Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13974 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 13974 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BENCHAKOUR BOUJEMAA N. IL 23/02/1967
CANAVESE PAOLO N. IL 24/05/1944
CURTI RENATO N. IL 14/03/1944
avverso la sentenza n. 321/2011 CORTE APPELLO di TORINO, del
04/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ‘&1.-1-5
che ha concluso per
`-e-Rdz-z-W,z3 zkszi
Q 95,33.7
9- 910

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv. \I

9-ue

Data Udienza: 25/11/2015

RILEVATO IN FATTO
1. Con sentenza in data 4 giugno 2014, la Corte di appello di Torino, in
parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Saluzzo il 22 settembre
2010
– dichiarava non doversi procedere nei confronti di Benchakour Boujemaa,
Canavese Paolo e Curti Renato in ordine ai reati, come ai medesimi ascritti, di
associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione
clandestina in Italia di numerosi cittadini nord africani (capo a); truffa (capo b,

permessi di soggiorno (capo p, r); violenza privata (capo v); lesioni (capo z);
induzione in errore di pubblico ufficiale al fine del rilascio di autorizzazioni e
certificazioni ideologicamente false (capo Al)
– confermava la condanna per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione
clandestina (capi c, i, t) rideterminando la pena per Benchakour Boujemaa in
anni cinque mesi quattro di reclusione ed euro 75.000 di multa; per Canavese
Paolo in anni quattro mesi otto di reclusione ed euro 60.000 di multa; per Curti
Renato in anni due mesi otto di reclusione ed euro 30.000 di multa. Applicava le
pene accessorie e confermava le statuizioni civili in favore della parte costituita.

2. In base alla ricostruzione compiuta dal giudice di primo grado, gli
imputati, unitamente a tale Curti Renato, si erano accreditati presso
extracomunitari per gestire pratiche di immigrazione di parenti. In particolare,
Benchakour Boujemaa, gestore di un bar a Saluzzo, si era fatto consegnare
migliaia di euro con raggiri:
– presentandosi come mediatore e, vantando conoscenze di datori di lavoro
italiani e di uffici amministrativi, aveva promesso un posto di lavoro e un’idonea
sistemazione abitativa;
– aveva consegnato contratti d’assunzione e richieste di autorizzazione al
lavoro con firme false o non rispondenti alla volontà di creare un rapporto di
lavoro;
– aveva dato false informazioni sulle pratiche e sul versamento dei
contributi;
– aveva accompagnato i richiedenti presso uffici amministrativi e acquisito
da loro documenti necessari per le pratiche.
In alcuni casi gli stranieri erano riusciti ad entrare in Italia, scoprendo però
che il posto non era disponibile.
Il Tribunale perveniva alle affermazioni di responsabilità in base alle
deposizioni delle parti lese e dei testi, ed alla acquisizione di copiosa
documentazione.
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g, h, I, s); contraffazione di documenti per il rilascio di visti d’ingresso e di

3. La Corte di appello di Torino ha dichiarato la prescrizione dei reati indicati
sub 1, rigettando la richiesta di assoluzione nel merito alla luce delle credibili
deposizioni delle persone offese. Ha rigettato l’eccezione preliminare di nullità
della sentenza formulata dalle difese sul rilievo che del collegio di primo grado
aveva fatto parte, anche come estensore della decisione, il giudice che aveva già
svolto la funzione di G.u.p. nel medesimo procedimento. Detta Corte ha ritenuto
integrati i reati di immigrazione clandestina sulla base delle deposizioni dei testi

