Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 14254 del 20/01/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 14254 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GAGLIARDI BRUNO N. IL 24/03/1974
avverso l’ordinanza n. 607/2015 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 25/06/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
MINCHELLA;
-lotte/sentite le conclusioni del PG Dott. 4ekb gs.9-e42,y50

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Data Udienza: 20/01/2016

RILEVATO IN FATTO
Con ordinanza in data 08.05.2015 il GIP del Tribunale di Catanzaro applicava la custodia
cautelare in carcere a Gagliardi Bruno per il delitto di associazione per delinquere di tipo
mafioso.
Avverso detta ordinanza il Gagliardi avanzava richiesta di riesame.
Con ordinanza in data 25.06.2015 il Tribunale di Catanzaro rigettava la richiesta stessa: si
rilevava che le concordi dichiarazioni di collaboratori di giustizia avevano disvelato

territorio di Lamezia Terme e nei centri vicini; erano emersi accordi di alleanze e una
rivalità storica con la contrapposta cosca “Torcasio” nonché i rapporti per la suddivisione
del territorio e la risoluzione di questioni relative alla suddivisione delle attività estorsive;
si riportavano le dichiarazioni di Giampà Giuseppe, figlio del capo storico Francesco della
cosca omonima, il quale aveva conservato il ruolo di capo indiscusso dall’anno 2002
all’anno 2012: costui aveva, nel corso del tempo, stretto accordi con la cosca “Iannazzo” e
si era spartito il territorio con quest’ultima; parimenti si indicavano le dichiarazioni di
Torcasio Vincenzo, il quale, per la sua posizione nella cosca Giannpà, spesso aveva svolto il
ruolo di anello di congiunzione tra la sua cosca e la cosca “Iannazzo”; entrambi i
collaboratori indicano in Iannazzo Vincenzo il capo della cosca omonima nonché i rapporti
tra questa ed altri sodalizi mafiosi della Calabria. Altre dichiarazioni di rilievo erano
pervenute da Cappello Rosario, il quale, appartenente alla cosca “Giampà”, aveva sovente
tenuto contatti con il clan “Iannazzo” ed era stato il tramite dei rapporti tra Iannazzo
Vincenzo e Bonaddio Vincenzo (elemento di rilievo della cosca “Giampà”), che si
instauravano per raggiungere accordi relativi alle estorsioni operate in quella parte di
territorio che nessuno dei due clan controllava completamente (l’accordo
fondamentalmente prevedeva che, quando una ditta del territorio degli Iannazzo svolgeva
lavori nel territorio dei Giampà, questi avrebbero ottenuto metà della somma versata a
titolo estorsivo al clan “Iannazzo” e viceversa): anche il Cappello Rosario riferisce che
Iannazzo Vincenzo era il capo della cosca omonima. Altre dichiarazioni di rilievo erano
giunte da Cappello Saverio, figlio di Rosario, il quale, in una circostanza, aveva
accompagnato Giampà Giuseppe ad una riunione tenutasi presso la concessionaria Toyota
di Lamezia Terme: questa riunione aveva avuto ad oggetto le questioni relative alla
gestione dell’estorsione ai danni dell’impresa impegnata nei lavori di metanizzazione di
Lamezia Terme. Si indicavano poi diversi altri collaboratori di giustizia che avevano
confermato i dati sopra esposti.
In particolare, poi, si evidenziava che concordemente le dichiarazioni collaborative aveva
indicato in Gagliardi Bruno un partecipe della cosca Iannazzo, legato anche alla cosca
Cannizzaro per essere il cognato di Cannizzaro Domenico, reggente della cosca omonima e
marito di sua sorella; il collaboratore Giannpà Giuseppe colloca il Gagliardi in un gruppo di

