Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 14045 del 22/03/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 14045 Anno 2016
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
De Cuppis Giorgio, nato a Milano, il 6/7/1959;
Giorgino Ermelinda, nata a Francavilla Fontana, il 19/11/1954;
Iannuzzi Elio, nato ad Avellino, il 2/11/1940;
Pescatori Luigi Melchiorre, nato a Melegnano, il 19/8/1956;
Piano Eugenio, nato a Napoli, il 15/5/1952;

avverso la sentenza del 9/12/2014 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Stefano
Tocci, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

Data Udienza: 22/03/2016

uditi per gli imputati gli avv.ti Giancarlo Costa, Stefano Toniolo, Andrea Castaldo ed
Asa Peronace, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi proposti
nell’interesse dei rispettivi assistiti.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Milano ha confermato la condanna,
anche agli effetti civili, degli imputati sopra rubricati per il reato di bancarotta
fraudolenta patrimoniale aggravata commesso nella gestione della Data Base s.p.a.,
fallita nel corso del 2002. Secondo l’impostazione accusatoria accolta dai giudici del

..,

merito la vicenda ha ad oggetto una sorta di “frode carosello” protrattasi per alcuni
anni e realizzata mediante la vendita circolare di un software gestionale, organizzata
dai vertici della fallita per incrementarne l’apparente fatturato al fine di evasione fiscale
e di ottenere maggiore credito dal sistema bancario (con lo scopo finale di accreditare
la società per la quotazione in borsa) e costituire provvista che veniva poi distratta
verso società e conti esteri per poi essere reimpiegata negli aumenti di capitale di Data
Base o per effettuare investimenti immobiliari da parte di uno degli ideatori della frode,
tale Bruno Giordano giudicato separatamente. Il meccanismo fraudolento è invece
consistito nella costituzione di un primo livello di società per lo più non operative cui
Data Base cedeva il software emettendo le relative fatture e ricevute bancarie che
consentivano lo sconto presso il sistema bancario del credito acquisito. A questo punto
le società acquirenti rivendevano il software ad altre ed analoghe società di secondo
livello che provvedevano a pagarne il prezzo solo dopo aver ricevuto senza alcuna
ragione da Data Base la necessaria provvista e a loro volta lo rivendevano alla fallita
completando il circuito fraudolento, consentendo a quest’ultima di contabilizzare costi
fittizi. Gli odierni imputati sono stati tutti condannati a titolo di concorso nel reato nella
loro qualità di amministratori esecutivi o non esecutivi della fallita ovvero delle società
coinvolte nel circuito fraudolento o, ancora, in quanto sindaci di Data Base.
2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso i sopra rubricati imputati.
2.1 Il ricorso proposto nell’interesse di Pescatori Luigi Melchiorre articola quattro
motivi.
2.1.1 Con il primo viene eccepita la nullità della sentenza impugnata per l’omessa
notifica ad uno dei due difensori dell’imputato del decreto di citazione per il giudizio
d’appello e dell’avviso di deposito della sentenza di primo grado. Rileva in proposito il
ricorrente come la Corte territoriale abbia rigettato la relativa eccezione,
tempestivamente proposta nel dibattimento di secondo grado, sulla base dell’erroneo
presupposto che il Pescatori avesse revocato la nomina dell’avv. Fares nella sua
2

/

missiva del 3 novembre 2011 con la quale si era invece limitato a confermare la
nomina dell’avv. Peronace ed a modificare l’elezione di domicilio precedentemente
effettuata presso lo studio dello stesso avv. Fares. Viene infine formulata istanza ex
art. 175 c.p.p. per la remissione di quest’ultimo nel termine per impugnare.
2.1.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce vizi della motivazione in merito alla
sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi per la configurabilità del concorso
dell’imputato nel reato di bancarotta contestato. In proposito viene eccepito che la
Corte territoriale avrebbe solo apoditticamente affermato che la posizione del Pescatori

quello del ricorrente e che sono stati prosciolti già nell’udienza preliminare in ragione
del rilevato difetto di consapevolezza dei medesimi di supportare non solo la campagna
di evasione fiscale promossa dai dirigenti di Data Base, ma altresì il successivo
depauperamento del patrimonio di quest’ultima, società nella quale l’imputato peraltro
non ha mai ricoperto alcuna qualifica. Per contro il compendio probatorio di riferimento
dimostrerebbe come il Pescatori sia stato amministratore di fatto o di diritto di poche
società strumento della presunta frode (solo nove delle centottanta complessivamente
utilizzate) e non abbia assunto il ruolo di interlocutore di Data Base nella gestione delle
società del c.d. primo livello, come dimostrano le dichiarazioni dei testi Doria e Giudici,
amministratori di alcune di esse, i quali hanno riferito di aver intrattenuto rapporti
diretti con i vertici della fallita. Contrariamente a quanto affermato dai giudici
dell’appello, dunque, non vi sarebbe prova alcuna della consapevolezza da parte
dell’imputato della situazione economica in cui versava Data Base, presupposto
ineludibile per l’affermazione della sua responsabilità quale concorrente extraneus nel
reato.
2.1.3 Con il terzo e quarto motivo ulteriori vizi della motivazione vengono dedotti in
merito alla commisurazione della pena, alla denegata concessione delle attenuanti
generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante, nonché alla condanna
dell’imputato al pagamento di una provvisionale in difetto dell’effettiva quantificazione
delle somme che si ritengono essere state distratte.
2.2 II ricorso proposto nell’interesse di De Cuppis Giorgio articola cinque motivi.
2.2.1 Il primo è sostanzialmente identico al corrispondente motivo del ricorso del
Pescatori redatto dal comune difensore. Con lo stesso si lamenta nuovamente l’omessa
notifica all’avv. Fares del decreto di citazione per il giudizio d’appello e dell’avviso di
deposito della sentenza di primo grado e la conseguente nullità di quella impugnata,
nonché l’erronea interpretazione nel senso della revoca della nomina del menzionato
difensore della comunicazione con cui l’imputato (che in questo caso è datata 31
ottobre 2011) ha provveduto a modificare l’elezione di domicilio precedente effettuata
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sia diversa da quella di altri originari coimputati il cui ruolo nella vicenda è analogo a

presso lo studio del citato legale. Ed anche in questo caso è stata formulata istanza ex
art. 175 c.p.p.
2.2.2 Con il secondo motivo vengono dedotti vizi della motivazione in merito
all’affermazione di responsabilità del De Cuppis in difetto della sua qualifica di
amministratore esecutivo della fallita. In particolare il ricorrente lamenta l’omessa
considerazione da parte della Corte territoriale della documentazione prodotta già nel
primo grado di giudizio e posta a sostegno del gravame di merito da cui si evincerebbe
come l’imputato fu componente del consiglio di amministrazione di Data Base a più

fino all’aprile del 1999 come contestatogli. Circostanza questa di decisiva rilevanza,
atteso che le condotte distrattive per cui è processo avrebbero avuto inizio proprio nel
1997, quando per l’appunto il De Cuppis era oramai cessato da ogni carica, compresa
quella di direttore commerciale della fallita con la quale aveva interrotto il rapporto di
lavoro ed addirittura instaurato un contenzioso per ottenere il pagamento delle sue
spettanze, risoltosi transattivamente solo nel 1998. Infondata sarebbe poi
l’affermazione per cui lo stesso avesse ampi poteri all’interno della società, posto che
dal momento dell’ingresso nella società del Sanna (individuato con il già menzionato
Giordano come uno degli ideatori della frode) era stato privato di qualsiasi delega e
comunque mai gli era stata conferita quella per operare con le banche. Non di meno la
sentenza non avrebbe individuato quale sarebbe la condotta addebitabile all’imputato e
da lui tenuta nella sua veste di amministratore della fallita in grado di integrare il
concorso nella bancarotta commessa dai vertici della società. Né i giudici dell’appello
hanno saputo individuare quali sarebbero stati i segnali d’allarme idonei a configurare
una sua eventuale responsabilità per omesso impedimento, mentre gli stessi giudici
avrebbero trascurato le dichiarazioni del curatore fallimentare, il quale ha escluso che
gli amministratori privi di deleghe abbiano colto segnali in merito alla natura fittizia
delle vendite di software. Infine la Corte territoriale avrebbe altresì ignorato come, fino
al momento delle dimissioni del De Cuppis, dai bilanci della fallita non risultassero
pagamenti sospetti verso l’estero.
2.2.3 Il terzo motivo di ricorso riproduce il secondo di quello del Pescatori,
prospettando gli stessi vizi della motivazione in merito alla sussistenza dei presupposti
per ritenere che l’imputato possa essere ritenuto concorrente extraneus nel reato. Con
il quarto vengono dedotti ulteriori vizi della motivazione in merito alla conferma della
commisurazione del trattamento sanzionatorio e alla denegata concessione delle
attenuanti generiche, mentre con il quinto il ricorrente censura la conferma della
provvisionale in assenza dell’effettiva quantificazione del valore delle distrazioni in
contestazione.
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riprese di fatto fino alla fine del 1996 e formalmente fino al febbraio del 1997 e non

