Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1399 del 04/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 1399 Anno 2014
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
PIGOZZI Antonio Apollinare n. Ala dei Sardi il 23 novembre 1950
avverso la sentenza emessa il 3 ottobre 2012 dalla sezione distaccata di Sassari della
Corte di appello di Cagliari

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Alfredo Montagna,
che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
osserva:

Considerato in fatto

Data Udienza: 04/10/2013

1. Con sentenza in data 3 ottobre 2012 la sezione distaccata di Sassari della
Corte di appello di Cagliari ha confermato la sentenza emessa 1’11 marzo 2009 dal
Tribunale di Sassari con la quale Pigozzi Antonio Apollinare era stato dichiarato
colpevole dei reati di estorsione, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali,
danneggiamento e porto ingiustificato di coltello, reati commessi in Sassari il 6 ottobre
2008, ed era stato condannato, ritenuta la continuazione e con la riduzione per il rito

2. Avverso la predetta sentenza l’imputato propone, tramite il difensore, ricorso
per cassazione deducendo la violazione di legge quanto alla ritenuta sussistenza degli
estremi del reato di estorsione, anziché di quelli del reato di esercizio arbitrario delle
proprie ragioni, nella condotta dell’imputato il quale era convinto di far valere nei
confronti della persona offesa Pinna Alessandra un credito di 700,00 euro per canoni
di locazione, cui si faceva peraltro cenno nel messaggio telefonico contenente una
minaccia il cui contenuto non era tale da condizionare fortemente la destinataria (“tu

ricordati i settecento euro prima che perda la pazienza”).
Ritenuto in diritto
3.

Il ricorso, che riguarda unicamente la qualificazione giuridica del fatto

contestato come estorsione, è inammissibile perché del tutto generico.

3.1 Nella motivazione della sentenza impugnata, emessa all’esito del giudizio
abbreviato, viene riportato il contenuto della denuncia presentata dalla persona
offesa, in cui la donna sosteneva che l’imputato (un invalido presso il quale aveva
prestato servizio con il compito di accudirlo, finendo poi per avere con lo stesso
rapporti anche personali) le aveva ripetutamente chiesto di consegnarle 700,00 euro,
minacciando in caso contrario di divulgare foto che la ritraevano nuda. Dalle
circostanze dell’arresto in flagranza risultava confermato il contenuto della denuncia in
quanto l’imputato aveva ricevuto, sotto la diretta percezione dei Carabinieri, la somma
di danaro consegnando in cambio alla Pinna quattro foto in cui la donna appariva in
pose imbarazzanti. La versione difensiva che il Pigozzi avesse inteso, tramite la
minaccia di divulgare le foto che la donna gli aveva concesso di scattare nell’ambito
della relazione personale tra di loro instauratasi, far valere un preteso credito
corrispondente alla somma richiesta di 700,00 euro era rimasta, come puntualmente
rilevato dal giudice di appello, sfornita di qualunque elemento di riscontro ed era anzi
contraddetta dalle modalità aggressive e dai toni ingiuriosi in cui la richiesta di denaro

abbreviato, alla pena di anni due, mesi quattro di reclusione ed euro 600,00 di multa.

-tramite

sms,

telefonate e affissione di un foglio alla serranda dell’esercizio

commerciale del fidanzato della donna- era stata formulata.
La mancata indicazione di concreti elementi di prova su una pretesa legittima da
far valere rende inconsistenti e generiche le doglianze contenute nel ricorso, in quanto
il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni si differenzia da quello di estorsione
proprio in relazione all’elemento psicologico. Nel delitto previsto dall’art.393 c.p.

se infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una
pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria, mentre
nell’estorsionel’agente persegue il conseguimento di un profitto, pur nella
consapevolezza di non averne diritto (Cass. sez.II 29 maggio 2012n n.22935, Di
Vuono; sez.II 4 marzo 2010 n.12329, Olmastroni).
Va peraltro ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass.
sez.II

10 ottobre 2004 n.47972, Caldara; sez.II 15 febbraio 2007 n.14440,

Mezzazanzica; sez.II 27 giugno 2007 n.35610, Della Rocca; sez.VI 28 ottobre 2010
n.41365, Straface), quando la minaccia si estrinseca in forme di tale forza
intimidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un proprio
(preteso) diritto, la coartazione dell’altrui volontà assume

ex se

i caratteri

dell’ingiustizia, con la conseguenza che, in situazioni del genere, anche la minaccia
tesa a far valere quel diritto si trasforma in una condotta estorsiva.
4. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa
delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in
euro 1.000,00.

l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione ragionevole, anche

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Roma 4 ottobre 2013

il cons. est.

