Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13973 del 13/11/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 13973 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CASA FILIPPO

Data Udienza: 13/11/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SETOLA GIUSEPPE N. IL 05/11/1970
LETIZIA GIOVANNI N. IL 24/11/1980
DI RAFFAELE CARLO N. IL 05/12/1974
RUSSO FERDINANDO N. IL 25/11/1974
PERHAM LORAN JOHN N. IL 18/07/1974
SPAGNUOLO ORESTE N. IL 05/05/1979
avverso la sentenza n. 77/2013 CORTE ASSISE APPELLO di
NAPOLI, del 26/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FILIPPO CASA
Udito il Procuratore Generale in persona del-Dott. ei-t-I-Pc.,D II&L H A’é E
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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22.2.2013, la Corte di Assise di S. Maria Capua Vetere dichiarava
SETOLA Giuseppe, CIRILLO Alessandro, LETIZIA Giovanni, DI RAFFAELE Carlo, RUSSO
Ferdinando e SPAGNUOLO Oreste colpevoli del reato di omicidio volontario pluriaggravato in
danno di GRANATA Raffaele (esclusi i riferimenti agli artt. 112 n. 4 e 576 n. 1 c.p., per mero
errore materiale riportati nel capo di accusa), nonché delle connesse violazioni in materia di

– il SETOLA, il CIRILLO, il LETIZIA e il DI RAFFAELE alla pena dell’ergastolo con
isolamento diurno per un anno e sei mesi;
– il RUSSO, previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti del
numero delle persone e della premeditazione, alla pena di ventotto anni di reclusione;
– lo SPAGNUOLO alla pena di dodici anni e sei mesi di reclusione, previa concessione
dell’attenuante ex art. 8 L. n. 203/91 prevalente sulle aggravanti applicabili.
Dichiarava, inoltre, PERHAM Loran John colpevole del reato di cui agli artt. 418 c.p. e 7
L. n. 203/91, così riqualificata l’originaria imputazione di concorso in omicidio, condannandolo
alla pena di cinque anni di reclusione.
Seguivano le pene accessorie di legge e le statuizioni in favore delle costituite parti civili
(prossimi congiunti della vittima, Federazione delle Associazioni Antiracket ed Antiusura
Italiane).
1.1. Secondo la ricostruzione operata dalla Corte sammaritana in base alle dichiarazioni,
ritenute intrinsecamente attendibili, rese dai collaboratori di giustizia SPAGNUOLO Oreste,
AMATRUDI Massimo e GAGLIARDI Giuseppe, l’omicidio di GRANATA Raffaele, titolare del lido
“La Fiorente” di Castelvolturno, venne eseguito 1’11.7.2008 su ordine del SETOLA, capo della
fazione bidognettiana del clan del casalesi, con la collaborazione e costante condivisione di
tutte le decisioni da parte del suo luogotenente CIRILLO Alessandro.
Tale decisione conseguì ad un rifiuto opposto da GRANATA Massimo, figlio di Raffaele,
ad una richiesta estorsiva fatta per conto del gruppo da GAGLIARDI Giuseppe; venne ucciso il
padre poiché fu quest’ultimo ad essere trovato presso lo stabilimento gestito dal figlio e colpirlo
venne ritenuto equivalente, anche perché lo stesso Raffaele in passato aveva denunziato altro
tentativo di estorsione. Furono incaricati dell’esecuzione lo SPAGNUOLO e il LETIZIA, mentre al
GAGLIARDI, all’AMATRUDI e al DI RAFFAELE vennero affidati i compiti di individuazione della
vittima e di controllo dell’eventuale presenza di Forze dell’ordine; la base di partenza
dell’operazione delittuosa venne individuata nel campeggio gestito dal PERHAM, confinante con
il lido dei GRANATA, e la disponibilità di detta base venne assicurata dal RUSSO, cognato della
sorella del PERHAM, che si interessò presso costui per ottenere libero accesso al campeggio da
parte del commando.
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armi ritenute in continuazione con il reato più grave, condannando:

Il giorno convenuto, i cinque imputati prima menzionati, dopo essere transitati per la
masseria del RUSSO, raggiunsero, guidati da quest’ultimo, il campeggio del PERHAM, dal quale
GAGLIARDI e AMATRUDI si mossero più volte per il lido “La Fiorente”, informando, alla fine,
LETIZIA e SPAGNUOLO della presenza in loco del padre della vittima designata. Quindi, mentre
il DI RAFFAELE restava di vedetta, i due killer si recarono in moto presso il suddetto lido, dove
il LETIZIA, sceso dal veicolo, esplose più di dieci colpi di pistola all’indirizzo del GRANATA
Raffaele, provocandone la morte.

mandanti di SETOLA e CIRILLO, nonché quello di indispensabili concorrenti di LETIZIA,
SPAGNUOLO e DI RAFFAELE. Anche il RUSSO, seppure in una posizione più defilata, doveva
ritenersi pienamente consapevole del progetto omicidiario, aveva visto i killer armati, faceva
pienamente parte dell’organizzazione criminale ed espletò prontamente il compito affidatogli,
accompagnando dal PERHAM gli incaricati dell’omicidio per assicurarsi che potessero sfruttarne
la posizione.
Quanto al PERHAM, il primo Giudice riteneva non vi fosse piena prova della conoscenza
da parte sua dell’intento di coloro cui aveva dato, su richiesta del RUSSO, ospitalità per un paio
d’ore; benché sapesse di chi si trattava e della loro collocazione criminale, non risultava con
certezza che egli avesse assistito a colloqui all’interno del bungalow, mentre SPAGNUOLO
aveva negato espressamente che il correo fosse stato informato del progetto di omicidio sia dal
RUSSO che da coloro che si erano recati al campeggio. Tuttavia, la sua condotta era stata
considerata tale da integrare il reato di assistenza agli associati, aggravato dalla finalità di
favorire il gruppo camorristico.
2. Veniva proposto appello sia dal Procuratore distrettuale antimafia di Napoli (in
relazione alla posizione del PERHAM) che dagli imputati.
Nel corso del giudizio LETIZIA Giovanni rendeva a più riprese dichiarazioni spontanee, in
cui, ribadita l’ammissione degli addebiti fatta nella parte finale del dibattimento di primo grado,
scagionava dal reato i coimputati PERHAM e RUSSO, a suo dire inconsapevoli del progettato
omicidio del GRANATA.
Anche il DI RAFFAELE rendeva spontanee dichiarazioni, ammettendo le proprie
responsabilità.
Interveniva, infine, con la stessa modalità, SETOLA Giuseppe, sostanzialmente
ammettendo di aver conferito mandato a uccidere GRANATA Massimo e al contempo
rivendicando la propria estraneità alla decisione di assassinare il padre Raffaele.
All’esito del giudizio, la Corte territoriale, in parziale riforma della prima decisione:
– dichiarava PERHAM Loran John responsabile del reato a lui originariamente ascritto e lo
condannava, previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulle attenuanti comuni,
alla pena di diciotto anni e sei mesi di reclusione;
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1.1.1. Secondo le valutazioni della prima Corte, doveva ritenersi provato il ruolo di

- rideterminava la pena inflitta al SETOLA e al LETIZIA in quella dell’ergastolo, escluso
l’isolamento diurno;
– rideterminava la pena inflitta al DI RAFFAELE in quella di ventinove anni di reclusione,
previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle ritenute aggravanti comuni;
– dichiarava non doversi procedere nei confronti di SPAGNUOLO Oreste in ordine al reato
continuato in materia di armi a lui ascritto perché già giudicato e rideterminava la pena a lui
inflitta in dodici anni di reclusione;

La Corte napoletana sostituiva, inoltre, nei confronti del DI RAFFAELE la pena accessoria
della interdizione legale in perpetuo con quella dell’interdizione legale durante la pena.
Revocava nei confronti del medesimo le altre pene accessorie applicate. Infine, disponeva che,
a pena espiata, DI RAFFAELE, PERHAM e RUSSO fossero sottoposti alla misura di sicurezza
della libertà vigilata per la durata di tre anni.
Nel resto, la sentenza impugnata veniva confermata, con la condanna degli imputati
SETOLA, LETIZIA, DI RAFFAELE, SPAGNUOLO, RUSSO e PERHAM alla rifusione delle spese
sostenute nel giudizio dalle parti civili costituite, e del PERHAM anche al risarcimento dei danni
a beneficio delle medesime parti civili.
2.1. Partendo dalla posizione del SETOLA, la seconda Corte osservava che la decisione
punitiva del mandante era riferita all’intera famiglia GRANATA, che nel suo complesso gestiva
l’attività economica suscettibile di subire l’imposizione della tangente e che si rifiutava – con
l’atteggiamento di più di un componente – perfino di avere contatti, scacciando in modo netto
ed immediato chi si recava da loro a nome degli “amici”. Pertanto, la decisione assunta dal
LETIZIA di mutare vittima, lungi dall’essere un imprevedibile scostamento dalle istruzioni
impartite, rientrava pienamente nell’attuazione del programma dettato dal SETOLA, tanto che
la sua mancata adozione sarebbe stata da costui considerata una colpevole inadempienza.
2.2. La Corte territoriale confutava, poi, l’obiezione mossa dalla difesa del RUSSO circa
la consapevolezza da parte di costui dell’intento di LETIZIA e sodali.
Secondo i Giudici dell’appello non era credibile che il RUSSO, soggetto addentro alle
logiche malavitose e affiliato al clan, ricevendo alle sette di mattina la visita di cinque affiliati,
tra i quali due killer armati e latitanti, suggerisse – o accettasse il suggerimento – di avvalersi
del campeggio gestito dal cognato, senza essere messo al corrente dello scopo al quale sarebbe
servito. Non poteva trattarsi di semplice ospitalità o rifugio per i latitanti, data la presenza degli
altri tre soggetti (GAGLIARDI, AMATRUDI e DI RAFFAELE); il dispiegamento di mezzi e la
disponibilità di armi rendevano evidente il progetto di un’azione cruenta; la collocazione
dell’obiettivo doveva necessariamente essere stata rivelata al RUSSO, altrimenti non avrebbe
avuto senso l’individuazione della struttura del PERHAM.