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l’esistenza di un sodalizio mafioso riconducibile a Iannazzo Vincenzino ed operante nel

fuoco operante nell’abito della cosca Cannizzaro-Daponte che, pur se con un certo grado di
autonomia, era comunque subalterna a Iannazzo Vincenzo; il medesimo Giampà Giuseppe
riferiva di avere appreso da Giampà Vincenzo che il Gagliardi aveva partecipato ad una
estorsione ai danni del mobilificio Perri: parimenti egli riferiva di avere avuto una
frequentazione personale con Gagliardi Bruno, dal quale aveva appreso informazioni sulla
dinamica della cosca, e di avere appreso da Bonaddio Vincenzo che il Gagliardi aveva
rivendicato davanti a lui l’omicidio di Antonio e Vincenzo Torcasio ed aveva chiesto di
subentrare negli affari illeciti che ricadevano nel territorio dei Torcasio. Ed ancora il

Gagliardi nel gruppo di fuoco a disposizione degli Iannazzo e che aveva desunto il dato dal
fatto che lo stesso Gagliardi gli aveva riportato notizie di rilievo delle intenzioni di quella
cosca, come l’intento omicidiario verso il collaboratore di giustizia stesso, ritenuto
coinvolto nell’omicidio Spena-Vaccaro; parimenti il Gagliardi gli aveva chiesto di mettere a
disposizione una motocicletta che poi venne utilizzata in un attentato ai danni di Torcasio
Vincenzo in Falerna. Il collaboratore di giustizia Cappello Rosario indicava il Gagliardi come
persona dapprima facente parte della cosca “Iannazzo”, ma poi confluita nella cosca
“Cannizzaro-Daponte” a seguito del matrimonio di sua sorella con un appartenente a detta
famiglia: questa circostanza era riferita anche da Muraca Umberto Egidio, che ricordava il
Gagliardi come sicuramente inserito, a suo tempo, nel clan “Iannazzo” e poi confluito in
quello “Cannizzaro”. Il collaboratore di giustizia Cappello Saverio ricordava che il Gagliardi
in più occasioni gli aveva confidato di avere preso parte alla faida contro i Torcasio e che
quegli aveva partecipato a riunioni in cui si era detto disponibile a porsi a disposizione
della cosca “Iannazzo”, avendo poi il compito precipuo di portare messaggi a Giampà
Giuseppe circa eventuali estorsioni da compiere nel territorio di Lamezia Terme. Il
collaboratore di giustizia Stranges Pietro Paolo, già affiliato alla cosca “Cannizzaro”, aveva
riferito che negli anni 2003/2004 il Gagliardi aveva avuto intenzione di formare un gruppo
autonomo che però tenesse stretti rapporti con il clan di origine: nel gruppo “Cannizzaro”
egli teneva rapporti con gli Iannazzo. Parimenti anche i collaboratori Macrina Gioacchino
Marco e Governa Giovanni lo avevano indicato come appartenente agli Iannazzo e uomo di
fiducia di Iannazzo Vincenzo.
Il Tribunale ne ricavava il convincimento della sussistenza della gravità indiziaria circa la
partecipazione del Gagliardi alla consorteria di Iannazzo Vincenzo; gli episodi di natura
estorsiva nei quali era comparso il Gagliardi supportavano le plurime dichiarazioni
collaborative che lo consideravano partecipe del contesto mafioso ed inoltre in quegli
episodi egli aveva collaborato con soggetti la cui appartenenza mafiosa è accertata;
parimenti, egli era stato indicato come coinvolto in episodi di sangue posti in essere ai
danni dei Torcasio, rivali storici della cosca “Cannizzaro” e degli Iannazzo: e, seppure per
detti fatti non venivano ravvisati elementi valutabili utilmente rispetto al Gagliardi, le
dichiarazioni collaborative in merito si apprezzavano sul piano della partecipazione alla

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Tribunale riportava le dichiarazioni del collaboratore Torcasio Angelo, che collocava il

consorteria, confermata dalle sue partecipazioni a riunioni attinenti alla commissione di
attività estorsive. Del resto, egli nell’anno 2001 era stato oggetto di un attentato durante
la guerra di mafia, nel mentre era in compagnia di Iannazzo Vincenzo e Davoli Antonio: ciò
veniva considerato come elemento dimostrativo della sua partecipazione al gruppo mafioso
lametino. Precisava il Tribunale che la collocazione del Gagliardi talora nella cosca
“Iannazzo” e talora nella cosca “Cannizzaro” da parte dei collaboratori di giustizia non era
un elemento che screditava le dichiarazioni dei predetti, poiché si trattava per lo più di
collaboranti che erano affiliati ad altra cosca, per cui potevano riferire fatti che o

