Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 14296 del 08/02/2017
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14296 Anno 2017
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: RECCHIONE SANDRA
Data Udienza: 08/02/2017
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ABBAMUNDO ALESSANDRO nato il 07/05/1979 a AVERSA
BIDOGNETTI RAFFAELE nato il 10/02/1974 a VILLARICCA
CHIANESE LUIGI nato il 10/11/1967 a AVERSA
COSTANZO SECONDINO nato il 07/12/1982 a NAPOLI
CRISTOFARO GIUSEPPE nato il 07/03/1949 a LUSCIANO
D’ANIELLO GIACOMO nato il 13/09/1960 a AVERSA
DE SANTIS SALVATORE nato il 14/06/1977 a NAPOLI
GAGLIARDINI MARIO nato il 25/06/1983 a CASERTA
GAGLIARDINI NICOLA nato il 22/12/1973 a AVERSA
GAROFALO NICOLA nato il 25/10/1963 a FRIGNANO
GERUNDINO FABIO nato il 19/02/1981 a CASSANO ALLO IONIO
!OMETTI GIOVANNI nato il 15/06/1978 a NAPOLI
LANZA ANTONIO nato il 27/01/1976 a LUSCIANO
NUGNES ANTONIO nato il 10/02/1969 a AVERSA
OLIVA ANTONIO nato il 28/08/1943 a LUSCIANO
PANFILLA LUIGI nato il 30/11/1957 a LUSCIANO
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SCARANO ROSARIO nato il 27/04/1972
VASSALLO GIOVANNI nato il 02/06/1964 a LUSCIANO
VENTRE GIORGIO nato il 18/05/1953 a LUSCIANO
VENTRE LORENZO nato il 22/12/1974 a AVERSA
avverso la sentenza del 06/10/2014 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/02/2017, la relazione svolta dal Consigliere
Udito il Procuratore Generale in persona del CIRO ANGELILLIS
che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi
con esclusione del ricorso
di
Panfilla luigi per il quale chiedeva annullamento con rinvio limitatamente alla
pena e rigetto nel resto.
Uditi difensori delle parti civili Avv. Maristella Bergamo per il comune di Lusciano
e Granata Giuseppe per l’Unione Casertana
Antiracket concludevano per il
rigetto dei ricorsi e depositavano conclusioni e nota spese.
L’avv. Campora Marco per Abbamundo, l’avv. Barbieri Alessandro per Gagliardini
Nicola e Gagliardini Mario,
l’avv. Costanzo Luciano per Oliva Antonio, Ventre
Giorgio e Ventre Lorenzo, l’avv. Maiolini Biagio per Nugnes Antonio, l’avv.
Scaramozza
Fernando
Cosimo
per
Gerundino
l’accoglimento dei motivi di ricorso
/
Fabio
insistevano
per
SANDRA RECCHIONE
RITENUTO IN FATTO
l.La Corte di appello di Napoli, parzialmente riformando la sentenza emessa
all’esito del giudizio abbreviato condannava i ricorrenti per il reato di cui all’art.
416 bis cod. pen. (partecipazione alla associazione mafiosa storica denominata
“camorra”), oltre che per la partecipazione ad una associazione finalizzata al
traffico di sostanze stupefacenti e per i reati fine dei due sodalizi (estorsione
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore di
Abbamundo Alessandro che deduceva:
2.1. vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il
reato di cui all’art. 74 D.p.r. 309\1990. Si deduceva che non erano state
considerate le doglianze proposte con l’atto di appello sul difetto di convergenza
delle dichiarazioni dei collaboratori. Segnatamente: non sarebbero attendibili le
dichiarazioni del Di Caterina che avrebbe effettuato una ricognizione fotografica
perplessa; le dichiarazioni del Diana sarebbero invece generiche in quanto non
specificherebbero il ruolo svolto dall’imputato nell’ambito della compagine
associativa;
mancherebbe
infine
una
motivazione
sufficiente
per
ritenere
l’esistenza di una associazione finalizzata al traffico di sostanza stupefacente.
2.2. Vizio di legge e di motivazione in ordine al riconoscimento dell’aggravante
prevista dall’art. 7 della Legge 203 del 1991. Si deduceva che non sarebbe
emerso nessun collegamento dell’imputato con organizzazioni criminali, né
tantomeno degli elementi di prova indicativi della consapevolezza in capo
all’imputato di agire agevolando il clan dei casalesi; si rimarcava, al riguardo,
che I’Abbamundo aveva avuto limitati rapporti con
periodo; l’imputato
provento del
inoltre sarebbe stato all’oscuro del fatto che le somme
traffico
di
stupefacente
venivano versate
criminali. Infine: le intercettazioni richiamate
avrebbero
alcuna
correi e per un breve
efficacia
dimostrativa,
ad
organizzazioni
nella sentenza impugnata non
tenuto
conto
dello
stato
di
tossicodipendenza dell’imputato;
2.3. vizio di motivazione in relazione all’accertamento di responsabilità per gli
episodi contestati ai capi n), o), p) e q): le prove
raccolte non sarebbero
sufficienti in quanto mancherebbero osservazioni di polizia giudiziaria e sequestri
e non sarebbero stati identificati gli acquirenti della sostanza;
2.4. vizio di legge e di motivazione in relazione alla definizione del trattamento
sanzionatorio: gli aumenti inflitti per la continuazione sarebbero eccessivi e le
attenuanti generiche sarebbero state denegate nonostante vi fossero gli elementi
per la loro concessione.
3
spaccio di sostanza stupefacente ed altro).
3. Ricorreva per cassazione il difensore del Bidognetti Raffaele che deduceva:
3.1.vizio di legge e di motivazione in relazione alla valutazione delle dichiarazioni
del Mola che non sarebbero assistite da riscontri esterni; in particolare non
sarebbero utili come riscontro individualizzante le dichiarazioni del Di Caterina e
del Diana che sarebbero generiche; inoltre il Mola sarebbe
un dichiarante de
relato e non sarebbe stata individuata la fonte dei contenuti accusatori riferiti
dal collaboratore;
condotta: nell’individuare la data
sarebbe stato considerato
di consumazione del delitto associativo non
che nel 2007 sia il Bidognetti che il Ventre erano
ristretti in carcere;
3.3. vizio di legge e di motivazione in relazione alla definizione del trattamento
sanzionatorio;
non sarebbe stata scrutinata la richiesta di riconoscimento della
continuazione con i fatti giudicati dalla Corte di appello di Napoli con le sentenze
del
pena
18 giugno 2012,
sarebbe
del 17 febbraio 2002
eccessiva
tenuto
conto
e del 3 maggio 2011;
del
ruolo
inoltre
concretamente
la
rivestito
dall’imputato.
4.Ricorreva per cassazione anche il difensore del Chianese che deduceva:
4.1. vizio di legge e
di motivazione in relazione alla valutazione delle
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia; si evidenziava la natura de relato di
molte chiamate in correità e la collocazione del pactum sceleris nel 2006, ovvero
in un periodo in cui il Chianese era detenuto; inoltre non sarebbe stata effettuata
l’analisi della attendibilità intrinseca del Mola
tardive e non spontanee;
le cui dichiarazioni sarebbero
infine non sarebbe stata considerata
la parte
dell’appello che evidenziava la mancanza di prova della esecuzione dell’accordo
~
iniziale con il Panfilia, né quella della stipula di un accordo successivo con i nuovi
referenti territoriali;
..)
4.2. vizio di legge e di motivazione in relazione al riconoscimento dell’aggravante
prevista dall’art. 7 della legge 203 del 1991; con riferimento al capo l)
non
sarebbero emersi sintomatici della modalità mafiosa, non essendo sufficiente a
tal fine la provenienza della
richiesta estorsiva da una persona che fa parte di
un’associazione mafiosa, né il significato attribuito a tale condotta dalla vittima;
4.3. vizio di legge e di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della
continuazione con fatti già giudicati;
4.4. vizio di legge e di motivazione
in ordine alla definizione del trattamento
sanzionatorio: non sarebbero stato motivato l’aumento inflitto per la seconda
aggravante ad effetto speciale.
4
3.2. vizio di legge e di motivazione in relazione alla omessa retrodatazione della
S.Ricorreva personalmente il Garofalo Nicola che deduceva vizio di legge e di
motivazione in relazione all’accertamento di responsabilità per i reati contestati;
segnatamente: non vi sarebbe convergenza tra le dichiarazioni dei collaboratori
di giustizia tenuto anche conto del fatto che lo !ovine aveva fornito informazioni
de relato; inoltre l’episodio del “palazzo Ducale” «non poteva ritenersi tale da
determinare la prova di una condotta di partecipazione al clan dei casalesi»
vizio di legge e di motivazione in relazione alla definizione del trattamento
sanzionatorio; si contestava il diniego delle circostanze attenuanti generiche che,
nella prospettiva del ricorrente, avrebbero dovuto essere concesse valorizzando
il comportamento processuale e l’episodicità della condotta.
7. Ricorreva per cassazione il difensore del Ventre Giorgio che deduceva vizio di
legge e di motivazione in relazione all’accertamento di responsabilità per il reato
di cui all’art. 416 bis cod. pen.: i collaboratori Di Caterina e Mosca avrebbero
individuato nel Ventre un fiancheggiatore e non un partecipe; non vi sarebbe
inoltre
la
prova
dell’inserimento
stabile
dell’imputato
nella
compagine
associativa.
8. Ricorreva per cassazione anche il difensore del Vassallo Giovanni che
deduceva vizio di legge e di motivazione con riguardo alla definizione del
trattamento sanzionatorio e, segnatamente, al giudizio di bilanciamento delle
circostanze, che sarebbe stato effettuato solo in equivalenza, nonostante vi
fossero elementi che avrebbero giustificato la prevalenza delle attenuanti.
9. Ricorreva personalmente Scarano Rosario che deduceva vizio di legge: non
sarebbe stata applicata correttamente la regola prevista dall’art. 192 cod. proc.
pen. in quanto le dichiarazioni dei collaboratori non sarebbero specifiche e
convergenti nel tratteggiare il ruolo svolto dal ricorrente.