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
IL

N.23356/2013 R.G.
SR-v1

-1400 I 14

42, (0.20(3

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il giorno 4 del mese di ottobre dell’anno 2013

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE PENALE
composta dai magistrati
dott.Domenico GENTILE

Presidente

dott.Antonio PRESTIPINO

Consigliere

dott. Matilde CAMMINO

Consigliere

dott.Domenico GALLO

Consigliere

dott.Geppino RAGO

Consigliere

ha pronunciato in udienza pubblica la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
BEVILACQUA Pietro n. Casarano il 31 gennaio 1987
BEVILACQUA Lucia n. Casarano il 5 novembre 1980
avverso la sentenza emessa il 22 ottobre 2012 dalla Corte di appello di Lecce

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Alfredo Montagna,
che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentito il difensore, avv. Roberto Aldo Bray del foro di Lecce, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
osserva:

REPUBBLICA ITALIANA

2.
Considerato in fatto
1. Con sentenza in data 22 ottobre 2012 la Corte di appello di Lecce ha
confermato la sentenza emessa 1’8 marzo 2011 dal Tribunale di Lecce, sezione
distaccata di Casarano, con la quale Bevilacqua Pietro e Bevilacqua Lucia erano stati
dichiarati colpevoli dei

reati continuati di truffa e falso, commessi in Ruffano il 7

novembre 2005 mediante la contraffazione dell’importo di assegni circolari che i

imputati in pagamento di merce sulla base di false informazioni circa l’intestatario dei
titoli, e inoltre Bevilacqua Pietro del reato di sostituzione di persona, per essersi
attribuito il 28 ottobre 2005 un falso nome per farsi rilasciare dalla Banca Intesa,
filiale di Sannicola, gli assegni circolari dell’importo di 5,00 euro ciascuno poi
contraffatti. Ritenuta la continuazione tra i reati rispettivamente ascritti, Bevilacqua
Pietro era stato condannato alla pena di anni due di reclusione e Bevilacqua Lucia alla
pena di anni uno, mesi nove di reclusione.
2. Avverso la predetta sentenza gli imputati propongono, tramite il difensore,
ricorso per cassazione.

2.1 Con il primo motivo si deduce il difetto e la contraddittorietà della
motivazione e l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art.337 co.3 c.p.p. in
quanto, come emerso dall’istruttoria dibattimentale, il legale rappresentante della
Punto SMA s.r.l. era il padre di Nuzzo Antonio (che aveva presentato la querela) era
per sua ammissione solo un dipendente della società privo di poteri di rappresentanza
(erroneamente il giudice di merito aveva ritenuto che fosse il responsabile del punto
vendita); anche Melissano Rocco, asserito gestore della Me Mag s.r.l. affiliata in

franchising alla catena di supermercati GS, non era legittimato alla presentazione della
querela in mancanza di prova dei poteri di rappresentanza.

titolari di due esercizi di generi alimentari erano stati indotti ad accettare dagli

2.2 Con il secondo motivo si deduce la violazione ed erronea applicazione
dell’art.533 comma 1 c.p.p., segnatamente del principio che la sentenza di condanna
deve essere pronunciata se l’imputato risulti colpevole del reato contestato al di là di
ogni ragionevole dubbio, essendosi la Corte di appello espressa quanto alla
responsabilità degli imputati in termini di verosimiglianza con riferimento sia alla
richiesta degli assegni circolari poi contraffatti da parte di Bevilacqua Pietro, sia
all’identificazione degli autori delle truffe ai danni dei commercianti.

Ritenuto in diritto

ttk-

;

3.11 ricorso è inammissibile.
3.1 D primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte preliminarmente osserva che la querela priva dell’enunciazione formale
della fonte dei poteri di rappresentanza conferiti al legale rappresentante della
persona giuridica non è nulla, in quanto la sua inefficacia consegue solo alla mancanza

n.39839, Pmt. In proc. Savino; sez.II 20 settembre 2005 n.37365, Muroni; sez.II 19
settembre 2003 n.37377, P.M. in proc. Pagani).
Nel caso di specie non risulta in contestazione la qualifica del querelante
Melissano Rocco di amministratore unico della ME.MAG s.r.I., società che gestiva in
franchising l’esercizio di generi alimentari GS di Ruffano. Nel caso di querela sporta
dal legale rappresentante di una società di capitali è l’onere dell’indicazione specifica
della fonte dei poteri è adempiuto con la mera indicazione della sussistenza del
rapporto di legale rappresentanza, incombendo poi su chi nega la sussistenza di tale
rapporto provare la propria eccezione. (Cass, Pen. Sez. 5, 14 febbraio 2006, n.
19368), cosa che non è avvenuta nella fattispecie in esame.
Quanto al querelante Nuzzo Antonio, correttamente nella motivazione della
sentenza impugnata si rileva che lo stesso, pur non essendo formalmente legale
rappresentante della società che gestiva il punto SMA di Ruffano, ne era di fatto il
responsabile. Del resto, come si desume dal ricorso, il Nuzzo aveva dichiarato che
all’epoca della presentazione della querela lavorava nel