4. Hanno proposto ricorso per Cassazione Benchakour Boujemaa, Canavese
Paolo e Curti Renato.
4.1. Benchakour Boujemaa, a mezzo del difensore di fiducia, articola tre
motivi. Con il primo lamenta erronea applicazione della legge penale in relazione
all’art. 34 del codice di rito e contraddittorietà della motivazione, ed afferma che
l’incompatibilità del giudice integra una ipotesi di nullità relativa, che era stata
fatta valere tempestivamente.
4.2. La stessa doglianza viene mossa in relazione all’art. 192 dello stesso
codice. La Corte di appello aveva fondato il giudizio di responsabilità
esclusivamente sulle dichiarazioni rese nel corso del giudizio, prive di alcun
riscontro oggettivo. I testi avevano espresso soltanto valutazioni; la prova
indiziaria avrebbe richiesto elementi di riscontro ed una verifica dettagliata,
atteso l’interesse di cui gli stessi testi erano portatori. La Corte di appello, con
mero richiamo alle pagine della sentenza appellata, ne aveva recepito
acriticamente il contenuto, ed era mancato un valido percorso argomentativo.
4.3. Con il terzo motivo, si censura erronea applicazione della legge penale e
contraddittorietà della motivazione, in quanto anche i reati per cui era stata
confermata la condanna erano prescritti. Afferma il ricorrente che per i fatti in
esame, commessi tra il novembre 2004 ed il gennaio 2005, la normativa
applicabile prevedeva una pena ricompresa tra i 4 e i 12 anni “rientrante
nell’ipotesi di cui al n. 4, e non in quella di cui al n. 3 dell’art. 157 c. p. della
previgente formulazione, con conseguente termine prescrizionale fissato in sette
anni e mezzo, già ampiamente decorso al momento della pronuncia della Corte
d’appello”.
5. Canavese Paolo ricorre personalmente e con un primo motivo deduce
insufficiente motivazione e violazione di legge in ordine alla qualificazione
giuridica del fatto. In particolare, afferma di aver ricevuto somme di denaro
soltanto da Bahani Taher quale corrispettivo per la locazione di un immobile;
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dettagliatamente riportate dal primo giudice, per cui confermava la condanna.

egli effettivamente aveva avuto necessità di assumere un collaboratore che lo
aiutasse nelle faccende domestiche e a svolgere la sua attività di coltivatore
diretto nella raccolta di fragole. Si era attivato per procurare un posto di lavoro
ad altri immigrati che erano rimasti in attesa del permesso di soggiorno nei loro
paesi di origine. Nega quindi la sussistenza dei reati di truffa, di favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina e della fattispecie associativa, non avendo avuto
collegamenti, se non occasionali, con gli altri correi. La pena comunque era
eccessiva in relazione al ruolo marginale avuto.

giustificavano una declaratoria di prescrizione.

6. Curti Renato deduce personalmente due motivi.
Con il primo censura inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di
nullità in relazione alla partecipazione al processo del primo grado come
componente del collegio del giudice che aveva svolto funzioni di G.u.p., nei
termini che si sono già esposti al punto sub 4.1.
Con il secondo motivo lamenta mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione, affermando l’assoluta estraneità a qualsiasi reato ed
in particolare a quello non prescritto.
Tutti i ricorrenti concludono per l’annullamento della sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di censura comune a

Benchacour e a Curti è

manifestamente infondato.
1.1. A mente dell’art. 34 cod. proc. pen., comma 2. “Non può partecipare al
giudizio il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza
preliminare”. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, però, le cause di
incompatibilità non incidono sui requisiti di capacità del giudice e non
determinano la nullità o addirittura l’inesistenza giuridica del provvedimento
adottato dal giudice incompatibile (Cass. Pen. Sez. 6, 9.6.1998 n. 1355). È pur
vero che il giudice Alberto Boetti, come riconosce la Corte di appello, ha
composto il collegio del tribunale di Saluzzo, che ha emesso la sentenza di primo
grado, ed è stato anche il G.u.p. del medesimo procedimento, ma è anche vero
che non è intervenuta alcuna istanza, pur possibile, di ricusazione nei termini
previsti dal codice. La causa d’incompatibilità (o l’addebito di pregiudizio) non
costituisce mai, nel sistema del codice, di per sè causa di nullità ex artt. 178 e
179 cod. proc. pen., non costituendo condizione di capacità del giudice a mente
dell’art. 33, ed essendo per essa previsti i diversi rimedi della astensione e della
ricusazione, da far tempestivamente valere con la procedura degli artt. 37 e ss.,
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Con un secondo motivo afferma che a 10 anni dai fatti i reati contestati