10. Ricorreva personalmente Nugnes Antonio, che deduceva vizio di legge e di
motivazione in relazione all’entità dell’aumento inflitto per la continuazione che
non
avrebbe
tenuto
in
considerazione
il
comportamento
processuale
dell’imputato.
11. Ricorreva per cassazione anche il difensore del Lanza Antonio che deduceva
vizio di legge e di motivazione in relazione alla definizioni degli aumenti per la
5
6. Ricorreva il difensore del Gerundino che, con due distinti motivi, denunciava
continuazione, che sarebbero stati applicati senza il supporto di una motivazione
adeguata.
12. Ricorreva per cassazione il difensore di Oliva Antonio che deduceva:
12.1.
vizio
di
legge
e
responsabilità per il reato
di
motivazione
in
relazione
all’accertamento
di
di cui all’art. 416 bis cod. pen.; le dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia non convergerebbe
sul tema della affiliazione, né
dimostrerebbero la stabile partecipazione dell’imputato al sodalizio;
con il quale si instava per la derubricazione del reato associativo nella più lieve
fattispecie prevista dall’art. 378 cod. pen.
12.3. vizio di motivazione in relazione
alla affermazione di responsabilità per
l’estorsione contestata al capo 1). Si deduceva che il Mosca e di Caterina
avrebbero mai affermato di avere
non
riferito all’Oliva che la somma che il Mosca
aveva inviato al Di Caterina tramite lo stesso imputato fosse provento
di
un’estorsione;
12.4.
vizio
di
motivazione
in
relazione
alla
definizione
del
trattamento
sanzionatorio con riguardo alla omessa concessione del minimo della pena
e
delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti.
13. ricorreva per cassazione anche il difensore del Panfilia che deduceva:
13.1. vizio di legge e di motivazione: malgrado la Corte avesse dichiarato di
accogliere i rilievi difensivi in ordine all’entità dell’aumento per la seconda
aggravante ad effetto speciale non effettuava alcuna riduzione;
13.2. vizio di legge e di motivazione: la riduzione per il rito abbreviato sarebbe
stata effettuata prima dell’applicazione dell’aumento per la continuazione e non
dopo;
13.3. vizio di legge e di motivazione: vi sarebbe stata la violazione del divieto
di reformatio in peius in quanto l’aumento per la continuazione relativa ai reati
satellite sarebbe passata dai tre anni irrogati in primo grado, ai quattro anni in
appello;
14. Proponeva ricorso per cassazione il difensore del Gagliardini Nicola e del
Gagliardini Mario:
14.1. Nell’interesse di Gagliardini Nicola si denunciava la violazione del principio
del ne bis in idem in relazione al riconoscimento dell’aggravante prevista dall’art.
7 della legge n. 203 del 1991 e di quella prevista dall’art. 628 comma 3 cod.
pen.: l’imputato era stato assolto dal reato di cui all’art. 416 bis cod. pencon
sentenza della Corte di appello di Napoli
6
n. 591 del 2 febbraio 2012, il che
12.2. vizio di motivazione: non sarebbero stato considerato il motivo di appello
impedirebbe, tenuto conto delle affermazioni contenute nella sentenza allegata,
di riconoscere l’aggravante contestata.
14.1. In relazione a Gagliardini Mario: vizio di legge e di motivazione in relazione
al riconoscimento delle aggravanti previste dagli artt. 628, comma 3 cod. pen. e
7 della legge n. 203 del 2001; si deduceva, in particolare, che la contestuale
condanna per i reati previsti dall’art. 416 bis cod. pen. e dall’art. 74 D.p.r.
309\90 non consentiva l’automatico riconoscimento di tale ultima aggravante.
15.1.
vizio
di
legge
e di
motivazione
in
relazione
all’accertamento
di
responsabilità per il reato previsto dall’art. 74 D. p. r. 309\90: le dichiarazioni dei
collaboratori non indicherebbero «condotte specifiche» e non sarebbe emersa la
prova che l’imputato aveva assunto un ruolo nella compagine associativa dopo
l’arresto del fratello; né tale partecipazione poteva essere provata attraverso le
condotte di vendita della sostanza stupefacente;
motivazione in relazione alla mancata riqualificazione
15.2. vizio di legge e di
della
condotta
al
contestata
capo
m)
come
favoreggiamento:
l’invocata
derubricazione non troverebbe alcun ostacolo nelle prove emerse nel processo,
non essendo emerso che il Gagliardini desse disposizioni agli altri sadali;
15.3. vizio di legge e di motivazione in relazione al riconoscimento della
aggravante prevista dall’art. 7 della legge
203 del 1991:
lo spaccio, nella
prospettiva del ricorrente, sarebbe una attività gestita direttamente dal sodalizio
mafioso, con conseguente annullamento dell’alterità delle compagini associative,
ovvero del presupposto per il riconoscimento dell’aggravante;
15.4. vizio di legge e di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della
continuazione con altra sentenza: il diniego non poteva essere giustificato sulla
base del fatto che la richiesta non sarebbe stata avanzata con i motivi di appello,
in quanto all’epoca la sentenza relativa ai fatti in relazione ai quali si chiedeva il
riconoscimento del vincolo non era passata in giudicato;
15.5. vizio di legge e di motivazione in relazione alla definizione del trattamento
sanzionatorio:
non sarebbero stati
valorizzati
né l’incensuratezza,
né
il
comportamento processuale.
16. Ricorreva per Cassazione il difensore del Ventre Lorenzo che deduceva:
16.1.
vizio
di
legge
e
di
motivazione
in
relazione
all’affermazione
di
responsabilità dell’estorsione consumata ai danni di Orabona Oreste: si deduceva
che il fatto che gli autori materiali avessero fatto il nome del Ventre Lorenzo alla
vittima della tentata estorsione non sarebbe elemento sufficiente per ritenere il
concorso dell’imputato nel fatto contestato;
7
15. Ricorreva personalmente il Gagliardini Mario che deduceva:
16.2.
vizio
di
legge
e
di
motivazione
responsabilità per l’estorsione tentata ai
in
relazione
all’accertamento
di
danni di Bosco Antonio: si deduceva
che, ai fini del riconoscimento della desistenza, non sarebbe stata valorizzata la
dichiarazione della persona offesa nella parte in cui affermava che il Ventre si
sarebbe astenuto dal chiedergli denaro perché erano stati compagni di scuola;
16.3. vizio di legge e di motivazione: per l’accertamento di responsabilità
in
ordine al reato previsto dall’art. 74 D.p.r. 309\90 non sarebbe sufficiente il fatto
che l’imputato ricevesse un rateo mensile dai fratelli Gagliardini; inoltre non
si chiedeva la derubricazione del
reato contestato in ricettazione o estorsione;
16.4. vizio di legge e di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della
continuazione con i fatti giudicati dalla Corte di appello di Napoli con sentenza
del 3 maggio 2011
(prodotta il 6 ottobre 2014):
la Corte avrebbe negato il
beneficio rilevando la mancata allegazione della sentenza che, secondo il
ricorrente, si trovava invece in atti;
17. Ricorreva per cassazione il difensore di I ometti Giovanni che deduceva:
17 .l.
vizio
di
legge
e
di
motivazione
in
relazione
all’accertamento
di
responsabilità per il reato associativo: si deduceva che le dichiarazioni dei
collaboratori non sarebbero convergenti; si rilevava che il Di Caterina, detentore
della cassa del clan dei casalesi dal 2004 al 2008, non avrebbe effettuato alcun
riferimento
Tartarone;
allo !ometti come “stipendiato” del clan, così
inoltre il Di Caterina non
contraddicendo il
avrebbe confermato le dichiarazioni del
Mosca, nella parte in cui riferiva di una riunione del clan alla quale avrebbero
partecipato sia lo !ometti che il Di Caterina; infine si deduceva, testualmente,
che «essere condannato per il reato di estorsione è cosa diversa dallo svolgere
una attività necessaria ai fini della locupletazione del profitto dell’attività
estorsiva».
Si deduceva, infine,che
non vi erano prove della permanenza del vincolo
associativo successivamente alla detenzione dell’imputato; anzi: l’assenza di
contribuzioni economiche a favore dello !ometti nel periodo della sua detenzione
sarebbe indicativa della dissociazione;
17. 2. vizio di legge e di motivazione in relazione alla omessa considerazione
motivo d’appello volto al riconoscimento della continuazione con i fatti giudicati
con la sentenza n. 2363 del 3 maggio 2011 della Corte di appello di Napoli che
era allegata agli atti.
18.4. Ricorreva per cassazione il difensore del Costanzo che deduceva che non vi
sarebbero prove sufficienti per l’affermazione di responsabilità; in particolare:
8
sarebbe stato trattato il motivo con il quale
- mancavano
in atti
i verbali illustrativi della collaborazione, essenziali per la
valutazione di credibilità dei collaboratori Mosca e Di Caterina;
– il Di Caterina aveva affermato che il Costanzo sarebbe stato affiliato al clan
Panfilia, ma non
ruolo
del
Di
avrebbe indicato la fonte di tale informazione; inoltre, dato il
Caterina,
la
carenza
di
informazioni
da
lui
provenienti
determinerebbe la inconsistenza delle accuse; l’accusa mossa non risulterebbe
confortata dalla emersione di rapporti telefonici del Costanzo con il Panfilia, né
dal suo inserimento nell’elenco degli “stipendiati”;
il Costanzo non avrebbe indicato la fonte delle sue conoscenze;
inoltre non
avrebbe trovato conferma l’affermazione che il Costanzo era noto nell’ambiente
con il soprannome di Dinuccio Quagliuccello; le dichiarazioni del Mosca circa il
coinvolgimento
dell’imputato
nello
spaccio
di
sostanza
stupefacente,
non
collimerebbero con quelle del Di Caterina (né il dichiarante indicherebbe, anche
in questo caso, la fonte delle sue affermazioni); infine: non troverebbe conferma
l’aggressione che il Costanzo avrebbe consumato ai danni di Paolo di Sarno; il
gesto del Costanzo avrebbe indotto il Mosca a dichiararsi disponibile alla sua
uccisione
ed
evidenzierebbe
il
rancore
del
collaboratore
nei
confronti
dell’accusato. Da ultimo: l’affermazione che la affiliazione del Costanzo sarebbe
avvenuta a Pasqua del 2008 risulterebbe smentita dal fatto che lo stesso veniva
arrestato cinque giorni prima della Pasqua; tale arresto renderebbe inattendibile
anche la parte del racconto del Mosca laddove affermava di avere visto il
Costanzo insieme al Panfilia e ad altri consociati;
– venivano infine criticata (facendo riferimenti ai contenuti dell’ordinanza di
custodia in carcere) la capacità dimostrativa delle intercettazioni
indicate a
riscontro delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
n
19. Ricorreva per cassazione anche il difensore del Cristofaro, del De Santis e del
/l
D’Aniello che deduceva:
(
19.1. in relazione a tutti gli imputati il carente vaglio della attendibilità
soggettiva dei dichiaranti ed il difetto di motivazione in ordine al diniego delle
circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante prevista dall’art. 114 cod.