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– assolveva CIRILLO Alessandro dai reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto.

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Inoltre, non era affatto plausibile – secondo la Corte di merito – che il RUSSO avesse
coinvolto il cognato senza che ve ne fosse una pressante necessità, scaturente proprio dalle
ragioni dell’ausilio richiestogli. Se quanto comunicatogli da LETIZIA, quale referente di SETOLA
e coordinatore del gruppo da lui giunto in quell’orario ed atteggiamento, non fosse stato di
particolare premura ed importanza, RUSSO avrebbe cercato di soddisfare la richiesta con
proprie risorse; la scelta di rivolgersi con urgenza al cognato, ottenerne l’assenso ed
accompagnare al campeggio quella compagine così schierata, chiaramente incaricata di

consapevolezza della rilevanza che l’espletamento rapido ed efficace di tale incombenza aveva
per il gruppo criminale. In altri termini, RUSSO si era rivolto al PERHAM perché non poteva
farne a meno in quanto era l’unico modo per riuscire a fare ciò che gli veniva chiesto
(assicurare una base logistica per l’omicidio GRANATA); la questione era nello stesso tempo
grave, importante ed urgente; non vi era spazio per alcuna remora.
Precisava la Corte di Assise di Appello che non erano, dunque, le mere asserzioni di
SPAGNUOLO ad accusare RUSSO.
Le affermazione degli altri collaboratori – benché non inerenti al contenuto di quanto
portato a sua conoscenza – non si ponevano in contrasto con esse. Comunque, confermavano
le linee essenziali dell’incontro con RUSSO a casa sua e della condotta da lui posta in essere
immediatamente dopo, fino ad assicurarsi che il gruppo avesse trovato, grazie a lui ed al
cognato da lui interessato, una base particolarmente idonea per l’azione rivolta contro il lido
“La Fiorente” ed il suo gestore.
La prova logica confermava la piena compartecipazione all’intento omicidiario, non
essendovi spiegazioni soddisfacenti del comportamento dell’imputato al di fuori della stringente
necessità di agevolare il compimento di una risoluzione particolarmente grave; agevolazione
cosciente e consapevole, non necessitata da minacce, ma derivante da ruoli e rapporti
dell’imputato con i correi, il che escludeva l’ipotizzabilità della scriminante di cui all’art. 54 c.p..
Né in questa ottica poteva attribuirsi rilievo determinante al mutamento di vittima,
deciso dopo l’accompagnamento al campeggio e l’allontanamento del RUSSO.
Infatti, anche in questo caso, la finalità perseguita era quella di impartire una clamorosa
e terribile lezione ad una impresa familiare, che, nel suo complesso, non si era piegata alle
richieste estorsive.
RUSSO, agevolando la spedizione criminale al lido “La Fiorente”, aveva voluto che
venisse colpito chi rappresentava quella struttura, accettando il rischio che, in luogo di Massimo
GRANATA, vi fossero altri; tutto ciò in maniera premeditata e funzionale agli interessi del clan.
2.3. Discostandosi dalle conclusioni della Corte di primo grado, la Corte di Assise di
Appello riteneva provato che PERHAM Loran John avesse concorso nell’omicidio.

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incombenza importante ed indifferibile da realizzare con uso di armi, denotava piena

Ad avviso della seconda Corte, non era determinante stabilire se il PERHAM avesse
accettato la richiesta del RUSSO previa comunicazione di quanto le persone destinate a
transitare per il campeggio avrebbero fatto. Certamente egli sapeva – per conoscenze
pregresse e per il logico contenuto minimale delle informazioni ricevute dal cognato – che si
trattava di appartenenti a gruppo camorristico; aveva anche immediatamente avuto percezione
delle armi, tanto da preoccuparsi di spostare i soggetti in un luogo meno suscettibile di
esposizione alla vista di clienti ed estranei. Era ugualmente certo che egli avesse notato

per informare LETIZIA e SPAGNUOLO dell’esito delle loro perlustrazioni.
Ciò che, soprattutto, rilevava era la dichiarazione fatta da AMATRUDI all’udienza del
28.3.2012 nel corso del dibattimento di primo grado secondo la quale, nel momento in cui il
dichiarante riferì a LETIZIA che all’interno del lido si trovava il solo GRANATA Raffaele e
LETIZIA decise di uccidere quest’ultimo, il PERHAM era presente ed ascoltava.
A giudizio della Corte partenopea, le dichiarazioni rese da SPAGNUOLO in altro
procedimento (c. Lubello + 41, udienza del 27.10.2010) poste a base della più favorevole
qualificazione giuridica adottata in primo grado, non si ponevano, di per sé, in contrasto con
quelle dell’AMATRUDI, in quanto riferivano una impressione soggettiva circa il grado di
comprensione del contenuto del dialogo prima menzionato tra LETIZIA e AMATRUDI da parte
del PERHAM, ma confermavano, in ogni caso, il fatto storico che, in presenza del PERHAM, si
parlò dell’omicidio e del cambio di vittima.
Il PERHAM, pur avendo visto che due persone erano armate, aveva fornito l’appoggio
richiesto, accompagnando gli staffettisti dai killer, ascoltandone i discorsi e comprendendo
certamente che il progetto di imminente attuazione era di forte impatto. Nulla aveva fatto per
ridimensionare quell’appoggio, non si tirò indietro, non formulò alcuna protesta o
recriminazione per sostenere che l’appoggio stesso non potesse spingersi fino alla copertura di
un siffatto progetto. Né valeva sostenere che, in tal caso, egli si sarebbe esposto alla reazione e
alle vendette dei suoi ospiti, atteso che si era posto in tale condizione volontariamente,
offrendo consapevolmente rifugio a latitanti armati e loro sodali impegnati in incombenza
unitaria.
Pertanto, ad avviso dei Giudici dell’appello, doveva ritenersi che il PERHAM avesse
aderito – almeno in un secondo momento, se non fin dalle informazioni inizialmente ricevute al proposito criminoso, persistendo nell’agevolare la rimozione di ostacoli logistici alla sua
realizzazione con la protrazione di ospitalità e copertura sia agli staffettisti che ai killer.
2.4. In ordine alla posizione di SPAGNUOLO Oreste, la Corte di merito, accolto il rilievo
difensivo sulla duplicazione della condanna per i reati in materia di armi e operata la relativa
decurtazione di pena, negava la concessione delle attenuanti generiche, osservando che la
scelta collaborativa non poteva comportare, di per sé, anche il riconoscimento di dette
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AMATRUDI e GAGLIARDI andare e venire dal lido “La Fiorente”, ritornando nel suo campeggio

attenuanti, in quanto, nella concreta fattispecie, i motivi che avevano determinato il reato e le
circostanze che lo avevano accompagnato si palesavano di gravità molto accentuata,
caratterizzando la personalità dell’imputato in maniera tale da non poter considerare la
condotta collaborativa rilevante a fini diversi da quelli ad essa propri.
2.5. Quanto alle posizioni del DI RAFFAELE e il LETIZIA, mentre la confessione del primo
veniva valutata dalla Corte di Napoli idonea a giustificare il riconoscimento delle attenuanti
generiche con giudizio di equivalenza alle contestate aggravanti, per quella del secondo, atteso

apodittica del ruolo di alcuni correi, andava esclusa siffatta idoneità, il che rendeva inevitabile
la condanna all’ergastolo dell’imputato.
3. Ha proposto ricorso per cassazione SETOLA Giuseppe, per il tramite del difensore,
deducendo violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla valutazione della responsabilità
concorsuale dell’imputato nell’omicidio di GRANATA Raffaele (artt. 125 c.p.p. e 110, 116, 575
c. p.).
La decisione e l’iniziativa di uccidere persona diversa da quella originariamente indicata
dal ricorrente fu presa dagli esecutori materiali in totale autonomia e senza alcun accordo con il
predetto.
La responsabilità del SETOLA andava, quindi, valutata alla stregua delle ordinarie norme
in tema di concorso di persone nel reato e, in particolare, secondo i criteri di cui all’art. 116
c. p..
Considerato che, sul preciso mandato a uccidere conferito dal ricorrente in danno di
GRANATA Massimo si era innestato, per la constatata assenza della vittima dal luogo della
prevista esecuzione, un nuovo programma omicidiarío ad opera dei correi LETIZIA e
SPAGNUOLO in danno di GRANATA Raffaele, non concordato, né approvato dal SETOLA, questi
non ne poteva rispondere né ai sensi dell’art. 110, né ai sensi dell’art. 116 c.p..
La responsabilità per concorso anomalo, invero, non discendeva da una semplice
connessione causale, ma presupponeva un collegamento psichico con l’evento così da integrare
la condizione di rimproverabilità coerente con l’art. 27 Cost. e con valutazione della
prevedibilità dell’evento operata in concreto, tenendo conto di tutte le circostanze della
dinamica delittuosa.
Nel caso di specie, il SETOLA non poteva prevedere che gli esecutori materiali si
sarebbero discostati dall’originario programma specificamente diretto all’uccisione di GRANATA
Massimo, né sapere che sul luogo del delitto sarebbe stato presente il padre della vittima
designata e non quest’ultima.
Nessuna circostanza era emersa dal processo per ritenere che l’imputato volesse,
comunque, la morte di “qualcuno”, posto che il progetto omicidiario prevedeva come unica
vittima GRANATA Massimo.
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il suo carattere strumentale alla tesi di una verità parziale, sostanziatasi nella negazione

