Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1397 del 04/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 1397 Anno 2014
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
MELARA Gioacchino n. Palmi il 10 ottobre 1971
avverso la sentenza emessa il 10 marzo 2012 dalla Corte di appello di Reggio Calabria

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Alfredo Montagna,
che ha chiesto il rigetto del ricorso;
osserva:

Data Udienza: 04/10/2013

Considerato in fatto
1. Con sentenza in data 1° marzo 2012 la Corte di appello di Reggio Calabria ha
confermato la sentenza emessa il 10 maggio 2007 dal Tribunale di Palmi con la quale
Melara Gioacchino era stato dichiarato colpevole di due distinti reati di ricettazione,
accertati nell’aprile 2004, aventi ad oggetto ciascuno un assegno bancario di origine
delittuosa, ed era stato condannato, ritenuta la continuazione e con le circostanze

multa con il beneficio della sospensione condizionale.
2. Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore,
ricorso per cassazione.

2.1 Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt.161, 162, 163, 171,
177, 178, 179, 548 comma terzo c.p.p. in quanto il ricorrente non era stato mai citato
per il giudizio di appello (il decreto di citazione era stato notificato il 17 novembre
2011 all’avv. Vladimir Solano e a Melara Gioacchino presso l’avv. Vladimir Solano
mediante consegna di separata copia a mani di…; l’avv. Solano era uno dei due
difensori di fiducia; a seguito della notifica dell’avviso ex art.415 bis c.p.p. nel proc.
n.5400/04R.G.not.reato l’imputato in data 25 settembre 2004 presso il commissariato
P.S. di Palmi aveva nominato il difensore di fiducia nella persona dell’avv. Vladimir
Solano del foro di Palmi ed aveva dichiarato di voler “eleggere il domicilio”

presso la

propria abitazione (in Palmi c.da San Gaetano n.38); nel proc. n.5399/2004
R.G.not.reato aveva fatto analoga nomina ed “elezione” di domicilio, con le medesime
modalità, seguite in data 11 maggio 2005 della nomina di altro difensore di fiducia
(nota depositata il 12 maggio 2005) nella persona dell’avv. Antonio Virgillito del foro di
Palmi; si sostiene che la notifica per il giudizio di appello effettuata presso uno dei
difensori, in forme diverse da quelle prescritte (art.163 c.p.p.), non era idonea ad
assicurare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato il quale aveva eletto
domicilio nel luogo in cui aveva ricevuto notifica dell’estratto contumaciale della
sentenza di primo grado; si tratterebbe di nullità assoluta e insanabile (Cass. sez.IV
12 luglio 2011 n.33155); il ricorrente si duole anche dell’omessa notifica dell’avviso
per il giudizio di appello al secondo difensore avv. Virgillito, il quale aveva preso parte
al giudizio di primo grado ed era procuratore speciale; anche questa sarebbe una
nullità di carattere assoluto e insanabile, che non avrebbe potuto essere dedotta dal
difensore regolarmente avvisato che

“ben poteva non sapere che l’assenza del

attenuanti generiche, alla pena di anni uno, mesi sei di reclusione ed euro 400,00 di

3
codifensore fosse da attribuire all’omesso avviso”;

anche la notifica (dell’avviso di

deposito) della sentenza impugnata era stata effettuata solo all’avv. Solano;

2.2.

Con il secondo motivo si deduce la violazione di legge e il vizio della

motivazione, con riferimento agli artt.546 lett. e) c.p.p., 62 n.6 e 648 c.p. in quanto
erroneamente si era ritenuto indice di malafede da parte dell’imputato la mancata
indicazione delle circostanze in cui aveva ricevuto i titoli di provenienza furtiva, mentre

abituali (poi risarciti dal Melara, il quale non aveva ricavato profitto alcuno
dall’operazione né aveva arrecato danno al titolare del conto corrente), apponendo
firme di girata con il timbro della sua ditta; si sarebbe dovuto riconoscere al Melara
l’attenuante prevista dall’art.62 n.6 c.p..

Ritenuto in diritto
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1 II primo motivo è manifestamente infondato.
Il decreto di citazione per il giudizio di appello (come anche l’estratto contumaciale
della sentenza di appello) risulta notificato all’imputato presso il difensore avv.
Vladimir Solano, come indicato nel timbro “si notifichi all’imputato ai sensi dell’art.8
bis legge n.60/2005 con consegna al difensore”.

