Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1408 del 13/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 1408 Anno 2014
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da Mallardo Giuseppe e Pellegrino Attilio,
avverso la sentenza 15.11.12 della Corte d’Appello di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Antonio Manna;
udito il Procuratore Generale nella persona del Dott. Carmine Stabile, che ha
concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
udito il difensore del Pellegrino – Avv. Giovanni Seno -, che ha concluso per
l’annullamento dell’impugnata sentenza in virtù delle ragioni esposte nel proprio
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 26.4.04 all’esito di rito abbreviato dal GUP del
Tribunale di Vicenza Giuseppe Mallardo e Attilio Pellegrino erano condannati a
pene di giustizia per concorso (con Ottavio De Angelis e Gennaro Russo,
separatamente giudicati) in rapina pluriaggravata commessa tre le h. 7,00 e le h.
8,00 del 13.11.02 ai danni dell’ufficio postale di Montecchio Maggiore (VI),
detenzione e porto illegali di pistole e, il solo Pellegrino, anche per furto
aggravato d’una autovettura (una FIAT Uno).

Data Udienza: 13/12/2013

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Con sentenza 15.11.12 la Corte d’Appello di Venezia dichiarava estinto per
sopravvenuta prescrizione il delitto di furto nei confronti del Pellegrino – per
l’effetto riducendo la pena – e confermava nel resto le statuizioni di prime cure.
Tramite i rispettivi difensori ricorrevano Giuseppe Mallardo e Attilio Pellegrino
contro detta sentenza, di cui chiedevano l’annullamento per i motivi qui di seguito
riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 co. 1° disp. att. c.p.p..

Mallardo, si lamentava:
a) erronea applicazione dell’art. 81 cpv. c.p. per avere i giudici del merito
negato la continuazione fra i delitti per cui è processo e quelli commessi in
occasione di precedente rapina del 5.9.02 per cui lo stesso Mallardo aveva
riportato condanna ad opera del GUP del Tribunale di Alessandria; si
affermava in ricorso che i due episodi erano avvenuti a distanza di appena
due mesi, in due province del Nord Italia, in concorso con altri, ai danni di
uffici postali, mediante uso di pistole, con analoghe modalità esecutive e
previo furto di un’autovettura utilizzata per darsi alla fuga;
Nel solo ricorso a firma dell’avv. Schettino, sempre per il Mallardo, ci si doleva
altresì di:
b) violazione degli artt. 192 e 533 c.p.p. in riferimento al capo B), non
essendo stati sufficientemente provati detenzione e porto illegali delle tre
pistole di cui all’editto accusatorio, atteso che la condanna anche per tali
reati era stata emessa in base ad una mera ragionevole ipotesi che le
pistole fossero tre — anziché una – e che non si trattasse di armi giocattolo;
c) erroneità del calcolo della pena effettuato in primo grado e confermato in
appello, atteso che nella sentenza del GUP la pena base era stata stimata in
anni 6 di reclusione ed euro 2.400,00 di multa per il reato sub A),
aumentata di mesi 6 ed euro 200,00 per quello sub B) e di ulteriori mesi 6
ed euro 400,00 per quello sub C), per un totale — erroneamente
determinato – di anni 7 e mesi 6 di reclusione ed euro 3.000,00 di multa,
ridotto per la diminuente del rito ad anni 5 di reclusione ed euro 2.000,00
di multa, mentre la riduzione per la diminuente di cui all’art. 442 c.p.p. si
sarebbe dovuta applicare su una pena detentiva in totale pari ad anni 7 (e
non 7 e mezzo), così pervenendosi ad una corretta quantificazione in anni
4 e mesi 8 di reclusione.

Nel ricorso a firma dell’avv. Crea e in quello dell’avv. Schettino, per il

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Nel ricorso a firma dell’avv. Seno, per il Pellegrino, si denunciava:
d) vizio di motivazione nella parte in cui l’impugnata sentenza ha ritenuto,
sulla scorta di un quadro indiziario del tutto insufficiente, che il ricorrente
avesse partecipato alla rapina in qualità di “basista” perché in quei giorni
si trovava a Montecchio Maggiore in contemporanea agli altri coimputati e
perché poco dopo il fatto il Mallardo era andato a mangiare a casa sua,
perché il luogo della rapina non era distante dall’abitazione della sorella e

uno dei coimputati, aveva detto che era “tutto a posto”; per di più, i giudici
di merito avevano illogicamente svalutato le dichiarazioni del coimputato
Russo, che lo aveva del tutto scagionato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1- Il motivo che precede sub a) è infondato.
Con motivazione immune da vizi logici o giuridici l’impugnata sentenza ha
escluso l’invocato vincolo di continuazione in ragione del diverso contesto
territoriale in cui sono avvenute le due rapine e della (sia pure in parte) differente
composizione della compagine dei correi, diverso essendone il cd. basista.
Si tratta di un apprezzamento in punto di fatto argomentato senza illogicità o
contraddizioni di sorta, soppesate fra loro le diversità e le analogie tra le due
vicende delittuose (entrambe aventi ad oggetto una rapina ad un ufficio postale), il
che ha portato alla conclusione che non vi sia prova adeguata della dedotta unicità
del disegno criminoso.
È appena il caso di ricordare che l’onere di allegare specifici elementi dai quali
desumere l’identità del disegno criminoso incombe sull’interessato (cfr., ex aliis,
Cass. Sez. VI n. 43441 del 24.11.10, dep. 7.12.10).