Era, dunque, errato, sul piano logico-giuridico, il convincimento della Corte territoriale
secondo il quale, a prescindere da ogni prevedibilità o volontà dell’evento, era ravvisabile nella
condotta del SETOLA efficienza causale determinante di quanto effettivamente avvenuto e per
ciò solo doveva farsene discendere la sua responsabilità.
Ancor più errata si rivelava la motivazione laddove la Corte napoletana formulava una
propria ipotesi sulla volontà e sul mandato omicidiario riferibile indistintamente alla “famiglia
GRANATA” che superava e stravolgeva i dati processuali obiettivamente emersi.

denunciando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze
attenuanti generiche (artt. 125 c.p.p. e 62-bis c.p.).
Nell’atto di appello la difesa aveva insistito nella richiesta di concessione delle attenuanti
generiche, ponendo l’accento sugli elementi positivi valorizzati dalla stessa Corte di primo
grado quali il “ravvedimento dimostrato, la maturità raggiunta e il corretto comportamento
processuale”.
La motivazione della sentenza impugnata appariva incongrua e insoddisfacente, avendo
omesso qualsivoglia specifico apprezzamento sui fattori attenuanti indicati nell’interesse dello
SPAGNUOLO.
Pur nella consapevolezza che il diniego delle attenuanti generiche poteva essere fondato
anche su un solo elemento attinente alla personalità dell’imputato o alla gravità del reato ed
alle modalità attuative dello stesso, doveva evidenziarsi che il Giudice, nell’esercizio del suo
ampio potere discrezionale, non poteva prescindere in toto dalle specifiche considerazioni
mosse nell’interesse dell’imputato.
5. DI RAFFAELE Carlo ha proposto ricorso personale, lamentando violazione e falsa
applicazione degli artt. 62 bis, 69, 132 e 133 c.p.; carenza di motivazione.
Nel corso delle conclusioni rassegnate in udienza, la difesa aveva chiesto il
riconoscimento delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate
aggravanti, richiesta che la Corte di Assise di Appello aveva omesso di confutare.
Né il dato poteva essere disatteso in modo implicito dal corpo della motivazione, in
quanto in essa nulla si rinveniva rispetto al denegato giudizio di prevalenza.
La Corte di merito era, dunque, venuta meno al principio, già affermato dalla Suprema
Corte, secondo cui, qualora l’imputato abbia espressamente richiesto al Giudice dell’appello il
più favorevole giudizio di prevalenza delle attenuanti ex art. 69 c.p. sulle contestate
aggravanti, il Giudice di secondo grado deve espressamente motivare, emettendo, quindi, la
relativa declaratoria, ove la richiesta venga accolta ovvero motivare ove la richiesta venga
disattesa, sempre che nella parte motiva la richiesta stessa sia stata specificamente presa in
considerazione.

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4. Ha proposto ricorso per cassazione SPAGNUOLO Oreste, per il tramite del difensore,

6. Ha proposto ricorso per cassazione LETIZIA Giovanni, per il tramite del difensore,
contestando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego del riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche e con riguardo alla mancata indicazione dei criteri
utilizzati per la determinazione in concreto della pena.
La stessa Corte di Assise di Appello aveva dato atto in motivazione di una serie di
circostanze che, se valutate correttamente, avrebbero dovuto portare il Collegio ad operare una
prognosi positiva in merito al riconoscimento delle attenuanti generiche.

eccepire su un comportamento processuale irreprensibile connotato dalla partecipazione a tutte
le udienze e dalla formulazione di numerose dichiarazioni spontanee.
Andava ricordato che, in relazione al reato contestato, l’apporto processuale identico
fornito da altro imputato (DI RAFFAELE) era stato valutato “chiarificatore e comunque tale da
rappresentare indubitabile conferma degli elementi di accusa provenienti aliunde”.
Tuttavia, la Corte aveva descritto l’apporto confessorio del LETIZIA “condizionato da
preoccupazioni che esula(va)no dal riconoscimento della propria responsabilità”, differenziando
in modo incomprensibile rispetto al coimputato dette dichiarazioni confessorie affermando che il
ricorrente si “(era) limita(to) ad ammettere la propria generica colpevolezza”.
Dunque, la Corte di Assise di Appello, non tenendo in debita considerazione le
circostanze sinora rappresentate, aveva “dimostrato di seguire logiche improntate ad un
eccessivo giustizialismo e alla strumentalizzazione dell’individuo” pervenendo all’irrogazione di
una sanzione secondo una misura non giustificata sul piano giuridico a detrimento della
funzione risocializzante della pena che la Costituzione prevede ed impone.
7. Ha proposto ricorso per cassazione RUSSO Ferdinando per il tramite del difensore.

7.1. Con il primo motivo, si deducono difetto di motivazione e violazione di legge con
riferimento alla valutazione di attendibilità dello SPAGNUOLO (artt. 546 e 192 c.p.p., 575 c.p.).
La Corte di Assise di Appello non aveva rivalutato gli argomenti addotti a sostegno della
condanna in raffronto con le doglianze esposte nei motivi di appello, ma si era limitata a
ripiegare sulla motivazione del primo Giudice, dando per scontata l’attendibilità dell’unico vero
“pentito” accusatore, SPAGNUOLO Oreste.
La diffusa rassegna giurisprudenziale operata dalla Corte non poteva valere, in concreto,
a dare per scontata l’attendibilità intrinseca ed estrinseca del propalante.
Sul tema, la valutazione dei Giudici di primo grado, poi acriticamente recepita da quelli
dell’appello, appariva piuttosto superficiale perché basata in modo autoreferenziale sulla
dichiarazione dello stesso collaborante, che aveva affermato di non voler rompere i legami
affettivi con la propria famiglia; mentre, quanto ai delitti di cui si era assunta la diretta
paternità, si trattava di affermazione di non particolare rilievo, essendo notorio che lo
SPAGNUOLO fosse affiliato al clan dei casalesi, fazione Bidognetti.
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In sentenza, invero, si era dato atto della confessione del LETIZIA e nulla si poteva

Inoltre, la Corte territoriale aveva trascurato come dichiarazioni di altri collaboranti
contrastassero con quelle dello SPAGNUOLO così da potersi desumere, quanto meno in termini
di ragionevole dubbio, che il RUSSO non fosse stato informato del progetto omicidiario relativo
alla persona del GRANATA. D’altra parte, quest’ultimo venne ucciso al posto di un altro
soggetto per una estemporanea risoluzione dell’ultim’ora, che sicuramente non poteva rientrare
nelle conoscenze e nella volontà del ricorrente.
I Giudici dell’appello avevano ignorato le contraddizioni emerse dal narrato dei

quale, ammessa la propria responsabilità, aveva escluso quella del RUSSO e del PERHAM,
affermando che costoro non erano stati informati sulle ragioni finali del loro coinvolgimento
nella vicenda.
Infine, nella specie, mancavano del tutto i riscontri individualizzanti.

7.2. Con il secondo motivo, si denunciano difetto di motivazione e violazione di legge
ancora in riferimento all’attendibilità dello SPAGNUOLO ed ai riscontri individualizzanti (artt.
546 e 192 c.p.p., 575 c.p.).
Oltre a non dare atto delle contraddizioni esistenti tra le dichiarazioni dello SPAGNUOLO
e quelle degli altri collaboranti (FASANO, CAMPIANO, TARTARONE, BORRIELLO MONTANINO e
DIANA), la Corte era incorsa in carenza di motivazione sul contributo causale fornito dal RUSSO
nella commissione del delitto.
Secondo la sentenza, l’appoggio si sarebbe concretizzato nella riunione asseritarriente
svoltasi presso l’abitazione del RUSSO ed alla quale avrebbero partecipato gli esecutori
dell’assassinio LETIZIA e SPAGNUOLO.
Quest’ultimo, tuttavia, nonostante le specifiche domande postegli, non aveva spiegato le
circostanze e le modalità che sarebbero state chiarite al RUSSO per chiederne l’appoggio.
Lo SPAGNUOLO, dunque, assevera, non spiega, ed è esplicitamente smentito dal
LETIZIA e implicitamente da tutti gli altri dichiaranti.
Il Giudice d’appello, ignorando tutte le censure dedotte sul punto con i motivi di
gravame, aveva dato per assodato che l’azione delittuosa fosse stata concretizzata dal gruppo
dapprima raggiungendo la masseria del RUSSO e, quindi, con la sua mediazione, il campeggio
del PERHAM, base operativa perché prossima allo stabilimento balneare dove avvenne
l’omicidio.
Su tale ultima circostanza, oltre tutto, la Corte si era espressa in forma dubitativa,
affermando che il RUSSO o il LETIZIA avrebbero avuto l’idea di appoggiarsi al campeggio del
PERHAM, dubbio, che, poi, il LETIZIA aveva sciolto scagionando il correo.
I Giudici, disattendendo tutto ciò, avevano dato per scontato che il RUSSO sapesse e
che avrebbe partecipato fornendo l’appoggio presso il campeggio, senza valorizzare alcun
elemento di riscontro individualizzante e articolando una serie di congetture, come, ad
10

collaboranti e, soprattutto, il contenuto delle dichiarazioni rese dal coimputato LETIZIA, il

