Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 14029 del 26/01/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 14029 Anno 2016
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Cela Mario, nato in Albania, il 12/4/1980;

avverso la sentenza del 29/1/2014 della Corte d’appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Stefano
Tocci, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Roma ha confermato la condanna,
pronunziata in giudizio abbreviato, di Cela Mario per i reati di istigazione alla corruzione
e di possesso di documenti di identificazione falsi, concedendo all’imputato, in parziale
riforma della pronunzia di primo grado, i doppi benefici di legge.

Data Udienza: 26/01/2016

2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore articolando tre
motivi.
2.1 Con il primo deduce errata applicazione della legge penale e connessi vizi della
motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del Cela per il reato di istigazione alla
corruzione, lamentando come dagli atti non emerga il destinatario della presunta
offerta di danaro che egli avrebbe effettuato, né lo scopo della medesima, risultando
comunque oggettivamente irragionevole che l’imputato abbia offerto una somma così
esorbitante (93.000 euro) per convincere gli operanti a non denunziarlo per il

denunzia potevano derivargli. Conseguentemente, quantomeno, la Corte territoriale
avrebbe dovuto escludere la serietà dell’offerta e dunque la sua tipicità.
2.2 Analoghi vizi vengono denunziati con il secondo motivo in relazione alla disposta
confisca della somma ricordata in precedenza ai sensi del primo comma dell’art. 240
c.p., difettando un effettivo rapporto di strumentalità tra il bene oggetto di ablazione e
il reato, posto che tale rapporto per costante giurisprudenza non può avere natura
meramente occasionale, bensì deve estrinsecarsi in uno stretto nesso strumentale in
grado di rivelare il pericolo insito nel mantenimento del possesso della cosa da parte
dell’agente, profilo sul quale la sentenza avrebbe altresì omesso di motivare.
2.3 Con il terzo motivo gli stessi vizi vengono dedotti anche con riguardo alla ritenuta
responsabilità del Cela anche per il reato di cui all’art. 497-bis c.p. rilevandosi in
proposito come il Cela non avesse il possesso immediato dei documenti di cui si è
ritenuta la falsità, come invece richiesto dalla norma incriminatrice. Non di meno la
Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del fatto che l’imputato sin dall’inizio aveva
riferito di non vivere da solo nell’abitazione in cui i documenti sono stati rinvenuti ed
aveva escluso che la foto apposta su uno di essi lo ritraesse, talchè non vi sarebbe
prova della riferibilità degli stessi al medesimo in assenza di accertamenti
antropometrici sulla fotografia in questione. Infine manifestamente illogica sarebbe la
motivazione con la quale i giudici dell’appello hanno escluso la grossolanità del falso
con riferimenti all’erronea indicazione della sigla della provincia di Cosenza, atteso che
tale grossolanità deve essere parametrata al fatto che la norma punisce il falso in
documenti validi per l’espatrio e dunque l’idoneità ingannatoria deve essere riferita ai
soggetti tenuti al controllo degli stessi ai confini.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e per certi versi inammissibile e deve conseguentemente
essere rigettato.

concorrente reato di falso, attesa la minima entità delle conseguenze che da tale

2. Il primo motivo è inammissibile.
2.1 L’obiezione relativa alla mancata individuazione del destinatario dell’offerta
corruttiva e le sue modalità si rivela in realtà la mera riproposizione di quella avanzata
con i motivi d’appello e puntualmente confutata dalla Corte territoriale, la quale ha
evidenziato come dal verbale d’arresto del Cela risulti specificamente come egli propose
più volte agli operanti di dividersi in parti uguali la somma in suo possesso, desistendo
dal suo intento solo dopo essere stato avvertito che sarebbe stato denunziato anche
per il reato di istigazione alla corruzione. Motivazione del tutto adeguata a sostenere