2- Il motivo che precede sub b) è infondato.
L’impugnata sentenza ha ravvisato l’esistenza delle tre pistole non in base ad
una semplice ragionevole ipotesi, ma in forza della deposizione di due testimoni
che, nel corso della rapina, hanno visto impugnare più d’una pistola.
Rispetto a tale dato di fatto, l’argomentazione della ragionevolezza che i tre
rapinatori non si fossero passati tra loro una sola arma (anche perché dovevano
simultaneamente controllare l’esterno e l’interno dell’ufficio postale e tenere a

perché in un colloquio telefonico intercettato il Pellegrino, parlando con

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bada tutti i presenti) è stata utilizzata come mero aggiuntivo riscontro logico
dell’attendibilità di tali deposizioni, considerato altresì — come si legge sempre
nella sentenza impugnata — che i tre esecutori della rapina erano persone già
condannate (sia prima che dopo i fatti per cui è processo) per analoghe violazioni
della normativa sulle armi.
Tali motivazioni sono immuni da vizi logico-giuridici.
La congettura che, malgrado ciò, potesse trattarsi solo di pistole giocattolo non è

all’art. 606 c.p.p.: infatti, affinché sia ravvisabile una manifesta illogicità della
motivazione denunciabile per cassazione ex art. 606 co. 1° lett. e) c.p.p., non
basta rappresentare la mera possibilità di un’ipotesi alternativa rispetto a quella
ritenuta in sentenza (a riguardo la giurisprudenza di questa S.C. è antica e
consolidata: cfr. Cass. Sez. I n. 12496 del 21.9.99, dep. 4.11.99; Cass. Sez. I n.
1685 del 19.3.98, dep. 4.5.98; Cass. Sez. I n. 7252 del 17.3.99, dep. 8.6.99; Cass.
Sez. In. 13528 dell’11.11.98, dep. 22.12.98; Cass. Sez. In. 5285 del 23.3.98, dep.
6.5.98; Cass. S.U. n. 6402 del 30.4.97, dep. 2.7.97; Cass. S.U. n. 16 del 19.6.96,
dep. 22.10.96; Cass. Sez. I n. 1213 del 17.1.84, dep. 11.2.84 e numerosissime
altre).

3- Il motivo che precede sub c) è precluso ex art. 606 ult. co . c.p.p. perché
nuovo, non essendo stato dedotto nei motivi d’appello pur trattandosi di un errore
di calcolo che si assume essere stato commesso nella sentenza di prime cure.
Invero, con i motivi d’appello il Mallardo aveva lamentato, quanto alla pena,
unicamente la sua eccessività rispetto al trattamento sanzionatoti° riservato agli
altri correi, ma non anche un errore di calcolo della pena medesima, errore che
viene ora denunciato tardivamente, soltanto mediante ricorso per cassazione.
Né tale censura può essere esaminata d’ufficio da questa S.C., operazione
consentita soltanto in ipotesi di cd. pena illegale, vale a dire di pena diversa per
specie da quella che la legge (applicabile nel tempo secondo i dettami dell’art. 2
c.p.) stabilisce per quel determinato reato o di pena inferiore o superiore, per
quantità, ai relativi limiti edittali. In tale eventualità, infatti, irrogare una sanzione
diversa per specie e/o quantità rispetto ai confini edittali impegna il valore
costituzionale della legalità della pena di cui all’art. 25 Cost., che resterebbe

spendibile in sede di legittimità perché si pone al di fuori del perimetro di cui

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vulnerato se non si potesse porre rimedio, anche d’ufficio, all’errore del giudice
del grado precedente (cfr. Cass. Sez. 11 n. 12991 del 19.2.13, dep. 21.3.13).
Non è questo il caso di specie, atteso che la pena complessivamente irrogata
all’odierno ricorrente (anni 5 di reclusione ed euro 2.000,00 di multa) rientra, per
specie e quantità, nei limiti di quella astrattamente irrogabile per il delitto di
rapina aggravata e per gli altri delitti posti in continuazione ex art. 81 cpv. c.p.