esempio, quella di ritenere non plausibile che il ricorrente avesse coinvolto il cognato senza che
vi fosse una pressante necessità derivante dalle ragioni dell’ausilio richiestogli.
7.3. Con il terzo motivo, ci si duole di difetto di motivazione e violazione di legge in
punto di uccisione di persona diversa da quella designata (artt. 546 e 192 c.p.p., 575 c.p.).
Secondo i Giudici di merito non poteva attribuirsi rilievo al mutamento della vittima,
deciso senza la presenza e la diretta consapevolezza del RUSSO, in quanto la finalità perseguita
con l’omicidio era quella di impartire una clamorosa lezione ad una impresa familiare che non

quanto l’intera gestione del lido nella sua collettività.
Tale argomentazione si sostanziava in una non condivisibile forzatura.
Se era stata uccisa una persona diversa da quella asseritamente concordata con il
RUSSO, mentre quest’ultima non veniva eliminata, è evidente che il contributo causale, ma,
soprattutto, l’elemento soggettivo del reato non potesse essere addebitato a chi non sapeva né
aveva mostrato di volere che quella persona specifica fosse assassinata.
Di certo, nella specie non poteva farsi riferimento ad una ipotesi di

aberratio di cui

all’art. 82 c.p., non essendo riconducibile l’omicidio commesso ad un errore nei mezzi di
esecuzione, ma ad una scelta consapevole da parte dell’esecutore materiale del reato.
Richiamato il dibattito giurisprudenziale sull’esigenza di ancorare lo statuto della
causalità a parametri più rigorosi (viene citata la sentenza delle S.U. 10.7.2002, Franzese), il
difensore del ricorrente stigmatizza che si sia irrogata una pena di ventotto anni di reclusione
sostanzialmente eludendo il problema del nesso causale.
Del pari trascurato il tema del concorso di persone nel reato nei termini più volte fissati
dalla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui, pur nell’elasticità della formulazione
normativa dell’istituto, doveva considerarsi indispensabile che la condotta di ogni concorrente
fosse individuata e dimostrata, ovvero che fossero ben definiti i comportamenti fattuali di
ciascuno in relazione soggettiva ed oggettiva con gli altri, rispetto al risultato.
Il capo d’imputazione, così com’era costruito, non corrispondeva a queste regole e non
era proponibile sul piano di un accordo finalistico comune, vista la diversità della persona
uccisa.
7.4. Con il quarto motivo, il difensore del ricorrente insiste per la rinnovazione
dibattimentale ex art. 603 c.p.p. e, comunque, per l’esercizio dei poteri decisori della Corte
circa l’opportunità di ascoltare il RUSSO, il PERHAM e tutti gli altri dichiaranti, compreso lo
SPAGNUOLO, al fine di consentire al Giudice d’appello di valutare non sulle carte, ma in seguito
a un dibattito orale ogni eventuale responsabilità.
7.5. Con il quinto motivo, infine, si eccepiscono difetto di motivazione e violazione di
legge in relazione all’eccessività della pena ed all’applicazione della libertà vigilata.

11

sottostava alle richieste del pizzo, nel senso che l’obiettivo non era tanto la persona da uccidere

JI0

La Corte territoriale, pur avendo riconosciuto la marginalità del ruolo del RUSSO, aveva
escluso del tutto immotivatamente dalla comparazione tra le attenuanti e le aggravanti la
circostanza dell’agevolazione del sodalizio criminoso, dal che discendeva una pena
ingiustamente eccessiva.
La misura di sicurezza della libertà vigilata era stata, poi, inflitta su considerazioni
generiche e congetturali circa la presunta pericolosità sociale del ricorrente, in particolare circa
il fatto che egli non avesse dimostrato un distacco dalle frequentazioni criminali.

dall’imputato e dal suo difensore.
8.1. Con il primo motivo, deduce nullità dell’ordinanza in data 22.5.2014 e della
sentenza impugnate per violazione di legge e/o erronea applicazione dell’art. 161, comma 4,
c.p.p. con riferimento all’omessa notificazione all’imputato del decreto di citazione per il
giudizio d’appello.
Con l’ordinanza pronunciata all’udienza del 22.5.2014, la Corte territoriale aveva
disposto procedersi in assenza del PERHAM, ritenendo che il decreto di citazione per il giudizio
d’appello fosse stato validamente notificato ai difensori ai sensi dell’art. 161, comma 4, c.p.p.,
in quanto il tentativo di eseguire la notificazione al domicilio da lui dichiarato al momento della
scarcerazione – cioè, “Pozzuoli, via Montenuovo Licola Patria n. 118” – era risultato vano a
causa dell’inidoneità e/o insufficienza di detta dichiarazione e rigettando, così, l’eccezione
preliminare sollevata sul punto dalla difesa.
Tale decisione doveva considerarsi viziata da un errore di diritto.
Invero, al contrario di quanto ritenuto dalla Corte di merito, il domicilio dichiarato dal
PERHAM all’atto della sua scarcerazione non era né insufficiente, né inidoneo ai fini della
notificazione, bensì diverso da quello dove l’Ufficiale giudiziario aveva tentato di eseguire
l’adempimento, ma inutilmente, avendovi rinvenuto un ristorante.
In particolare, il PERHAM aveva indicato “Località Licola via Montenuovo 118 Pozzuoli”,
indicazione suffragata dal certificato anagrafico prodotto all’udienza del 22.5.2014 dal quale
risultava la residenza dell’imputato nel comune di Pozzuoli, alla “via Montenuovo Licola Patria
118 Esp. A, int. 1”.
Pur essendo prive delle specificazioni “Esp. A, int. 1”, le indicazioni fornite dall’imputato
al momento della sua scarcerazione sarebbero state idonee e sufficienti a individuare con
precisione il luogo – corrispondente alla sua residenza anagrafica – cui intendeva fare
riferimento e a consentire che egli ricevesse la notifica del decreto di citazione per il giudizio, se
l’Ufficiale giudiziario non avesse errato nell’individuarlo nel civico 118 della via Montenuovo
della località Licola del comune di Pozzuoli anziché nel civico 118 della via Montenuovo Licola
Patria del suddetto comune e avesse effettuato le ulteriori ricerche del caso.

12

8. Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di PERHAM John Loran è sottoscritto

8.2. Con il secondo e il terzo motivo, si denunciano vizio di motivazione e violazione
dell’art. 192 c.p.p. e degli artt. 110 e 43 c.p. in relazione alla prova del concorso dell’imputato
nell’omicidio GRANATA anche sotto il profilo della sussistenza della prova del dolo.
Senza procedere alla rinnovazione, nemmeno parziale, dell’istruttoria dibattimentale, la
Corte di Assise di Appello di Napoli aveva, sulla base di una diversa parziale valutazione delle
sole stesse dichiarazioni dell’AMATRUDI e dello SPAGNUOLO che erano state prese in
considerazione dalla prima Corte per giungere ad opposta conclusione, dichiarato il PERHAM

in proposito dall’AMATRUDI decisive in tal senso e non di per sé in contrasto con quanto
dichiarato dallo SPAGNUOLO, il quale aveva confermato il fatto storico che, in presenza del
PERHAM, si era parlato dell’omicidio e del cambio di vittima, aggiungendo, quale impressione
soggettiva sulla quale non poteva fondarsi una conclusione favorevole al PERHAM, di non poter
garantire che il correo avesse realmente compreso ciò che il LETIZIA e lo SPAGNUOLO si
stavano accingendo a fare.
Tale motivazione era inficiata da grave insufficienza e contraddittorietà sul piano della
logica.
Non poteva, infatti, non rilevarsi:
– che dalle dichiarazioni dell’AMATRUDI, giudicate fondamentali dalla Corte di secondo
grado, poteva, al più, ricavarsi che il PERHAM fosse presente all’interno del container dove
aveva in precedenza fatto sistemare il LETIZIA e lo SPAGNUOLO quando si svolse la discussione
avente ad oggetto la comunicazione, da parte del LETIZIA, della propria decisione di uccidere
Raffaele anziché Massimo GRANATA, non anche che il ricorrente avesse ascoltato e compreso,
o, quanto meno, avesse detto o fatto qualcosa da cui poter desumere con certezza che avesse
ascoltato e compreso il contenuto di quella discussione;
– che, pertanto, la certezza a quest’ultimo proposito espressa dalla Corte partenopea
non poteva dirsi superiore ad ogni ragionevole dubbio, giacché si fondava su un’illazione del
tutto priva dei necessari riscontri logico-fattuali, questi non potendo rinvenirsi né nelle predette
dichiarazioni dell’AMATRUDI, né nelle dichiarazioni rese il 27.10.2010 nell’ambito di altro
processo dallo SPAGNUOLO, che apparivano vaghe e imprecise quanto alle discussioni
intercorse tra lo stesso dichiarante e i correi LETIZIA, AMATRUDI, DI RAFFAELE e GAGLIARDI
alla presenza del PERHAM.
Già alla luce di queste considerazioni era palese l’insufficienza della motivazione della
sentenza impugnata a fondare l’affermazione di responsabilità del PERHAM.
Ancora più evidente era la contrarietà della decisione ai principi del giusto processo
dettati dall’art. 6 della Convenzione EDU, recepiti dalla nostra giurisprudenza costituzionale e di
legittimità, alla stregua dei quali il Giudice dell’appello non può dichiarare colpevole un
imputato che sia stato assolto in primo grado:
13

colpevole di aver concorso nell’omicidio di Raffaele GRANATA, giudicando le dichiarazioni rese

