Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 14270 del 03/02/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 14270 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: RICCARDI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Scola Sebastiano, nato a Palermo il 21/09/1969

avverso la sentenza del 11/03/2015 della Corte di Appello di Palermo

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Riccardi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 11 marzo 2015 la Corte di Appello di Palermo, in
parziale riforma della sentenza del Tribunale di Termini Innerese, ha condannato
Scola Sebastiano alla pena di C 24.500,00 di ammenda, di cui C 3.500,00 in
sostituzione della pena detentiva di 14 giorni di arresto, con sospensione
condizionale e non menzione, in ordine al reato di cui all’art. 181 d.lgs. 42 del
2004, per avere realizzato opere edili (gradini sormontati da un cancelletto,
previa demolizione del preesistente muro) in zona sottoposta a vincolo

Data Udienza: 03/02/2016

paesaggistico; lo ha invece assolto dal reato di cui all’art. 734 cod. pen.,
rideterminando la più grave pena inflitta in primo grado.

2. Avverso tale provvedimento il difensore dell’imputato, Avv. Ignazio
Cammalleri, ha proposto ricorso per cassazione, articolando quattro motivi, di
seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173
disp. att. cod. proc. pen..
Con un primo motivo deduce i vizi di violazione di legge sostanziale e

ledere il bene giuridico tutelato; lamenta altresì il travisamento delle
dichiarazioni dei testimoni, ed in particolare del dipendente della Soprintendenza
Fabio Tonini e degli altri testi d’accusa.
Con un secondo motivo deduce i vizi di violazione di legge sostanziale e
mancanza di motivazione in ordine alla responsabilità dell’imputato, fondata
soltanto sulla qualità di proprietario.
Con un terzo motivo deduce i vizi di violazione di legge sostanziale e
mancanza di motivazione in ordine alla affermazione del dolo.
Con un ultimo motivo, infine, lamenta che la Corte territoriale non avesse
ridotto la pena inflitta, anche grazie al riconoscimento delle attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, sotto il duplice profilo della genericità e della
manifesta infondatezza dei motivi proposti.

2. In ordine al primo profilo di inammissibilità, va ribadito che deve ritenersi
inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con
l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle
valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per
la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente
denunciano un errore logico o giuridico determinato

(ex multis,

Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608).
Invero, nel caso in esame i motivi di ricorso appaiono identici a quelli
sollevati con l’appello, e motivatamente respinti dalla sentenza impugnata, con
la quale non propongono un reale e motivato confronto argomentativo,
limitandosi a contestazioni avulse dal concreto tessuto motivazionale.
Infatti, mentre per il giudizio d’appello rileva solo la genericità intrinseca al
motivo stesso, prescindendosi da ogni confronto con quanto argomentato dal
giudice del provvedimento impugnato, per il giudizio di cassazione è generico

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mancanza di motivazione in ordine alla idoneità della condotta contestata a

anche il motivo che si caratterizza per l’omesso confronto argomentativo con la
motivazione della sentenza impugnata

(ex plurimis,

Sez. 3, Sentenza n. 31939 del 16/04/2015, Falasca Zamponi, Rv. 264185; Sez.
6, n. 13449 del 12/02/2014, Kasem, rv. 259456, secondo cui “la genericità
dell’appello o del ricorso per cassazione va valutata in base a parametri diversi,
in conseguenza della differente conformazione strutturale dei due giudizi, e
soltanto in relazione al secondo costituisce motivo di inammissibilità per
aspecificità la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della