(tra moltissime: Sez. U., n. 23 del 24/11/1999, Scrudato “L’eventuale
incompatibilità del giudice costituisce motivo di ricusazione, ma non vizio
comportante la nullità del giudizio”; C. cost. sentenza n. 473 del 1993
‘Dall’invocato principio costituzionale di soggezione del giudice soltanto alla
legge non discende, infatti, che l’osservanza delle prescrizioni atte a garantirne
l’imparzialità, ed in particolare di quelle sulle cause d’incompatibilità, debba
essere assicurata con lo strumento della nullità assoluta. Il legislatore può invero
ritenere più appropriati, anche per evitare il protrarsi di situazioni di incertezza,

di incompatibilità, sempreché ponga la parte interessata in condizione di dedurla.
L’incompatibilità, d’altra parte, inficia l’idoneità al corretto esercizio delle funzioni
giurisdizionali solo in relazione ad uno specifico procedimento, e perciò può
essere ragionevolmente differenziata da quelle situazioni – considerate dalla
norma impugnata – che ostano in via generale alla capacità di esercizio di tali
funzioni; ord. n. 346 del 2000 “Premesso che – come già chiarito nelle sentenze
nn. 36 del 1999 e 473 del 1993 – il diritto vivente esclude che i provvedimenti
adottati dal giudice che versa in una situazione di incompatibilità siano affetti da
nullità, in quanto le cause di incompatibilità non incidono sui requisiti di capacità
del giudice, costituendo invece motivo di ricusazione, da far valere nei termini e
modi previsti dall’apposita procedura). Sicché non essendo stato dedotto, né
provato, che gli interessati avessero fatto valere nella sede di merito
l’incompatibilità o la situazione pregiudicante asserita mediante lo strumento
della ricusazione, non possono successivamente dolersene con gli ordinari mezzi
d’impugnazione.
1.2. Anche il secondo motivo di ricorso di Benchacour è manifestamente
infondato. E’ giurisprudenza pacifica della Suprema Corte che la sentenza
appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sui punti denunciati, si
integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola
entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione, integrando e completando con quella adottata dal
primo giudice le eventuali carenze di quella di appello (Sez. 2, n. 11220 del
13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 12/04/2012, Valerlo, Rv. 252615). Tuttavia, sono stati giustamente precisati i
limiti della motivazione per relationem sottolineando che il mero riferimento alla
sentenza di primo grado è consentito soltanto quando le censure formulate
contro la decisione impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da
quelli già esaminati e disattesi dal giudice di primo grado: per contro, il rinvio
meramente adesivo alla sentenza appellata è stato giudicato violazione
dell’obbligo della motivazione quando con l’appello sia stata sollecitata una
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gli strumenti dell’astensione e della ricusazione del giudice che versi in situazione

valutazione critica della decisione con specifiche censure o siano intervenute nel
giudizio di secondo grado nuove acquisizioni probatorie, nel qual caso il giudice
di appello deve raffrontare il proprio

decisum con le censure formulate

dall’appellante e il controllo del giudice di legittimità si estenderà alla verifica
della congruità e logicità delle risposte fornite alle predette censure (Sez. 3, n.
4704 del 14/02/1994, Jankovits, Rv. 197603; Sez. 5, n. 7572 del 22/04/1999,
Maffeis, Rv. 213643; Sez. 6, n. 49754 del 21/11/2012, Casulli, Rv. 254102).
Ebbene, in applicazione di tali principi, non può accogliersi la generica denuncia