2.3 Il ricorso proposto nell’interesse dello Iannuzzi articola cinque motivi.
2.3.1 Con il primo viene eccepita la violazione del principio di correlazione in merito alla
intervenuta condanna dell’imputato, amministratore non esecutivo della fallita, per
l’omesso impedimento delle distrazioni a fronte dell’originaria contestazione del
concorso commissivo nel reato di bancarotta. In proposito il ricorrente ricorda come la
necessaria correlazione tra imputazione e sentenza debba concernere anche la
qualificazione giuridica del fatto, costituendo presupposto indefettibile della garanzia
dei diritti dell’imputato nel processo anche quello di esercitare tempestivamente e

stabilito dalla costante giurisprudenza della Corte EDU recepita sul punto da quella di
legittimità (in proposito viene menzionata la nota sentenza Drassich del 2009). In tal
senso la trasfigurazione della condotta addebitata allo Iannuzzi da commissiva ad
omissiva, non solo costituisce una modifica del profilo materiale del fatto di cui era
chiamato a rispondere, ma altresì di quello giuridico, in ragione della necessaria
concorrenza delle condizioni normative previste dall’art. 40 cpv. c.p. perché l’omissione
assuma rilevanza penale. Non di meno la modificazione della qualificazione della
condotta incide sulla configurazione in concreto dell’elemento soggettivo ed in
particolare sull’oggetto del dolo richiesto per l’integrazione del reato contestato.
2.3.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce errata applicazione della legge penale
e vizi della motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato. In particolare
lamenta il difetto di motivazione in merito all’effettiva volontarietà dell’inerzia
addebitata all’imputato, lacuna generata dall’erronea convinzione da parte della Corte
territoriale che, ai fini della configurabilità del ritenuto dolo eventuale, nella fattispecie
data sia sufficiente la prova della rappresentazione della situazione tipica da cui
scaturisce l’obbligo di attivarsi, nella specie determinata dalla percezione di congrui
segnali d’allarme da parte dell’amministratore non esecutivo.
2.3.3 Con il terzo motivo vengono denunziati ulteriori vizi della motivazione in merito
all’effettività della percezione della situazione tipica da parte dello Iannuzzi, dedotta in
maniera manifestamente illogica dalla accertata scarsa frequentazione da parte
dell’imputato delle sedute del consiglio di amministrazione della fallita. Erroneo sarebbe
poi l’ulteriore indice della connivenza del ricorrente con il disegno criminoso perseguito
dagli amministratori operativi evidenziato dalla sentenza e cioè il supposto progressivo
incremento degli emolumenti percepiti nel triennio in cui rimase in carica. Ed infatti la
Corte territoriale ha in proposito confuso l’ammontare complessivo di quanto percepito
dallo Iannuzzi nel periodo con il compenso annuale previsto in suo favore. Infine la
sentenza impugnata avrebbe trascurato evidenti indici negativi della consapevolezza da
parte dell’imputato della situazione tipica, rappresentati dalla non immediata
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compiutamente le proprie difese anche su tale aspetto della contestazione, così come

intelligibilità delle operazioni distrattive (acclarate solo a seguito degli accertamenti
tecnici disposti dopo il fallimento) e dal continuo crescente affidamento bancario
concesso a Data Base, tale da indurre l’amministratore non esecutivo a ritenere la
società florida e correttamente gestita dagli operativi.
2.3.4 La motivazione della sentenza viene censurata anche con il quarto motivo sotto il
profilo della mancata dimostrazione del rapporto causale di matrice normativa tra
violazione dell’obbligo impeditivo ed evento distrattivo ed in particolare del contenuto
dei poteri nella titolarità dell’imputato che, laddove esercitati, avrebbero potuto

2.3.5 Con il quinto motivo il ricorrente deduce errata applicazione della legge penale e
correlati vizi della motivazione con riferimento alla commisurazione della pena e alla
denegata concessione delle attenuanti generiche. In proposito si rileva l’apoditticità
della motivazione con la quale la Corte territoriale ha respinto l’argomento difensivo
sulla prospettata assenza di danno per la fallita. Manifestamente illogica perché fondata
su di un presupposto errato sarebbe poi l’argomentazione spesa per ritenere adeguato
l’aumento di pena irrogato per la contestata aggravante, atteso che questo,
contrariamente a quanto affermato dai giudici dell’appello, è stato determinato nel
massimo edittale.
2.4 D ricorso proposto nell’interesse di Piano Eugenio articola tre motivi.
2.4.1 Con il primo vengono dedotti errata applicazione della legge penale e vizi della
motivazione in ordine alla sussistenza della responsabilità concorsuale dell’imputato.
Sotto un primo profilo il ricorrente, rifacendosi al dictum della sentenza n. 47502 del
2012 di questa Sezione, eccepisce che il fallimento rappresenta l’evento del reato di
bancarotta e che in quanto tale, contrariamente a quanto assunto dalla Corte
territoriale, lo stesso debba essere eziologicamente connesso alle condotte
depauperative e debba rientrare nel dolo dell’agente, tutte circostanze di cui la
sentenza non avrebbe fornito la necessaria dimostrazione.
2.4.2 In secondo luogo lamenta come il Piano sia stato presente in Data Base dapprima
tra il 1991 e il 1993 e successivamente sia ritornato come componente del CdA a
partire dal giugno del 2001 (assumendo la funzione di amministratore delegato soltanto
nel novembre dello stesso anno) e cioè esattamente in periodi antecedenti e
susseguenti a quello in cui è avvenuta la consumazione degli illeciti contestati ed
oggetto delle verifiche da parte della GdF, alla cui attuazione egli dunque non può in
alcun modo aver contribuito, men che meno sotto il profilo della causazione del
dissesto della società attraverso un suo eventuale comportamento omissivo. In
proposito la Corte territoriale avrebbe dunque ingiustificatamente ritenuto l’imputato
intraneo alla fallita senza soluzione di continuità dal 1991 al 2001, ignorando le prove
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impedire la consumazione del reato da parte degli amministratori esecutivi.

che dimostrano l’esatto contrario (e cioè la visura camerale depositata dalla difesa e la
rettifica in tal senso apportata alla propria relazione dal curatore in dibattimento).
2.4.3 Non di meno erroneamente i giudici dell’appello avrebbero ritenuto irrilevante la
consapevolezza da parte del terzo extraneus (giacchè il Piano nell’imputazione viene
qualificato come “procuratore” della fallita negli anni precedenti all’assunzione della
carica di amministratore) concorrente nel reato del suddetto dissesto, che invece deve
essere dallo stesso previsto e voluto “quantomeno a titolo di dolo eventuale” in accordo
con la disciplina di cui all’art. 43 c.p. ed al principio di colpevolezza come configurato

sentenza impugnata, si giungerebbe all’assurda conseguenza di ritenere penalmente
irrilevante la condotta di colui che sottragga risorse ingenti solo perché l’attivo
dell’impresa consente a quest’ultima di evitare il fallimento, punendo invece chi ha
commesso fatti tipici di modesta rilevanza e risalenti nel tempo soltanto perché a
distanza di anni e per dinamiche del tutto indipendenti si sia instaurata una procedura
concorsuale.
2.4.4 Sotto altro profilo il ricorrente lamenta l’omessa considerazione delle obiezioni
mosse con il gravame di merito in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni del teste
d’accusa Giudici – la cui utilizzabilità, in ogni caso, in quanto sentito ai sensi dell’art.
197-bis c.p.p. presupporrebbe l’acquisizione di riscontri esterni – invece smentite dal
già citato accertamento sulla data dell’ingresso del Piano nel CdA di Data Base, nonché
da quelle del coimputato Giordano, apoditticamente svalutate dalla sentenza. Ed
analoghe censure vengono avanzate con riguardo alla testimonianza del Valeri (già
direttore commerciale della fallita), non avendo tenuto conto la Corte territoriale del
fatto che le sue dichiarazioni siano inficiate dal fatto che egli lasciò la società proprio in
corrispondenza con l’ingresso nel consiglio dell’imputato, talchè sarebbe impossibile che
questi, come riferito dal teste, gli avesse impartito le direttive del Giordano e del
Sanna. Non di meno anche le dichiarazioni del teste Doria (amministratore di una delle
società coinvolte nella frode carosello), evidenziate in sentenza come prova a carico,
sarebbero smentite dalla tempistica dell’ingresso del Piano nel CdA e dal fatto che
nessuna traccia del contratto che il teste ha asserito di aver firmato con l’imputato per
conto di Data Base è stata rinvenuta, mentre il teste Guido (l’operante che ha deposto
sulle indagini) ha affermato che alcuno degli amministratori delle società di primo o
secondo livello avesse mai riferito di essersi relazionato con lo stesso Piano, ma solo
con il Giudici ed il Sanna. Per contro la Corte territoriale avrebbe trascurato anche un
altro passaggio della deposizione del Giordano in cui addirittura il Piano viene indicato
come colui che propose di incaricare società esterne di una verifica contabile di Data
Base, proposta ovviamente incompatibile con un suo presunto coinvolgimento nelle
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dall’art. 27 Cost. Il ricorrente rileva inoltre come, accogliendo i principi affermati dalla

attività illecite che sarebbero state scoperte e di cui dunque egli era all’oscuro perché
realizzate in epoca antecedente al suo ingresso nel consiglio.
2.4.5 Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 520 c.p.p. in
relazione all’omessa sospensione del dibattimento di primo grado e notifica all’imputato
a seguito dell’avvenuta modifica del capo d’imputazione all’udienza del 22 giugno 2012.
Eccezione già svolta con il gravame di merito e rigettata dalla Corte territoriale sulla
base dell’erroneo assunto per cui la suddetta omissione non avrebbe comportato alcuna
lesione del diritto di difesa, mentre la modifica operata dal pubblico ministero aveva

attribuendogli per il periodo antecedente al suo ingresso nel CdA la qualifica di
“procuratore” della fallita, asseritamente conservata ininterrottamente per un decennio.
In tal senso la modifica in oggetto, oltre ad espandere in termini significativi la
contestazione, ha configurato un diverso titolo di responsabilità dell’imputato per il
periodo antecedente all’assunzione della carica di amministratore, qualificandolo nella
sostanza come concorrente

extraneus.

Non di meno, contrariamente a quanto

sostenuto in sentenza, tale modifica non fu ininfluente sull’oggetto dell’attività
istruttoria svolta nel prosieguo dell’udienza del 22 giugno, giacchè, atteso che i quattro
testi escussi in relazione alla posizione del Piano hanno a quel punto dovuto rispondere
sul suo ruolo a partire dal 1991 e non più dalla data del suo ingresso nel CdA, senza
che alla difesa sia stata consentita la concreta possibilità di procedere ad un adeguato
controesame su tale profilo.
2.4.6 Con il terzo motivo il ricorrente lamenta errata applicazione della legge penale e
correlati vizi della motivazione in merito alla commisurazione della pena e alla
denegata concessione delle attenuanti generiche.
2.5 II ricorso proposto nell’interesse di Giorgino Ermelinda articola quattro motivi.
2.5.1 Con il primo motivo vengono dedotti violazione di legge e vizi della motivazione
in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputata. In particolare viene
denunziata l’omessa confutazione delle argomentazioni svolte con il gravame di merito
al fine di dimostrare l’oggettiva inesistenza di segnali d’allarme percepibili dall’imputata
in grado di rivelare la volontaria omissione da parte della medesima degli interventi
necessari ad impedire la consumazione del reato. In particolare la Corte territoriale
avrebbe omesso di prendere in considerazione che: a) le operazioni verso l’estero
attraverso cui sarebbero state realizzate le contestate distrazioni erano numericamente
contenute rispetto all’elevato volume di quelle sottoposte all’analisi del collegio
sindacale; b) la circolarità delle vendite del software gestionale non era
immediatamente rilevabile atteso che le relative fatture non individuavano uno
specifico prodotto e comunque le vendite non erano fittizie giacchè veniva
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rilievo essenziale, retrodatando la presenza del Piano nella società al 1991,