-

giudicando attendibili o inattendibili le stesse dichiarazioni in ordine alla cui

attendibilità il Giudice di primo grado abbia espresso un diverso avviso, qualora non abbia
prima proceduto ad esaminare direttamente i loro autori;
– sulla base di una motivazione dotata di un’efficacia persuasiva eguale od addirittura
inferiore, secondo il metro della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio, a quella della
motivazione della sentenza di primo grado e, in particolare, che non sia idonea a dimostrare
l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo

della decisione emergenti dalle risultanze probatorie, compresi quelli eventualmente trascurati
dal primo giudice.
La violazione di tali principi da parte della Corte di Assise di Appello diventava addirittura
eclatante alla luce delle molteplici risultanze probatorie rilevanti ai fini dell’accertamento del
ruolo che il PERHAM ebbe effettivamente nell’omicidio GRANATA e che la Corte aveva
immotivatamente del tutto omesso di prendere in considerazione.
Risultavano, in particolare, trascurate:
– le dichiarazioni rese dall’AMATRUDI il 6.4.2011 nell’ambito di altro procedimento
svoltosi davanti al Tribunale di S. Maria Capua Vetere (n. 1925/08, il cui verbale era stato
ritualmente acquisito in primo grado), secondo le quali il PERHAM non era presente alla
discussione nel corso della quale si decise di dirigere l’azione onnicidiaria contro Raffaele
GRANATA;
– le dichiarazioni dello stesso tenore rese dal GAGLIARDI al Procuratore della Repubblica
di Napoli il 7.5.2009 e davanti al Tribunale di S. Maria Capua Vetere nell’ambito del diverso
procedimento n. 1925/08 (lo stesso di AMATRUDI) il 24.11.2010 ed il 10 dicembre 2010
(acquisite nel presente processo);
– le dichiarazioni rese nel presente processo dallo SPAGNUOLO il 17.2.2012, ancora circa
la mancanza di consapevolezza, da parte del PERHAM, del progetto omicidiario di imminente
realizzazione;
– le dichiarazioni rese dallo SPAGNUOLO in data 27.10.2010 nell’ambito di altro
procedimento, dalla cui integrale lettura emergeva chiaramente che i dubbi manifestati dal
dichiarante sulla consapevolezza da parte del PERHAM delle intenzioni criminali delle persone
che questi aveva fatto accedere nel campeggio da lui gestito non costituivano affatto il frutto di
una mera impressione soggettiva del propalante, ma si fondavano su ben precise circostanze di
fatto;
– le dichiarazioni spontaneamente rese dal LETIZIA all’udienza del 12.6.2014 per
segnalare, tra l’altro, l’estraneità del PERHAM e del RUSSO all’omicidio del GRANATA.
In definitiva, la Corte di Assise di Appello aveva ribaltato il giudizio di primo grado in
ordine alla corresponsabilità del PERHAM:
14

grado con una completa, rigorosa e penetrante analisi critica di tutti gli elementi rilevanti ai fini

- sulla base di solo alcune delle dichiarazioni rese sul punto dall’AMATRUDI e dallo
SPAGNUOLO, acquisite e dichiarate utilizzabili in primo grado, e, per di più, traendone certezze
che, secondo logica e secondo quanto disposto dall’art. 192 c.p.p., non potevano essere tratte
ed illogicamente svilendo gli elementi di segno contrario emergenti dalle dichiarazioni rese dallo
SPAGNUOLO;
– senza aver proceduto ad un nuovo esame dell’AMATRUDI e dello SPAGNUOLO;
– immotivatamente ignorando le ulteriori dichiarazioni rese dagli stessi AMATRUDI e

segno contrario e che pure erano state ritualmente acquisite al processo, nonché le
dichiarazioni spontaneamente rese in appello dal LETIZIA.
Il che già bastava per concludere per la totale inidoneità dell’apparato argomentativo
della sentenza impugnata a dare ragione dell’affermazione di colpevolezza del PERHAM come
concorrente nell’omicidio di Raffaele GRANATA.
D’altro canto, anche a voler ammettere che il PERHAM fosse stato presente alla
menzionata riunione in cui si decise di cambiare obiettivo e avesse compreso il contenuto di
quella discussione, egli, da quel momento, non aveva tenuto alcuna condotta positiva
suscettibile di essere apprezzata come concausa dell’omicidio.
Il PERHAM, cioè, allorché apprese delle intenzioni omicidiarie dei suoi ospiti, passò,
repentinamente e inopinatamente, dalla posizione di complice ignaro a quella di complice
consapevole, ma ormai inutile, degli autori del delitto.
Né prima, né dopo quel momento, dunque, egli ebbe quella posizione di complice
consapevole ed utile agli autori del delitto necessaria al fine di predicare una sua responsabilità
quale concorrente nell’omicidio di Raffaele GRANATA.
La condotta meramente passiva nella specie tenuta dal PERHAM non era ormai più
idonea a fornire, e in effetti non fornì, alcun apprezzabile contributo causale alla realizzazione
del suddetto omicidio e, anche a voler ritenere il contrario, sarebbe stata giustificata
dall’inesigibilità di un comportamento oppositivo agli sviluppi del piano criminoso dei suoi ospiti,
così ricadendo sotto l’orbita scriminante della legittima difesa o dello stato di necessità.
9. In data 27.10.2015 è stata depositata memoria integrativa nell’interesse del PERHAM
a firma degli avvocati STRAVINO e COPPOLA che, nella sostanza, ricalca i motivi dedotti in
ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Vanno dichiarati inammissibili i ricorsi proposti da LETIZIA Giovanni e SPAGNUOLO
Oreste.

15

I

SPAGNUOLO e tutte le dichiarazioni rese dal GAGLIARDI che fornivano chiare indicazioni di

1.1. LETIZIA Giovanni contesta la mancata concessione delle attenuanti generiche in
suo favore, dolendosi di una pretesa disparità di trattamento riservatagli dalla Corte di Assise di
Appello rispetto alla posizione del DI RAFFAELE, reo confesso come il LETIZIA, ma, al contrario
di quest’ultimo, premiato dalla concessione delle suddette attenuanti.
Le censure peccano di aspecificità sotto il profilo del difetto di correlazione con le
argomentazioni svolte dalla Corte partenopea e si rivelano, comunque, manifestamente
infondate.

generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli
o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento
a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da
tale valutazione (ex plurimis, Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n.
34364 del 16/6/2010, Rv. 248244; Sez. 2, n. 2285 dell’ 11/10/2004, Rv. 230691).
Nel caso di specie, la Corte di Assise di Appello, con motivazione del tutto congrua, ha
attribuito alla confessione resa dal LETIZIA carattere strumentale alla tesi di una verità
parziale, nella quale assumeva rilievo soprattutto la negazione dei ruoli svolti dai correi RUSSO
e PERHAM, negazione che, oltre tutto, il dichiarante faceva discendere dalle proprie mere
asserzioni, senza fornire un racconto completo dei fatti alla stregua del quale poter verificare
coerenza e logicità delle asserzioni medesime.
Tale tipologia di confessione, secondo le logiche considerazioni della Corte di merito, non
poteva rivestire valenza sintomatica della propria resipiscenza e della consapevole volontà di
non sottrarsi alle personali responsabilità e, quindi, non giustificava la concessione delle
attenuanti generiche.
Altro elemento giustamente vagliato dalla Corte di secondo grado in senso ostativo alla
concessione delle invocate attenuanti era costituito dalla particolare rilevanza del ruolo svolto
dal ricorrente nella vicenda – il che lo differenziava ulteriormente dal DI RAFFAELE- in quanto
il LETIZIA era stato il coordinatore del gruppo di fuoco, l’esecutore materiale dell’omicidio e il
soggetto che aveva deciso di non desistere dal proposito delittuoso anche dopo aver constatato
l’assenza della vittima designata GRANATA Massimo.
A fronte di una decisione congrua e del tutto scevra da vizi logici, il ricorso del LETIZIA,
come già accennato, si limita a muovere censure di carattere generico, in fatto e senza
confrontarsi con la complessiva trama motivazionale del provvedimento impugnato.
1.2. Ad analoghe conclusioni deve giungersi per la posizione del ricorrente SPAGNUOLO.
Anche in tal caso la motivazione sul diniego delle richieste attenuanti generiche non
presta il fianco a censure apprezzabili in sede di legittimità, avendo posto in rilievo, con
argomentare sintetico ma adeguato sul piano logico, la particolare gravità dei motivi che
avevano determinato il reato e le circostanze che lo avevano accompagnato, elementi che si
16

Occorre rammentare che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti

riflettevano in modo assai negativa sulla personalità dell’imputato

(“esecutore della

soppressione di un innocente, a lui sconosciuto, soltanto perché incaricatone nell’ambito della
sua appartenenza al gruppo criminale, le cui scelte venivano da lui acriticamente recepite ed
attuate con zelo”: pag. 12 sentenza impugnata), così da non poter considerare la sua condotta
collaborativa rilevante a fini diversi da quelli ad essa propri.
Il ricorso sviluppa censure che rimangono sul piano della genericità e assertività, senza
tradursi in argomentati rilievi critici dell’apparato motivazionale.