pen.;
19.2. in relazione al Cristofaro Giuseppe:
– con riferimento all’estorsione ai danni del Bosco si deduceva vizio
di
motivazione in relazione all’attendibilità della persona offesa; le dichiarazioni
accusatorie non sarebbero confermate da elementi oggettivi, né
come conferma
sarebbe utile
la testimonianza del Di Caterina, che aveva riferito
di una
estorsione ai danni della fabbrica di scarpe di Lusciano, ma non la sua
9
– il Mosca, inserito in un gruppo antagonista rispetto a quello a cui apparterebbe
attribuibilità al Cristofaro; con riferimento al riconoscimento della aggravante
prevista dall’art. 7 del D.L. 152 del 1991 si deduceva che la provenienza della
richiesta
estorsiva
da
esponenti
dell’organizzazione
mafiosa
non
sarebbe
sufficiente ad integrare l’aggravante;
19.3. in relazione al De Santis Salvatore:
– con riferimento al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen.: si deduceva la
genericità
collaboratori di giustizia
delle
che
dichiarazioni
accusatorie
provenienti
dai
non avrebbero individuato «il ruolo rivestito, i
crimini commessi, e le specifiche estorsioni commesse
dal De Santis»; non
sarebbero state considerate le doglianze proposte con l’atto di appello circa la
genericità delle dichiarazioni eteroaccusatorie del Di Caterina, che aveva ifatto
riferimento ad un generico coinvolgimento
del De Santis nel settore delle
estorsioni; anche il Mosca non sarebbe stato in grado di attribuire al De Santis
uno specifico ruolo. Peraltro il Mosca era stato affiliato solo dopo gli arresti del
marzo del 2008, uno dei quali aveva interessato proprio il De Santis, sicché non
poteva
avere conosciuto l’attività svolta dall’imputato. Infine: avrebbe fornito
indicazioni generiche anche il Tartarone.
– con riferimento al reato contestato al capo m) si deduceva che le chiamate in
correità del Mola e del Mosca erano de re/ato, mancavano di specificità
e non
sarebbero confermate dai contenuti delle intercettazioni.
Mancherebbe, infine, la motivazione in ordine al riconoscimento dell’ aggravante
prevista dall’art. 7
della legge n. 203 del 1991,
che sarebbe
e non faceva
riferimento al ruolo svolto dal De Santis.
19.3.
In relazione al D’Aniello si deduceva:
– con riferimento al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. sarebbero generiche le
dichiarazioni del Di Caterina, del Mola e del Fasano, mentre le dichiarazioni del
Mosca, che affermava che il D’Aniello percepiva lo stipendio dai Gagliardini non
sarebbero coerenti con quanto dichiarato dal Di Caterina, che aveva invece
affermato che il D’Aniello non tratteneva nulla per sé in considerazione del fatto
che apparteneva al clan Schiavone e non a quello Bidognetti. Si deduceva
inoltre il difetto di motivazione in relazione alla invocata derubricazione del reato
contestato in quello previsto dall’art. 378 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
l.II ricorso proposto nell’interesse di Abbamundo è inammissibile.
1.1. Il
primo motivo di ricorso, che deduce vizio di motivazione in relazione
all’accertamento di responsabilità per il reato di cui all’art. 74 D.p.r. 309 del
1990 è manifestamente infondato, in quanto si limita ad una riproduzione delle
10
complessiva
doglianze avanzate con l’atto di appello e non
individua vizi della motivazione
manifesti e decisivi. Il collegio ribadisce che sono inammissibili i motivi di ricorso
ripetitivi, concernenti vizi di motivazione della sentenza di appello, essendo in tal
caso solo apparente la critica logica alla motivazione, a meno che questa non sia
a sua volta, meramente ripetitiva della motivazione del primo giudice (Cass. sez.
5, n 1357 de/12/11/1986, Rv. 175027)
Nel caso di specie la dedotta mancata convergenza ed inattendibilità delle
dichiarazioni dei collaboratori, come anche l’esistenza di riscontri esterni veniva
dalla Corte di appello con una motivazione approfondita
contrariamente a quanto dedotto,
che,
evidenziava la univocità e convergenza delle
fonti di prova raccolte (pagg. 8, 9,10 della sentenza impugnata).
Segnatamente: l’identificazione dell’indagato veniva ritenuta certa sulla base
degli elementi disponibili, in conformità con quanto ritenuto dai giudici di primo
grado,
mentre
la
incertezza
del
riconoscimento
del
Di
Caterina
veniva
giustificato con il fatto che al dichiarante veniva offerta in visione una «foto
vecchia» (pag. 9 della sentenza
impugnata); si evidenziava, inoltre, che la
mancata indicazione del cognome dell’imputato da parte del Mola veniva
superata dal riferimento che gli altri collaboratori facevano all’imputato, ed in
particolare
attraverso la valorizzazione del contenuto della testimonianza del
Gerundino (pag. 9 della sentenza impugnata).
Si tratta di motivazione che risponde in modo puntuale alle doglianze avanzate
con l’atto di appello e che non presenza vizi logici idonei ad inficiarne la capacità
dimostrativa.
1.2. Manifestamente infondate sono le censure proposte nei confronti del
riconoscimento dell’aggravante prevista dall’art. 7 della legge 203 del 1991. Si
deduce il mancato accertamento dell’elemento soggettivo in ordine alla condotta
di
agevolazione
che
non
giurisprudenza di legittimità
tengono
conto
della
consolidata
e
condivisa
secondo cui l’aggravante in questione può essere
applicata ai concorrenti nel delitto, secondo il disposto dell’art. 59 cod. pen.,
anche quando essi
non
siano consapevoli
della
finalizzazione
dell’azione
delittuosa a vantaggio di un’associazione di stampo mafioso, ma versino in una
situazione di ignoranza colpevole (Cass. sez. 2 n. 51424 del 05/12/2013
258581; Cass. sez. 2
n. 51424 del 05/12/2013 Rv. 258581; Cass. sez. 6
Rv.
n.
24025 del 30/05/2012, Rv. 253114).
1. 3.11
terzo
motivo
di
ricorso
che
contesta
la
motivazione
in
ordine
all’accertamento di responsabilità per i reati di cui ai capi n), o), p), e q) è
manifestamente infondato in quanto si risolve nella proposta di una lettura
11
superata
alternativa delle prove, accuratamente vagliate dai giudici di merito e valutate
come univocamente indicative della responsabilità contestata. Il collegio in
materia di vizio di motivazione ribadisce che il sindacato del giudice di legittimità
sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare
che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le
ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia
“manifestamente
illogica”,
perché
sorretta,
nei
suoi
punti
essenziali,
da
argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della
c)
non
sia
internamente
“contraddittoria”,
ovvero
esente
da
insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile”
con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente
nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o
radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Cass. sez. l,
n. 41738
del
19/10/2011, Rv. 251516); segnatamente: non sono deducibili censure attinenti
a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità,
dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando
esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre
diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze
che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di
puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che
sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle
diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti
sui
punti
dell’attendibilità,
della
credibilità,
dello
spessore
della
valenza
probatoria del singolo elemento (Cass. sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, Rv.
262965).
Nel caso di specie il
compendio
motivazionale integrato che emerge dalle
sentenze conformi di merito è privo di vizi logici manifesti e decisivi e si presenta
coerente sia con le indicazioni ermeneutiche offerte dalla Corte di legittimità che
con le emergenze processuali, sicchè si sottrae ad ogni censura in questa sede.
1.4.Le doglianze proposte in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio
sono manifestamente infondate.
La censura rivolta avverso il diniego delle circostanze attenuanti generiche non si
confronta con la consolidata giurisprudenza secondo cui nel motivare il diniego
della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice
prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle
parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli
ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri
da tale valutazione (Cass. Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010 Rv. 248244; Cass.
12
logica;
Sez.
l” sent. n. 3772 del 11.01.1994 dep. 31.3.1994, rv 196880). La
concessione delle attenuanti generiche richiede, infatti, l’apprezzamento di
elementi
che orientino la discrezionalità affidata
positivi
al giudice nella
definizione del trattamento sanzionatorio verso la attribuzione di una sanzione
meno afflittiva.
Con riferimento alle censure relativa alla ritenuta eccessività degli aumenti inflitti
in seguito al riconoscimento della continuazione il collegio ribadisce che in tema
di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste l’obbligo di
cod.pen., valendo a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della
pena – base (Cass. sez. 5″, n. 27382 del 28/04/2011, Rv. 250465; Cass. sez.
5″, n. 11945 del 22/09/1999, Rv. 214857). La Corte non ignora diverso
orientamento che ha indicato la necessità di offrire una motivazione specifica in
relazione agli aumenti per la continuazione nel caso in cui tali aumenti si
presentino differenziati in relazione a reati satelliti omogenei (Cass. sez. 6″, n.
