Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13985 del 05/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 13985 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CAIRO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RASULO VINCENZO N. IL 13/08/1954
avverso l’ordinanza n. 670/2014 GIP TRIBUNALE di GENOVA, del
25/11/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO CAIRO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 05/11/2015

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Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del dott. Francesco Mauro Iacoviello,
sostituto procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, il quale ha concluso per il
rigetto del ricorso (memoria depositata il 27.3.2015).
RITENUTO IN FATTO
1. Con provvedimento in data 25-11-2014 il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Genova,
adito dal P.M. a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 25.2.2014,
rigettava la richiesta di determinazione della pena in sede esecutiva avanzata a favore di
Rasulo Vincenzo. A costui era stata inflitta dal Giudice per le indagini preliminari del tribunale
di Genova (sentenza n. 898/14) in data 7.11.2007 -in cosa giudicata il 13-12-2013- la pena
finale di anni quattro di reclusione ed euro 20.000 di multa. La condotta era relativa
all’imputazione di cui all’ad 73 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, per la detenzione di 450 gr. di
hashish e marijuana. La pena era stata determinata previo riconoscimento della circostanza
attenuante di cui all’art 73 comma V d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, ritenuta equivalente alla
contestata recidiva. Era stata fissata la sanzione base in quella di anni sei di reclusione ed euro
30.000 di multa ed era stata operata la riduzione di un terzo, per il rito abbreviato, con
determinazione della pena finale in quella di anni quattro di reclusione ed euro 20.000 di
multa.
Il giudice dell’esecuzione, premessa la necessità di adeguare il trattamento sanzionatorio
inflitto al quadro normativo successivo alla declaratoria di illegittimità costituzionale, riteneva
che non ogni condanna per droghe cd. leggere generasse l’obbligo di determinare nuovamente,
in sede esecutiva, la sanzione applicata nel primo giudizio.
Nel caso di specie si sarebbe dovuta compiere una mera operazione matematica che avrebbe
consentito di ricondurre, se necessario, la pena a legalità. Si trattava, cioè, di partire da una
pena base riportata nei limiti edittali, attualmente vigenti all’indomani della declaratoria di
incostituzionalità e di ripetere, in modo proporzionale, le operazioni di riduzione operate dal
primo giudice. Alla luce delle premesse indicate si riteneva che la pena inflitta fosse, ancora
oggi, legale e che, pertanto, rientrasse nei parametri edittali del vigente regime sanzionatorio.
2. Ricorre per cassazione Rasulo Vincenzo, a mezzo del suo difensore di fiducia.
Unico il motivo di ricorso. Chiede, in via principale, annullamento senza rinvio dell’impugnata
ordinanza, per vizio di motivazione e violazione di legge; lamenta l’illegalità della pena,
invocando intervento diretto di questa Corte, in funzione della sua rimodulazione, secondo un
criterio di proporzionalità. In subordine, invoca annullamento con rinvio, per la determinazione
della pena in sede di merito.
Il Giudice per le indagini preliminari aveva erroneamente ritenuto che compito del giudice
dell’esecuzione fosse quello di detrarre dalla sentenza la sola quota di pena risultata illegale.
Osservava che l’istanza era stata, contrariamente, proposta, al fine di determinare
interamente la pena, anche e soprattutto, tenendo presente che la Corte costituzionale con
sentenza 251/2012 aveva dichiarato incostituzionale l’art. 69 comma IV c.p. nella parte in cui
vietava di valutare prevalente la circostanza attenuante di cui all’art 73 comma V d.p.r. 9
ottobre 1990, n. 309 rispetto alla recidiva di cui all’ad 99 comma IV cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato, per le ragioni che seguono.
Le questioni giuridiche affrontate nell’impugnata ordinanza sono essenzialmente due.
1.1. La prima attiene alla circostanza attenuante di cui all’art 73 comma V d.p.r. 9 ottobre
1990, n. 309, che è stata ritenuta equivalente, nel giudizio di merito, rispetto alla contestata
recidiva reiterata.
Ciò è accaduto in un’epoca in cui vigeva il divieto di prevalenza di cui all’art. 69 comma 4,
cod. pen.
Con la sentenza n. 251, emessa dalla Corte Costituzionale in data 15 novembre 2012, è stata,
tuttavia, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 69 cod. pen., comma 4 (come