deve essere valutata non censurando in astratto la motivazione per relationem,
ma solo con il puntuale confronto tra i motivi di appello e le argomentazioni dei
giudici di merito dei due gradi di giudizio considerate nelle singole parti e nel loro
complesso, in quanto conformi. Nel caso in esame, la Corte ha confermato il
giudizio di responsabilità richiamando le deposizioni testimoniali, già riportate nel
dettaglio nella sentenza di primo grado, che ricostruivano in fatto le attività
artificiose poste in essere dal ricorrente per procurare l’ingresso illegale in Italia
degli stranieri El Hasri, Zaatam, Bouchik. La Corte ha reso una motivazione
certamente sintetica, in linea però in primo luogo con un principio di carattere
generale presente nel sistema e cioè quello dell’art. 546 cod. proc. pen. che non
solo non sanziona ma addirittura incoraggia il carattere conciso della
esposizione. La sentenza, d’altra parte, enuncia l’asse portante del
ragionamento, che è quello della ritenuta adeguatezza delle dichiarazioni delle
persone offese: dichiarazioni che, come è noto, la costante giurisprudenza di
legittimità ritiene anche da sole sufficienti a sorreggere l’impianto accusatorio se
sottoposte dal giudice di primo grado ad adeguato vaglio critico, senza nessuna
necessità per la sentenza di appello di ripercorrere nel dettaglio le questioni di
fatto o di diritto analizzate in primo grado.
Il ricorrente, da parte sua, non evidenzia una manifesta illogicità nella
motivazione o travisamento nell’apprezzamento della prova, ma si limita a
invocare una generica necessità di non meglio specificati riscontri, non necessari
per le dichiarazioni rese da testimoni, anche se costituiti parte civile quando ne
sia riconosciuta l’attendibilità, né confuta il complessivo quadro fattuale posto a
base della dichiarazione di responsabilità.
1.3. Parimenti manifestamente infondato è il terzo motivo. Il reato, come
riporta il ricorrente, è punito con pena nel massimo di dodici anni, per cui la
prescrizione, secondo l’art. 157 cod, pen. nella previgente formulazione è di 15
anni (oltre interruzioni).

2. Il ricorso di Canavese Paolo, ripetitivo dei motivi di appello, è infondato.
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di carenza di motivazione contenuta nel motivo di ricorso, in quanto la carenza

2.1. Il ricorrente è stato dichiarato colpevole dei reati di cui ai capi c), i). Per
il primo reato, sulla base delle deposizioni testimoniali il giudice di primo grado
ha accertato il ruolo attivo svolto dall’imputato nel procurato ingresso con
documenti falsi dello straniero El Hasri; nel secondo Canavese aveva assunto il
ruolo di falso datore di lavoro favorendo l’ingresso di tale Zaatam. È indubbio,
quindi, che in questi casi l’imputato favorì l’ingresso nello Stato di questi stranieri
realizzando il reato contestatogli.
2.2. Il ricorrente ha contestato inoltre l’insufficienza della motivazione