7777 del 29/01/2013, Rv. 255052). Nel caso di specie, tuttavia, la Corte
territoriale applicava un unico aumento per la continuazione che deve ritenersi
giustificato, nella dimensione, dalle ragioni offerte per la quantificazione della
pena base. Il consolidamento della progressione criminosa che viene effettuato
con il riconoscimento del vincolo della continuazione consente infatti di ritenere
giustificati gli aumenti per i reati satellite con i parametri indicati per la
determinazione del reato principale (Cass. sez. 2, n. 4707 del 21/11/2014, dep.
2015, Rv. 262313).
3. I ricorso proposto nell’interesse del Bidognetti Raffaele è inammissibile.
3.1. La mancanza di riscontri esterni alle dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia, dedotta con il primo motivo di ricorso, non risulta dal compendio
motivazionale integrato delle due sentenze di merito che, contrariamente a
quanto dedotto,
accertano la responsabilità
nel pieno rispetto della regola di
valutazione indicata dall’art. 192 comma 3 cod. proc. pen. (pag. 19 della
sentenza impugnata).
Mola non erano
La Corte di appello evidenziava che le dichiarazioni del
de relato, ma dirette
dichiarazioni del Di Caterina che
e che
erano confermate sia dalle
da quelle del Diana, oltre che
emerso dalla sentenza che aveva accertato che il
da quanto
Bidognetti aveva un ruolo
apicale nella camorra insediata nel territorio di Lusciano. Si tratta di motivazione
esente da vizi logici che si sottrae ad ogni censura in questa sede.
3.2. Il motivo che deduce l’illegittimità della mancata retrodatazione della
condotta contestata al Bidognetti
in relazione al suo stato di detenzione (ed a
13
specifica motivazione per gli aumenti di pena effettuati ai sensi dell’art. 81
quello del coimputato Ventre)
è inammissibile per difetto di autosufficienza in
relazione al dichiarato, ma non dimostrato, stato di restrizione.
In materia di autosufficienza del ricorso il collegio ribadisce
che allorché sia
dedotto, mediante ricorso per cassazione, un “errar in procedendo” ai sensi
dell’art. 606, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., la Corte è giudice anche del
fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all’esame diretto degli
atti
processuali
Diversamente,
(Cass.
sez.
l,
n.
8521
del
09/01/2013,
Rv.
255304).
quando viene invocato un atto, che contiene un elemento di
relazione al disposto di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., dalla giurisprudenza
civile deve essere rispettato anche nel processo penale, sicchè
è onere del
ricorrente
la
suffragare
la
validità
del
suo
assunto
mediante
completa
trascrizione dell’integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di
quanto era già stato dedotto in precedenza), dovendosi ritenere precluso al
giudice di legittimità il loro esame diretto, a meno che il “fumus” del vizio
dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Cass.
sez. l, n. 16706 del 18/03/2008, Rv. 240123).
Nel caso di specie non si rinviene alcuna allegazione dimostrativa dello stato di
detenzione alla base della doglianza.
3.3. Infine: manifestamente infondato è anche il terzo motivo di ricorso relativo
al trattamento sanzionatorio. Contrariamente a quanto dedotto, la Corte di
appello
ha
motivato
in
ordine
al
rigetto
della
invocata
continuazione
valorizzando, tra l’altro, la distanza temporale tra i fatti oggetto del presente
procedimento e quelli accertati dalle sentenze in ordine alle quali si chiedeva il
riconoscimento del vincolo (pag. 19 della sentenza impugnata).
3.4.
La
doglianza
in
ordine
alla
definizione
sanzionatorio è manifestamente infondata
dell’entità
in quanto
del
trattamento
non si confronta con la
consolidata giurisprudenza di legittimità, condivisa dal collegio, secondo cui la
determinazione della pena è frutto di una valutazione di merito insindacabile in
sede di legittimità. Al riguardo si condivide la giurisprudenza secondo cui la
graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni
previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità
del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in
aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è
inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova
valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di
mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione
(Cass. sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142).
14
prova, il principio della “autosufficienza del ricorso” costantemente affermato, in
4. Il ricorso proposto nell’interesse del Chianese è manifestamente infondato.
4.1. Il primo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione in ordine alla
attendibilità intrinseca dei collaboratori e, segnatamente, alla attendibilità del
Mola.
Invero la valutazione in ordine all’accertamento di responsabilità che risulta dal
compendio integrato della due motivazioni di merito si
fonda sulla accurata
scrutinate sul presupposto della ritenuta attendibilità intrinseca dei dichiaranti,
ossia sulla valutazione della loro competenza a rendere testimonianza ed a
rispondere in modo coerente alle sollecitazioni dell’intervista giudiziaria. Tale
presupposto della prova dichiarativa, oltre a non costituire specifico oggetto delle
censure
proposte con l’atto di appello, risulta implicitamente ritenuto dalla
sentenza impugnata che si concentra sulla analisi dei motivi proposti (pag. 23
della sentenza impugnata). Il collegio sul
punto condivide il consolidato
orientamento della Corte di cassazione secondo cui in sede di legittimità, non è
censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione
prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla
motivazione della sentenza complessivamente considerata (Cass. sez. l,
n.
27825 del 22/05/2013 Rv. 256340)
Quanto alla natura de relato delle dichiarazioni, il collegio territoriale evidenziava
che le stesse si riscontravano tra di loro e che la fonte delle dichiarazioni erano
gli estorsori, titolari del diritto al silenzio. In materia, il collegio ribadisce che non
rientra nella disciplina dell’art. 195 cod. proc. pen. la dichiarazione “de relato”
dei collaboranti che hanno riferito fatti appresi dagli stessi imputati, in quanto la
fonte primaria, in tal caso, non può essere chiamata a rendere dichiarazioni che
possano pregiudicare la sua posizione, fermi restando i criteri di particolare
rigore nella valutazione di tali elementi probatori (Cass. sez. 5 n. 29821
del
25/11/2014, Rv. 265298). Nella valutazione conforme delle due sentenze di
merito la responsabilità concorsuale del Chianese emerge con chiarezza dalle
dichiarazioni del Di Caterina che ha riferito «in modo dettagliato l’evolversi
dell’estorsione»:
tale
nucleo
accusatorio
trovava
piena
dichiarazioni degli altri collaboratori, ovvero il Mosca ed il Mola
conferma
nelle
(pag. 23 della
sentenza impugnata).
4.2. Le doglianze proposte avverso il riconoscimento dell’aggravante prevista
dall’art. 7 della legge 203 del 1991 sono manifestamente infondate. La Corte di
appello ritiene che rimputato abbia agito con modalità mafiose valorizzando le
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che trovavano piena conferma nel
15
]
\
,,
l
analisi della convergenza delle dichiarazioni eteroaccusatorie che vengono
comportamento omertoso dell’imprenditore estorto (pag.
24 della sentenza
impugnata). Si tratta di una valutazione di merito, coerente con le emergenze
processuali e priva di vizi logici manifesti e decisivi che valorizza il complessivo
quadro probatorio emergente dagli elementi di prova raccolti, e segnatamente
dalle testimonianze dei collaboratori, univoche nell’indicare le modalità mafiose
dell’estorsione contestata.
3.4. Anche le doglianze relative al trattamento sanzionatorio, che si risolvono
dell’aumento conseguente al riconoscimento della seconda attenuante ad effetto
speciale, sono manifestamente infondate. Invero la Corte rileva la gravità della
condotta, la sua protrazione nel tempo e la negativa personalità dell’imputato,
ovvero una serie di elementi
negativi
che giustificano l’applicazione del
contestato aumentato assolvendo pienamente all’onere di motivazione in ordine
alla definizione della pena (pag 25 della sentenza impugnata).
S. Sono inammissibili i ricorsi proposti nel’interesse del Gerundino, del Vassallo
Giovanni e del Nugnes, che si limitano a denunciare vizi di legge e di motivazione
in relazione alla definizione del trattamento sanzionatorio.
S.l. Il ricorso proposto nell’interesse del Gerundi no è manifestamente infondato:
con
due motivi di ricorso si
censura la sentenza
in relazione all’asserita
mancata concessione delle attenuanti generiche, che invece, contrariamente a
quanto dedotto, sono state concesse (pag. 46 della sentenza impugnata).
S. 2. Anche il ricorso proposto nell’interesse del Vassallo è manifestamente
infondato: le censure investono la definizione del trattamento sanzionatorio con
specifico riferimento alla individuazione della pena base ed al
giudizio di
bilanciamento tra le circostanze. Si tratta di un motivo che non si confronta con
la consolidata giurisprudenza che
stabilisce che la determinazione in concreto
del trattamento sanzionatorio è frutto di una valutazione di merito insindacabile
in sede di legittimità. Al riguardo si ribadisce che la graduazione della pena,
anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze
aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la
esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati
negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che,
nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della
pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento
illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Cass. sez. S, n. SS82 del
30/09/2013, dep. 2014, Rv. 2S9142). Nel caso di specie la Corte di appello
confermava le valutazioni di merito effettuate dal Tribunale rilevando l’assenza
di elementi idonei a giustificare una valutazione diversa (pag. 66 della sentenza
16
nella deduzione di un vizio di motivazione in relazione alla applicazione
impugnata). Si tratta di una motivazione che assolve l’onere motivazionale
incombente sul giudice, in coerenza con le indicazioni fornite dalla Corte di
cassazione e che si sottrae ad ogni censura in questa sede.
5.3. Manifestamente infondato è il ricorso proposto nell’interesse del Nugnes,
che si risolve nella critica alla definizione
dell’aumento per la continuazione.
Anche in questo caso la censura non si confronta con la consolidata e condivisa
giurisprudenza di legittimità secondo cui non sussiste l’obbligo di specifica
motivazione per gli aumenti di pena effettuati ai sensi dell’art. 81 cod.pen.,
(Cass. sez. 5/\, n. 27382 del 28/04/2011, Rv. 250465; Cass. sez. 5/\, n. 11945
del 22/09/1999, Rv. 214857). La Corte non ignora diverso orientamento che ha
indicato la necessità di offrire una motivazione specifica in relazione agli aumenti
per la continuazione nel caso in cui tali aumenti si presentino differenziati in
relazione a reati satelliti omogenei (Cass. sez. 61\, n. 7777 del 29/01/2013, Rv.
