Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1434 del 13/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 1434 Anno 2014
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da Rapi Pellumb, Seferi Hajri, Zabaroni Renato e Devole
Emilian,
avverso la sentenza emessa ex art. 444 c.p.p. il 12.6.12 dal GUP del Tribunale di
Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita in Camera di consiglio la relazione del Consigliere Dott. Antonio Manna;
letta la requisitoria del Procuratore Generale nella persona del Dott. Eduardo
Scardaccione, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi con le ulteriori
statuizioni di legge.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1- I ricorsi di Pellumb Rapi, Hajri Seferi ed Emilian Devole sono
manifestamente inammissibili perché con essi i ricorrenti censurano — malgrado la
richiesta di applicazione della pena su sua richiesta — il mancato proscioglimento
nel merito ex art. 129 cpv. c.p.p., a tal fine lamentando omessa motivazione a
riguardo.
In primo luogo deve rilevarsi che — contrariamente a quanto affermato dai
ricorrenti — in relazione ad ognuno di essi l’impugnata sentenza ha diffusamente

Data Udienza: 13/12/2013

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argomentato in ordine all’insussistenza dei presupposti per un proscioglimento ex
art. 129 c.p.p., viste le risultanze probatorie a loro carico (confessioni e
convergenti chiamate di correo, nonché esiti di intercettazioni telefoniche).
In secondo, è comunque noto, conformemente ad orientamento
giurisprudenziale da cui questa Corte Suprema non ritiene di doversi discostare
(v. fra le altre, Cass. n. 2076 del 28.10.2003, dep. 22.1.2004, nonché, in

rv. 188083; Cass. VI n. 3467 del 9.10.95 rv. 203306 e numerosissime altre), che
sull’accordo delle parti ex art. 444 c.p.p. non può prevalere l’assoluzione per
mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova, giacché il primo rinvia
solo alle cause di proscioglimento espressamente indicate dall’art. 129 c.p.p., fra
le quali non può annoverarsi — appunto – quella per mancanza, insufficienza o
contraddittorietà della prova (cfr., ad es., Cass. n. 26008 del 18.5.2007, dep.
5.7.2007).
Né varrebbe invocare l’equiparazione della mancanza, insufficienza o
contraddittorietà della prova alla insussistenza del fatto od alla sua non
attribuibilità all’imputato, poiché tale equiparazione è contenuta solo nell’art. 530
co. 2° c.p.p. e nell’art. 425 co. 3° c.p.p., a norma del quale va emessa sentenza di
non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultino insufficienti,
contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa nel giudizio.
Si tratta, infatti, di situazioni processualmente non assimilabili.
Nel primo caso, la pronuncia ex art. 530 co. 2° c.p.p. indica uno dei possibili
punti di approdo di uno specifico momento processuale che vede le parti
soffermarsi sulle proprie e altrui prove, iter soltanto al termine del quale ha senso
constatare, a seconda dei casi, la sussistenza delle condizioni per emettere
sentenza di condanna, come prevede l’art. 533 c.p.p., o per pronunciare sentenza
di assoluzione secondo le varie formule di rito.
L’art. 425 c.p.p., a sua volta, si innesta nel complesso delle norme che
governano l’udienza preliminare, nella quale l’incompletezza delle indagini può
condurre solo ad una attività di integrazione probatoria del giudice (art. 422) o ad
un provvedimento che dispone ulteriori indagini (art. 421 bis c.p.p.), mai ad una
sentenza di non luogo a procedere per insufficienza o contraddittorietà della
prova, e nella quale deve pertanto affermarsi, sulla base di una lettura del terzo co.
dell’art. 425 opportunamente coordinata con quella dei citati artt. 422 e 421 bis

motivazione da Cass. S.U. n. 18 del 25.10.95; Cass. Sez. VI n. 8719 del 21.591,

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c.p.p., che la sentenza di non luogo a procedere per insufficienza o
contraddittorietà della prova è possibile solo quando l’insufficienza o la
contraddittorietà della prova non possa essere sciolta con più complete ed
esaurienti indagini. Anche l’art. 425 co. 2° c.p.p. indica, quindi, uno dei possibili
punti di approdo di un specifico momento processuale, quello, cioè, dell’udienza
preliminare, in relazione al quale, proprio perché è stato consentito alle parti di