risultando sul punto del tutto generico. E analoghe considerazioni devono essere
riservate alle doglianze relative all’indeterminatezza della condotta illecita che
avrebbero dovuto tenere i pubblici ufficiali, atteso che anche in proposito la sentenza
chiarisce come ciò che veniva richiesto agli stessi era di interrompere gli accertamenti
in corso.
2.2 Quanto poi alla presunta irragionevolezza di un’offerta così cospicua per evitare le
conseguenze legate al rinvenimento dei documenti falsi in possesso del Cela, si tratta di
censura versata in fatto che tende – in ultima analisi – a sollecitare a questa Corte una
per l’appunto inammissibile rivalutazione del compendio probatorio e in particolare
dell’attendibilità di quanto attestato dagli operanti nel verbale d’arresto. Non di meno
deve rammentarsi come i motivi che hanno mosso l’imputato a formulare l’offerta sono
del tutto irrilevanti, essendo richiesta solo la prova dell’offerta corruttiva senza che sia
necessario accertare che la stessa abbia una giustificazione (Sez. 6, n. 21095 del 25
febbraio 2004, Barhoumi, Rv. 229022).
2.3 Manifestamente infondati sono infine i rilievi sulla presunta non “serietà”
dell’offerta, che sono il frutto di una errata interpretazione della giurisprudenza di
questa Corte, la quale ha individuato il suddetto requisito in relazione all’ipotesi in cui
al pubblico ufficiale venga formulata una offerta di entità così modesta rispetto alla
controprestazione richiesta da non integrare un effettivo pericolo di accettazione.
Ipotesi che all’evidenza non ricorre nel caso di specie dove l’offerta era certamente
“seria” e in grado di creare un turbamento psicologico nei suoi destinatari, rimanendo
dunque irrilevante che l’imputato, nella sua prospettiva, avrebbe potuto raggiungere il
medesimo risultato anche promettendo la consegna di somme inferiori a quella
effettivamente proposta ed altresì il motivo per cui abbia “esagerato” (il panico del
momento, il fatto – che pure emerge dalla sentenza – che asseritannente il danaro non
fosse suo o altro ancora).
3. Il secondo motivo è invece infondato. Premesso che in caso di istigazione alla
corruzione il denaro offerto o promesso al pubblico ufficiale non costituisce il prezzo o il
profitto del reato, ma un semplice mezzo per la sua esecuzione da parte dell’autore

l’affermazione di responsabilità dell’imputato e che il ricorso ha omesso di confutare

dell’istigazione e, come tale, secondo l’insegnamento di questa Corte può essere
oggetto di confisca facoltativa ai sensi dell’art. 240 comma 1 c.p. (Sez. 6, n. 14178 del
27 febbraio 2009, Sampietro, Rv. 243579), deve rilevarsi che correttamente la Corte
territoriale ha confermato la misura ablativa. E’ infatti indubbio che sussista uno stretto
nesso strumentale tra il danaro offerto e la proposta corruttiva, atteso che lo stesso ne
è stato l’infungibile mezzo e più specificamente la cosa destinata a commettere il reato.
E dal complesso della motivazione emerge in maniera sufficientemente chiara come il
giudice del merito abbia desunto in maniera tutt’altro che illogica dalla entità della

