Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1447 del 14/10/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 1447 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

Data Udienza: 14/10/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NINI GIACOMO N. IL 21/01/1972
NINI ANNARITA N. IL 05/09/1964
avverso la sentenza n. 3028/2009 TRIBUNALE di PERUGIA, del
30/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. . be.Qt k.kyR
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RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 30.4.2012 il Tribunale di Perugia, Sez.
Distaccata di Foligno, in composizione monocratica, dichiarava Nini Annarita e
Nini Giacomo responsabili del reato di cui all’art. 659 cod. pen. – commesso in
Valtopina fino al 24.4.2008 – e li condannava alla pena di euro 200,00 di
ammenda ciascuno nonchè al risarcimento del danno nei confronti delle costituite

risarcimento.
La decisione concerne l’attività – svolta dagli imputati – di gestione di un bar nel
corso della quale i rumori provocati dall’uso di impianti televisivi, giochi e
schiamazzi dei clienti disturbavano – secondo la formulazione della imputazione il riposo delle persone residenti nei pressi del locale ed in particolare quattro
persone che abitavano nello stabile ove è ubicato il bar.
Ad avviso del giudice di merito, la responsabilità emerge fondamentalmente dalla
«documentazione confluita nel fascicolo processuale» essendo le testimonianze
acquisite definite come «contrastanti» .
In particolare in motivazione si compie riferimento ai contenuti di due ordinanze
sindacali (del 16.6.2008 e del 16.10.2008, dunque successive alla data di
contestazione) emesse in riferimento alla necessità di ridurre l’orario di apertura
del bar al pubblico e ed adottare misure idonee a a ridurre il rumore, ordinanze il
cui contenuto – secondo la deposizione resa dal teste di p.g. Desantis sarebbe
stato disatteso dagli attuali imputati.
Inoltre viene citata una relazione redatta da tecnici dell’ARPA del 29.4.2008 in
cui viene rilevato il livello di immissioni rumorose, in ora notturna, all’interno
delle abitazioni dei soggetti costituitisi parte civile nonchè si compie riferimento
all’esistenza di referti medici redatti dal Pronto Soccorso di Perugia in data
21.7.2008 che riguardano i soggetti medesimi.
Sempre quale elemento a carico, viene citata la deposizione del teste Dominici,
tecnico incaricato dal Comune di Valtopina, che avrebbe attestato il superamento
dei decibel previsti per legge all’interno degli appartamenti delle parti civili.
Tutto ciò ad avviso del giudicante consente di ritenere provato l’assunto
accusatorio, non essendo persuasivi gli elementi a discarico, consistenti in
deposizioni rese da soggetti – avventori del bar – che descriverebbero
esclusivamente in modo sommario l’attività svolta nel locale (dunque non
pertinenti al tema) e negli esiti di una consulenza di parte, definiti
sostanzialmente irrilevanti.

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parti civili, con sospensione condizionale della pena subordinata all’avvenuto

Ciò perchè le rilevazioni risultano operate in orari diversi da quelli notturni ed in
luoghi diversi dalle abitazioni delle persone offese (all’interno del bar ed in un
locale sottostante). Da ciò l’irrilevanza ai fini del decidere della tesi difensiva per
cui la propagazione del rumore, effettivamente superiore alla norma, nei piani
sovrastanti dell’edificio dipendeva da un vizio di costruzione dell’immobile, non
sufficientemente insonorizzato.

2. Hanno proposto ricorso per cassazione – a mezzo del difensore – Nini Annarita

Con il primo motivo si impugna una ordinanza – emessa in dibattimento- di
revoca di testimoni della difesa precedentemente ammessi, invocandone la
nullità e si eccepisce il vizio di mancata assunzione di prova decisiva.
A tal proposito i ricorrenti rappresentano che :
– in sede di deposito delle liste testimoniali venivano indicati ventitre testi a
discarico e la lista veniva ritenuta ammissibile per intero ;
– nel corso dell’istruttoria il giudice formulava “invito” teso ad ottenere una
riduzione dei testi ammessi al numero di nove;
– dei nove testi citati dalla difesa per l’udienza del 16 aprile 2009 si presentavano
in cinque e dopo la loro escussione il giudice revocava l’ammissione dei testi
residui con la sola eccezione del consulente tecnico di parte.
L’ordinanza di revoca dei testi già ammessi viene dunque impugnata per difetto
assoluto di motivazione. Si rappresenta inoltre che i testi rimasti non escussi
erano portatori di conoscenze di sicura incidenza sull’esito del processo,
trattandosi di avventori del bar e di soggetti abitanti nelle vicinanze del locale.
Da ciò deriverebbe il vizio di mancata assunzione di prova decisiva ai sensi
dell’art. 606 comma 1 lett. d cod.proc.pen. .
Con il secondo motivo si deduce erronea applicazione della norma incriminatrice
e vizio di motivazione della sentenza impugnata.
I ricorrenti evidenziano, sul punto, la assoluta carenza di sviluppo logico dell’iter
motivazionale e l’assenza di analisi dei profili giuridici della fattispecie contestata
che risulterebbe – per quanto si comprende – quella prevista dall’art. 659 comma
1. Tale tipologìa di contestazione avrebbe reso necessaria una analisi – richiesta
dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità – della concreta idoneità del
rumore provocato dal pubblico esercizio a porre in pericolo la pubblica tranquillità
e dunque a ledere il riposo e la quiete di un numero indeterminato di persone.
L’intera istruttoria – invece – si sarebbe incentrata sulla diffusività dei rumori
all’interno delle abitazioni delle parti civili, poste al di sopra del locale, nel
medesimo stabile, al primo ed al secondo piano (come risulta dai contenuti delle
loro deposizioni, puntualmente indicate).
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e Nini Giacomo, articolando distinti e comuni motivi.