255052). Nel caso di specie, tuttavia, la Corte territoriale applicava un unico
aumento per la continuazione che deve ritenersi giustificato, nella dimensione,
dalle ragioni offerte per la quantificazione della pena base. Il consolidamento
della progressione criminosa che viene effettuato con il riconoscimento del
vincolo della continuazione consente infatti di ritenere giustificati gli aumenti per
i reati satellite con i parametri indicati per la determinazione del reato principale
(Cass. sez. 2, n. 4707 del 21/11/2014, dep. 2015, Rv. 262313).
6. Il ricorso proposto dal Garofalo è inammissibile in quanto generico. Il collegio
in materia ribadisce che per l’appello, come per ogni altro gravame, il combinato
disposto degli art. 581 comma primo lett. c) e 591 comma primo lett. c) del
codice di rito comporta la inammissibilità dell’impugnazione in caso di genericità
dei relativi motivi. Per escludere tale patologia è necessario che l’atto individui il
“punto”
che
enucleandolo
intende
con
devolvere
puntuale
alla
cognizione
riferimento
alla
del
giudice
motivazione
di
della
appello,
sentenza
impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che
l’oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame»
(Cass. Sez. 61\ sent. 13261 del 6.2.2003, dep. 25.3.2003, rv 227195; Cass. sez.
4,
n.
40243 del
30/09/2008,
Rv.
241477;
Cass.
sez.
6,
n.
32227 del
16/07/2010, Rv. 248037, Cass. sez. 6, n. 800 06/12/2011, dep. 2012, Rv.
251528).
Nel caso di specie, il ricorrente si limitava a criticare genericamente
la
consistenza dell’impianto probatorio, che sarebbe provo di efficacia dimostrativa.
Invero il compendio
motivazionale
integrato emergente dalle due sentenze di
merito rileva la presenza di elementi di prova
17
univocamente
orientati ad
valendo a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della pena – base
indicare l responsabilità del Garofalo, che rivestiva la qualifica di “capo zona” del
clan Bidognetti nel territorio di Parete (in tal senso le dichiarazioni dei
collaboratori ed i contenuti delle intercettazioni telefoniche: pag. 43 della
sentenza impugnata). Si tratta
di una motivazione prova di fratture logiche
coerente con le prove raccolte, che si sottrae ad ogni
manifeste e decisive,
censura in sede di legittimità.
7. Il ricorso proposto nell’interesse del Ventre Giorgio è inammissibile.
Le doglianze proposte reiterano quelle avanzate con i motivi
richiesta di
revisione delle emergenze processuali rivolta
all’inquadramento dell’imputato come “favoreggiatore”
piuttosto che come
Si tratta di censure manifestamente infondate che
partecipe.
non tengono
conto delle argomentazioni offerte dalla sentenza impugnata che evidenzia,
invece,
l’esistenza
di
una
serie
di
elementi
di
prova
che
ostana
all’inquadramento della condotta posta in essre dall’imputato nella fattispecie del
favoreggiamento; al riguardo la Corte territoriale valorizza le prove dalle quali
emergeva l’impegno
del Ventre in diverse estorsioni, oltre che la sua continua
disponibilità a far fronte alle esigenze del clan (pag.
68 della sentenza
impugnata).
8. Il ricorso proposto nell’interesse dello Scarano è inammissibile in quanto si
risolve nella richiesta di una lettura alternativa delle emergenze processuali non
ammessa in sede di legittimità. L’affermazione di responsabilità, contrariamente
a quanto dedotto,
si fonda sulla accurata
dichiarazioni accusatorie del
valutazione della convergenza delle
Di Caterina e del Mosca, entrambe orientate a
definire lo specifico ruolo dello Scarano, che aveva la funzione di raccogliere i
proventi delle estorsioni per conto del clan nel territorio di Lusciano. Si tratta di
una valutazione effettuata nel pieno rispetto della regola di valutazione prevista
dall’art. 192 comma 3 cod. proc. pen., che si sottrae ad ogni censura (pag. 60
della sentenza impugnata).
9. Il ricorso proposto nell’interesse di Lanza Antonio è inammissibile in quanto in
data 7 febbraio 207 perveniva in cancelleria la rinuncia all’impugnazione.
10. Il ricorso proposto nell’interesse dell’Oliva è inammissibile.
10.1.
Il
primo
motivo
che
deduce
l’illegittimità
dell’accertamento
di
responsabilità
per il reato associativo è manifestamente infondato. Il motivo si
risolve
proposta
nella
di
una
lettura
alternativa
delle
prove.
Invero,
contrariamente a quanto dedotto la Corte territoriale evidenziava la convergenza
delle dichiarazioni accusatorie e svalutava, in coerenza con le indicazioni fornite
dalla Corte di legittimità, l’assenza di affiliazione formale (pag. 50 della sentenza
18
risolvendosi nella
di appello
impugnata). La Cassazione ritiene infatti, con giurisprudenza che si condivide,
che la differenza tra soggetto formalmente “affiliato” e soggetto “vicino” al
gruppo
criminale
non
associazione mafiosa,
incide
sulla
valutazione
della
partecipazione
alla
in quanto la partecipazione associativa si sostanzia
unicamente nell’ “affectio societatis” e nella stabile messa a disposizione della
propria opera per i fini dell’organizzazione mafiosa (Cass. sez. l
n. 32094 del
18\02\2004, Rv. 229488; Cass. sez. l n. 9091 del 18\02\2010, rv 246493).
10.2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato in quanto la
incompatibile
con
le
valutazione
in
ordine
alla
certa
emersione
della
responsabilità in ordine al reato associativo. Sul punto il collegio ribadisce che
non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione
prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla
motivazione della sentenza complessivamente considerata (Cass. sez. l, n.
27825 del 22/05/2013, Rv. 256340).
10.3. E’ manifestamente infondato anche il motivo di ricorso orientato a rilevare
la
mancanza
di
consapevolezza
dell’imputato nel
concorso
nell’estorsione
contestata al capo 1). Le deduzioni difensive reiterano quelle proposte con l’atto
d’appello e non si confrontano con gli argomenti della sentenza, che rilevano
come la prova della consapevolezza della partecipazione all”attività illecita
contestata emerga dalle dichiarazioni della persona offesa e trovi piena conferma
nelle dichiarazioni del Mosca (pag. 51 della sentenza impugnata).
10.4. Infine: sono manifestamente infondate le doglianze proposte avverso
la
definizione del trattamento sanzionatorio. Il collegio ribadisce che in materia di
individuazione della pena è inammissibile la censura che, nel giudizio di
cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui
determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia
sorretta da sufficiente motivazione (Cass. sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep.
2014, Rv. 259142). Nel caso di specie
il contenimento
del bilanciamento nei
limiti dell’equivalenza veniva giustificato sulla base del ruolo svolto dall’imputato
nella consumazione dell’estorsione (pag. 51 della sentenza impugnata) con
motivazione priva di fratture logiche e coerente con le indicazioni ermeneutiche
fornite dalla Corte di legittimità.
11.11 ricorso di Panfilla è fondato.
11.1. Il motivo che deduce la carenza di motivazione in
relazione alla
applicazione dell’aumento di pena per la seconda aggravante ad effetto speciale
è fondato. Il collegio ribadisce la giurisprudenza secondo cui sul giudice incombe
uno specifico dovere di motivazione
quando dopo aver quantificato la pena
19
invocata derubricazione della condotta nel reato di favoreggiamento risulta
relativa alla circostanza più grave,
si ritenga di procedere ad un ulteriore
aumento nella misura massima consentita dall’art. 63, comma quarto, cod. pen.
(Cass. sez. 6 n. 18748 del 05/02/2014, Rv. 259447)
Nel caso di specie venivano riconosciute due aggravanti ad effetto speciale: la
recidiva, che veniva posta in bilanciamento con le
attenuanti riconosciute,
e
l’aggravante prevista dall’art. 7 della legge 203 del 1991 in relazione alla quale
veniva applicato l’aumento di un terzo in coerenza quanto previsto dall’art. 63
4
cod.
proc.
pen.,
senza
giustificazione in relazione alla scelta
che,
tuttavia,
venisse
fornita
alcuna
di applicare l’aumento per la seconda
aggravante riconosciuta.
Invero la concorrenza tra aggravanti speciali si verifica anche se una di esse
incide sulla pena solo perché annulla l’effetto favorevole delle attenuanti
attraverso il bilanciamento in equivalenza, sicchè ave si voglia applicare un
aumento
di pena
in relazione al riconoscimento della seconda aggravante ad
effetto speciale incombe sul giudice uno specifico onere di motivazione.
11.2. Anche il secondo motivo di ricorso è fondato.
Il collegio condivide la giurisprudenza secondo cui
in caso di riconoscimento
della continuazione tra più reati giudicati separatamente la riduzione ex art. 442
cod. proc. pen. va applicata, – qualora il reato più grave sia stato giudicato con il
rito speciale – sulla pena finale determinata dopo l’aumento disposto per i reati
satellite, anche se definiti con il rito ordinario; qualora invece il giudice
procedente individui, quale reato più grave, quello giudicato con rito ordinario, la
riduzione di pena dovrà essere disposta per i soli reati satellite giudicati con rito
abbreviato (Cass. sez. 3, n. 37848 del 19\05\2015, Rv. 264812).
Nel caso di specie la continuazione veniva riconosciuta individuando come reato
più grave l’estorsione descritta al capo l), fatto
sottoposto a giudizio
con le
forme del rito abbreviato, ciononostante la Corte effettuava la decurtazione per
il rito prima della definizione dell’applicazione dell’aumento in continuazione con
i reati satellite in violazione del principio di diritto appena enunciato.
11.3. Anche il terzo motivo
di ricorso è fondato.