con il grado di conoscenza possibile, basato sulla apparenza delle frequentazioni o del
rapporto di affinità con i Cannizzaro: in ogni caso, si coglieva il nucleo fondamentale della
comune indicazione della sua appartenenza al gruppo complessivo facente capo a
Iannazzo Vincenzo, con il quale aveva instaurato rapporti sin dall’anno 2000 e con il quale
non aveva mai rotto le relazioni, pur se si era avvicinato molto al gruppo dei Cannizzaro.
Si ricavavano elementi di valutazione anche da un episodio omicidiario (uccisione di
Torcasio Vincenzo e ferimento di Curcio Vincenzo) in relazione al quale il GIP non aveva
però ritenuta la gravità indiziaria: infatti il Giampà Giuseppe aveva riferito che il Gagliardi,
con altri due, avevano rivendicato i delitti, chiedendo di poter estendere il proprio territorio
di spettanza.
Si ravvisavano infine le esigenze cautelari della custodia in carcere per la presunzione di
legge, non vinta da alcun elemento.
Avverso detta ordinanza proponeva ricorso l’interessato a mezzo del Difensore, deducendo
i vizi di mancanza e manifesta illogicità della motivazione, travisamento della prova,
violazione di legge ed erronea applicazione della legge penale. Si rilevava che
l’impostazione del provvedimento cautelare si fondava sulla sussistenza di due gruppi
mafiosi distinti, quello degli Iannazzo e quello dei Cannizzaro: tuttavia la collocazione del
Gagliardi era stata equivoca, nel senso che talora veniva inserito in un gruppo e talora in
un altro, ma il Tribunale aveva ritenuto che questo elemento di contraddizione non fosse
un discredito per i collaboratori di giustizia ed aveva ritenuto che fosse un riscontro
l’asserita partecipazione a fatti delittuosi per i quali non era stata raggiunta la gravità
indiziaria. Si denunziava una contraddizione nelle dichiarazioni del Giuseppe Giampà che
qui indicava il Gagliardi come autore dell’omicidio di Francesco e Vincenzo Torcasio ed in
altro procedimento egli risulterebbe invece il mandante di quell’omicidio. Il ricorso riporta
dettagliatamente dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che riguardano il Gagliardi ed il
suo rapporto con i Cannizzaro oppure di lui come creatore di un gruppo autonomo. Ed
ancora si affermava che l’attentato dellanno 2001 era stato preso come elemento di
riscontro di un lungo rapporto del Gagliardi con gli Iannazzo, ma si ignorava che il GUP del
Tribunale di Catanzaro aveva assolto il Gagliardi dall’accusa di partecipazione alla cosca
Iannazzo dall’anno 2000 all’anno 2002, dichiarando insussistente la cosca stessa. Ed

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apprendevano dallo stesso Gagliardi oppure conoscevano nell’ambito della propria cosca e

ancora si sottolineava che il Gagliardi sarebbe stato coinvolto in una estorsione ai danni
dell’imprenditore Scardamaglia, il quale, nello stesso procedimento, era accusato di essere
l’imprenditore di riferimento della cosca “Iannazzo” e quindi un atto contro di lui sarebbe
stato indicativo della distanza dalla cosca stessa. Il Tribunale non aveva motivato su una
obiezione difensiva relativa alle dichiarazioni del collaboratore Michienzi Francesco, che
aveva riferito che nell’anno 2005 la cosca “Iannazzo” aveva deciso di uccidere il Gagliardi
né sul fatto che il fratello del Gagliardi, pur indicato come appartenente al medesimo
gruppo di fuoco, era inserito nel gruppo “Cannizzaro”. Si denunziava l’assenza di

