Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 140 del 05/12/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 140 Anno 2013
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) ESPOSITO VINCENZO N. IL 18/10/1955
avverso l’ordinanza n. 5075/2012 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
10/07/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
14~/senlite le conclusioni del PG Dott.
Polo 912,2_ A_Q
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Udit i difens Avv.;

Data Udienza: 05/12/2012

Ritenuto in fatto
1.Con ordinanza del 10 luglio 2012 il Tribunale del riesame di Napoli
respingeva l’istanza di riesame, proposta dall’indagato Vincenzo Esposito
avverso l’ordinanza del G.I.P. dello stesso Tribunale che in data 24 giugno
quanto gravemente indiziato del delitto di favoreggiamento personale
aggravato ai sensi dell’art. 7 d.l. 152/91 per avere, in concorso con altri,
aiutato Paolo Magnetti, affiliato al clan Amato Pagano, operante nel territorio
di Secondigliano e zone limitrofe, colpito da provvedimenti custodiali, ad
eludere le investigazioni dell’ Autorità ed a sottrarsi alla cattura, per averlo
ospitato presso la propria abitazione, predisposta per accogliere riunioni
camorristiche, fatto accertato il 22 giugno 2012.
Il Tribunale fondava la propria decisione sulla ritenuta acquisizione di
gravi indizi di reità in ordine al delitto contestato, desunti dalle circostanze
dell’arresto dell’indagato, avvenuto dopo che era stato inseguito, mentre era
in fuga dall’abitazione dello stesso Esposito, il latitante Paolo Magnetti, il
quale era stato rinvenuto, in pantofole e pigiama unitamente al Monaco, al
Mele ed al Di Pinto, lungo le scale dell’edificio accanto a quello ove era
situata l’abitazione di Vincenzo Esposito nel tentativo di raggiungere il tetto
dell’edificio per lasciare i luoghi e sfuggire alla cattura. Il Tribunale
valorizzava poi l’esistenza del rapporto di convivenza tra la figlia ed i nipoti
dell’Esposito ed il Magnetti, loro compagno e padre, nonché la condotta
tenuta dall’indagato, il quale aveva ritardato volutamente l’ingresso degli
agenti per consentire al latitante di raggiungere la via di fuga, ritenendo
integrata anche la circostanza aggravante di cui all’art. 7 d.l. n 152/91 in
ragione della posizione di vertice assunta dal Magnetti rispetto al clan Amato
Pagano ed alla struttura associativa ad esso collegata, finalizzata al traffico
di stupefacenti.
Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale ravvisava il pericolo di
recidivazione ed il pericolo di fuga in considerazione della gravità e delle
modalità dei fatti, rivelatrici di personalità fortemente trasgressiva ed in
contrasto con i dettami dell’autorità, tali da dimostrare la concreta
pericolosità dell’Esposito, anche a prescindere dall’operatività della
presunzione, stabilita dall’art. 275 cod. proc. pen., comma 3 in relazione alla
contestazione ed alla sussistenza della circostanza di cui all’art. 7 d.l. n
152/91.

2012 lo aveva sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere in

2. Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione l’indagato a
mezzo del suo difensore, il quale lamenta: a) erronea applicazione delle
disposizioni di cui agli artt. 275 e 294 cod. proc. pen. e 7 d.l. n 152/91; b)
erronea applicazione della norma di cui all’art. 274 cod. proc. pen.. In
particolare, ci si duole della ritenuta sussistenza di quest’ultima aggravante
cosca mafiosa, in conseguenza della quale si era ritenuto operare in via
automatica la presunzione di pericolosità sociale e si sostiene che il pericolo
di recidivazione non può essere desunto dagli elementi già considerati per la
ricostruzione del quadro indiziarlo.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
1.L’ordinanza impugnata con motivazione sintetica, ma chiara,
completa e priva di vizi logici o giuridici ha esposto il compendio indiziario,
fondato su dati oggettivi dall’inequivoca valenza dimostrativa, ossia le
circostanze dell’arresto dell’indagato dopo che era stato accertata l’ospitalità
offerta in modo stabile al latitante affiliato mafioso Fabio Magnetti.
Quanto alla circostanza aggravante di cui si contesta la sussistenza col
primo motivo di gravame, ritiene il Collegio di dover aderire a
quell’orientamento giurisprudenziale (Cass. sez. 5, n. 41587 del 24/9/2007,
Sorce, rv. 238181; sez. 5, n. 41063 del 24/6/2009, C. ed altri, rv. 245386;
sez. 5, n. 42018 del 22/9/2998, Iuliano, rv. 245401; sez. 2, n. 26589 del
26/5/2011, Laudicina, rv. 251000), che riconosce al comportamento
consistente nel fornire aiuto ad un riconosciuto capo di organizzazione
criminale, operante in un ambito territoriale nel quale la sua notorietà è
diffusa, la capacità di costituire valido e sufficiente elemento indiziante per
ritenere la sussistenza dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7
con riferimento al reato di favoreggiamento personale. Deve dunque
condividersi il rilievo dei giudici del riesame, secondo cui l’assistenza e la
protezione forniti al capo, consentendogli di continuare a dirigere da