effettivamente trasferito il supporto fisico; c) gli acconti versati alle società di secondo
livello erano stati cumulativamente occultati nella voce di bilancio “debiti verso
fornitori”; d) l’intera contabilità tra il 2000 e il 2001 era rimasta nella pressoché
esclusiva disponibilità della G.d.F. impegnata in una verifica fiscale sulla società; e)
sulla base dei medesimi bilanci sottoposti al collegio sindacale il sistema bancario ha
concesso alla fallita finanza per svariate centinaia di miliardi di lire; f) la società aveva
un magazzino effettivo e adeguato tenuto conto delle ridotte dimensioni dei prodotti
commercializzati, non ha presentato indici di sofferenza fino alla fine del 2001 e

puntualmente alle obbligazioni sociali, comprese quelle di natura fiscale.
Manifestamente illogico sarebbe poi ritenere – come hanno fatto i giudici dell’appello che le contestazioni elevate nel 2002 dal collegio sindacale abbiano costituito soltanto il
tentativo di precostituire una copertura a precedenti omissioni dolose, posto che se
questa fosse stata l’intenzione i suoi componenti avrebbero agito all’inizio della verifica
fiscale e non un anno e mezzo dopo. La sentenza avrebbe altresì altrettanto
illogicamente tratto una prova a carico dell’imputata dall’approvazione nell’assemblea
del 25 luglio 2002 del bilancio del 2001 in quanto i sindaci non sollevarono alcuna
obiezione, trascurando che in pari data venne approvata anche la situazione
patrimoniale aggiornata e prodromica alla messa in liquidazione della società, che
rappresentava invece l’effettiva situazione della fallita. Meramente suggestivi ed
apodittici sarebbero poi i riferimenti operati nel provvedimento impugnato agli ulteriori
incarichi ricoperti dalla Giorgino in altre società del gruppo in qualche modo coinvolte
nell’attività distrattiva, atteso che in proposito la Corte di merito non si è nuovamente
confrontata con le obiezioni avanzate sulla rilevanza di tali incarichi dalla difesa,
rimanendo comunque priva di motivazione l’implicita affermazione della consapevolezza
da parte dell’imputata dell’utilizzazione strumentale delle menzionate società.
2.5.2 Con il secondo motivo vengono denunziati errata applicazione della legge penale
e correlati vizi della motivazione in merito alla ritenuta sussistenza del nesso di
causalità tra l’omissione addebitata alla Giorgino e la consumazione del reato di
bancarotta, profilo sul quale la Corte territoriale non si sarebbe intrattenuta se non
evocando nuovamente l’approvazione del bilancio del 2001 quale tentativo di occultare
la situazione della società, ma nuovamente dimenticando la contestuale approvazione
dello stato patrimoniale aggiornato.
2.5.3 Con il terzo motivo la ricorrente lamenta violazione di legge e vizi della
motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato
in difetto della prova dell’effettiva percezione – e non solo della percebilità – da parte
dei membri del collegio sindacale delle modalità illecite di gestione della fallita. In tal
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appariva in grado di supportare il crescente volume d’affari anche perché adempiva

senso inconferente sarebbe il rilievo sulla natura meramente formale dei controlli
eseguiti dai sindaci, atteso che la circostanza è di per sé sintomatica al più di mera
negligenza, ma non prova la volontarietà dell’omessa esecuzione di verifiche più
approfondite. Non di meno alcuno dei protagonisti della vicenda ha mai accennato al
ruolo di sodale della Giorgino o di altri componenti del collegio sindacale.
2.5.4 Con il quarto ed ultimo motivo vengono infine dedotti errata applicazione della
legge penale e correlati vizi della motivazione in merito alla commisurazione della pena

3. In data 4 marzo 2016 ha proposto motivi nuovi anche la difesa di Giorgino
Ermelinda. Con il primo deduce errata applicazione della legge penale e vizi della
motivazione, rilevando come, in merito all’elemento soggettivo, la Corte territoriale non
abbia precisato se l’imputata sia stata ritenuta concorrente nel reato a titolo di dolo
diretto piuttosto che eventuale, difettando qualsiasi accertamento in concreto su quale
sia stato l’effettivo atteggiamento psicologico addebitabile alla Giorgino e sull’effettiva
volontà della stessa di concorrere nella bancarotta contestata. Con il secondo analoghi
vizi vengono dedotti con riguardo alla commisurazione delle statuizioni civili.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono fondati nei limiti di seguito esposti.
2. Pregiudiziale è l’esame delle eccezioni processuali sollevate da alcuni dei ricorrenti.
Inammissibile è innanzi tutto quella svolta con il primo motivo dei ricorsi del Pescatori e
del De Cuppis. Se è pacifico – avendolo rilevato anche la sentenza impugnata – che
l’avv. Fares non ha ricevuto né la notifica dell’avviso di deposito della sentenza di primo
grado dovuto ai sensi del secondo comma dell’art. 548 c.p.p., né quella del decreto di
citazione per il giudizio d’appello, oggetto di controversia è invece se tali notifiche gli
fossero effettivamente dovute e cioè se egli fosse o meno difensore di fiducia
dell’imputato. In tal senso deve osservarsi come né dal decreto che dispone il giudizio,
né da alcuno dei verbali delle udienze del primo grado di giudizio, né dalla sentenza
emessa a conclusione di tale grado, emerga l’indicazione dell’avv. Fares come difensore
di fiducia dei due imputati, mentre nel primo degli atti menzionati lo stesso avvocato
risulta mero domiciliatario dei medesimi. Deve dunque concludersi che l’eventuale
nomina del difensore – qualora realmente effettuata ed a prescindere dalla sua
implicita revoca attraverso le missive evocate dalla Corte territoriale nell’ordinanza
censurata nei ricorsi – sia intervenuta in un momento antecedente al dibattimento di
primo grado. Va allora ribadito l’insegnamento delle Sezioni Unite per cui,nel caso in cui
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ed alla denegata concessione delle attenuanti generiche.

una parte deduca il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilità collegate ad atti non
. rinvenibili nel fascicolo processuale perché appartenenti al fascicolo del pubblico
ministero, al generale onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva
l’eccezione si accompagna l’ulteriore onere di formale produzione delle risultanze
documentali – positive o negative – addotte a fondamento del vizio processuale (Sez.
Un., n. 39061 del 16 luglio 2009, De brio, Rv. 244329). Onere che i ricorrenti non
hanno pacificamente assolto, non avendo indicato gli estremi dell’atto di nomina del
secondo difensore, né tanto meno prodotto lo stesso impedendo in tal modo la verifica

genericità. Per gli stessi motivi non può trovare accoglimento l’istanza di restituzione
nel termine per consentire all’avv. Fares di proporre impugnazione avanzata con
entrambi i ricorsi.
3. Proseguendo nell’esame delle eccezioni processuali sollevate dalle difese, infondata è
quella contenuta nel primo motivo del ricorso dello Iannuzzi.
3.1 Innanzi tutto va ricordato che le disposizione contenute negli artt. da 516 a 522
c.p.p., avendo lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell’accusa e,
quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato, vanno interpretate con
riferimento alle finalità alle quali sono dirette, cosicché non possono ritenersi violate da
qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la
modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato. In tale
prospettiva per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei
suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi
astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto
dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne
consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va
esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e
sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto
insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi
nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. Un.
n. 36551 del 15 luglio 2010, Carelli, rv 248051; Sez. Un. n. 16 del 19 giugno 1996, Di
Francesco, rv 205620). In particolare, per oramai consolidata giurisprudenza, qualora
venga dedotta la violazione del principio di necessaria correlazione fra accusa
contestata e sentenza, al fine di verificare se vi sia stata una trasformazione,
sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito, non soltanto va
apprezzato in concreto se nella contestazione, considerata nella sua interezza, non si
rinvengano gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, ma
anche se una tale trasformazione, sostituzione o variazione abbia realmente inciso sul
11.

della fondatezza dell’eccezione proposta e rivelandone conseguentemente l’intrinseca

diritto di difesa dell’imputato, e cioè se egli si sia trovato o meno nella condizione
. concreta di potersi difendere.
3.2 Alla luce di tali principi deve ritenersi corretta la risposta fornita dalla Corte
territoriale all’analoga eccezione svolta con il gravame di merito dall’imputato. Infatti
allo Iannuzzi era stato contestato di essere concorso nell’attività distrattiva attribuita al
Giordano ed al Sanna, senza precisare se il suo contributo alla consumazione del reato
avesse avuto natura commissiva ovvero omissiva (lacuna che al più avrebbe potuto
eventualmente legittimare la diversa eccezione di indeterminatezza del capo

In tal senso legittimamente la sua responsabilità è stata ritenuta facendo riferimento
alla fattispecie di cui all’art. 40 cpv. c.p., che indubbiamente è ricompresa nella
contestazione di quella concorsuale, essendo rimaste sempre immutate le coordinate
del fatto distrattivo imputato, circostanza che in ogni caso consentirebbe di escludere la
lamentata violazione del principio di correlazione (cfr. Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile
2012, De Mitri e altri, Rv. 252991; Sez. 5, n. 39329 del 20 settembre 2007, Gili, Rv.
238210).
3.3 Infine manifestamente insussistente è la prospettata violazione dell’art. 6 CEDU
evocata dal ricorrente, atteso che, come testè ricordato, il giudice non ha attribuito al
fatto una qualificazione diversa da quella operata all’atto della contestazione
(fattispecie cui si riferisce Corte EDU 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia
indirettamente richiamata nel ricorso attraverso l’evocazione della pronunzia di questa
Corte adottata a riparazione della violazione individuata dal giudice sovranazionale),
mentre la giurisprudenza della Corte di Strasburgo è pacificamente orientata nel senso
per cui sussiste violazione del diritto di informazione dell’imputato (sia sul fatto
contestato, che sulla sua qualificazione giuridica) solo se nell’ambito dell’intera vicenda
processuale questi non sia stato messo nelle condizioni per svolgere le proprie difese in
ordine alla operata riqualificazione e non gli sia stato dunque concesso un rimedio utile
per accedere ad un giudice che abbia il potere di sovvertire la decisione assunta
precedentemente in difetto di informazione sul punto (CorteEDU sent. 1 marzo 2001,
Dallos vs. Ungheria, CorteEDU 16 aprile 2002, Vaque Rafart vs. Spagna, Corte EDU 6
giugno 2002, Feldman vs. Francia, Corte EDU 24 giugno 2004, Balette vs. Belgio,
CorteEDU 24 gennaio 2006, Gouget e altri vs. Francia e CorteEDU 7 marzo 2006,
Vesque vs. Francia). In tal senso alcuna violazione del diritto di difesa si sarebbe
comunque consumata nel caso di specie, atteso che la presunta riqualificazione sarebbe
stata operata nel primo grado di giudizio e l’imputato ha dunque avuto la possibilità di
contestare la decisione dinanzi al giudice dell’appello, che concretamente ha sfruttato

