Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1412 del 13/12/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 1412 Anno 2014
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Giannotta Fabio nato a Roma il 22/11/1977
avverso la sentenza del 13/3/2012 della Corte d’Appello di Roma, III sezione
penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, dott.
Carmine Stabile, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato
inammissibile;

Data Udienza: 13/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 13/3/2012, la Corte d’Appello di Roma, in parziale

riforma della sentenza del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma
del 22/3/2005, previa dichiarazione di non doversi procedere nei confronti di
Giannotta Fabio in ordine ai reati a lui ascritti ai capi 1.3) e NNN), perché estinti
per prescrizione, rideterminava la pena allo stesso inflitta, per i residui reati di cui
ai capi E) – 416 cod. pen., 1.1) – 81 cpv., 110, 628 commi 1 e 3, 61 n. 7 cod.
pen., 1.2) – 110 cod. pen., 10, 12 e 14 legge n. 497 del 1974, 1.4) – 110, 648, 61
1

gb,

;

n. 2 cod. pen., K.1) – 110, 81 cpv. 628 commi 1 e 3, 56, 628 commi 1 e 3 cod.
pen., K.2) – 61 n. 2, 81 cpv, 112 cod. pen., 10, 12 e 14 legge n. 497 del 1974,
M.1) – 110, 81 cpv, 56, 628 commi 1 e 3, 648 cod. pen., MMM) – 110, 56, 628
comma 3 cod. pen., 000) – 110, 61 n. 2, 648 cod. pen., in anni sei di reclusione
ed € 800,00 di multa.
1.1. La Corte d’Appello di Roma respingeva le censure mosse con l’atto d’appello
proposto dall’imputato in punto di riconosciuta responsabilità dello stesso per i

di comparazione fra le attenuanti e le aggravanti.

2.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato, per mezzo del suo

difensore di fiducia, sollevando i seguenti motivi di gravame:
2.1. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonché manifesta
illogicità e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett.
b) ed e) cod. proc. pen., in relazione al reato di cui all’art. 416 cod. pen. Ci si
duole della motivazione addotta per confermare la sussistenza del reato
associativo con riferimento alla mancanza dei requisiti essenziali dello stesso, tra
cui il numero minimo degli associati, evidenziando che della presunta associazione
avrebbe fatto parte il ricorrente oltre ad un gran numero di persone mai
identificate.
2.2. manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 606
comma 1 lett. e) cod. proc. pen., in relazione all’affermazione di penale
responsabilità dell’imputato. Si rappresenta che la vicenda processuale è stata
oggetto di una ricostruzione completamente travisata dei fatti. Si lamenta, in
relazione alle prime due rapine, quella del 5/11/2002 e quella del 4/6/2003, la
riconosciuta attendibilità del riconoscimento dell’imputato da parte degli operanti
nonostante il tempo trascorso dai fatti, omettendosi di tener conto della cattiva
qualità dei filmati estrapolati dal sistema di videoripresa e del risultato della
perizia fisionomica antropometrica. Quanto alla rapina del 27/11/2003, ci si duole
della motivazione addotta per respingere la tesi difensiva tendente ad ottenere la
derubricazione da rapina in furto aggravato, nonché, con riguardo alla tentata
rapina del 9/1/2003, si lamenta la ritenuta non integrazione dell’ipotesi di
desistenza volontaria.
2.3. carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi
dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., con riferimento alla determinazione
della pena, evidenziando che la Corte territoriale si è discostata dai minimi edittali
e non ha riconosciuto la prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate

2

eCIA

fatti ascrittigli ed in punto di trattamento sanzionatorio con riferimento al giudizio

aggravanti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.

Il ricorso deve essere rigettato, per essere infondati tutti i motivi dedotti.