L’atto di appello, pur recando

nell’intestazione l’indicazione sia dell’avv. Solano che dell’avv. Antonio Virgillito
(entrambi nominati nei due procedimenti n.5400/04 R.G. not. Reato e n.53997/04
R.G. not.reato a carico dell’imputato, riuniti in primo grado), era sottoscritto dal solo
avv. Solano. Il ricorrente si duole da un lato della mancata notifica a se stesso, presso
il domicilio dichiarato di Palmi c.da San Gaetano n.38, del decreto di citazione per il
giudizio di appello e, dall’altro lato, della mancata notifica dell’avviso per il giudizio di
appello al suo secondo difensore avv. Virgillito.
Sotto il primo profilo la Corte rileva che la notificazione eseguita presso il
difensore di fiducia a norma del comma 8bis dell’art.157 c.p.p., introdotto dalla legge
22 aprile 2005 n.60 che ha convertito con modificazioni il d.I.21 febbraio 2005 n.17,
corrisponde al fine di garantire la ragionevole durata del processo (art.111 Cost.)
garantendo nel contempo il diritto dell’imputato alla conoscenza dell’accusa. Questa
Corte ha più volte affermato, anche a Sezioni Unite, che, qualora l’imputato abbia
dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni, la notifica eseguita a norma
dell’art.157, comma 8bis, c.p.p. presso il difensore di fiducia è nulla, ma che si tratta

risultava che gli assegni erano stati consegnati in pagamento di merce a fornitori

4
di una nullità di ordine generale a regime intermedio che deve ritenersi sanata quando
risulti provato che non ha impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di
esercitare il diritto di difesa ed è comunque priva di effetti se non dedotta
tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art.184, primo
comma, alle sanatorie generali di cui all’art.183, alle regole di deducibilità di cui
all’art.182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all’art.180 c.p.p. (Cass. Sez.Un. 27

6 dicembre 2012 n.11277, Simionato e altro; sez.VI 10 maggio 2012 n.34558, P. ) .
Del resto la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art.179 c.p.p. ricorre soltanto nel
caso in cui la notificazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme
diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva
dell’atto da parte dell’imputato, mentre allorché vi sia stata esclusivamente la
violazione delle regole sulle modalità di esecuzione opera la sanatoria di cui all’art.184
c.p.p. e l’imputato che intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua
notificazione deve rappresentare al giudice di non avere avuto cognizione dell’atto e
indicare gli specifici elementi che consentano l’esercizio dei poteri officiosi di
accertamento da parte del giudice stesso (Cass. Sez.Un. sent. N.119/2205, ric.
Palumbo). Nel caso in esame non risulta che la nullità sia stata dedotta
tempestivamente dal difensore di fiducia presente avv. Solano (che ben avrebbe
potuto rilevare la nullità), né risulta che nel ricorso per cassazione sia stato
rappresentato il concreto pregiudizio derivato dalla notifica effettuata presso il
difensore di fiducia in ordine alla conoscenza dell’atto da parte dell’imputato e
all’esercizio del diritto di difesa.
Sotto il secondo profilo la Corte rileva che è principio giurisprudenziale
consolidato che quando l’imputato abbia nominato due difensori -sia che si proceda
con il rito camerale, sia nel procedimento ordinario (Cass. Sez.Un.27 giugno 2001
n.33540, Di Sarno; Sez.Un. 25 giugno 1997 n.6, Gattellaro)- entrambi i difensori
abbiano diritto all’avviso della data dell’udienza e che, nel caso sia stata omessa la
notifica dell’avviso a uno dei difensori, si verifica una nullità a regime intermedio di cui
all’art.179 co.1 c.p.p. (tra le più recenti Cass. sez.IV 4 novembre 2008 n.11772,
Pancini; sez.VI 24 aprile 2008 n.18726, Donnhauber; sez.I 13 marzo 2008 n.17307;
sez.VI 13 febbraio 2008 n.17881, Quartarano; sez. VI 12 febbraio 2008 n.21736;
sez.IV 9 luglio 2003 n.37471, Massari), ancorché la mancata notifica riguardi il
difensore che non aveva proposto impugnazione (Cass. Sez.Un. 27 giugno 2001 n.23,
Di Sarno). Detta nullità viene sanata sia dalla mancata deduzione nel termine indicato

t,

marzo 2008 n.19602, Micciullo; sez.IV 8 aprile 2010 n.15081, Cusmano e altri; sez.II