12

d’imputazione, che non risulta peraltro il ricorrente abbia tempestivamente proposto).

contestando con il gravame di merito la configurabilità dei presupposti del suo ritenuto
concorso omissivo nel reato.
4. Inammissibile è l’eccezione proposta con il secondo motivo del ricorso del Piano.
4.1 Oggetto di lamentela è il fatto per cui, una volta che il pubblico ministero
all’udienza del 22 giugno 2012 aveva proceduto alla modifica dell’imputazione, il
Tribunale, pur disponendo la notifica del verbale all’imputato, non abbia sospeso
l’udienza ai sensi del secondo comma dell’art. 520 c.p.p., procedendo invece ad attività

relazione alla posizione del Piano e dunque anche sulle circostanze oggetto delle
modifiche apportate alla contestazione.
4.2 L’eccezione, già proposta con il gravame di merito, è stata respinta dalla Corte
territoriale in conseguenza dell’affermato difetto di una effettiva lesione del diritto di
difesa. Giudizio formulato dal giudice dell’appello sulla base della ritenuta marginalità
della modifica apportata all’imputazione nel caso di specie, che si sarebbe
sostanzialmente risolta, a seguito delle precisazioni effettuate dal curatore nel corso
della sua deposizione, nella correzione della data del suo ingresso nel CdA della fallita,
con effetto peraltro restrittivo del perimetro dell’originaria contestazione. Quanto
all’oggetto dell’ulteriore istruttoria svolta nel corso dell’udienza del 22 giugno 2012, la
Corte ha invece evidenziato come i testi escussi siano stati esaminati sugli stessi fatti
oggetto dell’originaria contestazione, proprio in ragione della natura della modifica
apportata all’imputazione.
4.3 Anche volendo riconoscere che la mancata sospensione dell’udienza abbia
determinato una effettiva lesione del diritto di difesa dell’imputato, non può non
rilevarsi come la nullità di cui all’art. 522 c.p.p. sia stata tardivamente eccepita dal
ricorrente solo con il gravame di merito. Quella evocata (e cioè in definitiva il mancato
rispetto dei termini di difesa imposti dall’art. 520 c.p.p.) è infatti una nullità a regime
intermedio soggetta, quanto alla sua deducíbilità, alle regole generali dettate dall’art.
182 c.p.p. e, in particolare, a quella di cui al secondo comma dell’articolo citato. In tal
senso la parte, avendovi assistito atteso che la violazione si è consumata nel corso
dell’udienza, aveva l’onere di eccepirla immediatamente e cioè nel momento in cui il
Tribunale, dopo aver ordinato la notifica all’imputato del verbale contenente le
modifiche all’imputazione, ha disposto la prosecuzione dell’istruttoria invece di
sospendere e rinviare il dibattimento.

5. Infine va evidenziata l’inammissibilità della deduzione da parte di alcuni dei ricorrenti
del vizio di violazione di legge in riferimento al prospettato malgoverno delle regole di
valutazione della prova. In proposito è opportuno ribadire il consolidato insegnamento
13

istruttoria consistita nell’assunzione di quattro testi, asseritarnente esaminati anche in

di questa Corte per cui, rilevando la mancata osservanza di una norma processuale in
quanto la stessa sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o
decadenza, come espressamente disposto dall’art. 606, comma primo lett. c) c.p.p.,
non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dei criteri di
valutazione della prova posti dall’art. 192 c.p.p.

(ex multis Sez. 3, n. 44901 del

17/10/2012 – dep. 16/11/2012, F., Rv. 253567). Tale violazione rileva solo ai fini del
giudizio sulla tenuta del discorso giustificativo della sentenza e può dunque essere fatta
valere soltanto deducendo un vizio di motivazione ai sensi della lett. e) dell’ad 606

punto comunque devono essere esaminate nel prosieguo.

6. Venendo agli altri motivi proposti nell’interesse dei succitati imputati, infondati ed in
parte inammissibili devono ritenersi quelli contenuti nei ricorsi del De Cuppis e del
Pescatori, che devono conseguentemente essere rigettati.
6.1 Oggetto di comune doglianza nei due ricorsi è la asserita carenza dei presupposti
per ritenere gli imputati concorrenti extranei nella bancarotta commessa dai vertici
della fallita. Sul punto è innanzi tutto opportuno chiarire come né al De Cuppis, né al
Pescatori sia stato contestato alcun ruolo nelle distrazioni realizzate mediante
l’ingiustificato trasferimento a società estere delle somme acquisite da Data Base dal
sistema bancario, ma soltanto di aver contribuito – anche avvantaggiandosene all’ulteriore attività illecita consumata attraverso il circuito fraudolento di
commercializzazione del software gestionale fittizio, attività puntualmente descritta nei
capi d’imputazione loro rispettivamente dedicati. Sulla natura oggettivamente
distrattiva di alcuni dei segmenti dell’articolata procedura ideata per creare l’apparenza
delle straordinarie performance di Data Base e frodare il fisco non può esservi dubbio
alcuno, atteso che sono state impiegate risorse monetarie della fallita per costituire in
capo alle società del c.d. secondo livello la provvista necessaria ad acquistare da quelle
del c.d. primo livello il software, nonché per garantire una “commissione” sia alle une,
che alle altre. Del resto sul punto non solo con i ricorsi, ma nemmeno con i rispettivi
gravami di merito i due imputati hanno sollevato obiezione alcuna e conseguentemente
la Corte territoriale non si è soffermata sulla questione rinviando del tutto
legittimamente alla motivazione della pronunzia di primo grado.
6.2 Fatta questa precisazione è possibile quindi apprezzare l’infondatezza e – per certi
aspetti – la genericità delle censure dei ricorrenti, atteso che la sentenza impugnata ha
ampiamente dimostrato come tanto il De Cuppis, quanto il Pescatori, nella loro qualità
di gestori di alcune delle società intermedie inserite nel circuito di cui si è detto,
abbiano volontariamente contribuito alla realizzazione della frode “carosello” nella
14

c.p.p. Peraltro nel caso di specie questo è avvenuto e pertanto le censure avanzate sul

consapevolezza dei suoi meccanismi e dei suoi effetti. Ed in proposito i giudici d’appello
non solo hanno evocato le dichiarazioni dei coimputati o testimoni che hanno indicato
negli imputati due certi protagonisti della vicenda, ma altresì quelle auto ed etero
accusatorie rilasciate da questi ultimi.
6.3 Sulla base di questa oggettiva piattaforma probatoria – sostanzialmente nemmeno
contestata dai ricorrenti se non che per alcuni aspetti marginali su cui si tornerà in
seguito – la Corte territoriale ha ritenuto provato l’elemento soggettivo applicando
correttamente i consolidati principi affermati sul punto dalla giurisprudenza di

6.3.1 Sul punto va infatti ribadito come questa Corte abbia costantemente escluso la
prospettiva del dissesto dall’oggetto del dolo dei reati di bancarotta, individuando
quest’ultimo come limitato, quanto in particolare al reato di bancarotta fraudolenta
patrimoniale, alla consapevolezza di dare a beni della fallita una destinazione diversa
da quella dovuta secondo la funzionalità dell’impresa, privando quest’ultima di risorse e
di garanzie per i creditori (ex multis Sez. 5, n. 12897 del 6 ottobre 1999, Tassan Din,
Rv. 211538; Sez. 5, n. 29896 del 1 luglio 2002, Arienti, Rv. 222388; Sez. 5, n. 7555
del 30 gennaio 2006, De Rosa, Rv. 233413; Sez. 5, n. 11899 del 14 gennaio 2010,
Rizzardi, Rv. 246357; Sez. 5, n. 44933 del 26 settembre 2011, Pisani, Rv. 251214;
Sez. 5, n. 3299/13 del 14 dicembre 2012, Rossetto, Rv. 253932).
6.3.2 Non significativo in senso contrario è il richiamo da parte di Sez. 5, n. 47502 del
24 settembre 2012, Corvetta e altri, Rv. 253493 a talune pronunce (fra le quali Sez. 5,
n. 16759 del 24 marzo 2010, Fiume, Rv. 246879) per le quali il dolo del reato di
bancarotta per distrazione si risolve nella consapevolezza di sottrarre beni
all’esecuzione concorsuale e di determinare un depauperamento del patrimonio in
danno dei creditori. Tale assunto corrisponde infatti puntualmente alla descritta natura
dell’atto introduttivo della procedura concorsuale, quale elemento orientativo dell’offesa
di pericolo, tipica del reato di bancarotta fraudolenta, verso il possibile pregiudizio per
le ragioni dei creditori nell’eventualità che tale procedura venga instaurata; e, ben lungi
dall’introdurre il dissesto nell’oggetto del dolo, ne mantiene il contenuto nei limiti del
distacco dei beni distratti dal patrimonio dell’imprenditore e della previsione delle
conseguenze pregiudizievoli ad esso strettamente inerenti nella prospettiva
dell’ipotetico concorso dei creditori (Sez. 5 n. 32031 del 7 maggio 2014, Daccò, Rv.
261988).
6.3.3 Una volta chiarita l’estraneità del dissesto, in quanto elemento non qualificabile
come costitutivo del reato di bancarotta patrimoniale, all’oggetto del dolo caratteristico
di detto reato, non vi sono ragioni, in aderenza alle regole generali sul concorso di
persone nel reato, perché a tale oggetto debba essere attribuito contenuto diverso e
15

legittimità.