1.1.2. Ebbene sul punto il giudice dell’esecuzione non opera motivazione adeguata e non dà
conto nel provvedimento impugnato delle valutazioni operate dal primo giudice e delle ragioni
che potrebbero essere ostative al possibile giudizio di prevalenza. Né indica se il giudice della
cognizione abbia, comunque, scrutinato la questione, escludendo la possibilità, nel merito, di
riconoscere un’eventuale prevalenza della circostanza attenuante sull’aggravante ad effetto
speciale della recidiva. Era, di converso, e sul punto, tenuto a compiere la ricostruzione del
contenuto della decisione irrevocabile. Ciò al fine di chiarire la concreta incidenza sul
trattamento sanzionatorio, determinato in sede di cognizione, della specifica norma (art. 69
cod. pen., comma 4) dichiarata incostituzionale e, dunque, rimossa dall’ordinamento con
efficacia ex tunc. Si deve, pertanto, verificare se il giudice della cognizione abbia o meno
escluso, in ogni caso, la possibilità di addivenire all’indicata prevalenza, anche per ragioni
diverse dal divieto normativo. Solo in questa ipotesi non sarà ammesso, in sede di esecuzione,
nuovo scrutinio e giudizio di prevalenza dell’elemento circostanziale di favore, sulla ritenuta
aggravante della recidiva.
1.2. Quanto al secondo aspetto, dedotto nei motivi di ricorso, la doglianza è, al pari, fondata.
1.2.1. Ha, invero, ritenuto il giudice dell’esecuzione che nel rideterminare la pena si dovesse
compiere una mera operazione matematica, che avrebbe consentito di ricondurre la sanzione a
legalità formale. Si sarebbe, cioè, dovuta fissare una pena base riportata nei limiti edittali,
vigenti in seguito alla declaratoria di illegittimità costituzionale e ripetere, in modo
rigorosamente proporzionale, le riduzioni operate dal giudice di merito. Da ciò si è dedotto che
la pena inflitta al Rasulo, di anni quattro di reclusione ed euro 20.000 di multa, determinata
previo riconoscimento del giudizio di equivalenza tra la circostanza attenuante di cui all’art. 73
comma V d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, rispetto alla recidiva (ponendo quale sanzione base
quella di anni sei di reclusione ed euro 30.000 di multa) fosse ancora oggi “legale” e non
modificabile, perché rientrante nei limiti del trattamento penale vigente.
1.2.2. Ebbene le norme incriminatrici, interessate dalla pronunzia di illegittimità costituzionale
(n. 32 del 12 febbraio 2014) sono quelle del decreto legge 30 dicembre 2005, n. 272 (artt. 4bis e 4 vicies ter) convertito nella Legge n. 49 del 21 febbraio 2006 che avevano interpolato

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modificato dalla Legge n. 251 del 2005, art. 3) nella parte in cui preclude(va) il giudizio di
prevalenza della circostanza attenuante indicata sulla recidiva reiterata di cui all’art. 99 comma
4 cod. pen.
Le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 42858 del 29.5.2014 (dep. 14.10.2014) ric.
Gatto) hanno ritenuto superabile il limite del giudicato, anche là dove la declaratoria di
illegittimità costituzionale si fosse appuntata su norma incidente sul trattamento sanzionatorio
(e non anche abrogativa della rilevanza penale del fatto). Unico limite è stato individuato nella
non reversibilità degli effetti. Caso tipico enucleato è stato quello del condannato che avesse
già scontato la pena (cd. rapporto esaurito).
Il punto di verifica, dunque, per quanto qui rileva, riguarda le modalità d’esplicazione del
giudizio di comparazione tra circostanze, tema sul quale il ricorrente sviluppa argomento di
ricorso. Occorre, cioè, accertare se il mancato riconoscimento della prevalenza sia dipeso dal
divieto di legge poi rimosso (art. 69 c.p., comma 4) o da altra valutazione già svolta in sede
di cognizione.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno anche chiarito che, per effetto della sentenza della
Corte Costituzionale n. 251 del 2012, il giudice dell’esecuzione è autorizzato ad affermare la
prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art 73 comma V del d.p.r. 9 ottobre 1990, n.
309 a condizione che una simile valutazione non sia stata esclusa nel merito, dal giudice della
cognizione, secondo quanto risulta dal testo della sentenza irrevocabile (cd. limite del fatto
accertato).