latitante l’associazione, ben può dal punto di vista oggettivo risolversi in un
aiuto alla associazione stessa, la cui operatività sarebbe compromessa
dall’arresto del suo vertice, nonché la conseguente considerazione che, dal

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punto di vista soggettivo, non può dubitarsi dell’intenzione del

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in assenza di elementi dimostrativi della specifica volontà di agevolare la

favoreggiatore di avvantaggiare anche l’associazione qualora risulti che ha
prestato consapevolmente aiuto al suo capo.
Non ha preSio l’obiezione difensiva secondo la quale l’aggravante in
esame sarebbe stata ricostruita sulla scorta della valutazione della caratura
criminale dell’Esposito e delle sue precedenti condanne, in quanto oggetto di
Magnetti, militante prima nel clan Di Lauro, poi nella fazione Amato-Pagano
e la conseguente notorietà del suo ruolo e del suo impegno criminoso, per
ricavarne la prova indiziaria della consapevolezza e della volontà in capo
all’Esposito di offrire un contributo rilevante all’organizzazione criminosa.
2. Non sussiste poi il vizio denunciato con riferimento alla violazione
dell’art. 274 cod. proc. pen., lett. c): il Tribunale non ha ritenuto di arrestare
la propria analisi all’accertamento delle condizioni di legge per ritenere
operante la presunzione di pericolosità sociale, stabilita dall’art. 275 cod.
proc. pen., comma 3, ma ha valutato il caso nei suoi profili concreti quanto
alla gravità oggettiva del fatto ed alle modalità di commissione, ritenuti
rivelatori di un personalità trasgressiva, confermata del resto dai precedenti
penali, ed in forte contrasto con i provvedimenti dell’autorità giudiziaria.
2.1 Non è censurabile poi la deduzione, operata dal Tribunale, di
elementi dimostrativi del pericolo di recidivazione dai comportamenti tenuti
dall’indagato, dal momento che la stessa formulazione testuale della
disposizione di cui all’art. 274 cod. proc. pen., lett. c), indica nelle modalità
e circostanze dell’azione e nella personalità dell’indagato, dimostrata da
comportamenti ed atti concreti o dai suoi precedenti penali, i parametri dai
quali ricavare il pericolo di reiterazione di ulteriori gravi condotte criminose;
Inoltre, l’orientamento interpretativo espresso da questa Corte (Cass. sez 4,
n. 11179 del 19.01.2005, Miranda ed altri, rv. 231583; sez. 4, n. 34271 del
3.07.2007, Cavallari, rv. 237240; sez. 6, n. 12404 del 4.04.2005, rv.
231323; sez. 3, n. 1995 del 23.04.2004, rv. 228882; sez. 5, n. 45950 del
19.12.2005, rv. 233222; sez. 1, n. 30561 del 15.07.2010, Miccelli, rv.
248322) ammette la possibilità di valutare le circostanze del fatto nella loro
obiettività quali dati sintomatici di pericolosità sociale e concreta capacità a
delinquere, a dispetto persino, se del caso, dello stato di incensuratezza,
che nel caso non ricorre.
Il ricorso deve, conclusivamente, essere dichiarato inammissibile per
manifesta infondatezza ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese
del procedimento e – per i profili di colpa insiti nella proposizione di siffatt
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considerazione è stato piuttosto il ruolo rivestito nell’associazione dal

Trasmessa copia ex art. 23
n. i ter L. 8-8-95 n. 332
Roma, lì
impugnazione, manifestamente infondata-, di una somma in favore della
Cassa delle Ammende nella misura che si stima equo determinare in Euro
1.000,00.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento e della somma di euro mille alla Cassa delle
Ammende. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del
provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94,
co. 1-ter, disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2012.

P. Q. M.

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