s
dall’art.180 c.p.p. sia dalla presenza all’udienza dell’altro difensore, che abbia svolto la
sua difesa senza nulla eccepire in ordine al difetto di avviso al codifensore.
Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez.Un. 16 luglio 2009 n.39060, Aprea)
hanno definitivamente chiarito, in un caso del tutto identico a quello in esame, che la
nullità a regime intermedio derivante dall’omesso avviso dell’udienza a uno dei due
difensori dell’imputato è sanata dalla mancata proposizione della relativa eccezione a

onere del difensore presente, anche se nominato d’ufficio in sostituzione di quello di
fiducia regolarmente avvisato e non comparso, verificare se sia stato avvisato anche
l’altro difensore di fiducia ed il motivo della sua mancata comparizione, eventualmente
interpellando il giudice, e la sua inerzia dà luogo a sanatoria della nullità
indipendentemente dalla presenza dell’imputato.

3.2 Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
La Corte territoriale si è adeguata al costante orientamento della giurisprudenza
di legittimità secondo il quale, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, è
necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che
sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa
conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto,
potendo anche essere desunta da prove indirette, allorché siano tali da generare in
qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la
certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Questa Corte ha più volte, del
resto, affermato che la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può
desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento
dell’imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa
ricettata, ovvero dalla mancata -o non attendibile- indicazione della provenienza della
cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento,
logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Cass. sez.II 11 giugno 2008
n.25756, Nardino; sez.II 27 febbraio 1997 n.2436, Savic). Nella sentenza impugnata
l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla legittima acquisizione dei due assegni
negoziati dall’imputato, per quanto risulta dalle diffuse argomentazioni sul punto della
sentenza di primo grado che si integra con quella di appello di segno conforme, si
pone come coerente e necessaria conseguenza di un acquisto illecito.
Quanto, infine, alla circostanza attenuante prevista dall’art.62 n.6 c.p., il
riconoscimento della stessa non era stata oggetto dell’appello e nel ricorso per

tt,

opera dell’altro difensore comparso, pur quando l’imputato non sia presente. E’ infatti

6
cassazione la doglianza è formulata in maniera del tutto generica.
4.Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa
delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in
euro 1.000,00.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Roma 4 ottobre 2013

il cons. est.

DEPOSITATO fN CANCELLERIA

P.Q.M.

N.6368/2013 R.G.

=1398/14

5,a,aí . 21 leo 1933

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il giorno 4del mese di ottobre dell’anno 2013

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE PENALE
composta dai magistrati
dott.Domenico GENTILE

Presidente

dott.Antonio PRESTIPINO

Consigliere

dott.Matilde CAMMINO

Consigliere

dott.Domenico GALLO

Consigliere

dott.Geppino RAGO

Consigliere

ha pronunciato in udienza pubblica la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
MAZZOLA MILAZZO Paolino n. Leonforte (EN) il 3 novembre 1943
avverso la sentenza emessa il 3 dicembre 2012 dalla Corte di appello di Milano

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Alfredo Montagna,
che ha chiesto il rigetto del ricorso;
osserva:

REPUBBLICA ITALIANA

2_

Considerato in fatto

1.

Con sentenza in data 3 dicembre 2012 la Corte di appello di Milano ha

riformato la sentenza emessa il 27 gennaio 2009 dal Tribunale di Milano con la quale
Mazzola Milazzo Paolino era stato dichiarato colpevole del reato di appropriazione
indebita aggravata dall’abuso di relazioni di ufficio e prestazione d’opera per essersi

assicurazione per conto della Axa Assicurazioni di Vigevano con l’incarico di riscuotere
i premi assicurativi delle polizze stipulate e di versarli alla società assicuratrice previa
decurtazione delle provvigioni, della somma di 90.850,00 euro. L’imputato era stato
condannato, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante, alla
pena, interamente condonata ai sensi della legge.n.241/2006, di mesi sei di reclusione
ed euro 800,00 di multa nonché al risarcimento dei danni morali, nella misura di euro
5.000,00, e alla rifusione delle spese in favore della parte civile Valandro Quirino,
agente generale della Axa Assicurazioni di Vigevano all’epoca del fatto.
La Corte territoriale ha dichiarato l’improcedibilità dell’azione penale per essere
il reato estinto per prescrizione, confermando le statuizioni civili e condannando
l’imputato alla rifusione delle spese del grado in favore della parte civile.
2. Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore,
ricorso per cassazione.