Si ritiene destituita di fondamento la censura con cui si contesta carenza di motivazione
in ordine alla richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche con carattere di prevalenza
sulle contestate aggravanti.
Per stessa ammissione del ricorrente, con il gravame di merito non era stato devoluto al
giudice dell’appello il tema relativo alla concessione delle attenuanti generiche prevalenti, poi
(tardivamente) sollevato in sede di discussione nel giudizio d’impugnazione.
Va, ricordato, sul piano dei principi, che, ai sensi dell’art. 597, comma 5, c.p.p., il potere
del giudice d’appello di applicare, anche ex officio, le predette misure si pone come eccezionale
rispetto al principio generale, dettato dal primo comma dello stesso art. 597, secondo il quale
l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai
punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti, e che, conseguentemente, il
mancato esercizio di tale potere non è censurabile in cassazione, né è configurabile in proposito
un obbligo di motivazione, in assenza di una specifica richiesta, oltre che nei motivi di appello,
nel corso del giudizio di secondo grado (Sez. 1, n. 8558 del 2/5/1997, Chiavaroli, Rv. 208572;
Sez. 6, n. 13911 del 6/2/2004, P.G. in proc. Addala, Rv. 229214).
Tuttavia, deve rilevarsi, come, nel caso di specie, la Corte di merito, laddove riporta la
richiesta dell’appellante volta ad ottenere la concessione delle attenuanti generiche “nella
massima ampiezza”, si sia, comunque, fatta carico della questione – ritenuta implicita in detta
richiesta – del giudizio di prevalenza delle stesse, risolvendolo, peraltro, negativamente per la
tardività della confessione resa dall’imputato (“nonostante la sua collocazione in fase molto
avanzata del giudizio”).
Trattasi di motivazione sintetica, ma ragionevole, che resiste ai rilievi del ricorrente.
3. Va respinto in quanto infondato il ricorso proposto nell’interesse di SETOLA Giuseppe.
L’impugnazione prospetta la tesi secondo la quale, atteso che, sul preciso mandato a
uccidere conferito dal ricorrente in danno di GRANATA Massimo (circostanza pacificamente
accertata nel giudizio e addirittura rivendicata dall’imputato) si era innestato, per la constatata
assenza della vittima dal luogo della prevista esecuzione, un nuovo programma omicidiario ad
opera dei correi LETIZIA e SPAGNUOLO in danno di GRANATA Raffaele, non concordato, né

17

2. Il ricorso proposto da DI RAFFAELE Carlo è infondato e va, pertanto, rigettato.

approvato dal SETOLA, questi non ne potesse rispondere né ai sensi dell’art. 110, né ai sensi
dell’art. 116 c.p..
Sotto quest’ultimo profilo, la difesa del ricorrente deduce che questi non potesse
prevedere che gli esecutori materiali si sarebbero discostati dall’originario programma
specificamente diretto all’uccisione di GRANATA Massimo, né sapere che sul luogo del delitto
sarebbe stato presente il padre della vittima designata e non quest’ultima.
Era, dunque, errato, sul piano giuridico, attribuire al SETOLA la responsabilità

volontà dell’evento da parte sua.
La tesi difensiva dev’essere disattesa.
Occorre brevemente ricordare che la componente psichica del cd. “concorso anomalo” per il quale il concorrente di un reato ne risponde anche quando sia diverso da quello voluto, se
l’evento è conseguenza della sua condotta – si colloca in un’area compresa tra la mancata
previsione di uno sviluppo in effetti imprevedibile (situazione nella quale la responsabilità resta
esclusa), e l’intervenuta rappresentazione dell’eventualità che il diverso evento potesse
verificarsi, anche in termini di mera possibilità o scarsa probabilità (situazione nella quale si
realizza un’ordinaria fattispecie concorsuale su base dolosa).
La norma dell’art. 116 cod. pen. si applica dunque quando l’imputato, pur non avendo
previsto la commissione del diverso illecito da parte dei concorrenti, avrebbe potuto
rappresentarsene l’eventualità quale sviluppo logicamente prevedibile della condotta
concordata da parte di un soggetto di normale intelligenza e cultura media, secondo regole di
ordinaria coerenza dello svolgersi dei fatti umani, non interrotta da fattori accidentali e
imprevedibili (Sez. 6, n. 7388 del 13/1/2005, P.G. in proc. Lauro, Rv. 231460).
Sono, quindi, necessarie due condizioni negative: che l’evento diverso non sia stato
voluto neanche sotto il profilo del dolo alternativo od eventuale, perché altrimenti sussisterebbe
la responsabilità di cui all’art. 110 cod. pen., e che l’evento più grave concretamente realizzato
non sia conseguenza di fattori eccezionali, sopravvenuti, meramente occasionali e non
ricollegabili eziologicamente alla condotta criminosa di base, non prevedibili da parte
dell’agente (Sez. 1, n. 37940 del 24/10/2006, De Cristofaro e altro, Rv. 235427).
E’ stato efficacemente precisato che la diversità di disciplina che caratterizza l’aberratio
delicti plurilesiva ex art. 83, secondo comma, cod. pen. e la deviazione individuale del piano
concordato, disciplinato dall’art. 116 nell’ambito del concorso di persone, e l’impossibilità di
applicare alla ipotesi di realizzazione cumulativa la regola contenuta nel secondo comma
dell’art. 83, si spiega considerando che nell’ipotesi di concorso, contrariamente a quanto
avviene nella realizzazione monosoggettiva, il concorrente, che affida ad altri (o anche ad altri)
il dominio dell’accadimento, necessariamente si rappresenta, in relazione anche alla natura del
reato concordato, che taluno dei partecipi possa andare oltre i limiti dell’accordo o che prenda
18

dell’omicidio di GRANATA Raffale ai sensi dell’art. 116 c.p. a prescindere da ogni prevedibilità o

di sua iniziativa delle decisioni autonome per superare le difficoltà, che possono insorgere
durante l’esecuzione dell’impresa criminosa. Di conseguenza, qualora il reato diverso,
commesso dall’esecutore materiale, si prospetti come lo sviluppo logico e prevedibile dello
accordo criminoso, nell’evolversi delle situazioni umane, egli risponde anche di tale reato a
titolo di dolo e la pena per esso prevista, è diminuita, ove il reato realizzato sia più grave (Sez.
1, n. 5250 del 27/4/1987, dep. 30/4/1988, Guarino, Rv. 178264).
La Corte di Assise di Appello di Napoli si è correttamente attenuta agli enunciati principi,

eseguito non è stato “più grave” di quello originariamente concordato (si è trattato sempre di
un omicidio), ma ha colpito una vittima diversa da quella designata (e, dunque, è stato un
reato “diverso” da quello “voluto”).
Il ragionamento svolto dalla Corte partenopea nell’escludere il carattere di
imprevedibilità (più dettagliatamente esposto al paragrafo 2.2. della superiore esposizione in
fatto), rispetto all’originario mandato del SETOLA, della decisione assunta dal LETIZIA (e
condivisa dallo SPAGNUOLO) di uccidere GRANATA Raffaele in luogo di GRANATA Massimo non
presta il fianco a censure, poiché risulta ancorato a un complesso di considerazioni pienamente
plausibili e, comunque, non manifestamente illogiche, che tengono conto della finalità
cinicamente ritorsiva dell’agguato – volto a punire, secondo consolidate strategie
camorristiche, l’imprenditore che si è rifiutato di pagare il “pizzo” – della connotazione familiare
dell’impresa (coinvolgente sia GRANATA padre che i figli), del rifiuto di pagare la “tangente”
opposto in passato ai malavitosi da GRANATA Raffaele e dell’indifferibilità dell’azione delittuosa,
che indusse il LETIZIA a escludere di “ritirarsi a mani vuote”, facendo “una brutta figura nei
confronti di SETOLA”.
Deve reputarsi, pertanto, coerente, alla stregua delle premesse considerazioni, l’approdo
cui è pervenuta la Corte di merito nel ritenere, alla stregua degli elementi considerati,
attribuibile al ricorrente, quale prevedibile sviluppo dell’originario accordo criminoso, la
esecuzione dell’omicidio di GRANATA Raffaele, diverso da quello voluto (di GRANATA Massimo)
ma giudicato equipollente nell’ottica della ritorsione camorristica (tesa a colpire un’impresa
familiare), avendo il SETOLA, nell’affidare ad altri il “dominio” dell’accadimento, assunto
consapevolmente anche il rischio di un’iniziativa autonoma da parte dell’incaricato del delitto,
finalizzata a superare l’insorgere di una difficoltà nel corso dell’esecuzione del mandato;
decisione che non poteva, perciò, costituire un imprevedibile, eccezionale scostamento dalle
istruzioni impartite.
4. E’ infondato anche il ricorso proposto nell’interesse di RUSSO Ferdinando.
4.1. Sono, in primo luogo, destituite di fondamento le censure dedotte, nei primi due
motivi, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, afferenti alla
valutazione della chiamata in correità di SPAGNUOLO Oreste.
19

applicando la disciplina del concorso anomalo in relazione ad una fattispecie in cui il reato

Occorre premettere che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la
struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare
un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le
censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando
frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e
nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418
del 16/7/2013, Argentieri, Rv. 257595).

sovente richiamo, avendoli pienamente condivisi, agli elementi di prova valutati dal primo
Giudice, anche con riferimento alla chiamata in correità dello SPAGNUOLO ed alla valutazione in
termini di attendibilità intrinseca ed estrinseca del suo narrato, inclusa l’analisi degli elementi di
riscontro.
Non corrisponde al vero che la seconda Corte di merito abbia “dato per scontata”
l’attendibilità del collaborante, “accontentandosi” delle sue “autoreferenziali” dichiarazioni e non
curandosi delle “contraddizioni” esistenti con le propalazioni rese dagli altri collaboratori di
giustizia FASANO, CAMPIANO, TARTARONE, BORRIELLO MONTANINO e DIANA.
La valutazione della soggettiva credibilità dello SPAGNUOLO formulata dalla Corte di
Assise sammaritana e fatta propria dai Giudici dell’appello riposa, infatti, sul corretto
apprezzamento sia del movente familiare (la volontà di non perdere i legami affettivi con la
propria famiglia), sia del rilevante contributo alle indagini relative a molteplici episodi delittuosi
ascrivibili alla fazione “bidognettiana” del clan dei casalesi, offerto dall’imputato indicando gli
autori di 22 omicidi e assumendosi la paternità di circa 10-12 omicidi, contributo che è stato
riconosciuto giudizialmente attraverso il riconoscimento, in tre occasioni (la tentata strage del
18.8.2008, la strage di Castelvolturno del 18.9.2008 e l’estorsione in danno del lido “La
Fiorente” consumata dopo l’uccisione di GRANATA Raffaele), della diminuente di cui all’art. 8 L.
n. 203/91 (v. pag. 34 sentenza di primo grado).
Palesemente infondato il rilievo sulla pretesa contraddizione tra il narrato dello
SPAGNUOLO e quello dei collaboranti FASANO, CAMPIANO, TARTARONE, BORRIELLO
MONTANINO e DIANA.
Invero, in tanto può parlarsi di “contraddizione”, in quanto più fonti dichiarative abbiano
riferito, in modo diverso (in tutto o in parte), sullo stesso episodio.
Tuttavia, non risulta in alcun modo, dal corpo delle due decisioni di merito, che i
dichiaranti menzionati dalla difesa del RUSSO abbiano mai reso propalazioni sull’omicidio
GRANATA, né la difesa, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, si è fatta carico di
fornire o incorporare nell’atto impugnatorio gli eventuali brani d’interesse.
Del resto, si rileva dalla decisione di prime cure che ben tre dei dichiaranti indicati dal
ricorrente (CANGIANO, BORRIELLO MONTANINO e DIANA) entrarono a far parte del gruppo
20

La Corte di Assise di Appello, nel confermare la condanna a carico del RUSSO, ha fatto

SETOLA soltanto nell’ottobre del 2008, ossia in data successiva di tre mesi all’omicidio
GRANATA, sicché, su tale episodio, costoro non avrebbero potuto fornire, in ipotesi, che
dichiarazioni de relato (ma neppure di queste vi è traccia).
Quanto al contrasto con le spontanee dichiarazioni rese dal LETIZIA nel corso della
discussione del giudizio di appello, la Corte distrettuale ha correttamente argomentato, per
giustificare il diniego delle attenuanti generiche, sul carattere parziale e strumentale della
“confessione” resa dall’imputato, tesa essenzialmente a scagionare i correi PERHAM e RUSSO,

Infondato è il rilievo che stigmatizza l’inesistenza di riscontri individualizzanti alle
dichiarazioni accusatorie dello SPAGNUOLO, atteso che la sentenza ha dato esattamente risalto
alle propalazioni rese dai correi AMATRUDI e GAGLIARDI, convergenti sulle linee essenziali
dell’incontro con il RUSSO presso la sua masseria (indicazione data direttamente da SETOLA) e
della condotta dal ricorrente posta in essere immediatamente dopo, fino ad assicurarsi che il
gruppo di fuoco avesse trovato, grazie alla sua intermediazione e a quella del PERHAM da lui
interessato, una base particolarmente idonea per l’azione ritorsiva diretta contro il lido “La
Fiorente”.
Sulla consapevole partecipazione del RUSSO al progetto omicidiario ordito da SETOLA, la
Corte di Assise di Appello ha correttamente valutato, in riscontro alla chiamata di correo dello
SPAGNUOLO, elementi di carattere logico.
Va rammentato, al riguardo, che, in tema di chiamata in correità, i riscontri dei quali
necessita la narrazione, possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia
rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente e, quindi, anche da altre
chiamate in correità, purché la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa
dalla fonte che occorre riscontrare, ed a condizione che abbia valenza individualizzante,
dovendo cioè riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilità dello stesso
all’imputato, mentre non è richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova
“autosufficiente” perché, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la
prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità (tra le più recenti,
v. Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260607; Sez. 6, n. 1249 del 26/9/2013,
dep. 14/1/2014, Ceroni, Rv. 258759).
Nel caso di specie, la Corte distrettuale ha puntualmente valorizzato una serie di
elementi (l’intraneità del RUSSO al gruppo criminale; il pieno affidamento nella sua disponibilità
da parte del “capo” SETOLA, che aveva dato l’indicazione di recarsi alla masseria del
coimputato; l’effettivo immediato dispiegarsi della disponibilità di quest’ultimo all’arrivo, di
prima mattina, presso detta masseria, dei cinque affiliati al clan DI RAFFAELE, LETIZIA,
SPAGNUOLO, GAGLIARDI e AMATRUDI; il visibile armamento detenuto, nelle circostanze, da
LETIZIA e SPAGNUOLO, latitanti e come tali conosciuti dal RUSSO; la pronta attuazione del
21

ma senza fornire elementi circostanziati tali da supportare la sua versione.

contatto con il PERHAM, finalizzato ad assicurare ai cinque affiliati la base logistica per
l’omicidio GRANATA), concludendo, in modo del tutto plausibile e non manifestamente illogico,
circa la necessitata conducenza degli stessi nella direzione di una consapevole
compartecipazione del RUSSO al piano omicidiario, nella forma di un’agevolazione dello stesso
sotto il profilo logistico nei termini riferiti dallo SPAGNUOLO.
4.2. E’ parimenti infondato il terzo motivo di ricorso, con cui si censura la sentenza
laddove non ha ritenuto di attribuire rilievo, nel valutare la responsabilità concorsuale del

gestito dal PERHAM.
Sul punto, la Corte ha fornito adeguata risposta, osservando che l’imputato,
nell’agevolare la spedizione criminale al lido “La Fiorente”, individuato come obiettivo
dell’azione ritorsiva camorristica, aveva accettato il rischio che, anziché GRANATA Massimo,
potessero essere colpiti altri soggetti comunque legati alla gestione dello stabilimento.
4.3. Manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso, atteso che non risulta dagli
atti che il ricorrente abbia chiesto la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello ai
sensi dell’art. 603 c.p.p..
4.4. Inammissibile per manifesta infondatezza e genericità, infine, è l’ultimo motivo di
ricorso, con cui si contestano, per difetto di motivazione e violazione di legge, l’eccessività della
pena e l’applicazione della libertà vigilata.
La Corte di merito ha correttamente escluso l’aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203/91 dal
giudizio di comparazione fra le attenuanti generiche e le altre circostanze aggravanti contestate
(di cui agli artt. 112, comma 1, n. 1 e 577, comma 1, n. 3 c.p.), ostando alla inclusione
dell’aggravante speciale nel giudizio ex art. 69 c.p. la deroga espressamente disposta dal
comma 2 del citato art. 7.
Anche l’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata non presta il fianco a
censure, essendo adeguatamente fondata sulla mancata allegazione, da parte del ricorrente, di
un distacco dalle sue frequentazioni criminali e sulla formulazione di una prognosi non
favorevole di astensione da condotte violative di leggi e di regole di convivenza civile.
5. Il ricorso proposto nell’interesse di PERHAM Loran John va accolto nei termini che qui
di seguito si precisano.
5.1. Va, anzi tutto, respinto per infondatezza il primo motivo di ricorso, con cui si
lamenta l’erronea applicazione dell’art. 161, comma 4, c.p.p. con riferimento all’omessa
notificazione all’imputato del decreto di citazione a giudizio.
Questa Corte ha affermato il principio, che il Collegio condivide e ribadisce, secondo cui,
in tema di notificazioni, costituisce dichiarazione o elezione di domicilio insufficiente quella che
rechi l’indicazione della strada, ma non del numero civico dell’abitazione con la conseguenza

22

RUSSO, al mutamento della vittima, deciso dopo l’allontanamento del ricorrente dal campeggio

o

che, anche in tal caso, la notificazione va effettuata mediante consegna al difensore (Sez. 1, n.
45274 del 10/10/2013, D’Ambra, Rv. 257897).
Nel caso del PERHAM, correttamente la Corte di merito ha ritenuto inidonea la
dichiarazione di domicilio resa dall’imputato all’atto della sua scarcerazione (“Pozzuoli, via
Montenuovo Licola Patria n. 118”), in quanto, pur corredata dell’indicazione del numero civico,
risultava priva di un’ulteriore, decisiva, indicazione, risultante dal certificato anagrafico (Esp. A,
int. 1): a causa di tale decisiva omissione, l’ufficiale giudiziario incaricato non era stato in grado

ricorrente aveva rinvenuto esclusivamente la sede di un ristorante.
5.2. Ciò precisato, deve ritenersi fondato il ricorso laddove si è ravvisato un profilo di
illegittimità della sentenza impugnata nel rilievo che, in contrasto con l’art. 117 Cost. e con
l’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo (CEDU), la riforma in appello della
sentenza di assoluzione (rectius di condanna per il reato di cui agli artt. 418 c.p. e 7 L. n.
203/91, così modificata l’originaria imputazione di omicidio aggravato) sia avvenuta senza la
preventiva necessaria rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per una nuova audizione delle
fonti dichiarative già escusse in primo grado.
5.2.1. Al riguardo va, anzitutto, ricordato come questa Corte abbia già avuto occasione
di precisare (in termini, Sez. 2, n. 29452 del 17/5/2013, Marchi e altri, Rv. 256468) che, a
partire dalle così dette sentenze “gemelle” nn. 348 e 349 del 2007, la Corte Costituzionale ha
statuito che, nel sistema delle fonti del nostro ordinamento, le disposizioni della Convenzione
Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, così come
interpretate dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, hanno il rango di norme interposte
(o, se si preferisce, di livello subcostituzionale) che, attraverso il meccanismo di adattamento
previsto dall’art. 117 Cost., comma 1, diventano esse stesse parametro di legittimità
costituzionale delle norme di diritto interno, di guisa che il giudice nazionale deve applicare
queste ultime secondo un’interpretazione non solo costituzionalmente conforme, ma anche
convenzionalmente orientata (si vedano, più di recente, anche Corte cost. n. 1 e n. 113 del
2011; Corte cost. n. 93, n. 138, n. 187 e n. 196 del 2010; Corte cost. n. 239 n. 311 en. 317
del 2009; Corte cost. n. 39 del 2008).
5.2.1.1. Ciò ribadito, va sottolineato che, nella propria giurisprudenza, la Corte di
Strasburgo non ha affermato che l’art. 6 CEDU condizioni indefettibilmente il potere del giudice
d’appello di “ribaltare” una precedente pronuncia assolutoria alla rinnovazione delle prove
dichiarative assunte in primo grado.
5.2.1.1.2. La nota sentenza del 5 luglio 2011 Dan c. Moldavia, al pari delle omologhe ad
essa precedenti (v. sent. 21/9/2010, Marcos Barrios c. Italia; 27/11/ 2007, Popovici c.
Moldavia) e di quelle successive dello stesso tenore (5/3/2013, Manolachi c. Romania;
9/4/2013, Flueras, c. Romania; 4/6/2013, Hanu c. Romania), ha infatti statuito che il diritto
23

di perfezionare la notificazione, dal momento che al civico 118 della strada indicata dal

dell’imputato ad un giudice indipendente ed imparziale viene ad essere violato quando la
condanna sia pronunciata per la prima volta in appello, sulla base delle stesse prove
dichiarative già esaminate dal primo giudice – che abbia pronunciato sentenza assolutoria senza che, tuttavia, il giudice del secondo grado abbia potuto fruire della osservazione diretta
dell’atteggiamento del o dei testimoni fondanti per l’accusa, per valutarne personalmente la
credibilità.
Il giudice, in altri termini, in appello, è tenuto, anche di ufficio – così hanno precisato le

decidere, salvo casi particolari, nei quali tale incombente non è espletabile.
Deve, però, rilevarsi che una simile necessità non è assoluta.
Non può, cioè, affermarsi che sia sempre e comunque da annullare, sia pure con rinvio,
la sentenza di appello che abbia ribaltato il verdetto assolutorio di primo grado, senza che
prima il giudice abbia provveduto alla nuova deposizione del o dei testi dell’accusa.
Tale necessità non ricorre, ad esempio, in tutti i casi nei quali la condanna in appello non
sia derivata semplicemente dal ribaltamento della valutazione – frutto di un soggettivo
apprezzamento del giudice – sulla attendibilità del o dei testi decisivi dell’accusa, ma sia dipesa,
diversamente, anche da altri elementi indiziari o probatori, di natura storica o idonei a far
risaltare un travisamento. Questi, cioè, sono idonei ampiamente a sostenere e a giustificare senza che ricorra la violazione del principio del giudice indipendente e imparziale – un
mutamento in appello anche dell’apprezzamento delle testimonianze fondamentali: infatti, tale
mutamento risulterà fondato e rafforzato da elementi o circostanze obiettive o comunque tali
da allontanare del tutto – ovviamente, se il ragionamento probatorio è coerente – il sospetto
che la giurisprudenza CEDU fa gravare sulla valutazione di attendibilità del teste da parte del
giudice dell’appello che si sia concentrato esclusivamente sulle trascrizioni delle testimonianze,
già valutate in senso liberatorio dal primo giudice.
In tal senso si è già espressa questa Corte con le sentenze n. 38085 del 5/7/2012, Rv
253541; n. 10965 dell’11/1/2013, Rv 255223; n. 16566 del 26/2/2013, Rv. 254623; n. 29452
del 17/5/2013, Rv. 256467; n. 29452 del 17/5/2013 Rv. 256467; n. 32368 del 17/7/2013, Rv.
255984; n. 8654 dell’11/2/2014, Rv. 259107; n. 16975 del 12/2/2014, Rv. 259843; n. 8423
del 16/10/2013, dep. 21/2/2014, Rv. 258945.

5.2.2. Il principio di diritto che può desumersi dalle menzionate decisioni della Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo è, dunque, il seguente: laddove la prova essenziale consista in
una o più prove orali che il primo giudice abbia ritenuto, dopo averle personalmente raccolte,
non attendibili, il giudice di appello, per disporre condanna, non può procedere ad un diverso
apprezzamento della medesima prova sulla sola base della lettura dei verbali, ma è tenuto a
raccogliere nuovamente la prova innanzi a sé per poter operare un’adeguata valutazione di
attendibilità.
24

sentenze Manolachi, Flueras e Hanu – a disporre nuovamente la deposizione del teste prima di

5.2.3. Nel caso di specie, la Corte di Assise di Appello di Napoli non si è attenuta
all’enunciato principio, fondando l’affermazione di responsabilità del PERHAM essenzialmente
sulle dichiarazioni accusatorie dei due collaboratori di giustizia AMATRUDI e SPAGNUOLO, che il
primo Giudice aveva diversamente apprezzato, nel ravvisarvi un contrasto insanabile,
giudicando “circostanza credibile” quella riferita dallo SPAGNUOLO circa il fatto che il PERHAM
non sapesse dell’omicidio da compiersi per ordine del SETOLA ai danni del GRANATA.
La Corte di secondo grado, senza procedere a nuovo ascolto dello SPAGNUOLO, ha, nella

procedimento c. LUBELLO Giovanni + 41 trattato dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere valutandole alla stregua di una “impressione soggettiva” circa il grado di comprensione, da
parte del PERHAM, dei dialoghi sull’imminente omicidio intercorsi tra lo SPAGNUOLO,
l’AMATRUDI, il GAGLIARDI e il DI RAFFAELE, “impressione” che, ad avviso dei Giudici
dell’appello, non consentiva di “fondarvi una conclusione favorevole all’imputato PERHAM”.
Nel pervenire a tale approdo, la Corte di Assise di Appello si è anche discostata dal
consolidato insegnamento di questa Corte, secondo il quale la motivazione della sentenza
d’appello che riformi in senso radicale la decisione di primo grado si caratterizza per un obbligo
peculiare e “rafforzato” di tenuta logico-argomentativa, che si aggiunge a quello generale della
non apparenza, non manifesta illogicità e non contraddittorietà, desumibile dalla formulazione
dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) (Sez. 6, n. 46847 del 10/7/2012, Rv. 253718; Sez. 6, n.
1266 del 10/10/2012, dep. 10/1/2013, Rv. 254024; Sez. 6, n. 8705 del 24/1/2013, Rv.
254113; Sez. 6, Sentenza n. 46742 dell’8/10/2013, Rv. 257332; Sez. 6, n. 1253 del
28/11/2013, dep. 14/1/2014, Rv. 258005).
Tale obbligo non è stato assolto, nel caso di specie, in quanto la Corte territoriale si è
limitata ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché ritenuta preferibile
a quella coltivata nel provvedimento impugnato, senza confutare specificamente i più rilevanti
argomenti contenuti nella motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della
relativa incompletezza o incoerenza.
Va, inoltre, sottolineato che la Corte di Napoli, nel “reinterpretare” le dichiarazioni rese
dallo SPAGNUOLO in altro procedimento il 27.10.2010, non si è misurata con quelle, rese dallo
stesso imputato nel procedimento d’interesse il 17.2.2012 circa la mancanza di
consapevolezza, da parte del PERHAM, del progetto omicidiario di imminente realizzazione, con
ciò incorrendo in una lacuna motivazionale che deve essere sanata.
Così come non si è misurata con le dichiarazioni rese da AMATRUDI e GAGLIARDI nel
diverso procedimento n. 1925/08 svoltosi davanti al Tribunale di S. Maria Capua Vetere,
acquisite nel processo principale, secondo le quali il PERHAM non sarebbe stato presente alla
discussione nel cui ambito si decise di uccidere GRANATA Raffaele.

25

sostanza, reinterpretato le sue dichiarazioni del 27.10.2010 – rese, tra l’altro, nel diverso

5.3. Per le esposte considerazioni, con riferimento alla posizione del PERHAM, la
sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della
Corte di Assise di Appello di Napoli, che procederà a nuova audizione di SPAGNUOLO Oreste
nonché a sanare le lacune motivazionali evidenziate.

6. I ricorrenti, ad esclusione del PERHAM, vanno condannati, oltre al pagamento delle
spese processuali (e LETIZIA e SPAGNUOLO anche al versamento della somma di 1.000,00
euro ciascuno alla Cassa delle ammende), alla rifusione alla F.A.I. delle spese del presente

I ricorrenti, con l’esclusione di PERHAM e di SPAGNUOLO, vanno, infine, condannati a
rifondere a favore dei difensori antistatari delle residue parti civili avvocati Antonio de Girolamo
e Maurizio Sica le spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di PERHAM Loram John e rinvia per nuovo
giudizio ad altra Sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli.
Rigetta i ricorsi di DI RAFFAELE Carlo, RUSSO Ferdinando e SETOLA Giuseppe, che
condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di LETIZIA Giovanni e SPAGNUOLO Oreste, che condanna
al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Condanna, altresì, i ricorrenti, con esclusione di PERHAM, a rifondere alla F.A.I. le spese
del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre accessori come per legge.
Condanna, altresì, i ricorrenti, con esclusione di PERHAM e di SPAGNUOLO, a rifondere a
favore dei difensori antistatari delle residue parti civili avvocati Antonio de Girolamo e Maurizio
Sica le spese del presente giudizio che, per ciascuno dei suddetti difensori, liquida in euro
6.000,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

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