“suo”

supermercato,

attribuendosi implicitamente (contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente) la
responsabilità dell’esercizio commerciale.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, del resto, recentemente affermato
(Cass. Sez.Un. 18 luglio 2013 n.40354, Sciuscio, dep.30 settembre 2013), con
riferimento al reato di furto, il principio che «Il bene giuridico protetto dal reato di
furto è costituito non solo dalla proprietà e dai diritti reali e personali di godimento,
ma anche dal possesso, inteso nella peculiare accezione propria della fattispecie,
costituito da una detenzione qualificata, cioè da una autonoma relazione di fatto con
la cosa, che implica il potere di utilizzarla, gestirla o disporne. Tale relazione di fatto
con il bene non ne richiede necessariamente la diretta, fisica disponibilità e si può
configurare anche in assenza di un titolo giuridico, nonché quando si costituisce in
modo clandestino o illecito. Ne discende che, in caso di furto di una cosa esistente in

di un effettivo rapporto fra il querelante e l’ente (Cass. sez.II 27 giugno 2012

4un esercizio commerciale, persona offesa legittimata alla proposizione della querela è
anche il responsabile dell’esercizio stesso, quando abbia l’autonomo potere di
custodire, gestire, alienare la merce».

Deve ritenersi che analogamente anche nel

reato di truffa il responsabile dell’esercizio commerciale, che non abbia la qualità di
legale rappresentante dell’ente proprietario o non sia munito di formale investitura al
riguardo, sia legittimato a proporre querela in relazione alla condotta truffaldina posta
in essere ai danni dell’esercizio commerciale cui è preposto. Il gestore dell’esercizio

vale a dire “preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa” a norma dell’art. 2203 c.c.,
e come tale i suoi poteri sono estesi al compimento di “tutti gli atti pertinenti
all’esercizio di impresa cui è preposto” (art.2204 c.c.), atti in cui devono essere
compresi il diritto di sporgere querela per fatti inerenti strettamente l’esercizio
commerciale, come nel caso concreto l’adempimento di obbligazioni in favore
dell’impresa cui il gestore è anche temporaneamente preposto (Cass. sez.II 9
dicembre 2008 n.1206, Gulino).
3.2 D secondo motivo è del pari manifestamente infondato.
Va premesso che i riconoscimenti effettuati nel corso delle indagini preliminari
sono stati confermati nel coso dell’esame dibattimentale sia dalla cassiera Melissano
Sonia (per quanto riguarda la donna che aveva pagato la spesa nel supermercato GS
con un assegno circolare contraffatto) che da Nuzzo Antonio (relativamente ad
entrambi gli imputati in relazione alla truffa perpetrata con analoghe modalità nel
supermercato Punto SMA). A questo riguardo si evidenzia che è principio
giurisprudenziale consolidato che l’individuazione fotografica di un soggetto effettuata
dalla polizia giudiziaria costituisca una prova atipica la cui affidabilità non deriva dal
riconoscimento in sé, ma dalla credibilità della deposizione di chi, avendo esaminato la
fotografia si dica certo della sua identificazione (Cass. sez.VI 27 novembre 2012
n.49758, Aleksov; sez.II 28 ottobre 2003 n.47871, Tortora; sez.VI 6 aprile 2000
n.5401, La Vardera A e altri). Peraltro la responsabilità degli imputati è stata accertata
anche sulla base di ulteriori, precisi e convergenti elementi indiziari costituiti dallo
stesso tipo e colore di autovettura con la quale, in occasione delle due truffe, la donna
e l’uomo si erano allontanati, autovettura di cui il padre di Nuzzo Antonio aveva
rilevato il numero di targa corrispondente a quella in uso a Bevilacqua Pietro e, inoltre,
dalla significativa circostanza della presenza nei fotogrammi della Banca Intesa di
Sannicola dell’immagine di Bevilacqua Pietro lo stesso giorno in cui erano stati emessi

commerciale, anche se non è titolare dell’esercizio, deve infatti qualificarsi institore,

5
gli assegni circolari recanti la contestata falsificazione e richiesti dallo stesso
Bevilacqua Pietro (v. motivazione della sentenza di primo grado f.2).
Le doglianze dei ricorrenti sul punto sono in parte generiche e in parte fondate
su una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui
valutazione è compito esclusivo del giudice di merito ed è inammissibile in questa
sede, essendo stato comunque l’obbligo di motivazione esaustivamente soddisfatto

dall’istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo
logico-giuridico, degli argomenti a sostegno dell’affermazione di responsabilità.
Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa
delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in
euro 1.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Roma 4 ottobre 2013

il cons. est.
Il Presidente

nella sentenza impugnata con valutazione critica di tutti gli elementi offerti

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