3.1. Con riferimento alla ritenuta integrazione del delitto di associazione a
delinquere di cui all’art. 416 cod. pen., cui attiene il primo motivo proposto, la

esaminati, ha evidenziato come le rapine, consumate e tentate di cui si è reso
responsabile il ricorrente, debbano essere inquadrate in una cornice più ampia,
risultando essere state espressione di un’estesa attività criminale coinvolgente
un gruppo di persone organizzato e strutturato in un sodalizio criminoso
finalizzato alla commissione di una serie indeterminata di delitti, sodalizio del
quale, unitamente ad altri, faceva parte il ricorrente ed il fratello Mirko. E con
specifico riferimento alla questione giuridica sollevata nel motivo di ricorso in
esame, i giudici di appello, correttamente, si sono rifatti al costante
orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, in base al quale in tema di
associazione a delinquere, il numero degli associati previsto dalla legge per la
configurabilità del reato deve essere valutato in senso oggettivo, ossia come
componente umana effettiva ed esistente nel sodalizio e non con riferimento al
numero degli imputati presenti nel processo (sez. 2 n. 7437 del 30/4/1999, Rv.
213846; sez. 5 n. 39223 del 23/9/2010, Rv. 248882); da tale principio discende
che vale ad integrare il reato, come nel caso di specie, anche la partecipazione
degli individui rimasti ignoti, potendo dedursi l’esistenza della realtà associativa,
anche sotto il profilo numerico, dalle attività svolte, dalle quali può risultare in
concreto una distribuzione di compiti necessariamente estesa a più di due
persone. In tale direzione la Corte territoriale ha dato atto che dagli elementi
probatori esaminati era emersa la partecipazione al sodalizio, non solo del
ricorrente e del fratello, ma anche di altri soggetti rimasti ignoti deputati a
detenere le armi ed a fornirle in occasione della commissione delle rapine.
3.2. Passando all’esame del secondo motivo di ricorso, in via preliminare occorre
sottolineare che nel caso di specie ci si trova dinanzi ad una “doppia conforme” e
cioè doppia pronuncia di eguale segno (nel nostro caso, di condanna) per cui il
vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel
caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento
probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come
oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado.

3

E-(9

Corte territoriale, alla luce di una serie di elementi probatori analiticamente

Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’art.
606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla legge n. 46 del 2006, è ora
sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella
motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o
quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto
valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo
grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del

d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti
a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (sez. 2 n. 5223 del
24/1/2007, Rv. 236130). Nel caso di specie, invece, il giudice di appello ha
riesaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo
avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunto alla medesima
conclusione circa la responsabilità dell’imputato in ordine ai fatti ascrittigli.
Orbene, fatta questa doverosa premessa e sviluppando coerentemente i principi
suesposti, deve ritenersi che la sentenza impugnata regga al vaglio di legittimità,
non palesandosi assenza, contraddittorietà od illogicità della motivazione, ovvero
travisamento del fatto o della prova.
E con specifico riferimento alle doglianze contenute nel motivo di ricorso
in esame, rileva il Collegio che alle stesse, già proposte con i motivi di appello, è
stata data adeguata risposta, esaustiva in fatto e corretta in diritto;
segnatamente, quanto alla rapina del 5/11/2002, la sentenza impugnata, pur
dando atto della cattiva qualità delle immagini estrapolate dai filmati registrati
dal sistema di videoripresa, ha, ragionevolmente, evidenziato come il
riconoscimento fosse stato effettuato da operatori di polizia giudiziaria sulla base
della conoscenza personale dell’imputato acquisita nel corso di attività
investigative protrattesi per lungo tempo ed attraverso l’esame, non solo del
fascicolo fotografico della rapina, ma anche del filmato, il che aveva consentito di
cogliere aspetti rivelatisi significativi per il riconoscimento. Ed al riguardo il
Collegio deve rilevare che, sulla base del costante orientamento espresso da
questa Corte (sez. 2 n. 25762 del 11/6/2008, Rv. 241459; sez. 2 n. 15308 del
7/4/2010, Rv. 246925), la valutazione di detto riconoscimento, da inquadrare
nell’ambito della prova indiziaria, della quale presenta i caratteri della gravità e
della precisione, costituisce accertamento di fatto che, se, come nel caso di
specie, congruamente motivato, non può essere riesaminato in sede di
legittimità. E, contrariamente a quanto asserito nel ricorso, i giudici di appello
hanno attentamente valutato gli esiti della perizia fisionomica antropometrica

