Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1413 del 13/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 1413 Anno 2014
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da Rosella Antonio Carmine nato a Benevento il
8/3/1987
avverso la sentenza del 19/6/2012 della Corte d’appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
dott. Carmine Stabile, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga
dichiarato inammissibile;
uditi per l’imputato gli avv.ti Vittorio Luigi Fucci e Spartico Capocefalo che
hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 19/6/2012, la Corte di appello di Napoli

confermava la sentenza del Tribunale di Benevento del 14/7/2011, che aveva
condannato Rosella Antonio Carmine alla pena di anni cinque di reclusione
ed € 1500,00 di multa per il reato di cui agli artt. 110, 628 commi 1 e 3 n.
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Data Udienza: 13/12/2013

1 cod. pen.
1.1.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello,

in punto di riconosciuta responsabilità dell’imputato in ordine al reato allo
stesso ascritto.
2.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo

difensore di fiducia, sollevando i seguenti motivi di gravame:
2.1. mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, ai sensi

cod. proc. pen. Si eccepisce che la sentenza impugnata non contiene
alcuna motivazione logica che confuti o smentisca gli argomenti proposti
con l’atto di appello che vengono riproposti nei termini che seguono: il
particolare relativo al colore della maglietta indossata dal rapinatore per
come riferito in modo inattendibile dalla persona offesa nonché gli elementi
che rendevano inattendibile l’individuazione di persona effettuata dalla
stessa, tenuto conto dell’esito negativo dell’informale ricognizione in
dibattimento; il colore della maglietta come riferito dal teste Santarsia, per
il quale l’indumento indossato dall’imputato, a differenza di quello
sequestrato, era si nero, ma non vi erano scritte; la testimonianza di
Rosella Michele che ha riferito che la maglietta indossata dall’imputato era
blu ed arancione; su quest’ultimo punto era stato chiesto anche il rinnovo
dell’istruttoria dibattimentale, rigettato immotivatamente dalla Corte
d’Appello; l’aspetto relativo al ciclomotore utilizzato dai rapinatori e
l’autovettura effettivamente utilizzata dal Rosella quella mattina; l’aspetto
relativo al luogo della presunta rapina, che era posto a trenta metri dal Bar
De Amis e ciononostante il fatto non era stato notato da nessuno dei clienti
del bar; la circostanza che il Capozzo era esperto di armi e quindi in
condizioni di riconoscere se si trattava di armi vere o false e la mancata
concessione delle attenuanti generiche; le discordanze emergenti dalla
deposizione della persona offesa sull’acquisto delle esche per la pesca la
mattina in questione e sull’orario della rapina.
2.2. mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, ai sensi
dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 125
cod. proc. pen. Ci si duole, al riguardo, che non è stata disposta la
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con riferimento all’audizione dei
Antonino Maria Rosa, Rosella Antonella, Rosella Alberto, Rosella Francesco,
Elia Salvatore, all’esame del minore D’Andrea Pellegrino, sulla perizia
finalizzata ad accertare la distanza fra il negozio «Pescazzurro Sport»

2

dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 125

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ed il luogo del delitto.
2.3. mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, ai sensi
dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 125
cod. proc. pen. per non essere state concesse le attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

infondati. Difatti tutti i motivi proposti attengono a valutazioni di merito
che sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di
valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e
l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie. (Sez. U., n. 24
del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U., n. 12 del 31.5.2000, Jakani,
Rv. 216260; Sez. U. n. 47289 del 24.9.2003, Petrella, Rv. 226074 ). Ed
inoltre nella sentenza risultano affrontate tutte le questioni dedotte nel
ricorso e che peraltro erano già state proposte in appello. Deve, infatti, a
questo riguardo rilevarsi che nel ricorso per cassazione contro la sentenza
di appello non possono essere riproposte questioni che avevano formato
oggetto dei motivi di appello sui quali la Corte si è già pronunciata in
maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici. Ne deriva, in ipotesi di
riproposizione di una delle dette questioni con ricorso per cassazione, che
la impugnazione deve essere dichiarata inammissibile a norma dell’art.
606, terzo comma, ultima parte, cod. proc. pen.
3.1.

Con particolare riferimento al giudizio di attendibilità della persona

offesa, di cui al primo motivo di ricorso, dalla lettura della sentenza della
Corte territoriale non emergono, nella valutazione delle prove, evidenti
illogicità, risultando, invece, l’esistenza di un logico apparato argomentativo
sulla base del quale, confermandosi le valutazioni effettuate dal giudice di
prime cure, si è pervenuti alla conferma della sentenza di primo grado con
riferimento alla responsabilità dell’imputato in ordine al fatto ascrittogli.
Segnatamente la Corte territoriale evidenzia, con valutazione in fatto del
tutto ragionevoli, come siano poco credibili le dichiarazioni dei testi a
discarico, esaminandole ognuna in modo analitico, con implicito riferimento
alle parti in cui si pongono in contrasto con le dichiarazioni della persona
offesa, laddove indicano, con precisione definita sospetta, gli orari relativi
ad accadimenti di ordinaria quotidianità, al punto da ingenerare nel
giudicante il dubbio di una versione precostituita al fine di accreditare