Dunque l’erronea interpretazione in diritto della norma incriminatrice presupposta ma nemmeno sviluppata in sentenza – avrebbe sostanzialmente
falsato sia l’andamento dell’istruttoria che la conseguente decisione di condanna.
Ne è conferma la totale sottovalutazione degli apporti dimostrativi introdotti dai
testi della difesa, indicati in sentenza come “irrilevanti” , ma sempre dopo aver
dato atto – in modo logicamente contraddittorio – della esistenza di un contrasto
nell’ambito delle prove dichiarative.
I contenuti testimoniali a discarico, peraltro, sarebbero stati erroneamente

riferimento, con allegazione degli atti, alle dichiarazioni rese da Evangelisti Fabio,
Farinacci Francesco e Tassi Ezio circa l’assenza di percezione di rumori molesti
all’interno di abitazioni poste a poca distanza dall’esercizio) e ciò in rapporto alla
corretta ricostruzione dei profili caratterizzanti l’illecito in questione.
Gli stessi elementi di prova a carico – pur sommariamente indicati nella
motivazione del provvedimento impugnato – sarebbero idonei a dimostrare
esclusivamente la diffusione del rumore all’interno degli appartamenti posti nello
stesso stabile e al di sopra del bar.
Tale dato, peraltro, non appare nemmeno contestato dai ricorrenti che imputano
la diffusione – effettivamente al di sopra delle soglie consentite – di rumori
all’interno dello stabile ad un difetto di costruzione dell’immobile (colpito da un
evento sismico e ricostruito con pannelli prefabbricati) e tale prospettazione asseverata dal consulente di parte – non sarebbe neanche stata compresa, nè
correttamente valutata dal giudicante.
Si tratterebbe, in tal senso, di un dato non influente a fini penalistici nei confronti
degli attuali ricorrenti, posto che l’effetto di propagazione del rumore – tale da
infastidire solo gli abitanti dei piani superiori e dunque inidoneo a creare
tubrbativa penalmente rilevante – non deriverebbe da negligenza dei gestori del
bar quanto dalla cattiva insonorizzazione dell’immobile.
Da qui la ricorrenza dei vizi segnalati.
Con il terzo motivo si deduce erronea applicazione dell’art. 40 comma 2 e
dell’art. 43 cod. pen. in riferimento alla ritenuta posizione di garanzia in capo ai
gestori dell’esercizio, nonchè vizio di motivazione della decisione impugnata in
tale parte.
Ciò perchè dall’espletata istruttoria risulta che i gestori dell’esercizio possiedono
il locale in virtù di contratto di locazione intercorso con il proprietario
dell’immobile Piermatti Feliciano (padre e genero delle parti civili) ed avrebbero
chiesto – una volta constatata l’inadeguata insonorizzazione derivante da vizi
costruttivi – alla proprietà di eseguire in proprio le opere di adeguamento,
ricevendo un rifiuto.
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ritenuti ininfluenti, travisandone la reale efficacia (si compie specifico

Ora, posto che il rumore – per quanto detto in precedenza – si propaga in modo
eccessivo in virtù del vizio costruttivo, ne deriverebbe in ogni caso l’assenza di
rimproverabilità in capo agli attuali ricorrenti.
Con il quarto motivo si denunzia violazione di legge e vizio di motivazione in
riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
La motivazione adottata nella gravata sentenza risulta una mera formula di stile
e non viene valorizzata l’assoluta incensuratezza degli attuali ricorrenti.
Con il quinto motivo si deduce erronea applicazione dell’art. 185 cod. pen. e