la pena, legittimamente quantificata nel dispositivo letto in udienza, risulta
erroneamente calcolata in motivazione (solo in motivazione, infatti, l’impugnata
sentenza ha erroneamente sommato i due aumenti per la continuazione in anni 1 e
mesi 6 anziché in un solo anno di pena detentiva da aggiungere alla pena base di
anni 6 di reclusione).
Infatti, l’insegnamento di questa S.C. è costante nello statuire che — ad esempio,
anche in ipotesi di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. — gli eventuali errori
di calcolo commessi nel determinare la sanzione non rilevano purché il risultato
finale non si traduca in una pena illegale (cfr., ex aliis, Cass. n. 90/09; Cass. n.
518/2000; Cass. n. 3351/99).
Diversamente, qualunque errore nel computo della pena dovrebbe essere
corretto d’ufficio, il che finirebbe con lo snaturare il meccanismo stesso
dell’impugnazione, retto dal principio devolutivo (espresso, per il giudizio di
cassazione, dall’art. 609 co. 1° c.p.p.) ed alterare il principio, costantemente
affermato in giurisprudenza, in virtù del quale l’art. 609 co. 2° c.p.p., nella parte
in cui stabilisce che la Corte di cassazione decide d’ufficio anche le questioni che
non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello, trova applicazione a
condizione che si tratti di questioni di solo diritto sorte a cagione di jus
superveniens o per circostanze sopravvenute (cfr. Cass. Sez. H n. 48308 del
15.10.04, dep. 15.12.04, rv. 230425; Cass. n. 8276/95, rv. 202462; Cass. n.
5398/94, rv. 197808; Cass. n. 8433/93, rv. 194663).
Inoltre, dare rilievo ad un errore di calcolo commesso nella sola motivazione (e
non anche in dispositivo, come nel caso in esame) vanificherebbe l’irretrattabilità
del dispositivo letto in udienza, di cui si potrebbe sempre provocare la modifica a
posteriori a cagione d’una erroneo computo della pena contenuto nella sola
motivazione.

Né l’intervento d’ufficio da parte di questa S.C. potrebbe giustificarsi sol perché

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4- Il motivo che precede sub d) si colloca al di fuori del novero di quelli
spendibili ex art. 606 c.p.p., poiché in sostanza muove censure in punto di fatto
all’apprezzamento effettuato dai giudici di merito che, con motivazione analitica e
scevra da vizi logici o giuridici, hanno accertato — grazie ai tabulati telefonici
relativi alle celle agganciate dai telefonini cellulari — che gli spostamenti del
Pellegrino e degli altri coimputati nei giorni immediatamente a cavallo della

tra 1’8 e il 9.11.02) dell’autovettura poi utilizzata per la rapina, si erano allontanati
da Montecchio Maggiore per dirigersi verso la Campania, da cui erano poi
ripartiti (sempre alla volta di Montecchio Maggiore) il De Angelis, il Pellegrino e
sua sorella la sera dell’11.11.02, raggiunti in aereo, la sera successiva, dal Russo e
dal Mallardo, con il Pellegrino che li attendeva all’aeroporto.
Prosegue la gravata pronuncia con l’evidenziare che i telefonini del Russo, del
Mallardo, del De Angelis e del Pellegrino, rimasti spenti tra le h. 7,00 e le h. 8,00
del 13.11.02 (cioè nell’arco orario durante il quale avveniva la rapina), venivano
tutti riaccesi a partire dalle h. 9,30 in poi e tutti attivavano, fino alla successiva
partenza per Napoli, la cella di via Madonnetta che copre l’abitazione della sorella
del Pellegrino (a conferma del fatto che dopo la rapina tutti si erano recati a casa
della sorella del Pellegrino, come s’è detto), abitazione sita a breve distanza sia
dall’ufficio postale teatro della rapina sia dal luogo in cui era stata abbandonata la
FIAT Uno.
Infine, dopo la rapina tutti e quattro erano, nel giro di poche ore, ripartiti da
Montecchio Maggiore alla volta della Campania: il De Angelis, il Mallardo e il
Russo nella tarda mattinata (il primo in aereo, gli altri due in auto), il Pellegrino
con un volo nel pomeriggio diretto all’aeroporto di Napoli, dove ad attenderlo vi
era il De Angelis (partito con un volo precedente, come si è detto).
Da ultimo, a svalutare le dichiarazioni del Russo intese a scagionare il
Pellegrino, la Corte territoriale ha segnalato che i due, malgrado le difformi
dichiarazioni del primo, si conoscevano ed erano in contatto fra loro già
anteriormente alla prima trasferta a Montecchio Maggiore.
Per il resto, le contrarie argomentazioni svolte in ricorso scivolano sul piano
dell’apprezzamento di merito, in pratica sollecitando una terza lettura del
materiale probatorio non consentita in sede di legittimità.

rapina coincidevano, che tutti e quattro i correi, dopo il furto (avvenuto nella notte

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5- In conclusione, entrambi i ricorsi vanno rigettati. Ex art. 616 c.p.p. consegue
la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale,
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, in data 13.12.13.

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