4

“devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice

rilevando come la compatibilità parziale della zona mandibolare dell’immagine
del rapinatore, che indossava un berretto con visiera, con quella dell’imputato
rappresentava un oggettivo elemento di riscontro al riconoscimento visivo
effettuato dagli investigatori, di cui ora si è detto.
Quanto, poi, alle medesime doglianze sollevate con riferimento alla rapina
del 4/6/2003, la Corte territoriale, con argomentazioni in fatto prive di
contraddittorietà o illogicità manifeste, ha evidenziato che dalle immagini

di profilo, ma anche con il volto rivolto verso l’osservatore e che il rapinatore
portava un berretto con visiera identico a quello visionato nelle immagini relative
alla rapina del 5/11/2002, dalle quali, inoltre, emergeva che si trattava dello
stesso soggetto; ha, quindi, illustrato come fosse irrilevante, nel caso di specie, il
tempo intercorso fra il fatto di reato ed il riconoscimento, rappresentando come
quest’ultimo avesse trovato conforto nel duplice giudizio di compatibilità, prima
effettuato dal personale del Gabinetto interregionale di Polizia scientifica e poi dal
perito, il quale lo ha ritenuto sussistente in relazione alla forma del naso, della
bocca e del mento.
La problematica relativa alla qualificazione giuridica del fatto di reato
occorso il 27/11/2002 è stata adeguatamente affrontata nella sentenza
impugnata attraverso il richiamo alle considerazioni svolte in proposito dal
giudice di prime cure con argomentazioni puntuali in fatto e corrette in diritto
che non si prestano ad essere rivalutate in questa sede. In tale direzione viene
dato atto che le modalità della condotta posta in essere, segnatamente
l’assottigliamento del vetro fatto la sera prima ed il ritorno sul luogo la mattina
seguente in orario di apertura della banca, palesano l’intento degli imputati, ed
in particolare dell’attuale ricorrente, di irrompere all’interno della banca
attraverso la porta antipanico, senza passare per la porta riservata al pubblico,
con l’evidente finalità di consumare un delitto che, data la presenza di diverse
persone all’interno della banca, quali impiegati e clienti, non poteva non
comportare l’impiego di violenza e minaccia, venendo in tal modo ad integrare il
delitto di tentata rapina. In proposito questa Corte ha già ritenuto (sez. 2 n.
46776 del 20/11/2012, Rv. 254106), ed il Collegio ritiene di dovere condividere il
principio, che per la configurabilità del tentativo rilevano non solo gli atti
esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come
preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente
approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che
l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e

5

estrapolate dai filmati della banca era possibile osservare il rapinatore, non solo

che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili
indipendenti dalla volontà del reo.
Ed anche la questione relativa al mancato riconoscimento di un’ipotesi di
desistenza volontaria, in relazione al tentativo di rapina del 9/1/2003, non
costituisce altro che la reiterazione dell’analoga doglianza proposta con i motivi
di appello e rispetto alla quale la motivazione della sentenza impugnata, che
legittimamente richiama le argomentazioni spese sul punto dal giudice di prime

desistenza viene fondata, sulla base delle argomentazioni difensive,
esclusivamente su affermazioni dello stesso imputato, risultanti dalle
intercettazioni effettuate, alle quali la Corte territoriale, ragionevolmente, ha
ritenuto di non ascrivere un significato decisivo.
3.3. Con riferimento, infine, al trattamento sanzionatorio, di cui si occupa il terzo
motivo di ricorso, il giudice di appello ha ritenuto adeguata la pena sopra
riportata, ridotta rispetto a quella irrogata in primo grado, considerandola bene
perequata rispetto al reale disvalore dei fatti, avendo tenuto conto nella
riduzione operata, non solo della estinzione di alcuni reati per intervenuta
prescrizione, ma anche del trattamento sanzionatorío che era stato applicato nei
confronti dei coimputati nel relativo giudizio di appello; ha altresì rilevato di non
ravvisare, stante anche la genericità del ricorso sul punto, alcun elemento idoneo
a giustificare un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti
contestate. Neppure detto giudizio non risulta censurabile in questa sede, non
apparendo essere il frutto di un mero arbitrio o di un ragionamento illogico.

4. Al rigetto del ricorsi consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 13 dicembre 2013

Il Consiglier

latore

Il Presidente

cure, non presenza vizi valutabili in sede di legittimità. Invero l’ipotesi della

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA