Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1426 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 1426 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Barbieri Mauro
avverso l’ORDINANZA del Tribunale della Libertà di Milano
del 28.7.2013
udita la relazione del consigliere dr. Antonio Prestipino
sentito il Procuratore Generale, in persona del dr. Eduardo Scardaccione che ha concluso per il
rigetto del ricorso. Sentito il difensore, avv. Elena Manfredini, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 03/12/2013

Ritenuto in fatto
1.Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale della Libertà di Milano ha rigettato l’istanza di
riesame proposta da Barbieri Mauro Adriano avverso il decreto di sequestro preventivo
delle disponibilità di somme e di altri valori depositati sui conti correnti intestati allo
stesso Barbieri e a Capello Rita, emesso nei confronti di entrambi dal gip dello stesso
Tribunale il 27.6.2013 nell’ambito del procedimento penale a loro carico per il reato di
truffa aggravata, fino alla concorrenza della somma di euro 425.280, pari al profitto del
reato.
1.1. Premesso che dalle indagini preliminari erano emersi a carico dei due indagati,
elementi di prova tali da superare il livello del fumus commissi delicti, per attingere
quello della gravità indiziaria, il Tribunale rileva quanto al nesso di pertinenzalità tra i
valori sequestrati e il reato, che pur dovendosi escludere che si trattasse “fisicamente”
delle somme oggetto della truffa (verosimilmente rimaste custodite in Svizzera), pure
detti valori dovevano ritenersi “indirettamente” pertinenti al reato, in quanto avrebbero
consentito al Barbieri di assicurarsi il consolidamento delle accumulazioni patrimoniali
risultanti dai conti correnti in sequestro.
2. Quanto al periculum in mora, i giudici territoriali lo desumono dalla stessa “volatilità”
delle somme di denaro, facilmente occultabili.
3. Ha proposto ricorso per cassazione il Barbieri per mezzo del proprio difensore,
deducendo il vizio di violazione dell’art. 321 c.p.p., tanto in relazione alla ritenuta
sussistenza del nesso di pertinenzialità con il reato delle somme di denaro, dei titoli e
delle obbligazioni disponibili sui conti correnti intestati allo stesso ricorrente e a Capello
Rita, che in relazione alla valutazione del periculum in mora.. Lo stesso Tribunale aveva
riconosciuto che sarebbe del tutto inverosimile che gli indagati, dopo avere consumato il
reato di appropriazione indebita avessero trasferito le somme di denaro che ne erano
state oggetto dalla Svizzera in Italia. Il rilievo secondo cui la disponibilità dei cospicui
proventi del reato, “ha consentito all’indagato di conseguire il proprio arricchimento ed
incremento del suo patrimonio”, donde l’indiretta derivazione dal reato dei valori
sequestrati, corrisponderebbe poi
ad un ragionamento del tutto artificioso, non
adeguato ai requisiti di legittimità del sequestro preventivo.
3.1. L’intrinseca debolezza logica delle argomentazioni del Tribunale sarebbe desumibile
già dalla circostanza che i giudici territoriali nemmeno si preoccuperebbero di specificare
in quale misura i profitti del reato sarebbero stati distribuiti tra i due imputati.
3.1. Erronea sarebbe, ancora, la valutazione del rischio di aggravamento delle
conseguenze del reato ipotizzabile in relazione al mantenimento, da parte degli
indagati, della disponibilità delle somme in sequestro, in ragione della “volatilità” del
denaro. L’argomentazione finirebbe infatti con il sovrapporre alle esigenze preventive
tipiche del sequestro ex art. 321 c.p.p., improprie esigenze conservative, estranee alla
funzione della misura. La truffa si sarebbe ormai consumata, e il profitto del reato si
sarebbe consolidato negli anni compresi tra il 2006 e il 2009; nessuna protrazione
dell’iter criminoso di un fatto ormai esauritosi dal punto di vista dei suoi connotati di
illiceità penale sarebbe quindi concepibile. All’udienza di discussione il difensore ha
ulteriormente dedotto l’incompetenza funzionale del GIP rispetto all’emissione del
provvedimento di sequestro, in quanto successivo al rinvio a giudizio del Barbieri.
Considerato in diritto
1.Va preliminarmente disattesa l’eccezione di incompetenza del gip rispetto
all’emissione del provvedimento di sequestro. Dalla documentazione prodotta dalla
difesa non si desume, infatti, che gli atti del procedimento fossero stati già trasmessi al
giudice di merito al momento dell’adozione della misura cautelare, non essendo
sufficiente il semplice rinvio a giudizio dell’imputato (Cfr. Corte di Cassazione SEZ. 6
Nr. 04184 17/11/1995 D’Alessandro secondo cui La competenza del giudice del
merito a disporre il sequestro
preventivo
dopo
l’esercizio
dell’azione penale, e’ legata necessariamente (non
solo) all’emissione del decreto di rinvio a giudizio, (ma anche) all’ultimazione
dell’attività di formazione del fascicolo di ufficio da parte del Gip ed al ricevimento
degli atti da parte del giudice del merito: “medio tempore” persiste pertanto la
competenza funzionale del Gip).

