Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1411 del 13/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 1411 Anno 2014
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da Brescia Giovanni nato a Monopoli il 28/5/1957
avverso la sentenza del 19/4/2012 della Corte d’appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
dott. Carmine Stabile, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga

Data Udienza: 13/12/2013

dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 19/4/2012, la Corte di appello di Lecce

confermava la sentenza del Tribunale di Brindisi del 20/9/2010, che aveva
condannato Brescia Giovanni alla pena di anni uno e mesi quattro di
reclusione ed C 4000,00 di multa per il reato di usura agli artt. 110, 81,
644 commi cod. pen.
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1.1.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello,

in punto di riconosciuta responsabilità dell’imputato in ordine al reato allo
stesso ascritto con particolare riferimento alla sussistenza dell’elemento
psicologico nel concorso di persone nel reato nonché con riguardo al
trattamento sanzionatorio inflitto.

2.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato, sollevando

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2.1. violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc.
pen., in relazione agli artt. 110 e 644 cod. pen. Evidenzia, al riguardo, che
non era emerso alcun elemento dal quale poteva dedursi che l’imputato
avesse partecipato alla fase di ideazione e di esecuzione del reato, essendo
altresì emerso che lo stesso non era a conoscenza dell’attività usuraia
posta in essere dal Lapietra Michele.
2.2. mancanza e manifesta illogicità della motivazione nonché erronea
applicazione di legge processuale, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. c) ed
e) cod. proc. pen., con riferimento all’art. 192 cod. proc. pen.; ci si duole,
in particolare, della valutazione di attendibilità delle dichiarazioni della
persona offesa.
2.3. mancanza o illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1
lett. e) cod. proc. pen., con riferimento alla richiesta di riconoscimento del
minimo della pena con tutti i benefici di legge. Si evidenzia, al riguardo, il
ruolo di minimo rilievo ricoperto nel fatto dall’imputato che poteva essere
valutato come ipotesi di contributo causale minimo ai sensi dell’art. 114
cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi manifestamente
infondati.
3.2. Difatti, quanto al primo motivo, il ricorso riproduce pedissequamente
gli argomenti prospettati nel gravame, ai quali la Corte d’appello ha dato
adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che
il ricorrente non considera né specificatamente censura. Il giudice di appello
per affermare l’infondatezza della tesi difensiva in punto di insussistenza
degli estremi del concorso da parte del ricorrente nel delitto di usura, ha
infatti, con argomentazioni ineccepibili sia logicamente che giuridicamente,

seguenti motivi di gravame:

evidenziato: « …e ciò per il ruolo svolto (dal Brescia), che, lungi
dall’essere di mero tramite, dimostra, invece, compartecipazione piena, a
livello di ideazione, ma soprattutto, di esecuzione, non altrimenti potendosi
qualificare gli apporti prestati con l’esazione delle somme a titolo d’interesse
e le richieste, pressanti, per quanto formalmente amichevoli, di pagamento,
perduranti nel tempo e protrattesi, il che chiaramente illumina la sua
condotta di piena partecipazione al delitto in quanto cointeressato, anche
dopo la morte del Lapietra, circostanza, questa, che ove ve ne fosse

bisogno, illumina di luce sinistra tutta la condotta pregressa». Tale
specifica e dettagliata motivazione il ricorrente non prende nemmeno in
considerazione, limitandosi a ribadire la tesi già esposta nei motivi di
appello e confutata, con diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella
sentenza impugnata.
Passando al secondo motivo di ricorso, osserva il Collegio che si
verte in tema di valutazioni di merito che sono insindacabili nel giudizio di
legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai
principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso
di specie. (Sez. U., n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U., n. 12
del 31.5.2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U. n. 47289 del 24.9.2003,
Petrella, Rv. 226074 ). E così segnatamente la Corte territoriale ha dato,
adeguatamente, atto del vaglio di credibilità al quale è stata sottoposta la
deposizione della persona offesa con motivazione immune da vizi di
legittimità; in tal senso viene dato atto che, attraverso un analitico esame
delle doglianze prospettate dalla difesa, le dichiarazioni della persona offesa
sono risultate precise e logiche nella esplicitazione degli accadimenti ed in
particolare nella narrazione delle attività poste in essere a seguito
dell’erogazione del prestito, risultate idonee anche a fungere come riscontri
a quanto dichiarato. Il motivo di ricorso si rivela, anche in questo caso,
ripetitivo delle doglianze proposte con l’appello e rispetto alle quali le
argomentazioni rese dalla Corte territoriali risultano esaustive.
Con riferimento infine al trattamento sanzionatorio, di cui al terzo
motivo di ricorso, il giudice di appello si è rifatto alla valutazione effettuata
dal giudice di prime cure in ordine alla mancata concessione delle attenuanti
generiche ed alla quantificazione della pena, valorizzando le particolari
modalità del fatto ed l’assenza di qualsiasi ulteriore elemento valorizzabile
nella direzione auspicata dal ricorrente. Anche in questo caso vengono
proposte censure in fatto che non rientrano nella cognizione di questa Corte

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di legittimità.

4.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi

dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dell’imputato che lo ha
proposto al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al
pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla

sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in C 1.000,00 .

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso, il 13 ottobre 2013

Il Co

Il Presidente

luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000,

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