2.1 Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art.604 c.p.p. per effetto
dell’inosservanza degli artt.521, comma secondo, e 522 c.p.p. in quanto la Corte di
appello, nell’esaminare le censure difensive ai sensi dell’art.578 c.p.p., aveva
sostenuto che la commissione del reato doveva farsi risalire all’epoca in cui era in
corso il rapporto contrattuale tra le parti, e quindi al periodo anteriore alla data del 21
maggio 2003, allorché la società assicuratrice Axa comunicando la risoluzione del
contratto per inadempimento aveva diffidato il Mazzola dall’incassare ulteriori somme
e quantificato il debito in misura anche superiore a quella poi menzionata nella
scrittura in data 15 giugno 2004 (in cui si dava atto che il debito accumulato dal
Mazzola per premi assicurativi ammontava a 90.850,00 euro e il Valandro accettava il
pagamento a saldo e stralcio della minor somma di 35.000,00, impegnandosi al
trasferimento del portafoglio clienti del Mazzola ad altro agente dallo stesso Mazzola
indicato); l’errore del pubblico ministero e del giudice di primo grado nell’indicazione
della data di commissione del reato era stato oggetto del secondo motivo di appello e

appropriato, tra l’ottobre 2003 e l’aprile 2004, nella qualità di mediatore di

3

la Corte territoriale, pur riconoscendo impossibile la condotta di appropriazione
indebita da parte dell’imputato nel periodo indicato nel capo d’imputazione, non aveva
ravvisato in concreto una lesione del diritto di difesa in relazione al reato come
contestato e aveva fatto sul punto dei richiami giurisprudenziali incongruenti; ma,
sostiene il ricorrente, il pubblico ministero nel corso dell’istruttoria dibattimentale
avrebbe dovuto operare una modifica dell’imputazione originariamente contestata ai

2.2

Con il secondo motivo si deduce la mancanza, contraddittorietà e

manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della
circostanza aggravante prevista dall’art.61 n.11 c.p. che, se ritenuta insussistente,
avrebbe reso il reato di appropriazione indebita contestato procedibile a querela (nel
caso di specie la denuncia-querela era stata presentata dal Valandro solo il 15
settembre 2005, ben oltre il termine previsto dall’art.124 c.p.); nel caso di specie non
si era tenuto conto che il rapporto di collaborazione tra l’imputato e il Valandro era
venuto meno antecedentemente alla contestata data di commissione del reato, come
si desumeva dalla scrittura privata del 21 maggio 2003, né avrebbe rilievo
l’interazione tra l’imputato e il Valandro in epoca successiva, in quanto la precedente
condotta di appropriazione non poteva esserne stata favorita.

Ritenuto in diritto
3. Il ricorso va rigettato.
3.1 D primo motivo è infondato.
Come correttamente rilevato dal giudice di appello, con puntuali richiami
giurisprudenziali, l’indicazione in imputazione della somma oggetto di appropriazione e
del titolo in base al quale l’imputato aveva incassato la somma, unitamente alla
produzione in atti di documenti non contestati dalle parti e relativi al rapporto
intercorso tra le stesse, aveva consentito la piena esplicazione del diritto di difesa in
relazione al reato ascritto. Del resto, secondo la consolidata giurisprudenza di questa
Corte, anche di recente ribadita (Cass. sez.VI 9 novembre 2012 n.6346, Domizi e
altri; sez.III 14 giugno 2011 n.36817, T.D.M.), sussiste violazione del principio di
correlazione tra accusa e sentenza solo se il fatto contestato sia mutato nei suoi
elementi essenziali, così da provocare una situazione di incertezza e di cambiamento
sostanziale della fisionomia dell’ipotesi accusatoria capace di impedire o menomare il
diritto di difesa dell’imputato.

sensi dell’art.516 c.p.p..

3.2 Il secondo motivo è infondato.
Il principio secondo cui il proscioglimento per mancanza di querela è più
favorevole della declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (o amnistia) è
applicabile soltanto in caso di contemporanea sussistenza di una causa di
impromovibilità o di improseguibilità dell’azione penale e di una causa di estinzione del
reato. Nell’ipotesi in cui tale coesistenza non sia attuale ma solo potenziale, vale

di decidere ogni altra questione relativa all’azione penale, salvo che già sussistano gli
estremi per l’assoluzione nel merito (Cass. sez.IV 1° aprile 1985 n.3601, Censi). Nel
caso di specie, peraltro, l’appropriazione indebita è stata fatta risalire dalla Corte
territoriale al periodo in cui era in corso il rapporto contrattuale tra le parti, per cui
non vi era motivo di eswcludere l’aggravante prevista dall’art.61 n.11 c.p..
Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma 4 ottobre 2013

il cons. est.
Il Presidente

invece la regola secondo cui la causa estintiva toglie al giudice il potere di esaminare e

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