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3. Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi manifestamente

l’estraneità dell’imputato al reato ascrittogli. Ci si sofferma, poi, nella
sentenza impugnata sulle denunciate contraddittorietà intraviste dal
difensore nella deposizione della persona offesa, evidenziandosi, ancora in
modo del tutto ragionevole, che la persona offesa aveva confermato i
riconoscimenti effettuati nelle indagini preliminari e le discordanze
denunciate erano state subito rettificate in seguito alla contestazione del
P.M. Pressoché tutti gli aspetti presi in considerazione dal difensore nei

vengono fatti oggetto di approfondito esame da parte della Corte
territoriale, pervenendosi, legittimamente, alla conclusione di attendibilità
della persona offesa, venendo nel ricorso prospettata una valutazione delle
prove diversa e più favorevole al ricorrente rispetto a quella accolta nella
sentenza di primo grado e confermata dalla sentenza di appello. In
sostanza si ripropongono questioni di mero fatto che implicano una
valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una
motivazione esaustiva, immune da vizi logici, che preclude qualsiasi
ulteriore esame da parte della Corte di legittimità.

3.2.

Quanto al secondo motivo di ricorso, rileva la Corte che nel giudizio

d’appello la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art.
603, comma 1 cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell’incompletezza
dell’indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di
non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria e
tale accertamento comporta una valutazione rimessa al giudice di merito
che, se correttamente motivata come nel caso in esame, è insindacabile in
sede di legittimità ( sez. 4 n. 18660 del 19/2/2004, Montanari, Rv. 228353;
sez. 3 n. 35372 del 23/5/2007, Panozzo, Rv. 237410; sez. 3 n. 8382 del
22/1/2008, Finazzo, Rv. 239341). Ed infatti la Corte territoriale ha dato
ampia e articolata giustificazione in ordine alla completezza dell’istruttoria
dibattimentale svolta nel giudizio di primo grado sulla base della quale si è
pervenuti all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato in ordine al
reato a lui ascritto; da tale motivazione, oltre a quanto espressamente
riferito con specifico riferimento alle diverse richieste istruttorie avanzate,
scaturiva, implicitamente, che non era assolutamente necessario procedere
alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per escutere i testi indicati
dalla difesa ed espletare un accertamento peritale per calcolare il tempo
necessario a raggiungere il luogo della rapina partendo da quello di
ubicazione dell’esercizio commerciale ove si era fermata la vittima. Ciò

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motivi di gravame e riprodotti pedissequamente nel ricorso per cassazione

discende dal principio, costantemente affermato da questa Corte di
legittimità, che la rinnovazione del dibattimento in appello costituisce
un’evenienza eccezionale e può essere disposta solo quando il giudice
ritiene di non potere decidere allo stato degli atti; a quanto ora detto
consegue che, mentre la decisione di procedere alla rinnovazione deve
essere specificamente motivata, dovendo il giudice dare conto dell’uso del
potere discrezionale derivante dall’acquisita consapevolezza di non potere

istanza la motivazione potrà anche essere implicita nella stessa struttura
argomentativa posta a base della decisione, evidenziandosi la sussistenza di
elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla
responsabilità, con la conseguenza assenza di necessità di rinnovare il
dibattimento (sez. 5 n. 8891 del 16/5/2000, Rv. 217209; sez. 4 n. 47095
del 2/12/2009, Rv. 245996; sez. 5 n. 15320 del 10/12/2009, Rv. 246859).

3.3.

Quanto, infine al terzo motivo di ricorso, la Corte territoriale

giustifica la mancata concessione delle attenuanti generiche facendo
riferimento alle specifiche modalità e circostanze del fatto considerato,
ragionevolmente, di allarmante gravità e della personalità dell’imputato
quale emergente dai significativi precedenti penali già riportati. E sul punto,
conformemente all’orientamento espresso più volte da questa Corte, deve
rilevarsi che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi
dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere
esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti
della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e
non contraddittoria, non può essere sindacata in Cassazione neppure
quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi
fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. VI n. 42688 del
24/9/2008, Caridi, Rv. 242419; sez. H n. 3609 del 18/1/2011, Sermone,
Rv. 249163). Ed ancora, nel motivare il diniego della concessione delle
attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in
considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli
ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli
altri da tale valutazione (Sez.VI n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv.
248244).

4.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi

5

decidere allo stato degli atti, al contrario in caso di rigetto della relativa

dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dell’imputato che lo ha
proposto al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al
pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla
luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000,
sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in C 1.000,00 .

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso, il 13 dicembre 2013

Il C

Il Presidente

P.Q.M.

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