più ampio, per la posizione del concorrente estraneo, rispetto a quello che è richiesto
all’amministratore della società. Ed in tal senso è una reiterata affermazione
giurisprudenziale (Sez. 5, n. 9299 del 13 gennaio 2009, Poggi Longostrevi, Rv.
243162; Sez. 5, n. 16579 del 24 marzo 2010, Fiume, cit.; Sez. 5, n. 1706/14 del 12
novembre 2013, Papalia, Rv. 258950), opportunamente richiamata nella sentenza
impugnata, per la quale il dolo dell’extraneus si risolve nella consapevolezza di
concorrere nella sottrazione dei beni alla funzione di garanzia delle ragioni dei creditori
per scopi diversi da quelli inerenti all’attività di impresa, immediatamente percepibile

come produttivo del pericolo per l’effettività di tale garanzia nell’eventualità di una
procedura concorsuale, a prescindere dalla conoscenza della condizione di insolvenza.
6.3.4 La conformità di tale indirizzo interpretativo alla individuazione della reale natura
del dissesto nell’ambito della fattispecie incriminatrice dei reati di bancarotta, ed ai
principi in tema di oggetto del dolo nei concorrenti nel reato, consentirebbe di per sé di
disattendere anche le presunte note dissonanti che si pretenderebbe di rinvenire da
alcuni in alcune pronunzie di questa stessa Sezione. Tuttavia, ad un’analisi accurata,
tali pronunce (quando addirittura esse non riguardano l’affatto diversa questione del
dolo dell’extraneus concorrente nella bancarotta da operazioni dolose, reato nel quale il
dissesto assume ben altra rilevanza) si rivelano in effetti non contrastanti con
l’interpretazione precedentemente esposta. Talune di esse (Sez. 5, n. 16388 del 23
marzo 2011, Barbato, Rv. 250108; Sez. 5, n. 16000 del 10 febbraio 2012, Daccò, Rv.
252309) si limitano infatti a richiamare una precedente decisione (Sez. 5, n. 23675 del
22 aprile 2004, Bertuccio, Rv. 228905), la cui motivazione individuava anch’essa, in
realtà, il dolo dell’extraneus nella consapevolezza del possibile pregiudizio derivante
dalla distrazione per la garanzia dei creditori; riservando in tale prospettiva alla
conoscenza del dissesto una funzione meramente probatoria, quale elemento che come
altri, e quindi in funzione non necessaria, può risultare in concreto utile ai fini della
dimostrazione del dolo come sopra delimitato. Altra pronuncia (Sez. 5, n. 41333 del 27
ottobre 2006, Tisi, Rv. 235766), ad un esame completo della motivazione, risulta
incentrare il dolo del concorrente estraneo nella consapevolezza non dell’insolvenza,
ma del «rischio di insolvenza»; esplicando tale nozione in termini descrittivi come
pregiudizio per la garanzia dei creditori, in una dimensione che ancora una volta
corrisponde a quella che si è visto essere l’offesa di pericolo propria del reato, nella
prospettiva dell’eventuale apertura di procedure concorsuali, non dissimile dall’oggetto
del dolo del soggetto intraneo all’impresa. Non è infine possibile trarre indicazioni
contrarie all’orientamento qui seguito da una decisione (Sez. 5, n. 27367 del 26 aprile
2011, Rosace, Rv. 250409) che identifica il contenuto del dolo del concorrente esterno
16

dal concorrente esterno, così come dall’imprenditore con il quale lo stesso concorre,

nella «consapevolezza e volontà di aiutare l’imprenditore in dissesto a frustrare gli
adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell’impresa», ove al
riferimento al dissesto non è attribuito l’inequivoco significato dell’indicazione di una
componente dell’oggetto del dolo piuttosto che di un’espressione meramente
descrittiva della posizione del concorrente interno.
6.3.5 D’altra parte risulterebbe assai singolare pretendere che la configurabilità del
concorso dell’extraneus in un reato alla cui struttura lo stato di dissesto al momento
della consumazione della condotta è estraneo, dipenda dalla sua consapevolezza dello

patrimoniale potrebbe sussistere esclusivamente nell’ipotesi in cui il dissesto
dell’impresa è già conclamato, ma si tratterebbe di affermazione che non ha alcuna
coerenza con i dati normativi di riferimento (Sez. 5 n. 32031 del 7 maggio 2014,
Daccò, cit., in motivazione).
6.3.6 E’ indiscutibile che, qualora l’impresa depauperata dalla distrazione versi in stato
di decozione, la consapevolezza di tale stato costituisca un indice inequivocabile del
dolo del concorrente che a tale distrazione abbia prestato il proprio contributo, giacchè
tale consapevolezza contiene inevitabilmente (e senza necessità di prova ulteriore) la
rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori. Ciò
peraltro non significa che, in situazioni in cui il dissesto o anche il solo disequilibrio
economico dell’impresa non si sia ancora palesato, le circostanze del fatto cui il
soggetto concorre non possano rivelarne la natura effettivamente distrattiva nel senso
illustrato in precedenza. In tal senso la preoccupazione che ha mosso questa Corte
nelle pronunzie citate ad evocare la – fin troppo enfatizzata nella massimazione conoscenza dello stato di decozione è il timore dell’innesco di automatismi interpretativi
che sfocino nell’affermazione della responsabilità

dell’extraneus a mero titolo di

responsabilità oggettiva nelle ipotesi in cui il distacco del bene dal patrimonio
dell’imprenditore – cui in qualche modo il concorrente contribuisce – non possa
apparire di per sé sintomatico della sua intrinseca pericolosità. Ma tali pronunzie non
hanno mai messo in discussione il consolidato – e qui ribadito – orientamento per cui il
dolo dell’extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà
della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che
essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni del creditore, non
essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società, con la
conseguenza che ogni atto distrattivo assume rilievo ai sensi dell’art. 216 I.fall. in caso
di fallimento, indipendentemente dalla rappresentazione di quest’ultimo, il quale non
costituisce l’evento del reato che, invece, coincide con la lesione dell’interesse
patrimoniale della massa, posto che se la conoscenza dello stato di decozione
17

stesso. Ciò equivarrebbe infatti a sostenere che il concorso esterno nella bancarotta

costituisce dato significativo della consapevolezza del terzo di arrecare danno ai
. creditori ciò non significa che essa non possa ricavarsi da diversi fattori, quali la natura
fittizia o l’entità dell’operazione che incide negativamente sul patrimonio della società
(per tutte Sez. 5, n. 16579 del 24 marzo 2010, Fiume, cit.; Sez. 5, n. 15613/15 del 5
dicembre 2014, Geronzi e altri, in motivazione).
6.4 Facendo, come detto, corretta applicazione dei ricordati principi, la Corte territoriale
ha dunque logicamente desunto dalla natura intrinsecamente illecita delle operazioni
che hanno contribuito a realizzare, nonché dalla loro pervicace reiterazione, l’acquisita

patrimoniale di Data Base.
6.5 Con specifico riferimento alla posizione del De Cuppis la sentenza ha inoltre
evidenziato come egli, prima di assumere la guida di alcune società intermedie, fosse
soggetto intraneo alla fallita, anche in un periodo in cui già aveva avuto inizio
l’esecuzione del disegno criminoso che ha comportato la sua spoliazione, ricavandone
logicamente ulteriore conferma della sua conoscenza dei meccanismi di funzionamento
della frode e del suo impatto sulla società. Ed in tale ottica è dunque irrilevante quale
sia stato l’effettivo momento della sua formale uscita da Data Base, sia perché alla
stessa non è conseguito, come si è visto, l’abbandono della sua partecipazione
all’attuazione della frode, sia perché, per l’appunto, la Corte territoriale ha collocato
l’inizio della stessa a partire dal 1994 sulla base degli accertamenti compiuti dal
curatore, affermazione confutata dal ricorrente solo evocando come la prima delle
annualità oggetto della verifica fiscale sia stata invece il 1997; rilievo quest’ultimo
invero inconferente atteso che l’oggetto della verifica dipende dai limiti temporali cui è
soggetto per legge il conseguente accertamento (che nel caso di specie dipendevano
dal fatto che la verifica medesima ha avuto inizio nel 2001) e comunque il ricorrente
non ha indicato da quali atti, eventualmente trascurati dai giudici del merito,
risulterebbe che la GdF abbia effettivamente constatato che la frode “carosello” abbia
avuto inizio solo nel 1997. Generiche sono invece le obiezioni svolte dallo stesso De
Cuppis sulla rilevanza del contenzioso giuslavoristico instaurato con la società, atteso
che le stesse non tengono conto della precisa confutazione che hanno ricevuto nella
motivazione della sentenza impugnata.
6.6 Generiche o versate in fatto sono altresì le ulteriori doglianze proposte con il ricorso
del Pescatori. A fronte di quanto osservato in precedenza e delle incontestate
dichiarazioni confessorie dell’imputato il ricorrente non ha infatti evidenziato la
decisività di quelle dei testi Doria e Giudici asseritamente trascurate dalla Corte
territoriale, le quali peraltro nemmeno sono state compiutamente documentate dal
ricorso che denuncia in proposito un evidente deficit di autosufficienza. Quanto invece
18

consapevolezza da parte dei due imputati della loro pericolosità per l’equilibrio

all’obiezione per cui l’imputato avrebbe gestito solo nove società intermedie, trattasi
altrettanto evidentemente di rilievo che si traduce nell’inammissibile sollecitazione del
giudice di legittimità ad una rivalutazione del compendio probatorio di riferimento,
senza che peraltro venga precisata la rilevanza della circostanza evocata.
6.7 Generiche ed assertive infine sono le censure svolte da entrambi i ricorrenti in
merito alla commisurazione della pena ed alla conferma degli esiti del giudizio di
bilanciamento (per quanto riguarda il Pescatori) od al mancato riconoscimento delle
attenuanti generiche (nel caso del De Cuppis) che non tengono conto dell’intero spettro

motivazione del tutto congrua una volta riferita alla latente genericità dei motivi svolti
sui punti richiamati con i rispettivi gravami di merito. Inammissibili sono infine le
doglianze svolte in entrambi i ricorsi con riguardo alla liquidazione della provvisionale,
dovendosi in tal senso richiamare il consolidato insegnamento di questa Corte per cui
non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale
e relativa alla concessione e quantificazione della stessa, trattandosi di decisione di
natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata (ex multis
Sez. 3, n. 18663 del 27 gennaio 2015, D. G., Rv. 263486).