Il difetto di specificità dei motivi, ricompreso fra le ipotesi che impongono la
dichiarazione dell’inammissibilità ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. c), in
relazione all’art. 581 lett. c), cod. proc. pen., deve intendersi come la manifesta
carenza di una censura di legittimità, chiaramente identificabile.
Nel caso di specie, la genericità dei motivi si evince dalla mera deduzione,
senza alcun confronto argomentativo con la sentenza impugnata, della pretesa
inoffensività della condotta, della asserita estraneità alla commissione del fatto e
della mancanza di dolo, nonché, infine, della eccessività della pena.
2.1. La sentenza della Corte territoriale, infatti, dà adeguatamente conto del
complessivo compendio probatorio, alla stregua del quale emerge che l’imputato
aveva demolito un preesistente muro che divideva la sua proprietà con quella del
vicino, ed aveva realizzato alcuni gradini sormontati da un cancelletto in ferro, in
tal modo creando un secondo accesso alla propria abitazione
Ebbene, premesso che la motivazione della sentenza di primo grado e quella
della sentenza di appello si integrano vicendevolmente
(Sez. 2, n. 3706 del 21/01/2009, Haggag; Sez. 2, n. 5112 del 02/03/1994,
Palazzotto, rv 198487; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri,
Rv. 257595), oltre ai limiti del sindacato di legittimità sulla congruità della
motivazione in caso di c.d. “doppia conforme”, nel caso di specie risulta che la
sentenza della Corte territoriale abbia già motivatamente respinto le censure
dell’imputato, riproposte in sede di legittimità senza alcun concreto confronto
argonnentativo.

3. Peraltro, ricorre altresì l’ipotesi dell’inammissibilità per manifesta
inammissibilità dei motivi di ricorso.
3.1. Con riferimento al primo motivo, infatti, è stato ribadito che il reato di
pericolo previsto dall’art. 181 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non richiede ai
fini della sua configurabilità un effettivo pregiudizio per l’ambiente, essendo
sufficiente l’esecuzione, in assenza di preventiva autorizzazione, di interventi che
siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato, le

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decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione”).

cui conseguenze sull’assetto del territorio perdurano anche se l’amministrazione
competente attesta la compatibilità paesaggistica delle opere eseguite (Sez. 3, n.
11048 del 18/02/2015, Murgia, Rv. 263289).
Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha evidenziato che l’attitudine
potenzialmente lesiva delle opere eseguite dall’imputato è deducibile anche dalla
circostanza che il cancelletto posto sulla sommità degli scalini di ingresso
all’abitazione è chiaramente visibile dal mare, dal quale dista pochi metri.
Inoltre, il ricorrente richiede una rivalutazione delle fonti dichiarative,

salva l’ipotesi, non ricorrente nella fattispecie, della manifesta illogicità.
3.2. Quanto al secondo motivo, la mera deduzione dell’estraneità alla
commissione del reato appare del tutto generica ed avulsa dal contesto
argomentativo della sentenza impugnata, che, viceversa, dà conto del fatto che
le opere realizzate riguardavano l’area immediatamente prospiciente l’abitazione
dell’imputato, rispetto alla quale avevano creato un secondo accesso; peraltro,
l’individuazione dell’odierno ricorrente quale autore delle opere abusive si
desume anche dall’ordinanza adottata nel distinto procedimento civile per la
reintegrazione del possesso dell’area, della quale la difesa dell’imputato ha
chiesto l’acquisizione dinanzi alla Corte di Appello, e dalla quale, stando al
richiamo contenuto nella sentenza di appello, emerge che Scola Sebastiano
aveva ammesso di avere ripristinato la delimitazione, crollata a causa delle
piogge, apponendovi un cancelletto.
Tali rilievi evidenziano, altresì, la manifesta infondatezza del terzo motivo,
riguardante l’asserita assenza di dolo.
3.3. Infine, il quarto motivo risulta manifestamente infondato, in quanto, in
assenza di censure di legittimità rivolte al trattamento sanzionatorio
concretamente irrogato, si limita a sollecitare una rivalutazione di merito della
congruità della pena, come tale inammissibile in sede di legittimità.
Senza tener conto, peraltro, che, contrariamente a quanto dedotto, le
attenuanti generiche sono state già riconosciute dai giudici di merito, e che la
pena concretamente inflitta si attesta quasi sui minimi edittali, con
apprezzamento di fatto che, privo di illogicità, è insindacabile in sede di
legittimità.

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al
pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro
in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in
Euro 1.000,00: infatti, l’art. 616 cod. proc. pen. non distingue tra le varie cause
di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento della

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coinvolgente profili esclusivamente di merito, inammissibili in sede di legittimità,

sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di
inammissibilità dichiarata ex art. 606 cod. proc. pen., comma 3, sia nelle ipotesi
di inammissibilità pronunciata ex art. 591 cod. proc. pen. .

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle

Così deciso in Roma il 03/02/2016

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Ammende.

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