Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1403 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 1403 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
VILLINI CARMELO nato il 25/01/1933, avverso la sentenza del
25/06/2012 della Corte di Appello di Palermo;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Eduardo Vittorio
Scardaccione che ha concluso per il rigetto;
uditi i difensori avv.to Alessandro Finazzo per la parte civile che ha
concluso per il rigetto del ricorso e avv.to Giovanni Castronovo che la
concluso per l’accoglimento del ricorso;
FATTO
1. Con sentenza del 25/06/2012, la Corte di Appello di Palermo decidendo in sede di rinvio – in parziale riforma della sentenza
pronunciata in data 24/11/2009 dal Tribunale di Agrigento nei confronti
di VELLINI Carmelo, pur escludendo la circostanza aggravante di cui
all’art. 416 bis sesto comma, confermava la sentenza.

Data Udienza: 03/12/2013

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio
difensore, proponeva ricorso per cassazione deducendo i seguenti
motivi:
2.1.

627

VIOLAZIONE DELL’ART.

territoriale – disattendendo il

COD. PROC. PEN.

dictum

per avere la Corte

contenuto nella sentenza di

reiterato le medesime argomentazioni della sentenza annullata;
2.2.

VIOLAZIONE DELL’ART.

597/4

COD. PROC. PEN.

per avere la Corte

territoriale, pur avendo eliminato una delle due aggravanti, confermato
la pena inflitta dal primo giudice e, quindi, per essere incorsa nel divieto
di reformatio in pejus.
DIRITTO
1. VIOLAZIONE DELL’ART.

627

COD. PROC. PEN.:

la censura, nei termini

in cui è stata dedotta, è manifestamente infondata per le ragioni di
seguito indicate.
Il Vellini era stato condannato dal Tribunale di Agrigento per il
delitto di associazione mafiosa pluriaggravata ai sensi del quarto e sesto
comma dell’art. 416 bis cod. pen.: la sentenza veniva confermata dalla
Corte di Appello.
Proposto ricorso per cassazione, questa Corte, con sentenza del
1/12/2011, annullava la sentenza della Corte territoriale limitatamente
alla ritenuta sussistenza di entrambe le aggravanti, con la seguente
motivazione:

«[…] la sentenza impugnata va invece annullata, con

rinvio per nuova valutazione, ad altra sezione della Corte di appello di
Palermo, sui punti relativi alle contestate aggravanti. Quanto a quella
della disponibilità di armi da parte del sodalizio, la sentenza impugnata
si è infatti limitata ad osservare che essa si ricavava dal fatto che “Cosa
Nostra” è notoriamente un sodalizio armato, con ciò confondendosi la
realtà sociologico-criminale caratterizzante storicamente “Cosa Nostra”
con quella riferibile alla specifica struttura associativa in cui si è
realizzata concretamente la condotta partecipativa; mentre il possesso
di un’arma da parte del Vellini è stato solo incidentalmente rimarcato,

2

annullamento n° 15668/2012 pronunciata dalla Corte di Cassazione –

senza specifico collegamento di tale circostanza con la realtà
associativa. Quanto all’aggravante del controllo delle attività
economiche espletato dal sodalizio, la sentenza si fonda sulla mera
presunzione secondo cui gli immobili di proprietà dell’imputato
costituivano investimento dei proventi derivantigli dall’attività illecita

parte la considerazione per cui in materia penale non possono valere
presunzioni di sorta, appare evidente che con simile concettualizzazione
la sentenza impugnata confonde la condotta di reimpiego di proventi
illeciti conseguiti dall’imputato con le finalità proprie dell’associazione
(assunzione o controllo di attività economici finanziate con i risultati di
attività delittuose), di cui non è stato offerto il menomo conto. Al
riguardo non può che essere conclusivamente ribadito che in tema di
aggravanti del reato di associazione per delinquere di tipo mafioso,
perché ricorra quella di cui all’art. 416 bis c.p., comma 4, sotto il profilo
del reinvestimento dei profitti in imprese non è sufficiente la mera
dimostrazione dell’affiliazione del gruppo locale a “Cosa nostra”, mentre
per la configurabilità di quella di cui al comma 6 non è sufficiente che
uno degli associati disponga di un’arma, perché le armi devono essere a
disposizione dei compartecipi del gruppo (Sez. 6, n. 10800 del
21/09/2000, Gattuso, Rv. 218408)».
A seguito del giudizio di rinvio, la Corte territoriale, come si è
detto, ha escluso l’aggravante di cui all’art. 416 bis/6 cod. pen., mentre
ha confermato la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416 bis/4
cod. pen.
La Corte territoriale, infatti, dopo avere premesso di non
condividere la tesi secondo cui il ritenere che Cosa Nostra sia armata
possa costituire solo un «aspetto sociologico – criminale», e, dopo avere
richiamato la pacifica giurisprudenza di questa Corte sulla notorietà che
l’associazione Cosa Nostra sia armata, ha comunque evidenziato, in
ossequio al dictum della Corte, una serie di elementi fattuali che
facevano ritenere che la cosca mafiosa alla quale il Vellini apparteneva
era sicuramente armata tant’è che lo stesso imputato era stato trovato
in possesso di un’arma da fuoco pronta all’uso nei giorni successivi ad

