Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 14263 del 28/01/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 14263 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: GAI EMANUELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Sciacca Giovanni, nato a Catania il 22/12/1981

avverso la sentenza del 14/07/2014 della Corte d’appello di Catania

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 14 luglio 2014, la Corte d’appello di Catania,
pronunciandosi in sede di giudizio di rinvio a seguito della sentenza della Corte di
Cassazione n. 21751/2014, ha rideterminato la pena inflitta a Sciacca Giovanni
in anni uno e mesi sei di reclusione e C 4000 di multa.
Giovanni Sciacca era stato condannato per il reato di cui all’art. 73 comma 5
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ad una pena dichiarata illegale dalla citata
sentenza della Corte di Cassazione, che aveva annullato la precedente sentenza,
con rinvio alla Corte d’appello di Catania, per un nuovo giudizio sul trattamento

Data Udienza: 28/01/2016

sanzionatorio alla luce della modifica normativa della pena edittale per le ipotesi
di reato sussumibili nella fattispecie astratta di cui al d.P.R. n. 309 del 1990, art.
73, comma 5, stabilita nella misura della reclusione da uno a cinque anni dal d.l.
23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della legge 21 febbraio 2014, n.10, e successivamente modificata dal decreto
legge 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio
2014, n. 79, che, intervenendo sull’impianto sanzionatorio dell’art. 73, comma 5,
ha ulteriormente ridotto la pena minima (reclusione da sei mesi a quattro anni e

cinque anni e della multa da euro 3.000,00 a euro 26.000,00).
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’Avv. Andrea Giannino,
difensore di fiducia di Giovanni Sciacca, e ne ha chiesto l’annullamento per i
4,

seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione,
come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
– Violazione di legge penale in relazione agli artt. 73 comma 5 d.P.R. 9
ottobre 1990, n. 309 e 133 cod. pen., per avere la Corte d’appello determinato
la pena base non nel limite edittale, come aveva determinato il primo giudice e
vizio di motivazione attesa la carenza di motivazione in ordine alla
determinazione della pena, avendo la corte genericamente richiamato il principio
di offensività.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Occorre premettere che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n.
32 del 25 febbraio 2014 nonché della modifica normativa della pena edittale per
le ipotesi di reato sussumibili nella fattispecie astratta di cui al d.P.R. n. 309 del
1990, art. 73, comma 5, stabilita nella misura della reclusione da uno a cinque
anni dal d.l. 3 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n.10, e successivamente modificata dal
decreto legge 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 16
maggio 2014, n. 79, che, intervenendo sull’impianto sanzionatorio dell’art. 73,
comma 5, ha ridotto la pena minima, la Corte di appello di Catania è stata
chiamata a rideterminare la pena inflitta allo Sciacca, poiché divenuta illegale.
Nel provvedere in tal senso la Corte territoriale ha determinato, richiamando i
criteri di cui all’art. 133 cod.pen. e segnatamente l’allarme sociale e le
pericolosità del soggetto in ragione della recidiva specifica infraquinquennale, in

multa da euro 1.032,00 a euro 10.329,00 in luogo della reclusione da uno a

misura superiore al limite minimo edittale in anni uno di reclusione e C 4000 di
multa, aumentata per la ritenuta recidiva ad anni uno e mesi sei di reclusione e
C 6000 di multa, laddove era stata determinata originariamente la pena – poi
dichiarata illegale – di anni due di reclusione e C 6000 di multa per la detenzione
di grammi 50 di marijuana applicata l’attenuante di cui all’art. 73 comma 5
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 ritenuta prevalente sulla recidiva.
Il ricorrente si duole della circostanza che il giudice di rinvio ha determinato la
pena base per il reato di cui all’art. 73 co.5 d.P.R. n. 309 del 1990, operata

giudice nel giudizio precedente. Questa Corte ha già affermato che ,in presenza
di una modifica legislativa, come nel caso in questione, il giudice di appello che,
chiamato a determinare il trattamento sanzionatorio in ragione dell’applicazione
delle legge mitior, non è tenuto a determinare la pena nel minimo edittale come
determinata dal giudice prima della modifica della cornice normativa, e non viola
IMMII il divieto di reformatio in peius il giudice che, applicato dal primo giudice il
minimo edittale secondo la previgente disposizione, abbia tenuto conto della
riduzione per novella legislativa di quel parametro, applicando tuttavia una pena
superiore al minimo stabilito dalla nuova disciplina (Sez. 6. n. 45926 del
22/10/2015, Pauletto, Rv. 265066, fattispecie relativa alla modifica del minimo
edittale previsto per il reato di cui all’art. 73 co.5 d.P.R. n. 309 del 1990, operata
dall’arti co. 24 ter della legge n. 79 del 2014). Ed ancora, questa Corte, nel
ribadire che in tema di stupefacenti il principio dell’applicazione della disciplina
più favorevole, determinatasi per effetto della sentenza della Corte costituzionale
n. 32 del 2014 e della successiva modifica della legge 79 del 2014, non impone
al Giudice di appello un’automatica mitigazione della pena già inflitta (né a ciò lo
obbliga l’eventuale annullamento con rinvio in punto di pena da parte della Corte
di cassazione), ha affermato che, nel rispetto dei nuovi limiti edittali e dei criteri
normativi connotanti il potere discrezionale di sua spettanza, dispone di una
piena cognitio, sia pur nell’ambito dei (nuovi) limiti edittali e con il divieto della
reformatío in peius e dunque ben può, con adeguata motivazione, rideterminare
la pena autonomamente discostandosi dalla precedente determinazione ( Sez. 3,
n. 43382 del 8/07/2015, Jitau, non massinnata).
Il collegio era, certamente, chiamato a rispettare un criterio di proporzione, ma
non – come affermato nel ricorso – di determinare la pena nel – nuovo- limite
edittale come in precedenza stabilito.
Nel caso in esame il giudice di rinvio, facendo espresso richiamo ai criteri di cui
all’art. 133 cod.proc.pen. segnatamente l’allarme sociale e la pericolosità del
soggetto in ragione della recidiva specifica infraquinquennale, ha determinato la
pena base in anni uno di reclusione e C 4000 di multa, pena superiore al minimo

3

dall’art.1 co. 24 ter della L. n. 79 del 2014 in misura superiore a quella base del

edittale, ma ha correttamente motivato la adeguatezza e proporzionalità della
stessa con riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod.pen. Nell’esercizio del suo
pieno potere discrezionale nulla impediva alla Corte di appello, in applicazione
della normativa sopravvenuta di minor rigore, di ragguagliare detta pena ad un
livello non coincidente con quello minimo, come ha fatto con congrua
motivazione, purché inferiore alla pena fissata dal giudice di primo grado, limite
che è stato rispettato essendo la pena sensibilmente inferiore. Dunque la corte
d’appello di Catania, essendo vincolata alla rimodulazione della pena rendendola

16/4/2014, Grano, Rv. 260255; Sez. 6, n. 15152 del 20/3/2014, Murgeri, Rv.
258748) nel rispetto del divieto di

reformatio in peius,

ha fatto corretta

applicazione degli arresti giurisprudenziali in materia.
Ne consegue che anche la seconda censura è palesemente infondata avendo il
giudice di rinvio richiamato espressamente ( vedi supra) quali criteri di cui all’art.
133 cod.pen. considerava di rilievo nell’esercizio del potere discrezionale di
commisurazione della pena.

5. Il ricorso dev’essere, pertanto, rigettato e il ricorrente deve essere
condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 28/01/2016

conforme ai “nuovi” e più favorevoli minimi edittali (Sez. 3, n. 31163 del

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