La determinazione del danno risarcibile sarebbe erronea sia perchè operata in
forma cumulativa sia per assenza di prova circa le componenti determinative del
medesimo. In particolare non vi sarebbe possibilità di ritenere componente del
danno il disagio che avrebbero subìto le parti civili nell’attivarsi presso gli uffici
comunali, sia perchè non oggetto di prova che in virtù degli orientamenti
giurisprudenziali di questa Corte in materia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il secondo motivo di ricorso è fondato e va accolto.
Ed invero la decisione impugnata risulta affetta da vizio motivazionale per
assenza di un effettivo percorso argomentativo ed incompletezza, vizi derivanti
da un erroneo inquadramento in diritto della fattispecie contestata.
La motivazione della decisione è infatti basata sulla mera constatazione – per lo
più attraverso rinvio a documentazione acquisita agli atti – del superamento, in
talune occasioni, della ordinaria tollerabilità dei rumori percepiti all’interno delle
abitazioni delle persone offese, poste al di sopra del locale adibito a bar.
Tale constatazione, peraltro operata senza descrizione alcuna del contenuto della
relativa documentazione e pertanto in modo tale da non consentire un effettivo
controllo della corrispondenza tra gli elementi obiettivi e la considerazione degli
stessi, non è sufficiente – in ogni caso – ad integrare la rilevanza penale della
condotta oggetto di contestazione.
La condotta in esame (art. 659 comma 1 cod.pen.), infatti, assume rlievo penale
– anche in riferimento alla collocazione della norma nel capo relativo alle
contravvenzioni concernenti la polizia di sicurezza con particolare riguardo
all’ordine e alla tranquillità pubblica – se ed in quanto gli eccessivi rumori
ricollegati, nel caso di specie, all’esercizio di una attività commerciale, siano
idonei ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone, a causa
della loro obiettiva diffusività (tra le altre, Sez. I n.20207 del 21.3.2013).

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delle norme in tema di responsabilità civile.

L’oggetto dell’accertamento, pertanto, non può essere limitato alla percezione
del rumore – pur se in taluni casi eccessivo – da parte delle sole persone che
vivono immediatamente al di sopra del locale, pur se tale condizione può
determinare l’esistenza di un dovere – civilistico – di adottare misure idonee ad
impedire la diffusione del suono molesto.
La percezione di rumori eccessivi da parte di tali specifici soggetti – nel caso di
specie peraltro incontestata – può essere considerata un elemento indiziante a
carico del gestore dell’esercizio, ma non esaurisce l’ambito dell’accertamento
penalistico, correlato – come si è detto – alla messa in pericolo della pubblica

tranquillità.
Risulta, in altre parole, doverosa una verifica più ampia, tesa a far emergere
l’idoneità della condotta a determinare disturbo ad una più consistente fascia di
soggetti, le cui abitazioni siano ubicate nelle vicinanze dell’esercizio medesimo.
Tale verifica nel caso in esame era resa ancor più necessaria dalle particolari
caratteristiche dell’edificio ove risulta ubicato il bar, per come emergenti dalla
consulenza tecnica depositata dalla difesa.
Se, infatti, la propagazione del rumore nel medesimo stabile era almeno in parte
dovuta a difetto «ab origine» di insonorizzazione – per i materiali e le tecniche
costruttive utilizzate – da ciò deriva la considerazione della possibile diffusione
all’interno del fabbricato anche di rumori di non elevata entità obiettiva e tali,
pertanto, da non «diffondersi» verso altri soggetti abitanti nelle costruzioni
limitrofe.
Tale rilevante dubbio, non compreso dal giudice del merito per evidente difetto di
inquadramento della fattispecie in diritto, non risulta minimamente sciolto nel
percorso argomentativo della decisione.
Anzi, viene indicata l’esistenza, in merito al tema della percezione «esterna» dei
rumori (per lo più procurati dagli avventori del bar) di un «contrasto
dichiarativo» (senza meglio descrivere le fonti di riferimento) che il giudicante
tuttavia ritiene superato, in modo non adeguato, dai contenuti delle verifiche
operate all’interno del medesimo edificio e nelle abitazioni delle persone offese.
Ciò realizza una tecnica argomentativa non rispettosa del dovere di completezza
della motivazione (su cui si veda Sez. IV, n.14732 del 1.3.2011, Molinario, Rv
250133 nonchè Sez. I, n.25117 del 14.7.2006, Stojanovic, Rv 234167) oltre ad
eludere, sostanzialmente, il confronto con la valenza dimostrativa degli elementi
a discarico acquisiti (con violazione dello stesso ‘modello normativo’ di cui all’art.
546 comma 1 lett. e cod.proc.pen.) ed evidenziati in modo ampio nell’intero
ricorso.
La contraddittorietà circa la «percezione esterna» dei rumori è infatti un dato
che, lungi dall’essere superato dai documenti in atti, acuisce il dubbio circa la
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ricorrenza – in concreto – di quella idoneità del rumore a diffondersi oltre il suo
luogo di stretta ‘produzione’ e doveva essere pertanto sciolta attraverso
l’approfondimento delle verifiche o dare luogo all’applicazione della regola
decisòria di cui all’art. 533 comma 1 cod.proc.pen. (affermazione della penale
responsabilità solo ove gli elementi raccolti risultino tali da superare ogni
ragionevole dubbio).
I rilevati vizi della decisione, sia motivazionali che di inquadramento in diritto,
conducono all’annullamento senza rinvio della decisione medesima perchè il fatto

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perchè il fatto non sussiste .
Così deciso il 14 ottobre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

non sussiste. Gli altri motivi restano assorbiti.

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