3

posta in essere nell’ambito della famiglia mafiosa di appartenenza. Ma, a

un agguato mafioso (cfr pag. 12-13 della sentenza impugnata in cui la
Corte indica tutti gli elementi fattuali dai quali si desumeva che la cosca
mafiosa alla quale il Vellini apparteneva, era sicuramente armata).
Alla stregua di tale articolata motivazione, non è assolutamente
vero, quindi, che la Corte territoriale si sia limitata a reiterare la

2.

VIOLAZIONE DELL’ART.

597/4

COD. PROC. PEN.:

in punto di fatto, va

premesso che il Tribunale di Agrigento aveva condannato l’imputato alla
pena di anni sette di reclusione, ritenendo le concesse attenuanti
generiche equivalenti alle due contestate aggravanti di cui all’art. 416
bis/4-6 cod. pen.
Nel giudizio di rinvio, la Corte Territoriale, come si è detto, ha
escluso l’aggravante di cui all’art. 416 bis/6 cod. pen., ma ha ritenuto di
confermare la pena di anni sette di reclusione, perché

«la ritenuta

aggravante dell’associazione armata non può essere considerata sub
valente rispetto alle già concesse circostanze attenuanti generiche» sia
per l’oggettiva gravità dell’aggravante sia per il lungo tempo di
appartenenza del Vellini al sodalizio mafioso, sia perché lo stesso
imputato faceva uso di armi. Concludeva, quindi, la Corte di confermare
il giudizio di equivalenza delle circostanze operato dal primo giudice.
Il ricorrente, come si è detto, sostiene, invece, che la Corte
territoriale sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 597 cod. proc. pen.
perché, una volta che era stata esclusa una delle due aggravanti, egli
aveva comunque diritto a vedersi diminuita la pena.
Va dato atto che la questione se il giudice di appello, dopo avere
escluso una circostanza aggravante in accoglimento del motivo proposto
dall’imputato, possa confermare la pena applicata in primo grado
ribadendo il giudizio di equivalenza fra le residue circostanze, al
momento della proposizione del ricorso, era controversa nell’ambito di
questa stessa Corte di legittimità, tant’è che fu rimessa alle SSUU le
quali, con sentenza n° 33752/2013, hanno risolto il contrasto
affermando il seguente principio di diritto: «il giudice di appello, pur
dopo avere escluso una circostanza aggravante o riconosciuto una

4

motivazione della sentenza annullata.

t

ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti
dall’imputato, può, senza incorrere nella violazione del divieto di
reformatio in peius, confermare la pena applicata in primo grado,
ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze purchè esso sia
accompagnato da adeguata motivazione».

15/11/2013, ha criticato la suddetta sentenza, che questa Corte, però,
non ravvisando alcun argomento che possa far rimeditare la conclusione
alla quale sono pervenute le SSUU – ritiene di condividere: con il che il
secondo motivo dev’essere rigettato in quanto la motivazione addotta
dalla Corte territoriale deve ritenersi adeguata e coerente con gli
evidenziati elementi fattuali e, quindi, incensurabile in questa sede di
legittimità essendo stato correttamente esercitato il potere discrezionale
spettante al giudice di merito in ordine al trattamento sanzionatorio.

3. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché
alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile.

P.Q.M.
RIGETTA
il ricorso e
CONDANNA
il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione
in favore della parte civile Comune Di Naro delle spese dalla stessa
sostenute liquidata in complessivi € 4.000,00 oltre iva e cpa
Roma 03/12/2013
IL PRESIDENT
(Dott. ntoni

s osito)

Il ricorrente, in questa sede, con memoria depositata il

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