indiretti di integrazione delle eventuali carenze, ha senso la previsione della
sentenza di non luogo a procedere anche per insufficienza o contraddittorietà della
prova.
È, dunque, al termine dell’udienza preliminare, ove si sia attraversato questo
momento, o dopo il dibattimento, ove l’udienza preliminare sia mancata, che la
mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova sono equiparate dal
legislatore, attraverso la disposizione dell’art. 530 o quella dell’art. 425, alla prova
negativa della sussistenza del fatto o della responsabilità dell’imputato.
Ciò spiega perché nell’udienza preliminare la predetta equiparazione può
assumere rilevanza, ai fini della immediata applicazione dell’art. 129 e della
prevalenza della formula assolutoria su quella di proscioglimento per estinzione
del reato prevista dal secondo comma della medesima norma, solo se ed in quanto
il GUP abbia accertato che la mancanza o insufficienza della prova non sia dipesa
da incompletezza delle indagini e, nel dibattimento (ed in particolare nei
procedimenti con citazione diretta a giudizio), soltanto al termine, dopo
l’espletamento cioè delle attività necessarie per la formazione dialettica della
prova.
In tale senso è anche la giurisprudenza della Corte cost., che nelle ordinanze
26.6.91 n. 300 e 18.7.91 n. 362 espressamente rileva come, prima del
dibattimento, l’art. 129 c.p.p. non consente di attribuire valore alla mancanza,
insufficienza e contraddittorietà della prova proprio perché la prova non è stata
ancora assunta.
Il procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti, governato
dagli artt. 444 e ss. c.p.p., è, appunto, senza dibattimento, ragion per cui il giudice
non può pronunciare sentenza di proscioglimento o di assoluzione per mancanza
(non irreversibile), insufficienza o contraddittorietà delle prove desumibili dagli
atti del fascicolo del p.m. proprio perché, altrimenti la rinuncia all’istruzione

soffermarsi, con il giudice, sulle proprie ed altrui prove con poteri diretti o

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dibattimentale manifestata dal p.m. con l’accordo ex art. 444 c.p.p. verrebbe
strumentalizzata per un fine diverso da quello proprio della norma, il tutto con
indebita elusione della regola dell’obbligatorio esercizio dell’azione penale.

2- Del pari inammissibile, per manifesta infondatezza, è il ricorso di Renato
Zabaroni, che denuncia inosservanza dell’art. 420 ter c.p.p. per non essere stato

stesso GUP aveva già emesso alla precedente udienza del 23.5.12, asserendo che
la mancata traduzione (in assenza di rinuncia a comparire da parte sua) si evince
dal fatto che nel verbale dell’udienza preliminare egli non risulta assente né
detenuto per altra causa né rinunciante a comparire.
Premesso che la richiesta di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. è stata
avanzata dal difensore dello Zabaroni, ex art. 446 co. 3 0 c.p.p. necessariamente
munito di apposita procura speciale, nel caso in esame trova applicazione il
costante insegnamento giurisprudenziale (cui va data continuità anche nella
presente sede) secondo cui, nel rilasciare la procura speciale al proprio difensore
affinché proceda al cd. patteggiamento, l’imputato acconsente — implicitamente,
ma inequivocabilmente — a che l’udienza si celebri in sua assenza, sicché egli è
rappresentato a tutti gli effetti dal difensore medesimo, al punto che non si può
fare luogo alla declaratoria di contumacia (cfr., ex aliis, Cass. Sez. IV n. 4226
dell’8.1.13, dep. 28.1.13; Cass. Sez. I n. 14015 del 7.3.08, dep. 3.4.08; Cass. Sez.
In. 26042 del 28.5.03, dep. 18.6.03).
Tali considerazioni superano ogni altra difesa svolta nella successiva memoria
depositata il 21.11.13 dalla difesa dello Zabaroni e nell’istanza di acquisizione di
copia del verbale dell’udienza preliminare del 23.5.12.

3- In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità di tutti i ricorsi.
Ex art. 616 c.p.p. consegue la condanna dei ricorrenti alle spese processuali e di
ciascuno di essi al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma
che stimasi equo quantificare in euro 1.500,00 alla luce dei profili di colpa
ravvisati in ogni impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale,

tradotto per assistere all’udienza del 12.6.12 in ottemperanza all’ordine che lo

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dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di € 1.500,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, in data 13.12.13.

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