La Corte di appello pur continuando a ritenere più grave il reato di cui al capo l)
disponeva
un aumento in continuazione per i reati satellite superiore a quello
definito dal giudice di primo grado, così contravvenendo al divieto di reformatio
in peius. Il collegio ribadisce Nel giudizio di appello, il divieto di “reformatio in
peius”
della
sentenza
impugnata
dall’imputato non
riguarda
solo l’entità
complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua
determinazione, talchè il giudice di appello, non può modificare l’entità della
componente intermedia inerente all’aumento per la recidiva rispetto a quanto
20
comma
statuito in primo grado
(Cass. sez. 2 n. 44332 del 15/10/2013, Rv. 257444,
Cass. sez. 2, n. 34387 del 06/05/2016, Rv. 267853; Cass. sez. 3 n. 17113 del
16/12/2014, dep. 2015, Rv. 263387).
11.4. La sentenza impugnata, relativamente alla posizione del Panfilla deve
pertanto essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di
Napoli, che definirà la pena in coerenza con i principi di diritto sopra enunciati.
12.II ricorso proposto nell’interesse di Gagliardini Mario e Gagliardini Nicola
12.1. Nell’interesse del Gagliardini Nicola
veniva dedotta la violazione del
principio del ne bis in idem in relazione al riconoscimento dell’aggravante
prevista dall’art. 7 della legge
manifestamente infondato. Invero
n.
201 del 1991: si tratta
di motivo
il ricorrente invocava
impropriamente il
diritto a non essere perseguiti due volte per lo stesso fatto
allegando l’effetto
preclusivo di una precedente assoluzione per il reato previsto dall’art. 416 bis
cod. pen. laddove
l’imputato, nel presente
giudizio, veniva condannato per il
reato previsto dall’art. 74 D.pr. 309\90 aggravato dall’art. 7 della legge n. 201
del 1991: non si rinviene dunque l’idem factum cui correlare la preclusione,
essendo indifferente rispetto alla identificazione del “fatto” la
sua dimensione
circostanziale. Sul punto il collegio ribadisce che ai fini dell’operatività del divieto
di un secondo giudizio, la valutazione sull’identità del fatto è circoscritta
all’elemento materiale del reato nelle sue componenti essenziali attinenti alla
condotta, al nesso causale ed all’evento, non potendo la configurazione di
ulteriori eventuali circostanze aggravanti determinare la diversità del fatto
medesimo (Cass. sez. 4 n. 31446 del 25/06/2008 Rv. 240895).
12.2. Il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse del Gagliardini Mario è
manifestamente infondato in quanto generico. Il ricorrente invocava in modo
aspecifico l’assenza degli elementi per riconoscere l’aggravante prevista dall’art.
7 della legge 203 del 1991, sulla base di una sua
possibile ed astratta non
riconoscibilità nel caso di concorso delle associazioni previste dagli artt. 416 bis
cod. pen. e 74 D.p.r. 309\90,
senza indicare i motivi per cui,
in concreto, nel
caso di specie, tale aggravante avrebbe dovuto essere esclusa.
13. Il ricorso proposto dal Gagliardini Mario è inammissibile.
13.1. I primi due motivi si risolvono nella proposta di una lettura alternativa
delle prove non ammessa in sede di legittimità.
Il vizio di motivazione per superare il vaglio di ammissibilità non deve essere
diretto a
invece
censurare genericamente la
essere
idoneo
valutazione di colpevolezza, ma
deve
ad individuare un preciso difetto del percorso logico
21
dall’avv. Somma è inammissibile.
argomentativo offerto dalla Corte di merito, sia esso identificabile come illogicità
manifesta della motivazione,
sia esso inquadrabile come carenza od omissione
argomentativa; quest’ultima declinabile sia nella mancata presa in carico degli
argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle prove a sostegno delle
componenti oggettive e soggettive del reato contestato.
E’
giurisdizione di legittimità è limitato alla
noto infatti che il perimetro della
rilevazione delle illogicità manifeste e delle carenze motivazionali, ovvero di vizi
specifici del percorso argomentativo, che
fino a comprendere la rivalutazione dell’interno
compendio indiziario. Le discrasie logiche e le carenze motivazionali per essere
rilevanti
devono, inoltre,
avere la capacità di essere decisive, ovvero
essere
idonee ad incidere il compendio indiziario, incrinandone la capacità dimostrativa.
Nel caso di specie, come evidenziato in premessa,
il ricorrente
piuttosto che
rilevare vizi decisivi della motivazione si limitava a offrire una interpretazione
degli elementi di prova raccolti diversa da quella fatta propria dalla Corte di
appello in contrasto palese con le indicate linee interpretative.
Nel caso di specie, la Corte di appello evidenziava la convergenza delle
dichiarazioni dei collaboratori Di Caterina e Mola nell’indicare nell’imputato il
gestore del traffico di droga nel territorio di Lusciano dopo l’arresto del fratello.
Tali dichiarazioni, nella valutazione della Corte di merito, risultavano confermate
dalle prove
della consumazione dei reati-fine oltre
che dal contenuto delle
intercettazioni telefoniche.
La derubricazione nella meno grave fattispecie di favoreggiamento
veniva
invece esclusa dal fatto che dal compendio integrato delle motivazioni offerte nei
due gradi di merito emergeva che l’imputato dava disposizioni ai sodali per il
concreto
svolgimento
dell’attività
di
spaccio,
condotta
incompatibile
con
l’inquadramento invocato (pagg. 37 e 38 della sentenza impugnata).
Si tratta di una motivazione priva di fratture logiche e coerente con le
emergenze processuali che non si presta
ad alcuna censura in questa sede in
relazione a nessuno dei due aspetti oggetto di censura.
13.2 Anche il motivo di ricorso che deduce l’illegittimità del riconoscimento
dell’aggravante prevista dall’art. 7 della legge 203 del 1991 è manifestamente
infondato.
Dal compendio delle motivazioni di merito emerge chiaramente
il rapporto
ancillare che legava la associazione finalizzata alla gestione del traffico di
stupefacente alla associazione mafiosa facente capo al clan Bidognetti. Il
ricorrente nell’invocare l’assorbimento della associazione che gestiva il traffico di
stupefacenti in quella mafiosa di fatto instava per un’inammissibile rivalutazione
delle emergenze processuali, senza indicare vizi logici
22
manifesti e decisivi del
competenza della Cassazione
non possono dila.tare l’area di
percorso motivazionale offerto dalle due sentenze di
merito a sostegno
dell’accertamento di responsabilità.
13.3. I vizi dedotti in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio sono
manifestamente infondati.
Il ricorrente pur invocando il riconoscimento del vizio di motivazione nel diniego
di riconoscimento della continuazione con «altra condanna passata in giudicato»
non forniva elementi per la identificazione della condanna in questione, il che
rende il motivo di ricorso generico e, pertanto, inammissibile.
infondate sono anche le censure rivolte nei confronti della
definizione della entità della pena. Sul punto il collegio ribadisce l’ampiezza della
discrezionalità giudiziale, che deve essere esercitata nel rispetto dei parametri
indicati dall’art. 133 cod pen. Quanto gli oneri motivazionali, il collegio ribadisce
che il giudice di merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita
valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’articolo 133 cod. pen., assolve
adeguatamente all’obbligo della motivazione; infatti, tale valutazione rientra
nella sua discrezionalità e non postula un’analitica esposizione dei criteri adottati
per addivenirvi in concreto (Cass. Sez. 2, sent. n. 12749 del 19/03/2008, dep.
26/03/2008, Rv. 239754; Sez. 4, sent. n. 56 del 16/11/1988, dep. 5/1/1989 rv
180075).
La motivazione offerta dalla sentenza impugnata rispetta
criteri ermeneutici
indicati e si sottrae ad ogni censura.
14. Il ricorso proposto nell’interesse del Ventre Lorenzo è fondato nella parte in
cui contesta la legittimità dell’accertamento di per la tentata estorsione ai danni
del Bosco Antonio; per il resto è inammissibile.
14.1. Il ricorrente evidenziava che, in seguito all’incontro avvenuto tra la vittima
dell’azione
estorsiva
ed il Ventre, l’azione criminosa
veniva interrotta e non
portata ad ulteriori conseguenze. Il collego ritiene che la desistenza volontaria si
differenzia dal recesso attivo in quanto la prima interviene quando s’interrompe
l’attività esecutiva, mentre il secondo è ravvisabile quando l’attività esecutiva è
compiutamente esaurita e manca solo che l’evento si realizzi (Cass. sez. 2 n.
8031 del 24/06/1992, Rv. 191291).
Nel caso dell’estorsione la “costrizione”, che deve seguire alla violenza o
minaccia, attiene all'”evento” del reato, come anche attengono all’evento
l’ottenimento dell’ingiusto profitto con altrui danno, sicché si ha solo tentativo nel
caso in cui la violenza o la minaccia non raggiungono il risultato di costringere
una persona al “facere” ingiunto
(Cass. sez. 2
n. 11922 del 12\12\2012, rv
254798; Cass. sez. 2 n. 37515 del 11\06\2013 rv 256658). Nel caso di specie
dal compendio motivazionale integrato delle sentenze di merito emergeva che
23
Manifestamente
l’attività minatoria era stata potata a compimento, con conseguente perfezione
dell’estorsione nella dimensione tentata,
e che
gli eventi del reato (ovvero la
costrizione e l’ottenimento del profitto ingiusto) non si verificavano a causa del
recesso del Ventre, che non pretendeva il pagamento delle rate dell’estorsione a
causa del fatto che il Bosco era stato un suo compagno di scuola (pag. 70 della
sentenza impugnata).
14.1.
Il
motivo di
responsabilità
ricorso
che
deduce
l’illegittimità
per l’estorsione a carico deii’Orabona
dell’affermazione di
è
manifestamente
Il ricorrente deduce che gli esecutori avrebbero fatto riferimento al Ventre solo
per millanteria proponendo un motivo reiterativo delle doglianze avanzata con
l’atto d’appello,
senza confrontarsi
con
le ragioni offerte dalla sentenza
impugnata che, con motivazione priva di vizi logici, evidenzia che «è del tutto
inverosimile che sia stato speso dagli autori materiali il nome del Ventre, che tra
l’altro nello stesso periodo prese parte ad altre estorsioni riconducibili al clan
Bidognetti>> (pag. 69 della sentenza impugnata). Si tratta di una motivazione che
si fonda sulla valorizzazione della strategia estorsiva posta in essere dalle mafie
storiche attraverso
il
riferimento
al
potenziale
intimidatorio
evocato dal
riferimento agli esponenti di spicco delle organizzazioni, che non risulta in alcun
modo incisa dalle doglianze proposte con l’impugnazione.