dichiarazioni dei collaboratori e la mancanza di adeguata motivazione in ordine alla
sussistenza di esigenze cautelari, considerato che, comunque, negli anni più recenti il
Gagliardi sarebbe comunque transitato ad un gruppo diverso da quello degli Iannazzo, sul
quale si basa invece l’imputazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Si è già detto sopra di come inizialmente il Giudice abbia ravvisato, nei confronti del
Gagliardi un sufficiente numero di elementi tali da far concludere per una adesione del
medesimo ad una cosca criminale di natura mafiosa.
Il ricorso proposto dall’interessato fondamentalmente denunzia la confusione nelle
deduzioni finali, l’incerta collocazione del Gagliardi nell’una o nell’altra consorteria, la
dubbia valenza di elementi ritenuti di supporto.
Giova premettere che, secondo l’orientamento di questa Corte, l’ordinamento non conferisce
alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle
vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne’ alcun potere di riconsiderazione
delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze
cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel
compito esclusivo e insindacabile del Giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura
cautelare, nonché del Tribunale del Riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è,
perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di
esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui
presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità:
a)

l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

b) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento” (Sez. 6, n. 2146 del 25/05/1995, dep. 16/06/1995,
Tontoli ed altro, Rv 201840).
In altri termini, si tratta di un controllo che deve verificare che la motivazione sia: 1)
effettiva, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a
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contestazione di reati-fine, la mancanza di riscontri esterni che corroborassero le

base della decisione adottata; 2) non manifestamente illogica, ovvero sorretta, nei suoi
punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle
regole della logica; 3) non internamente contraddittoria, ovvero esente da insormontabili
incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa
contenute; 4) non logicamente incompatibile con altri atti del processo, dotati di una
autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli
l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali
incompatibilità, così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la

L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari è, quindi, rilevabile
dinanzi alla Corte di Cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di
legge o nella manifesta illogicità della motivazione secondo la logica ed i principi di diritto,
rimanendo “all’interno” del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità non può,
infatti, riguardare la ricostruzione dei fatti e sono inammissibili le censure che, pur
formalmente investendo la motivazione, si risolvono, almeno in parte, nella prospettazione
di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal Giudice di merito, dovendosi in
sede di legittimità accertare unicamente se gli elementi di fatto sono corrispondenti alla
previsione della norma incriminatrice e le statuizioni sono assistite da motivazione non
manifestamente illogica.
Alla stregua di questi parametri, non può non rilevarsi da subito che l’ordinanza impugnata
soffre di una oggettiva confusione, talora anche grafica, nella costruzione di molte
proposizioni, le quali sono a volte di ardua comprensione.
A questa confusione di struttura fa riscontro una certa genericità di conclusioni, che non
può non essere sottolineata in questa sede.
L’ordinanza riporta diverse dichiarazioni di collaboratori di giustizia, dalle quali
sembrerebbe potersi dedurre che il Gagliardi era noto per un suo coinvolgimento in attività
illegali: tuttavia, esaminate e comparate le stesse dichiarazioni, e considerato che il
provvedimento in esame verte sulla ricostruzione di un quadro di predominio mafioso su di
un determinato territorio, all’esito della lettura dell’ordinanza non si riesce a comprendere
quale fosse esattamente l’allocazione criminale del Gagliardi, di quale cosca egli facesse o
meno parte, a quale gruppo criminoso rispondeva. Più nel particolare, resta difficile
comprendere se il ricorrente venga indicato dall’ordinanza impugnata come un esponente
della cosca “Cannizzaro” o se egli venga ritenuto un affiliato del clan “Iannazzo” o se
venga reputato volere addirittura creare un suo proprio gruppo mafioso (ed allora non è
chiaro, però, da quale precedente clan egli volesse scindersi).
Non si tratta di particolari di secondo rilievo: in effetti, che le conclusioni soffrano di una
certa “fluidità” è consapevole lo stesso Tribunale di Catanzaro, il quale, nell’ordinanza, allo
scopo di superare le evidenti discrasie nelle dichiarazioni collaborative, si rifugia nelle
difficoltà che avevano i collaboratori di giustizia nel conoscere le vicende interne e le
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motivazione.

dinamiche di cosche differenti da quella di appartenenza. E questo dato di incertezza viene
ritenuto come indicativo della sincerità con la quale le dichiarazioni stesse vengono fornite.
Si tratta di una argomentazione che ha un suo pregio, e tuttavia la stessa non vale a
nascondere che – oggettivamente – l’ordinanza si fonda su dichiarazioni che si presentano
come non collimanti tra di loro e talora contrastanti in ordine a circostanze di non poco
momento: seppure si voglia ritenere che sarà l’eventuale processo a stabilire il numero
esatto delle cosche operanti nel Lametino, tuttavia una ipotesi di accusa deve presentare
sufficienti elementi di concretezza e precisione.