per i quali il giudice di appello ha emesso sentenza di non doversi procedere per
intervenuta prescrizione. La sentenza di primo grado, cui quella impugnata ha
fatto esplicito rinvio, ha indicato il ruolo attivo svolto da Canavese
nell’esecuzione delle truffe ai danni degli extracomunitari:
– per il capo b), garantendo l’avviamento delle pratiche e predisponendo
falsi contratti di lavoro;
– per il capo g), presentandosi insieme a Benchakour nell’agenzia di pratiche
amministrative e affermando falsamente che la datrice di lavoro era sua parente;
– per il capo h), richiedendo denaro per assumere gli stranieri alle sue
dipendenze nonostante non avesse nessuna azienda agricola in cui impiegarli;
– per il capo I), percependo denaro per l’alloggio ed i contributi previdenziali
e garantendo falsamente l’esito positivo della pratica.
Generico infine è l’assunto che egli avrebbe ricevuto 6000 euro da Taher
come corrispettivo del canone di locazione di un immobile: la sentenza di primo
grado, nel ricostruire l’episodio, dà atto che Taher ebbe a versare 10.000 euro
complessivi (5000 a Benchacour e 5000 a Curti) per favorire l’ingresso di quattro
parenti, facendogli credere che servissero per l’alloggio e i contributi
previdenziali. Il ricorrente sul punto nulla deduce.
Relativamente al reato di associazione per delinquere, la stessa sentenza ha
evidenziato come le truffe facessero parte di un programma delittuoso
indeterminato; i concorrenti avessero in comune una struttura ed i mezzi per
attuarlo; vi fosse una suddivisione precisa di ruoli; l’associazione poteva contare
su contatti con uffici amministrativi e imprenditori da far figurare come datori di
lavoro interessati a reperire manodopera straniera. La decisione è conforme alla
giurisprudenza di legittimità che ai fini della configurabilità del delitto di
associazione per delinquere, ritiene necessaria la predisposizione di
un’organizzazione strutturale, sia pure minima, di uomini e mezzi, funzionale alla
realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nella consapevolezza, da parte
dei singoli associati, di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponibili ad
operare nel tempo per l’attuazione del programma criminoso comune.
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relativamente alla sussistenza dei reati di truffa e di associazione per delinquere,

A fronte di un completo apparato argomentativo, il ricorrente oppone una
generica e diversa valutazione dei fatti che rende inammissibile il motivo.
2.3. Manifestamente infondato deve ritenersi anche il motivo di
impugnazione relativo al trattamento sanzionatorio, tenuto conto che appare
assolutamente corretto e insindacabile in sede di legittimità il rilievo fattuale del
giudice di merito circa i connotati di odiosità del reato commesso con modalità
ingannevoli in danno di soggetti in stato di estremo bisogno.
Peraltro, l’obbligo della motivazione in ordine alla entità della pena irrogata (anni

sufficientemente osservato, qualora il giudice dichiari di ritenerla o “congrua” o
“equa”, poiché la scelta di tali termini, infatti, è sufficiente a far ritenere che il
giudice abbia tenuto conto, intuitivamente e globalmente, di tutti gli elementi
previsti dall’art. 133 c.p.” (in tal senso, ex multis Cass., Sez. 6, Sentenza n.
7251 del 24/5/1990, Rv. 184395).

2.4. Per quanto attiene alla prescrizione dei reati sì rinvia a quanto esposto
al precedente punto sub 1.3.

3. Con il primo motivo, Curti Renato lamenta la nullità della sentenza di
primo grado per violazione dell’art. 34 del codice di rito. In proposito, si rinvia a
quanto già esposto al precedente punto sub 1.1.
Il secondo motivo è manifestamente infondato. La sentenza impugnata a
pag. 18 e quella di primo grado alle pagg. 8-10 hanno dettagliato il ruolo di Curti
nei reati sub h) ed i) con motivazione completa, coerente e non manifestamente
illogica. Il ricorso si esaurisce in affermazioni generiche, non censuranti gli
specifici passaggi argomentativi della motivazione dei giudici di merito, e con
enunciazioni in cui manca un reale confronto con quanto in essa indicato, sicché
è affetto da genericità, ai sensi del combinato disposto degli articoli 581, comma
1, lett. c), e 611, comma 2, cod. proc. pen.

4. Ne consegue il rigetto del ricorso di Canavesi e l’inammissibilità dei ricorsi
di Benchacour e di Curti, con la condanna di tutti i ricorrenti al pagamento delle
spese del procedimento e Benchacour e di Curti anche al versamento ciascuno in
favore della Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in
Euro 1000,00, tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere
che “la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità”. (Corte Cost. 186/2000).

P.Q.M.
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quattro mesi otto di reclusione e C 60.000 di multa) deve ritenersi

.0

Rigetta il ricorso di Canavesi Paolo e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di Bench

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