impugnata, invero, sembrerebbe che l’illecito commesso dall’imputata sia consistito non tanto nell’aver creato una nuova agenzia privata (su cui appunto è poco chiara o, comunque, contraddittoria la motivazione) quanto piuttosto
nell’aver violato la prescrizione dell’art. 17, comma 1, della 1. 30 marzo 2001,
n. 152, il quale dispone che «é fatto divieto agli istituti di patronato e di assistenza sociale di avvalersi, per lo svolgimento delle proprie attività, di soggetti
diversi dagli operatori di cui all’articolo 6. La violazione del suddetto divieto
comporta, per la sede in cui si è verificata detta violazione, la decadenza dal
diritto ai contributi finanziari di cui all’articolo 13, per le attività svolte dalla
sede in cui si é verificata la infrazione», mentre il successivo comma 2 pone il
«divieto ad agenzie private ed a singoli procacciatori di esplicare qualsiasi opera di mediazione a favore dei soggetti di cui all’articolo 7, comma 1, nelle
materie ivi indicate», la cui violazione è punita con l’ammenda e, nei casi più
gravi, con l’arresto.
Ed invero, la sentenza impugnata, nel descrivere il comportamento ritenuto
illecito, dopo aver affermato che la Imbrogio agiva nello svolgimento del compito istituzionale di responsabile per la zona di Tortorici del Patronato Labor,
ha osservato che la condotta era consistita nel fatto che «l’odierna imputata, approfittando dei quotidiani contatti che lo svolgimento del compito di responsabile zonale del Patronato Labor le consentiva con i soggetti aventi diritto alle
varie prestazioni assistenziali, riconosciute dalle leggi sociali, piuttosto che avviare per tali soggetti delle pratiche all’interno del patronato, mettendo a disposizione dei richiedenti i servizi dallo stesso offerti, li indirizzava verso il citato

Motivi della decisione

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professionista esterno (Di Stefano) che aveva “cura” di seguire i “clienti” in ogni fase del contenzioso con gli enti previdenziali in cambio di laute controprestazioni in denaro».
Ora, stante la insufficienza e la poca chiarezza della motivazione (che riguarda soprattutto l’attività svolta dal dott. Di Stefano; che fa riferimento a documentazione e dichiarazioni relative solo a due assistiti del patronato Labor,
tali Arcodia e Franchina, che erano stati indirizzati dall’Imbrogio allo studio
medico del Di Stefano; che anche per gli altri soggetti indicati nel capo di imputazione si limita a rilevare che dai relativi file contenuti del computer del medico si evinceva che gli stessi erano stati inviati dal sindacato dell’Imbrogio), non
può ritenersi manifestamente infondato il motivo di ricorso con cui si richiama
l’art. 7, comma 2, della 1. 30 marzo 2001, n. 152 (il quale dispone che «Rientra
tra le attività degli istituti di patronato e di assistenza sociale l’informazione e
la consulenza ai lavoratori e alloro superstiti e aventi causa»);si afferma che
mancherebbe una adeguata motivazione sulla prova della costituzione, insieme
al dott. Di Stefano, di una vera e propria agenzia privata di affari che operava
parallelamente al patronato Labor; si sostiene che la condotta della Imbrogio integrerebbe semmai l’illecito amministrativo di cui all’art. 17, comma i, cit., per
essersi la stessa avvalsa, nella qualità di responsabile dei sindacato Labor, di
soggetti diversi dagli operatori di cui all’articolo 6; e si lamenta che la sentenza
impugnata ha omesso di motivare su questa eccepita diversa qualificazione giuridica dei fatti accertati.
Può aggiungersi che, pur se infondato, non può però ritenersi anche manifestamente infondato nemmeno l’altro motivo con cui si eccepisce la violazione
del principio di corrispondenza tra contestazione e sentenza, perché, mentre con
il capo di imputazione si era contestato all’Imbrogio di aver dato vita ad una
agenzia privata in quel di S. Agata di Militello, il giudice ha poi ritenuto che la
condotta illecita era stata tenuta nello svolgimento del compito istituzionale di
responsabile per la zona di Tortorici del patronato Labor.
Poiché dunque il ricorso non può qualificarsi come manifestamente infondato, la fase processuale di impugnazione si è regolarmente instaurata dinanzi a
questa Corte, che pertanto può e deve rilevare le cause di estinzione del reato
anche se verificatesi in data successiva alla emissione della sentenza impugnata.
Nella specie, come si eccepisce con il secondo motivo di ricorso, dal testo
della sentenza impugnata risulta che i fatti contestati si sono verificati in data
antecedente all’agosto del 2006, dal momento che i testi sentiti a sommarie informazioni hanno deposto in date comprese tra il 19.1.2006 ed il 10.8.2006; che
la conversazione telefonica intercettata è del 18.5.2006; e che la stessa informativa di reato è del 5.1.2007. Dalla sentenza impugnata non emerge poi alcun elemento per poter ritenere che l’attività illecita sia proseguita dopo queste date.
Ne deriva che il reato — anche quello contestato di cui all’art. 17, comma 2,
della 1. 30 marzo 2001, n. 152 — si è comunque prescritto al più tardi nell’agosto
del 2011, ed anzi – considerato un periodo di sospensione di 60 giorni per rinvio
dell’udienza dal 21.1.2000 al 15.4.2000 per legittimo impedimento del difensore — nell’ottobre del 2011.
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Dagli atti non emergono, ovviamente, cause di proscioglimento nel merito.
La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio per essere il reato
estinto per prescrizione.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per
prescrizione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 20
novembre 2012.

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