n

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

2. E’ corretta inoltre, in diritto, l’affermazione dei giudici territoriali secondo cui ai fini
del sequestro preventivo nella nozione di profitto confiscabile rientrano non soltanto i
beni appresi per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità che
sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attività criminosa ( cfr. Cass. Sez. 2,
Sentenza n. 45389 del 06/11/2008, Imputato: Perino Vedi, anche, Cass. Sez. 3,
Sentenza n. 490 del 02/02/1996 Morandi, dove la precisazione che la nozione di cose
pertinenti al reato,
lasciata espressamente dal legislatore all’elaborazione
giurisprudenziale e dottrinale, è più ampia di quella di corpo di reato definita nell’art.
253 secondo comma cod. proc. pen. essendosi in detta norma operata tale distinzione
per fornire una “definizione sufficientemente comprensiva sul concetto di corpo del
reato e per mettere in risalto che la categoria dei beni pertinenti al reato non
comprende solo questo ma abbraccia tutte le cose legate anche indirettamente alla
fattispecie criminosa”. Pertanto, poiché l’art. 253 definisce corpo di reato “le cose sulle
quali o mediante le quali il reato è stato commesso, nonché le cose che ne costituiscono
il prodotto, il profitto o il prezzo”, la nozione di cose pertinenti al reato in sede di
sequestro preventivo, oltre a comprendere dette cose, deve riguardare anche quelle,
mobili o immobili che anche in via indiretta sono collegate in vario modo al reato)
3. Superata la questione processuale e ribadita la correttezza delle premesse di diritto
del provvedimento impugnato, le valutazioni del Tribunale sul nesso di pertinenzialità
(indiretta) dei valori sequestrati con il reato ascritto al Barbieri, si sottraggono alle altre
censure del ricorrente in considerazione dei limiti dell’impugnazione di legittimità di
misure cautelari reali stabiliti dall’art. 325 c.p.p., che ammette in materia il ricorso per
cassazione solo per violazione di legge (cfr. Corte di Cassazione nr. 25932 del
29/05/2008 Ivanov; la Corte precisa che la violazione di legge per mancato rispetto
dell’obbligo di motivazione può comprendere solo quei vizi della motivazione così’
radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento, o
del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e
ragionevolezza, e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal
giudice cfr. anche, Cass. S.U.,29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio).
3.1.11 tribunale ha infatti ritenuto di applicare, con riferimento al caso concreto, il
principio della rilevanza della “pertinenzialità indiretta”, con un apprezzamento di merito
rispetto alla possibilità di ravvisare tale nesso tra i beni sequestrati e il reato, in
funzione del consolidamento di precedenti situazioni patrimoniali dell’imputato, che non
può considerarsi al di sotto dello standard motivazionale minimo.
3.2. Alquanto generiche sono infine le doglianze difensive sulla mancata distinzione dei
profitti del reato riferibili all’uno o all’altro dei soggetti coinvolti.
Alla stregua delle precedenti considerazioni il ricorso va pertanto rigettato, con la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così dep tsp in Roma, nella camera di consiglio, il 3.12.2013.
Il Presktente
Il consitilieFe teltore

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