7. Sono invece fondati il secondo ed il terzo motivo del ricorso dello Iannuzzi, il cui
accoglimento determina l’assorbimento degli ulteriori residui motivi proposti con tale
ricorso.
7.1 Per come risulta dalla sentenza, l’imputato è stato amministratore non esecutivo di
Data Base a partire dalla primavera del 1996 e fino alla data del fallimento. Ha dunque
indiscutibilmente ricoperto la carica per (quasi) tutto il periodo in cui la società è stata
impegnata nella realizzazione della frode “carosello”. Altro dato oggettivo, non
contestato dal ricorrente e messo in rilievo dai giudici del merito, è la sua specifica
competenza professionale e la sua consapevolezza (ammessa nel corso del suo esame)
delle responsabilità e dei doveri gravanti sui componenti del consiglio
d’amministrazione di una società commerciale. Infine, tanto la Corte territoriale quanto
il ricorso concordano sull’ulteriore dato obiettivo (seppur genericamente definito) per
cui lo Iannuzzì avrebbe in realtà partecipato raramente ai lavori consiliari, circostanza
sul cui significato probatorio però le letture fornite dalla sentenza e dalla difesa, come
si dirà meglio in seguito, divergono.
7.2 n ragionamento svolto in sentenza a sostegno della ritenuta responsabilità
concorsuale dell’imputato prende le mosse dalla sussistenza ed oggettiva rilevabilità di
consistenti segnali d’allarme rivelatori dell’anomala gestione della società, sia con
riguardo alla costituzione del circuito commerciale fittizio, che in ordine al considerevole
19

delle valutazioni compiute in proposito dalla sentenza e compendiate in una

ammontare dei pagamenti effettuati verso fantomatici fornitori stranieri e cioè di quelli
che si è visto essere stati i veicoli delle distrazioni imputate. In tale contesto la Corte
territoriale ha ritenuto provato il dolo dell’imputato, desumendolo per l’appunto dalla
ritenuta evidenza delle c.d. red flags, dalla competenza professionale dello Iannuzzi e
da quella che ha giudicato essere stata l’anomala proliferazione dei suoi compensi in
rapporto al suo scarso impegno nell’assolvimento dell’incarico.
7.3 I giudici dell’appello hanno infine sostenuto le loro conclusioni inserendo il descritto
percorso giustificativo nella cornice dei principi elaborati dalla giurisprudenza di

Nell’affrontare i motivi di ricorso in esame è allora opportuno muovere proprio da tale
ultimo profilo, per ricordare come l’insegnamento di questa Corte sia nel senso per cui,
ai fini della responsabilità penale dell’amministratore privo di delega per fatti di
bancarotta fraudolenta, non è sufficiente la oggettiva presenza di dati (i già menzionati
“segnali d’allarme”) da cui desumere un evento pregiudizievole per la società o almeno
il rischio della verifica di detto evento, ma è necessario che egli ne sia concretamente
venuto a conoscenza ed abbia volontariamente omesso di attivarsi per scongiurarlo
(Sez. 5, n. 23000/13 del 5 ottobre 2012, Berlucchi e altri, Rv. 256939; Sez. 5, n. 9736
del 10 febbraio 2009, Cacioppo e altri, Rv. 243023). In sostanza è richiesto al giudice
del merito, qualora non sussista la prova che l’amministratore abbia acquisito diretta
conoscenza delle condotte penalmente rilevanti, l’accertamento della percezione da
parte del medesimo dei sintomi dell’illecito, certamente desumibile anche dal grado di
anormalità ed inequivocabilità di questi ultimi (Sez. 5, n. 3708/12 del 30 novembre
2011, Ballatori e altri, Rv. 252945; Sez. 5, n. 32352 del 7 marzo 2014, Tanzi e altri,
Rv. 261938; Sez. 5, n. 36595 del 16 aprile 2009, Bossio ed altri, Rv. 245138), ma pur
sempre attraverso una valutazione che deve avere ad oggetto la situazione concreta e
che deve dunque essere parametrata alle specifiche peculiarità della singola vicenda,
alle condizioni soggettive dell’agente ed al ruolo effettivamente svolto dal medesimo in
seno all’organo collegiale e, quindi, al significato che per lo stesso assumono nella
situazione data i segnali d’allarme astrattamente rilevabili (Sez. 5, n. 23838 del 4
maggio 2007, P.M. in proc. Amato e altri, Rv. 237251).
7.4 Il principio che emerge dall’analisi del citato indirizzo giurisprudenziale è dunque
quello per cui in tanto si può discutere di dolo dell’amministratore privo di delega, in
quanto egli sia concretamente venuto a conoscenza di dati da cui potesse desumersi un
evento pregiudizievole per la società, od almeno il rischio che un siffatto evento si
verificasse, ed abbia volontariamente omesso di attivarsi per scongiurarlo. Dunque,
occorre la effettiva conoscenza del “segnale di allarme”, non già la mera conoscibilità.
Non solo, per dare senso e concretezza al dolo eventuale più volte invocato nella
20

legittimità in materia di responsabilità dell’amministratore non esecutivo.

giurisprudenza di questa Corte come parametro minimo per la riferibilità psicologica di
quell’evento pregiudizievole al soggetto attivo del reato, occorre che il dato indicativo
del rischio di verificazione dell’evento stesso non sia stato soltanto conosciuto, ma è
invece necessario che l’amministratore se lo sia in effetti rappresentato come
dimostrativo di fatti potenzialmente dannosi, e non di meno sia rimasto
deliberatamente inerte. Argomentando diversamente, infatti, non si potrebbe ancora
discutere di dolo, neppure nella forma del dolo eventuale, che richiede pur sempre da
parte del soggetto attivo – per potersi affermare che un fatto è da lui voluto, per

orientarsi verso la lesione o l’esposizione a pericolo del bene giuridico tutelato dalla
norma incriminatrice: un conto è, dunque, che l’amministratore privo di delega rimanga
indifferente dinanzi ad un “segnale di allarme” percepito come tale, in quanto decida di
non tenere in considerazione alcuna l’interesse dei creditori o il destino stesso della
società, ben altra cosa è che egli continui a riconoscere fiducia, per quanto mal riposta,
verso le capacità gestionali di altri, ovvero che per colpevole – ma non dolosa superficialità venga meno agli obblighi di controllo su di lui effettivamente gravanti,
accontentandosi di informazioni insufficienti su un’operazione che gli viene sottoposta
per l’approvazione senza che egli si renda davvero conto delle conseguenze che ne
potrebbero derivare (Sez. 5, n. 23000/13 del 5 ottobre 2012, Berlucchi e altri, cit.).
Solo nel primo caso, infatti, l’amministratore potrà essere chiamato a rispondere
penalmente delle proprie azioni od omissioni, non già nel secondo, dove – ferma
restando la prospettiva di ravvisare una sua responsabilità in sede civile, ricorrendone i
meno rigorosi presupposti – può ritenersi provato soltanto l’addebito di aver agito
(rectius: omesso di agire) per colpa.
7.5 Tanto premesso, deve rilevarsi come la motivazione della sentenza presenti
evidenti lacune ed incongruenze in merito all’affermazione della responsabilità
dell’imputato.
7.5.1 Innanzi tutto, nel trattare la sua posizione a p. 38, la Corte territoriale ha evocato
la “percepibilità” da parte dello Iannuzzi dei segnali d’allarme evidenziati dal curatore
nel corso della sua deposizione e richiamata in altra parte del provvedimento.
Evenienza che, alla luce di quanto ricordato in precedenza, sarebbe ovviamente
insufficiente ad integrare il presupposto dell’affermata sussistenza del dolo richiesto per
attribuire rilevanza penale all’omissione imputata. In realtà – seppure il passaggio
motivazionale conservi una certa ambiguità che non rassicura pienamente sull’effettivo
criterio giuridico assunto – la Corte, richiamando contestualmente la specifica
competenza professionale dello Iannuzzi, sembra aver voluto intendere che la
“percepibilità” si è tradotta inevitabilmente in “percezione”, nel senso che un
21

quanto in termini di mera accettazione del rischio che si produca – la determinazione di

professionista del livello dell’imputato non poteva che avere, per l’appunto, colto quei
segnali.
7.5.2 Ma anche volendo ritenere che tale sia il contenuto implicito della motivazione,
non può negarsi che la stessa conserva caratteri di intrinseca apoditticità ed
incompletezza tali da renderla meramente apparente. Ed infatti il sillogismo, anche
come “ricostruito”, difetta della dimostrazione della sua premessa e dunque di un
effettivo riscontro – frutto di quella valutazione della fattispecie concreta evocata in
precedenza – dell’intensità dei sintomi che si vorrebbero percepiti, ma dolosamente

passaggio delle dichiarazioni del curatore fallimentare, che nel loro contenuto
evidenziano però soprattutto come determinate poste contabili, per la loro genericità in
contrasto con il loro valore, avrebbero potuto e dovuto attirare l’attenzione, soprattutto
da parte dell’organo di controllo, ma nulla precisa con riguardo alla specifica posizione
dell’imputato. In altri termini la Corte territoriale avrebbe dovuto spiegare – come
invece non ha fatto – perché i segnali d’allarme individuati dal curatore avrebbero
disvelato non tanto la necessità di attivare i poteri di vigilanza, quanto l’illiceità
dell’attività sottostante.
7.5.3 Non di meno, anche sull’effettiva percezione da parte dello Iannuzzi dell’anomalia
dei dati che si assumono sintomatici la motivazione della sentenza denunzia più di
qualche limite. La Corte distrettuale ammette che l’imputato avrebbe più che altro
disertato il CdA della fallita. Circostanza che sembrerebbe rivelare come egli abbia
sostanzialmente accettato – ovviamente dietro compenso – di svolgere il ruolo di mero
“figurante” nell’organo gestionale, consentendo più che altro che questo si fregiasse
nelle relazioni esterne del suo nome e del suo titolo accademico, ma dimostrando al
contempo un effettivo disinteresse per i suoi doveri di cui pure nel corso del suo esame
si è orgogliosamente dichiarato consapevole. Il dato è indubbiamente in grado di
dimostrare l’accentuata negligenza ed imprudenza del suo comportamento, ma
altrettanto indubbiamente introduce un elemento astrattamente idoneo a mettere
invece in dubbio anche l’effettiva concreta percezione di anomalie pur astrattamente
percepibili con la normale diligenza, atteso che la saltuaria partecipazione alla vita della
società – e l’assenza della prova di un suo coinvolgimento per altra via nella stessa o
dell’effettiva acquisizione di una informazione più specifica sulle dinamiche della politica
di sviluppo decisa dal Giordano – nel contesto di una impresa apparentemente florida e
che godeva di gran credito presso il sistema bancario, sono tutti elementi compatibili
anche con la tesi per cui lo Iannuzzi, per superficialità mista a convenienza, abbia a
monte rinunciato nella sostanza a svolgere tout court il suo mandato. Decisione
certamente deprecabile, ma che di per sé non è sufficiente ad integrare il dolo del reato
22

ignorati. In proposito i giudici dell’appello si limitano a richiamare, come accennato, un

nemmeno nella sua forma

in difetto della prova che l’imputato abbia avuto

. altrimenti un seppur vago sentore degli intenti distrattivi altrui.
7.5.4 Ma anche volendo ritenere sia stata raggiunta la prova che egli abbia
effettivamente percepito le anomalie della rappresentazione contabile del ciclo
economico della fallita (ferme restando le riserve espresse supra sub 7.5.2 in merito
alla tenuta argomentativa della sentenza sul punto), deve pur sempre ricordarsi come il
dolo attribuito all’imputato non deve essersi alimentato esclusivamente di
rappresentazione, ma altresì della volontarietà dell’omessa attivazione dei poteri di cui