14.2.
Anche
le
doglianze
proposte
nei
confronti
dell’accertamento
di
responsabilità per la partecipazione all’associazione finalizzata al traffico dì
sostanze stupefacenti scontano lo stesso vizio evidenziato al punto che precede:
sì tratta dì motivi reiteratìvì di quelli proposti con l’impugnazione di merito che si
risolvono nella richiesta di una lettura alternativa delle prove non ammessa in
sede di legittimità e che non individuano vizi logici manifesti e decisivi
dell’impianto motivazionale offerto a sostegno dell’affermazione di responsabilità.
La Corte territoriale evidenziava che le prove raccolte indicavano che «senza il
consenso del clan che controllava il territorio e, dunque anche del Ventre
Lorenzo, i fratelli Gagliardini non avrebbero potuto svolgere l’attività di spaccio»
il che consentiva di individuare un «contributo indispensabile» all’attività illecita
contestata (pag. 70 della sentenza impugnata). Si tratta di una motivazione
esplicativa delle ragioni del riconoscimento del concorso che si presenta esente
da vizi di logici e coerente con le emergenze processuali; e che dunque
si
sottrae ad ogni censura in questa sede.
14.3. Anche il motivo che deduce l’illegittimità del diniego del riconoscimento
della continuazione è manifestamente infondato.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la sentenza in relazione
alla quale si invocava il riconoscimento della continuazione risulta essere stata
24
infondato.
prodotta tempestivamente; tuttavia il ricorrente, nell’invocare il riconoscimento
del beneficio sanzionatorio, non valutava che la reiezione era
motivata anche
sulla base della genericità dell’istanza, dato che l’atto d’appello non indicava «in
alcun modo gli elementi da cui dovrebbe desumersi l’unicità del disegno
criminoso
e dunque la sussistenza delle condizioni richieste per l’applicazione
dell’art. 81 cpv cod. pen.» (pag 71 della sentenza impugnata). Tale riconosciuta
genericità dell’impugnazione rendeva inammissibile la doglianza
fin dalla fase
del merito, con conseguente interruzione della catena devolutiva e conseguente
ribadisce che per l’appello, come per ogni altro gravame, il combinato disposto
degli art. 581 comma primo lett. c) e 591 comma primo lett. c) del codice di rito
comporta la inammissibilità dell’impugnazione in caso di genericità dei relativi
motivi. Per escludere tale patologia è necessario che l’atto individui il “punto” che
intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con
puntuale riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, e specificando
tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l’oggetto della diversa
deliberazione sollecitata presso il giudice del gravàme (Cass. sez. 6 sent. 13261
del 6.2.2003, dep.
25.3.2003,
Cass. sez.
rv 227195;
4,
n. 40243 del
30/09/2008, Rv. 241477; Cass. sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, Rv. 248037,
Cass. sez. 6, n. 800 06/12/2011, dep. 2012, Rv. 251528).
15. Il ricorso proposto nell’interesse dello !ometti è inammissibile.
15.1.
Il motivo che deduce l’illegittimità dell’accertamento di responsabilità in
ordine al reato associativo è manifestamente infondato, in quanto si risolve nella
proposta di una lettura alternàtiva delle prove,
non ammessa in sede di
legittimità, senza che vengano individuati vizi logici manifesti e decisivi del
percorso motivazionale.
lnvero la Corte di appello evidenziava la convergenza delle dichiarazioni del Di
Caterina, del Guida e del Mosca, ritenendole univoche nell’indicare nello !ometti
una persona impegnata nella gestione delle estorsioni per conto del clan
Bidognetti.
Inoltre nella valutazione della Corte di merito Il fatto che le dichiarazioni del
Tartarone, relative al fatto che lo !ometti fosse stipendiato dal clan non avesse
trovato conferme non incideva sull’efficacia dimostrativa
del
indiziario
della
raccolto
ritenuto
univocamente
indicativo
ricco compendio
responsabilità
dell’imputato (pag. 47 della sentenza impugnata).
Anche la permanenza del vincolo associativo successivamente alla detenzione
dell’imputato veniva adeguatamente motivata dalla Corte di appello che faceva
riferimento alla mancata allegazione
di elementi decisivi che provassero il
25
inammissibilità dell’analogo motivo proposto in sede di legittimità. Il collegio
,
recesso dal’associazione.
Il collegio in materia condivide la giurisprudenza
secondo cui in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, il
sopravvenuto stato detentivo dell’indagato non esclude la permanenza della
partecipazione dello stesso al sodalizio criminoso, che viene meno solo nel caso,
oggettivo, della cessazione della consorteria criminale ovvero nelle ipotesi
soggettive, positivamente acclarate, di recesso o esclusione del singolo associato
(Cass. sez. l n. 46103 del 07/10/2014, Rv. 261272; Cass. sez. l, n. 46065 del
22/10/2015 Rv. 265313)
logici manifesti e decisivi, si presenta coerente con le emergenze processuali e si
sottrae ad ogni censura in questa sede.
15.2. Anche il motivo di ricorso che deduce l’illegittimità del diniego in ordine al
riconoscimento della continuazione è manifestamente infondato.
Si tratta di motivo che non risulta dedotto in appello. Nessuna indicazione circa
la richiesta di riconoscimento della continuazione può essere infatti ricavata
dalla frase contenuta nell’atto di impugnazione, dove la difesa conclude
affermando «abbiasi trascritte le conclusioni richieste nella memoria difensiva
depositata all’udienza di discussione», senza ulteriori indicazioni. Inoltre non
trova conferma quanto affermato nel ricorso per cassazione relativamente
all’istanza orale di
riconoscimento della continuazione che sarebbe stata
avanzata dalla difesa dell’ imputato all’udienza del 6 ottobre 2014 dato che, dalla
lettura del verbale dell’udienza indicata, emergeva l’assenza del difensore dello
Iometti (foglio 417 del fascicolo processuale).
16. Il ricorso proposto nell’interesse di Costanza Secondino è manifestamente
infondato.
Lo stesso si risolve nella proposta di una lettura alternativa delle prove non
consentita in sede di legittimità e non evidenzia vizi manifesti e decisivi del
compendio motivazionale integrato che emerge dalle due sentenze conformi di
merito
16.1. Manifestamente infondata è la deduzione della mancata allegazione dei
verbali illustrativi d.ella collaborazione. Si premette che il giudizio si è svolto con
le forme del rito abbreviato prescelto dall’imputato, che ha ritenuto fosse
possibile il giudizio allo stato degli atti, ed ha accettato come base cognitiva per
la valutazione di responsabilità un compendio probatorio che non comprendeva
i verbali illustravi. Tanto premesso, il collegio ritiene
necessario ai fini del giudizio sulla attendibilità
riferimento ai
verbali
illustrativi,
comunque che non sia
intrinseca del dichiarante fare
essendo sufficiente la valutazione delle
dichiarazioni, che, anche nella dimensione cartolare offrono sufficienti elementi
26
In relazione a tutti gli aspetti censurati la motivazione offerta non presenta vizi
•
per valutare la idoneità del collaboratore a rendere testimonianza attraverso la
esposizione di un narrato logico e coerente con le domande proposte nel corso
dell’intervista giudiziale.
16.2. Le censure in ordine alla efficacia dimostrativa del compendio probatorio
sono manifestamente infondate.
La Corte d’appello ritiene, contrariamente a quanto dedotto, che le dichiarazioni
del Di Caterina e del Mosca siano “dirette” e non de relato e che quest’ultimo
aveva deciso di collaborare in un periodo distante da quello in cui si offerto di
conseguente superamento dei sentimenti di rancore ed attendibilità delle
dichiarazioni accusatorie.
Inoltre la lamentata incongruenza temporale dell’arresto del Costanzo rispetto al
periodo dell’affiliazione non tiene conto del fatto che del fatto che il riferimento
alla Pasqua è, in genere, indicativa di un “periodo” e non di un giorno stabilito:
la censura peraltro risulta incapace di scalfire l’efficacia dimostrativa della
motivazione che fonda l’accertamento di responsabilità sulla convergenza delle
dichiarazioni dei collaboratori e sulle conferme al tessuto dichiarativo emerse dal
contenuto delle intercettazioni (pag. 27 della sentenza impugnata).
Tutte
le
doglianze
proposte
non
incidono
sull’efficacia
dimostrativa
del
compendio motivazionale integrato offerto dalle sentenza di merito, che si
presenta privo di fratture logiche manifeste e decisive, sottraendosi ad ogni
censura in sede di legittimità.
17. I ricorsi proposti nell’interesse del De Santis, del D’Aniello e del Cristofaro
sono manifestamente infondati.
17.1. I motivi con i quali si deduce l’illegittimità del diniego delle circostanze
attenuanti generiche, in relazione a tutti e tre gli imputati, non trovano conferma
nel tessuto motivazionale della sentenza, dal quale si evince invece che il
beneficio sanzionatorio è stato concesso, contrariamente a quanto dedotto (pag.
36 per De Santis, pag. 33 per D’Aniello, pag. 30 per Cristofaro).
Nessuna censura può essere mossa inoltre alla motivazione offerta in relazione
al diniego di concessione dell’attenuante prevista dall’art. 114 cod. pen. tenuto
conto della ineccepibile valutazione di merito che riteneva non marginale il ruolo
svolto dagli imputati (pag. 35 della sentenza impugnata per quanto riguarda il
De Santis; pag. 39 per quanto concerne il Cristofaro e pag 32 relativamente alla
posizione del D’Aniello).