altri come narrata da terzi, dell’appartenenza del Gagliardi ad una cosca di natura mafiosa,
ma sussistono altrettante divergenze circa la cosca alla quale apparteneva il Gagliardi
stesso; non vi è quindi alcuna indicazione di condotta specifica o di fatto, di
comportamento o evento o dialogo o conversazione concreti e inseribili in un contesto di
coinvolgimento nella gestione o adesione o partecipazione o conoscenza interessata ad
una specifica attività o interesse riconducibile alla vita ed all’evoluzione di uno specifico
sodalizio mafioso. La questione giuridica che si pone è pertanto se possa dirsi sussistere la
gravità indiziaria del delitto di partecipazione mafiosa idonea ai sensi dell’art. 273
cod.proc.pen. a giustificare una misura cautelare personale sulla base di una pluralità di
affermazioni – pur provenienti da soggetti ritenuti attendibili – che si limitino alla
obiettivamente generica attestazione di appartenenza ad un sodalizio, indicato in modo
vario a seconda del collaboratore di giustizia propalante. La risposta deve essere negativa,
osservando questa Corte come un tale tipo di contesto probatorio costituisca sicuramente
un quadro indiziario serio, ma non assuma gli indispensabili caratteri di gravità.
In altri termini, è solo il riferimento a condotte o comportamenti o fatti specifici (sia
evidente, condotte/comportamenti/fatti che certo non necessariamente debbono avere
autonoma rilevanza penale, ma tuttavia debbono significare appunto una forma, o un
indizio logico, di consapevole intento di contribuire al perseguimento degli interessi del
sodalizio) che permette di sciogliere – anche sul mero piano della gravità indiziaria – il
quesito necessario sulla rilevanza penale del ruolo svolto e, quindi, sulla qualificazione
giuridica adeguata di un tale accertato ruolo.
In definitiva, è ormai consolidato l’orientamento per il quale la convergenza di plurime
attendibili dichiarazioni che si limitino ad affermare la conosciuta appartenenza ad un
sodalizio criminoso configura meri indizi di colpevolezza non idonei all’adozione di misura
cautelare personale ai sensi dell’art. 273 cod.proc.pen. La convergenza di plurime
attendibili dichiarazioni che attestino la conosciuta appartenenza al sodalizio criminoso
configura la gravità indiziaria imposta dalla norma richiamata solo quando almeno una di
tali attendibili dichiarazioni indichi specifici comportamenti o fatti che possano ritenersi, sul
piano logico, significativi di un consapevole apporto al perseguimento degli interessi del

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In definitiva, vi sono più dichiarazioni di conoscenza, riferita da alcuni come personale e da

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332
3pma,

APR 2Q16

sodalizio, e che debbono essere oggetto di specifica motivazione proprio in ordine a tale
loro significatività (Sez. 6, n. 40520 del 25.11.2011, Rv 251063).
Nella fattispecie, l’ordinanza impugnata non riesce a sciogliere il nodo menzionato e
permangono i dubbi sulla cosca di appartenenza del Gagliardi, sulla sua adesione a quale
consorteria e sulle dinamiche dei suoi eventuali spostamenti.
Peraltro, non si può fare a meno di rilevare che, in diversi punti, il provvedimento
impugnato ritiene di rinvenire riscontri in episodi rispetto ai quali ammette non sussistere
nemmeno la gravità indiziaria, così inficiando profondamente la valenza di dette

detti riscontri.
Ne consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo esame al
Tribunale del Riesame di Catanzaro, cui vanno trasmessi integralmente gli atti.
A cura della Cancelleria, sarà trasmessa copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto
penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp.att.c.p.p.
P.Q.M
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale del Riesame di
Catanzaro, con trasmissione integrale degli atti.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore
dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp.att.c.p.p.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2016.

circostanze di fatto. O, quanto meno, l’ordinanza non specifica meglio la connotazione di

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