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Giudice per le indagini preliminari
del tribunale di Genova.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2015
Il Presidente
Il Consigliere estensere—-

l’originario testo del d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 -art. 73-). La pronunzia di incostituzionalità
ha determinato la “riespansione” -per i fatti commessi dal 28 febbraio 2006 al 6 marzo 2014della disciplina incriminatrice previgente e del trattamento sanzionatorio diversificato. Per i
fatti di cd. lieve entità il limite temporale finale è anticipato al 23 dicembre 2013, essendo
entrata in vigore il 24 dicembre 2013 la diversa ed autonoma disciplina, introdotta dal decreto
legge n. 146 del 2013.
Ciò posto la comparazione tra le fasce sanzionatorie previste dalla normativa dichiarata
incostituzionale e quelle previgenti (e rinnovatesi per effetto della pronunzia di
incostituzionalità) induce a ritenere, comunque, “illegale” il trattamento sanzionatorio inflitto,
in ipotesi di condotta illecita concernente le droghe cd. leggere (ossia le sostanze rientranti
nelle tabelle II e IV allegate al d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309). L’intervento normativo, da
ultimo dichiarato illegittimo, per le droghe cd. leggere, aveva comportato un massiccio
incremento della sanzione detentiva.
L’operazione di determinazione, in concreto, della pena, ai sensi degli artt. 132 e 133 cod. pen.
è prodotto di una scelta composita. Il giudice della cognizione la compie dispiegando la sua
discrezionalità in un perimetro che la regola di legalità della pena definisce tra una soglia
minima ed una massima.
Il mutamento di “cornice” sanzionatoria, prodottosi per effetto della declaratoria di
incostituzionalità, rende necessario – in ipotesi di condanna per droghe leggere – uno scrutinio
nuovo sulla prima statuizione sanzionatoria. Esso va compiuto in sede di esecuzione e nel
rispetto del nucleo d’accertamento sul “fatto”, costruito in cognizione e su cui è scesa
l’incontrovertibilità del giudicato. L’operazione non ha, tuttavia, puro contenuto formale. Essa,
cioè, non può seguire sic et simpliciter i criteri matematici espressi dal giudice della cognizione,
in rapporto alla scelta tra minimo e massimo edittale. In altri termini, venuta meno la
parificazione sanzionatoria, dei fatti che riguardano droghe leggere e pesanti, il giudice
dell’esecuzione deve, nel rispetto del “fatto accertato”, rivalutarne la portata lesiva in rapporto
ai “nuovi” e diversi parametri di pena, dando conto (ex artt. 132 e 133 c.p.) delle modalità di
esercizio del potere stesso e rispettando il principio d’ordine, per cui non può essere aumentata
l’afflittività della pena stabilita nella sentenza di condanna.
Del resto le S.U. di questa Corte (Sentenza n. 33040 del 26/02/2015 Cc. (dep. 28/07/2015)
Rv. 264205) hanno avuto modo di affermare recentemente che “È illegale la pena determinata
dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione che si sia basato, per le droghe
cosiddette “leggere”, sui limiti edittali dell’art. 73 d.P.R. 309/1990 come modificato dalla legge
n. 49 del 2006, in vigore al momento del fatto, ma dichiarato successivamente incostituzionale
con sentenza n. 32 del 2014, anche nel caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa
entro i limiti edittali previsti dall’originaria formulazione del medesimo articolo, prima della
novella del 2006, rivissuto per effetto della stessa sentenza di incostituzionalità”.
Alla luce delle premesse operate l’impugnata ordinanza va annullata con rinvio al Giudice per le
indagini preliminari del tribunale di Genova, in funzione di giudice dell’esecuzione, per nuovo
esame della questione, secondo i principi enucleati.

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