se lasciata nella sua disponibilità, la stessa potesse costituire l’occasione per la
commissione di ulteriori comportamenti illeciti.
3. Infondato e per certi versi inammissibile è anche il terzo motivo di ricorso.
3.1 Le fattispecie di possesso e fabbricazione di documenti d’identità falsi di cui all’art.
497 bis c.p. sono state introdotte dal legislatore tra i reati contro la fede pubblica nel
capo dedicato a quelli concernenti le falsità personali al fine di rendere più severa la
repressione penale dei comportamenti tesi ad ostacolare l’identificazione delle persone
(come suggerisce la stessa rubrica dell’articolo del d.l. n. 144 del 2005 che ha
configurato la nuova disposizione). Non può dunque dubitarsi che il bene giuridico
oggetto delle nuove incriminazioni sia innanzi tutto la pubblica fede personale,
ancorché tutelato in maniera indiretta, tanto da rimanere sullo sfondo, attraverso la
punizione di condotte che sembrano anticipare perfino il pericolo di una lesione o che
comunque si rivelano solo astrattamente idonee a generarlo. Ciò che rileva ai fini della
sussistenza del reato è infatti già la materiale falsificazione dell’atto certificativo o il
mero possesso del documento contraffatto e non anche l’uso dello stesso.
3.2 E’ sì vero che le nuove figure di reato sono state introdotte nell’ambito di un
intervento normativo (il già citato d.l. n. 144 del 2005) teso a potenziare gli strumenti
di contrasto al terrorismo internazionale, ma è ultroneo dedurne un ambito di
applicazione della norma incriminatrice così specializzato quale quello suggerito dal
ricorrente. In tal senso la perimetrazione dell’oggetto materiale delle incriminazioni in
questione ai soli documenti validi per l’espatrio trova la sua giustificazione
semplicemente nella ritenuta maggiore pericolosità delle condotte che riguardano
questi ultimi – in quanto considerate, sulla base dell’esperienza investigativa maturata
in quegli anni, sintomatiche del fenomeno terroristico in questione -, ma non rivela
l’intenzione del legislatore di punire solo quelle rivolte ad agevolare effettivamente
l’espatrio (o l’ingresso) dell’utilizzatore dei suddetti documenti. Come già evidenziato,
infatti, l’uso (qualunque esso sia) di questi ultimi non concorre in alcun modo a definire
le fattispecie in questione, risultando dunque improprio introdurre un elemento di
selezione del loro profilo di tipicità che non trovi riscontro nella lettera della norma

somma rinvenuta in possesso dell’imputato e dalle modalità dell’azione il pericolo che,

che non può essere dedotto dall’artificiosa costruzione di un’oggettività giuridica (la
tutela della libera circolazione fra Stati) di dubbia autonomia concettuale e che non
trova riscontro nei lavori parlamentari della legge di conversione del citato decreto
legge (I. n. 155 del 2005) (Sez. 5, n. 39408 del 18 luglio 2012, D’Agostino, Rv.
253579). E’ conseguentemente irrilevante che il personale addetto al controllo delle
frontiere avrebbe potuto rilevare agevolmente la falsità del documento dall’erroneità
della sigla della provincia del luogo di nascita e ciò anche a prescindere che tale
eventualità è tutt’altro che oggettivamente scontata, trattandosi di un dettaglio che

compromettere l’idoneità ingannatoria del documento.
3.3 Parimenti infondata è l’obiezione relativa al fatto che i documenti non siano stati
rinvenuti sulla persona del Cela, ma in un mobile della sua abitazione. In proposito
questa Corte ha già avuto modo di chiarire come, per l’integrazione del delitto di
possesso di documenti di identificazione falsi, non sia necessaria una contiguità fisica,
attuale e costante, tra il documento ed il soggetto agente, essendo sufficiente che
questi detenga o abbia detenuto, anche prima dell’accertamento del fatto da parte della
polizia giudiziaria, l’atto certificativo in un luogo e con modalità tali da assicurarsene
l’immediata disponibilità, come certamente avvenuto nel caso di specie (Sez. 5, n.
17944 del 19 marzo 2014, Sino, Rv. 259075).
3.4 Genericht,. infine sono gli ulteriori ril lévi sulla riconducibilità dei documenti rinvenuti
all’imputato, che si fondano peraltro sulle indimostrate dichiarazioni dello stesso
(peraltro evocate in maniera altrettanto generica), mentre correttamente i giudici del
merito hanno fondato la prova della circostanza su quanto riferito dagli operanti circa la
corrispondenza della foto apposta su uno di essi all’immagine del Cela, non essendo
necessari particolari ulteriori accertamenti se non in caso di dubbio sulla attendibilità
del riconoscimento, che il ricorrente non ha saputo ancorare ad alcun elemento
oggettivo idoneo a suffragarlo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 26/1/2016

facilmente può sfuggire ad un controllo di routine e dunque insufficiente a

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