7.5.5 In proposito è opportuno ricordare come nel reato omissivo, sotto il profilo del
contenuto rappresentativo del dolo, l’agente deve avere cognizione della situazione di
pericolo per il bene protetto che integra il presupposto del suo obbligo di attivarsi,
nonché della possibilità di agire nella direzione imposta dalla norma e cioè quella di
impedire la commissione del reato. Ciò peraltro non significa che il dolo omissivo si
esaurisca nella conoscenza della situazione tipica che determina il dovere di agire e
della capacità di intervenire. L’aspetto volitivo non può infatti ritenersi assorbito dalla
mancata decisione di realizzare l’azione imposta dall’ordinamento nonostante la
conoscenza della situazione tipica, conclusione che si risolverebbe nella trasposizione in
termini normativi del dolo, con conseguente elisione della componente psicologica.
L’inerzia in quanto tale, dunque, non può essere di per sé ascritta al dolo (anche solo
eventuale) piuttosto che alla colpa con rappresentazione in assenza di una consapevole
e definitiva scelta di rinunziare ad agire (ex multis Sez. 5, n. 32352 del 7 marzo 2014,
Tanzi e altri, cit.; Sez. 5, n. 23000/13 del 5 ottobre 2012, Berlucchi e altri, cit.). Ne
consegue l’esigenza di individuare l’oggetto del dolo sulla base della ricostruzione del
fatto tipico, ma altresì della situazione concreta. Soltanto sul terreno probatorio,
piuttosto, sembra potersi riconoscere, a determinate condizioni e ove non constino
elementi in senso contrario, che la volontà di omissione venga ricavata anche dal
semplice fatto dell’inerzia del soggetto, in costanza di consapevolezza della situazione
tipica (si ripete, in concreto ricostruita) e della possibilità di intervenire.
7.5.6 La Corte territoriale ha aggirato il problema della prova della volontarietà della
condotta omissiva attribuita allo Iannuzzi (piuttosto che della sua imputazione a mera
colpa) formulando – pervero in termini quasi “impressionistici” – la tesi del
“comportamento compiacente”, fondata sulla già citata scarsa frequentazione da parte
dello stesso delle sedute consiliari e sull’asserito progressivo incremento del suo
compenso. In altri termini l’imputato avrebbe accettato di assecondare gli intenti
criminali di coloro che lo avevano cooptato nell’organo gestionale proprio
disinteressandosi, dietro lauto compenso, del loro operato. Affermazione che rivela la
23

l’imputato era titolare.

sua apoditticità nel momento in cui assume per provato ciò che deve essere dimostrato
. e cioè che l’imputato fosse a conoscenza quantomeno delle intenzioni di gestire in
maniera non ortodossa la società, che altrimenti quello ritenuto si rivelerebbe essere un
inaccettabile dolo eventuale fondato sull’accettazione di un rischio generico ed astratto,
di per sè insufficiente ad integrarlo. Affermazione che, sotto altro verso, appare
quantomeno incauta, giacchè sembra sottendere implicitamente che la Corte abbia
ritenuto essere intervenuto in tal senso un vero e proprio accordo con il Giordano senza
indicare elementi dotati di qualche concretezza in grado di fondare anche solo la prova

7.5.7 In realtà la sentenza ha cercato di completare il ragionamento probatorio sul
punto da ultimo esaminato, richiamando il già citato progressivo incremento del
compenso dello Iannuzzi in difetto di ragioni idonee a giustificarlo, attesa la sua scarsa
partecipazione alla gestione. Ma, a parte la genericità del riferimento operato dalla
Corte territoriale, la stessa non ha nemmeno precisato quale sarebbe la fonte delle
proprie conclusioni in merito all’effettiva ritenuta triplicazione dell’emolumento annuo,
impedendo così qualsiasi verifica della loro tenuta, tanto più alla luce delle
contestazioni difensive sull’equivoco in cui sarebbe caduta la sentenza confondendo il
compenso annuale con l’ammontare complessivo di quello previsto per un triennio.
7.6 In definitiva deve ritenersi carente la motivazione del provvedimento in merito alla
sussistenza in capo allo Iannuzzi dell’elemento soggettivo del reato. Conseguentemente
la sentenza deve essere annullata con rinvio.

8. Fondati sono altresì alcuni dei rilievi svolti con il primo motivo del ricorso del Piano.
8.1 In realtà infondate sono le censure ispirate al dictum di Sez. 5, n. 47502 del 24
settembre 2012, Corvetta e altri, Rv. 253493. Si tratta di sentenza che si è posta in
contrasto con il consolidato insegnamento di questa Corte – qui condiviso -,
ripetutamente ribadito anche successivamente alla sua pronunzia nel senso per cui il
reato di bancarotta fraudolenta per distrazione non richiede l’esistenza di un nesso
causale tra i fatti di distrazione ed il dissesto dell’impresa, in quanto, una volta
intervenuta la dichiarazione di fallimento, detti fatti assumono rilevanza penale in
qualsiasi tempo siano stati commessi e, quindi, anche quando l’impresa non versava
ancora in condizioni di insolvenza, essendo sufficiente aver cagionato il
depauperamento dell’impresa destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua
attività (ex multis e da ultime Sez. 5, n. 27993 del 12 febbraio 2013, Di Grandi e altri,
Rv. 255567; Sez. 5, n. 11095 del 13 febbraio 2014, Ghirardelli, Rv. 262741; Sez. 5, n.
47616 del 17 luglio 2014, Simone, Rv. 261683).

24

indiretta di un fatto del genere.

8.2 Devono invece trovare accoglimento le ulteriori doglianze articolate dal ricorrente
nel medesimo motivo. La sentenza impugnata (e pervero anche quella di primo grado)
è quanto mai vaga e contraddittoria nell’individuazione del periodo in cui il Piano ha
fatto parte di Data Base, circostanza oggettivamente rilevante ai fini dell’accertamento
del suo effettivo coinvolgimento negli illeciti contestati. Per un verso infatti la Corte
territoriale sembra accettare la ricostruzione effettuata dall’imputato per cui egli
sarebbe stato un quadro della società fino al 1995, anno in cui l’abbandonò, per poi
rientrarvi, dopo alcuni mesi di permanenza in una delle controllate, nel giugno del 2001

dello stesso anno. Dall’altro invece pare accogliere la scansione temporale dettata nel
capo d’imputazione (come rettificata nel corso del dibattimento) secondo cui, pur con
diverse qualifiche e ruoli, l’imputato sostanzialmente non avrebbe mai lasciato la fallita.
8.3 In secondo luogo i giudici dell’appello non hanno chiarito a che periodo farebbero
riferimento le testimonianze assunte a fondamento del suo consapevole coinvolgimento
nell’organizzazione della frode “carosello” e conseguentemente non hanno in alcun
modo precisato in cosa sarebbe consistito il contributo dell’imputato nei periodi
antecedenti a quello in cui egli assunse formalmente la carica di amministratore della
fallita. Ed in tal senso ulteriore difetto di motivazione va rilevato in riferimento alle
obiezioni svolte dalla difesa con i motivi d’appello in merito all’attendibilità di tali
testimonianze proprio a causa del contestato accertamento sulla continuità della
presenza del Piano in azienda. Analogamente la Corte territoriale non ha spiegato le
ragioni per cui ha ritenuto irrilevanti o inattendibili le dichiarazioni del Giordano che il
ricorrente aveva indicato come prova a discarico della sua estraneità alla gestione del
circuito fraudolento.
8.4 Ulteriore lacuna nella motivazione della sentenza si registra con riguardo alla
ritenuta responsabilità dell’imputato anche per le distrazioni realizzate mediante il
trasferimento su conti esteri di somme di danaro prelevate dalle casse della società.
Sul punto si registra un difetto assoluto di motivazione, avendo implicitamente ritenuto
la Corte di merito – sembra di capire – il Piano colpevole a seguito del suo ingresso nel
CdA nella fase finale della vita di Data Base. Ciò che la sentenza non precisa però, non
è tanto se a seguito di tale ingresso egli fosse stato o meno in grado di percepire i
segnali d’allarme della spoliazione per la via descritta del patrimonio sociale (profilo
nemmeno affrontato in riferimento alla posizione del ricorrente dal giudice dell’appello
e per il quale valgono le considerazioni svolte in precedenza trattando quella dello
Iannuzzi), quanto, piuttosto, se in tale momento i trasferimenti verso l’estero fossero o
meno ancora in corso e se siano stati effettuati anche durante il periodo in cui
l’imputato rivestì la carica, tenuto conto che nello stesso periodo veniva svolta la
25

quale componente del CdA, divenendone infine amministratore delegato nel novembre

verifica fiscale che portò alla luce gli illeciti commessi nella gestione della fallita. E’
infatti ovvio che se le distrazioni fossero state consumate in epoca antecedente alcun
rilievo assumerebbe l’eventuale omissione addebitabile al Piano. Qualora invece la
Corte abbia voluto attribuirgli la consapevolezza di tali distrazioni anche prima della sua
cooptazione nel CdA, il difetto di motivazione si rivela, se possibile, ancora più
preoccupante, giacchè – anche volendo ammettere che il Piano sia rimasto in azienda
durante tutto il tempo della frode “carosello” e che nella stessa egli fosse coinvolto
(fermi restando peraltro i rilievi svolti in precedenza sul punto) – non si comprende da

distrazioni verso l’estero e in che modo abbia contribuito a realizzarle.
8.5 Le evidenziate lacune motivazionali impongono dunque l’annullamento della
sentenza con rinvio anche in riferimento alla posizione del Piano, con conseguente
assorbimento degli ulteriori motivi d’impugnazione che non sono stati esaminati.