Si tratta di una valutazione effettuata in coerenza con le indicazioni fornite dalla
Corte di cassazione secondo cui ai fini del riconoscimento dell’attenuante della
partecipazione di minima importanza al reato, la valutazione, anche implicita,
27
uccidere l’imputato per vendicare l’aggressione nei confronti di Paolo Sarno con
•
delle condotte concorsuali non si traduce in una vera e propria comparazione fra
di esse finalizzata a stabilire quale tra i correi abbia in misura maggiore o minore
contribuito alla realizzazione dell’impresa criminosa, risolvendosi bensì in un
esame volto a stabilire se il contributo dato dal compartecipe si sia concretizzato
nell’assunzione di un ruolo di efficacia causale così lieve rispetto all’evento, da
risultare trascurabile nell’economia generale dell’iter criminoso (Cass. sez. 3 n.
9844 del17/11/2015 dep. 2016, Rv. 2664619
17. 2. Anche le censure rivolte nei confronti della carente valutazione della
Contrariamente
a
quanto
dedotto,
la
sentenza
impugnata
conferma
la
valutazione positiva, già effettuata in primo grado circa la attendibilità intrinseca
dei collaboratori di giustizia sia in relazione al D’Aniello (pag. 31 della sentenza
impugnata) che al De Santis (pag. 33 della sentenza impugnata).
L’accertamento
di responsabilità nei confronti del Cristofaro si fonda invece
principalmente sulle dichiarazioni della persona offesa, Bosco che trovavano
conferma in quelle del collaboratore Di Caterina, la cui attendibilità intrinseca
risulta vagliata ampiamente dalle sentenze di merito che valorizzano le
dichiarazioni di tale collaboratore in relazione alla definizione della maggior parte
delle posizioni scrutinate (pag. 29 della sentenza impugnata).
17. 3. Le censure specificamente proposte nell’interesse del Cristofaro sono
manifestamente infondate.
In materia di valutazione di attendibilità della testimonianza della persona offesa
il collegio condivide la giurisprudenza della Corte di legittimità secondo cui le
regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle
dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste
da sole a fondamento dell’affermazione di
responsabilità, previa verifica,
corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e
dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più
penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni
di qualsiasi testimone; la Corte ha altresì precisato come, nel caso in cui la
persona offesa si .sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al
riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi
(Cass. sez. U, n. 41461 del
19/07/2012, Rv. 253214).
Come si evince dal tessuto motivazionale della richiamata pronuncia delle Sezioni
unite, la circostanza che l’offeso si sia costituito parte civile non attenua il valore
probatorio delle dichiarazioni rendendo la testimonianza omogenea a quella del
dichiarante “coinvolto nel fatto”, che soggiace alla regola di valutazione indicata
dall’art. 192 comma 3 cod. proc. pen,
attendibilità
particolarmente
ma richiede solo un
penetrante,
28
finalizzato
ad
controllo di
escludere
la
attendibilità soggettiva dei dichiaranti sono manifestamente infondate.
manipolazione dei contenuti dichiarativi in
vantato.
funzione dell’interesse patrimoniale
Peraltro, anche quando prende in considerazione la possibilità
di
valutare l’attendibilità estrinseca della testimonianza dell’offeso attraverso la
individuazione di precisi riscontri, si esprime in termini di “opportunità” e non di
“necessità”, lasciando al giudice di merito un ampio margine di apprezzamento
circa le modalità di controllo de11a attendibilità nel caso concreto.
Le sezioni
unite hanno infatti affermato che «può essere opportuno procedere al riscontro
di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche
la
cui
soddisfazione
discenda
dell’imputato» (nello stesso senso
Stefanini, Rv. 248016;
dal
riconoscimento
della
responsabilità
Cass. Sez. l, n. 29372 del 24/06/2010,
Cass. Sez. 6, n. 33162 del 03/06/2004, Patella, Rv.
229755).
Nel caso di specie la valutazione delle dichiarazioni del Bosco veniva effettuata in
coerenza
con
le
indicate
linee
ermeneutiche:
l’intrinseca coerenza delle stesse ed il fatto che
veniva
le
infatti
evidenziata
altre prove raccolte che
fornivano precise conferma alla testimonianza censurata (pag. 29 delta sentenza
impugnata).
Del pari, si presentano manifestamente infondate le censure rivolte nei confronti
del riconoscimento dell’aggravante prevista dall’art. 7 della legge n. 203
del
1991. Invero dal compendio motivazionale integrato emergeva con chiarezza la
consapevolezza del Bosco circa la matrice mafiosa della richiesta estorsi va: il
denaro secondo
quanto dichiarato dalla persona offesa sarebbe confluito nelle
casse del clan camorristico
egemone della zona (pag. 29 della sentenza
impugnata); le somme venivano richiesta senza che fosse necessario precisare
la destinazione delle stesse, essendo nota nel territorio di Lusciano
la matrice
mafiosa del racket delle estorsioni notoriamente riconducibili al clan Bidognetti,
La ricostruzione dei fatti fornita dalla
come dichiarato dalla persona offesa.
persona offesa nella
l’utilizzo del
valutazione offerta dalle sentenze di merito chiarisce sia
metodo mafioso, che la finalizzazione delle somme provento
dell’estorsione alle esigenze della associazione camorristica.
17 .4.
Il ricorso
proposto nell’interesse del
De Santis è manifestamente
infondato.
Il motivo che deduce la genericità dei contributi eteroaccusatori provenienti dai
collaboratori non incide sull’efficacia dimostrativa del compendio motivazionale
integrato composto dalla due sentenze conformi di merito.
Sia l’attendibilità intrinseca che quella estrinseca risultano vagliate in coerenza
con i parametri di legge e con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di
legittimità. La motivazione offerta dalla sentenza impugnata conferma le
29
costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica
valutazioni del Tribunale che aveva già ritenuto la convergenza delle prove
dichiarative nell’indicare nell’imputato un partecipe al clan Bidognetti
cui era
assegnato il compito di gestire il settore delle estorsioni; anche tale motivazione
non presenta vizi logici e si sottrae ad ogni censura in questa sede (pag. 34 della
sentenza impugnata).
Nessun
vizio
si
rinviene
inoltre
nella
motivazione
offerta
a
sostegno
dell’accertamento di responsabilità in relazione al capo m) di imputazione. Anche
in questo caso la Corte di merito rileva la convergenza delle prove dichiarative
evidenziando
che nella parte in cui sono “indirette”
te dichiarazioni riportano
contenuti provenienti dallo stesso imputato, con conseguente inoperatività della
regola prevista dall’art. 195 cod. proc. pen.
Infine, sono manifestamente infondate le doglianze proposte nei confronti del
riconoscimento dell’aggravante prevista dall’art. 7 della legge 203 del 1991
dato che dalle sentenze di merito emerge con chiarezza il fatto che l’attività di
spaccio fosse finalizzata ad agevolare l’associazione mafiosa, rispetto alla quale
l’attività in questione aveva una funzione ancillare.
17.5. Analoghe considerazioni
devono essere effettuate in
relazione alle
doglianze proposte nell’interesse del D’Aniello. Contrariamente a quanto dedotto
emergeva
l’univocità
delle
dichiarazioni
eteroaccusatorie
nell’indicare
nell’imputato un partecipe all’associazione mafiosa attivo nel settore delle
estorsioni. Contrariamente a quanto dedotto, la circostanza che l’imputato
provenisse dal clan Schiavone
non veniva ignorata dai giudici di merito, che
evidenziavano come lo stesso
fosse passato sotto il comando del Di Caterina
nella gestione del racket nel territorio di Lusciano (pag. 31 della sentenza
impugnata).
Anche in questo caso la motivazione non presente vizi logici e si
sottrae ad ogni censura in sede di legittimità.
Manifestamente
infondate
sono,
infine
le
doglianze
che
invocano
la
derubricazione del fatto contestato in quella meno grave previsto dall’art. 378
cod. pen. L’invocata qualifica si presenta infatti incompatibile con te valutazioni
effettuate in ordine all’affermazione di responsabilità per il più grave reato
associativo. Sul punto il collegio il ribadisce che non è censurabile una sentenza
per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando
risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza
complessivamente considerata (Cass. sez. 1,
n. 27825
del 22/05/2013 Rv.
256340).
18. Alla dichiarata inammissibilità dei ricorsi consegue, per il disposto dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
30
•
processuali nonché ciascuno al versamento,
in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che si determina equitativamente in C 1500,00.
Gli imputati i cui ricorsi sono stati dichiarati interamente inammissibili
– ad
eccezione di Panfilla Luigi, Nugnes Antonio, Vassallo Giovanni e Gerundino Fabio
che
hanno
impugnato
limitatamente
al
trattamento
sanzionatorio senza
contestare l’accertamento di responsabilità di interesse delle· parti civili
altresì condannati
– sono
al pagamento delle spese sostenute in questo grado dalle
parti civili Fai-Unione Casertana Antiracket e Comune di Lusciano, che si
4500,00, oltre spese generali nella misura del 15%, C.P.A. ed I.V.A.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata nei confronti di Panfilla Luigi relativamente al
trattamento sanzionatorio; e nei confronti di Ventre Lorenzo limitatamente
all’aumento di pena per il reato di cui al capo h), con rinvio ad altra sezione della
Corte di appello di Napoli; dichiara nel resto inammissibile il ricorso del predetto
Ventre Lorenzo; dichiara inammissibili i ricorsi di tutti gli altri imputati che
condanna ciascuno al pagamento delle spese processuali e al versamento della
somma di euro 1500 a favore della Cassa delle ammende. condanna altresì i
ricorrenti, ad eccezione di Panfilla Luigi,
Nugnes Antonio, Vassallo Giovanni e
Gerundino Fabio, al pagamento delle spese sostenute in questo grado dalle parti
civili Fai-Unione Casertana Antiracket e Comune di Lusciano, che liquida per
ciascuna di esse in euro 4500,00 oltre spese generali nella misura del 15%,
C.P.A. ed I.V.A.
Così deciso in Roma, il giorno 8 febbraio 2017.
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liquidano, tenuto conto dei parametri di legge, per ciascuna di esse in euro
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CORTE SUPREMA 01 CASSAZIO~!E
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