9. Sono invece infondati – e per certi versi inammissibili – il ricorso ed i motivi nuovi
proposti nell’interesse della Giorgino.
9.1 Nell’affrontare il primo motivo è necessario innanzi tutto ricordare come, secondo il
consolidato insegnamento di questa Corte, in sede di legittimità non sia censurabile una
sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando
la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata.
Pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi
nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa,
essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una
ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva
implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicché, ove il
provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze
processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice,
sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla
statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di
preterizione (ex multis Sez. 2, n. 29434 del 19 maggio 2004, Candiano ed altri, Rv.
229220; Sez. 4, n. 26660 del 13 maggio 2011, Caruso e altro, Rv. 250900; Sez. 6, n.
49970 del 19 ottobre 2012, Muià e altri, Rv. 254107). E parimenti va ribadito altro
principio ricorrente nella giurisprudenza di legittimità, per cui non costituisce causa di
annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che
risulti manifestamente infondato (Sez. 5, n. 27202/13 del 11 dicembre 2012, Tannoia e
altro, Rv. 256314).

26

quale elemento sia stata ricavata la convinzione che egli fosse consapevole delle

a

9.2 Fatta questa doverosa premessa devono giudicarsi complessivamente infondate al
limite dell’inammissibilità le doglianze avanzate con il primo motivo di ricorso. La Corte
territoriale ha tratto la prova della responsabilità dell’imputata da una serie di
circostanze ritenute in maniera tutt’altro che illogica convergere verso tale conclusione.
In tal senso la sentenza non si è limitata ad evocare la natura sintomatica delle
anomalie gestionali di alcune poste contabili e dunque la loro percebilità da parte dei
sindaci, ma ha altresì evidenziato come questi li abbiano certamente percepiti,
argomentando dalla superficialità dei controlli effettuati e dai comportamenti tenuti

posizione dell’imputata, anche dal contenuto della collaborazione dalla stessa prestato
al curatore per come riferito dal teste Valeri.
9.2.1 Già da questo primo rilievo emerge innanzi tutto l’approccio atomistico seguito
dalla ricorrente, che ha cercato di isolare singoli segmenti dell’impalcatura indiziaria,
senza tenere conto delle sinergie che li connettono e che sono state valorizzate dai
giudici del merito. E’ proprio nell’articolazione complessiva del discorso giustificativo,
infatti, che hanno trovato implicita ed adeguata confutazione molte di quelle censure
svolte con il gravame di merito di cui viene invece lamentata l’omessa considerazione.
In tal senso, ad esempio, l’eccezione per cui le operazioni verso l’estero fossero
numericamente contenute è stata superata dalla sentenza sottolinenando la genericità
del conto in cui erano state appostate e la sua rilevante entità, nonché come anche
solo un controllo a campione sulla documentazione sottostante (ovvero sulla sua
inesistenza) avrebbe rilevato la sua fittizietà. Analogamente, per quanto riguarda la
presunta non immediata rilevabilità della frode “carosello”, la Corte territoriale ha posto
in evidenza come l’impressionante dilatazione del volume d’affari di Data Base non
poteva non imporre una verifica della sua corrispondenza ad una realtà effettiva, tanto
più in presenza di altrettanto imponenti riacquisti di prodotti che in realtà la società
vendeva.
9.2.2 Quanto poi alla fiducia accordata dal sistema bancario o alla presunta
indisponibilità della contabilità nel corso della verifica fiscale si tratta di obiezioni che
erano manifestamente infondate o generiche e legittimamente non sono state
confutate. Ed infatti del tutto asimmetrici sono i poteri ed il volume e qualità di
informazioni disponibili o accessibili agli istituti bancari ed all’organo di controllo
intraneo alla società che ai primi si rivolge per ottenere credito, mentre quella relativa
all’inaccessibilità assoluta alla documentazione contabile è affermazione apodittica,
tanto più che se la circostanza fosse stata vera avrebbe dovuto risultare proprio dai
verbali del collegio sindacale, il che non risulta dalla sentenza, né è stato eccepito con il
ricorso. Parimenti

generica era infine l’obiezione relativa all’adeguatezza delle
27

dagli stessi nella primavera del 2002 e, per quanto specificamente attiene alla

dimensioni del magazzino della fallita, atteso che il gravame di merito non aveva
indicato i parametri concreti idonei a supportarla, né il ricorso ha precisato quali
elementi la Corte territoriale avrebbe trascurato di considerare a smentita della
conferma di quanto rilevato in primo grado sull’assenza di un magazzino proporzionato
all’apparente volume d’affari generato dalla società.
9.2.3 Infondate al limite dell’inammissibilità sono altresì le critiche mosse alla
valutazione compiuta dai giudici dell’appello dell’atteggiamento tenuto dai sindaci
all’assemblea del 25 luglio 2002, nel corso della quale vennero approvati sia il bilancio

società. Anche a voler prescindere dal fatto che in realtà la censura mira
surrettiziamente a sollecitare una lettura alternativa e soggettivamente orientata dei
fatti, deve rilevarsi come la ricorrente abbia sostanzialmente travisato il senso della
linea argomentativa sviluppata dalla sentenza, rivelando nuovamente un inaccettabile
approccio atomistico al compendio probatorio. La Corte territoriale non ha per nulla
omesso di considerare che il collegio sindacale avallò anche la menzionata situazione
patrimoniale, ma, proprio dallo stridente contrasto di quest’ultima con il bilancio cui
pure i sindaci avevano assentito senza sollevare obiezioni, ha tratto uno degli
argomenti logicamente convergenti a supportare la convinzione della loro volontà
pregressa di omettere i controlli e le denunzie cui erano tenuti. A tacer d’altro, è
appena il caso di notare come il collegio sindacale quantomeno avrebbe dovuto
svolgere pregnanti rilievi al bilancio 2001 anche solo se avesse preso consapevolezza
della situazione patrimoniale “rettificata” il giorno stesso dell’assemblea e non certo
rimanere silente al cospetto dei soci. In realtà la sentenza ha puntualmente ed
efficacemente evidenziato come già da alcuni mesi i sindaci avessero rivelato la propria
consapevolezza delle anomalie gestionali in due relazioni, il cui contenuto deve essere
necessariamente valutato – e così correttamente ha fatto la Corte territoriale congiuntamente a quanto accaduto in assemblea. Non solo, altrettanto correttamente
sul piano logico, la sentenza ha escluso che tali relazioni – sostanzialmente ignorate dal
ricorso se non per l’inconferente critica al possibile movente individuato dalla Corte,
critica che risulta versata in fatto e che si fonda su base meramente congetturale fossero conseguenza dell’acquisizione di informazioni in precedenza occultate al collegio
sindacale, ma semplicemente il frutto dell’inedita e “improvvisa” rilevazione di dati e
poste consolidate da diversi anni nei bilanci della fallita, non solo percebili, dunque, ma
altresì effettivamente percepiti non risultando dalla sentenza – né avendolo prospettato
la ricorrente – che le menzionate relazioni siano state redatte a seguito di particolari
approfondimenti, la cui omessa esecuzione in precedenza comunque costituirebbe

oggetto di addebito alla luce del consolidato insegnamento di questa Corte per cui nei
28

del 2001 che la situazione patrimoniale prodrornica alla messa in liquidazione della


»

reati di bancarotta è ammissibile il concorso di un componente del collegio sindacale

• con l’amministratore di una società, che può realizzarsi anche attraverso un
comportamento omissivo del controllo sindacale, il quale non si esaurisce in una mera
verifica formale, quasi a ridursi ad un riscontro contabile nell’ambito della
documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma comprende il riscontro
tra la realtà e la sua rappresentazione (ex multis Sez. 5, n. 10186/10 del 4 novembre
2009, La Rosa e altri, Rv. 246911). Le doglianze della ricorrente omettono poi di
considerare come tale compendio indiziario sia stato valutato altresì alla luce delle già

dall’imputata delle poste contabili nei suoi colloqui con il curatore, dichiarazioni con le
quali il ricorso non si è in alcun modo confrontato. Nemmeno colgono nel segno, infine,
le censure relative all’evidenziazione degli incarichi svolti dalla Giorgino in altre società
del gruppo, atteso che la circostanza è stata coerentemente menzionata dalla sentenza
all’evidente ed esclusivo fine di sottolineare il rapporto di fiducia intercorrente tra
l’imputata ed il Giordano e ciò a prescindere dalle vicende che hanno riguardato tali
società.
9.3 Infondati sono altresì il secondo ed il terzo motivo del ricorso. Con riguardo al
nesso causale tra la condotta contestata ed il reato, correttamente ed esaustivamente
la Corte territoriale ha evocato le vicende dell’assemblea del luglio 2002 e la loro
rilevanza nel contesto indiziario complessivo, giacchè le stesse rivelano come una
tempestiva attivazione dei propri poteri da parte dei sindaci avrebbe portato alla luce
ben prima le attività distrattive e come pertanto l’omissione rimproverata abbia
agevolato la loro consumazione. Quanto all’elemento soggettivo è sufficiente rinviare a
quanto illustrato ai punti precedenti in merito alla tenuta logica del discorso
giustificativo reso in sentenza, dal quale emerge la motivata convinzione che la
Giorgino avesse effettivamente percepito e dolosamente omesso di denunziare le
anomalie dei conti della fallita. Il che consente di ritenere privo di fondamento anche il
primo dei motivi nuovi, atteso che il dolo implicitamente ritenuto dalla sentenza è
quello diretto. Non di meno deve sottolinearsi come tale motivo sia invero anche
inammissibile, introducendo alla cognizione del giudice di legittimità profilo non attinto
dal ricorso principale, nel quale era stato trattato esclusivamente il problema della
configurabilità nella condotta dell’imputata della colpa anzichè del dolo.
9.4 Generiche e versate in fatto sono infine le censure proposte dalla ricorrente con il
quarto motivo in merito al trattamento sanzionatorio e al denegato riconoscimento
delle attenuanti generiche, mentre inammissibile è il secondo dei motivi nuovi,
anch’esso riguardante punto della decisione principale non attinto dal ricorso principale.

29

menzionate dichiarazioni del Valeri sulla conoscenza approfondita evidenziata

10. In conclusione la sentenza deve essere annullata limitatamente alle posizioni dello
Iannuzzi e del Piano con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello
di Milano. I ricorsi del De Cuppis, della Giorgino e del Pescatori devono invece essere
rigettati e i suddetti ricorrenti condannati ciascuno al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Iannuzzi Elio e Piano Eugenio con rinvio
ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per nuovo esame.
Rigetta i ricorsi di De Cuppis Giorgio, Giorgino Ernnelinda e Pescatori Luigi Melchiorre e
condanna ciascuno dei detti ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso il 22/3/2016

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