Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13969 del 29/10/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 13969 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DANELUTTI AMELIO N. IL 29/05/1956
avverso la sentenza n. 3025/2012 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 10/03/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/10/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO MINCHELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 29/10/2015

RILEVATO IN FATTO
Con sentenza in data 15.05.2012 il GUP del Tribunale di Sulmona condannava Danelutti
Amelio alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione ed € 8.000,00 di multa per illegale
detenzione di munizioni da guerra e ricettazione delle stesse.
Il Giudice rilevava che, in sede di perquisizione personale e locale eseguita in data
10.01.2012, la polizia giudiziaria aveva accertato che l’imputato custodiva nove cartucce
ritenute calibro 9×21 parabellum, con cerchio e croce punzonatura GFL anno 1996, in uso

erano poste all’interno della custodia dell’arma di proprietà del Danelutti, occultate al di
sotto del piano sui cui era posta la pistola, il tutto riposto dentro un armadio. L’imputato
spiegava di essere una guardia giurata, di frequentare regolarmente un poligono di tiro e
di avere scambiato inavvertitamente le munizioni detenute in una sezione di tiro, per poi
conservarle in una scatola per distinguerle dalle altre. La sentenza richiamava il calibro
delle cartucce rinvenute, le sue caratteristiche di munizionamento per arma da guerra, la
consapevolezza dell’imputato di detenerle tenendole distinte dalle altre e di averle ricevute
illegalmente poiché esse non erano commerciabili.
L’interessato proponeva appello: con sentenza in data 10.03.2014 la Corte di Appello di
L’Aquila riqualificava il contestato reato di detenzione di munizioni da guerra ritenendo che
esso riguardasse invece munizionamento per arma comune da sparo; di conseguenza
assolveva il Danelutti dall’accusa di ricettazione e rideterminava la pena in mesi cinque e
giorni dieci di reclusione ed € 1.600,00 di multa. La Corte di Appello specificava che la
cartucce erano state rinvenute all’interno di una scatola per 50 cartucce calibro 9×21, ma
che la perizia disposta in merito aveva accertato trattarsi di nove cartucce di calibro 9×19;
si richiamava la circostanza per cui il Banco Nazionale di Prova aveva classificato come
arma comune da sparo le carabine 9×19 parabellum, con conseguente qualificazione delle
munizioni 9×19 come cartucce destinate ad arma comune da fuoco e non ad arma da
guerra. Riteneva pertanto il Giudice che la condotta del Danelutti andasse ritenuta come di
omessa denunzia della detenzione di munizionamento per arma comune, con conseguente
violazione degli artt. 2 e 7 della Legge n° 895/1967.
Avverso detta decisione proponeva ricorso l’interessato, a mezzo del suo Difensore. Veniva
dedotto, come unico motivo, l’inosservanza o l’erronea applicazione delle legge penale: si
rilevava che la Corte di Appello aveva correttamente ricostruito il fatto da valutare,
giungendo all’esatta qualificazione del munizionamento de quo, ma poi pervenendo ad una
conclusione errata; ritenendo infatti che la condotta del Danelutti fosse quella di omessa
denunzia di munizioni, avrebbe invece applicato una norma che non punisce l’illecita
denunzia bensì l’illegittimo possesso di armi e munizioni: la fattispecie che il ricorso ritiene
adeguata ai fatti sarebbe così quella di cui all’art. 697 cod.pen. Infatti, richiamando il
lavoro dell’interessato all’epoca dei fatti, e cioè quello di guardia giurata particolare, si
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esclusivo alle forze di polizia ed alle forze armate. Si legge in sentenza che le munizioni

concludeva che il possesso delle munizioni era legittimo, trattandosi di cartucce
liberamente commerciabili. Si sostiene inoltre che in reato sarebbe ormai prescritto, atteso
che l’imputato ha dichiarato di essere in possesso delle munizioni sin dall’anno 1998 e che
il reato prima indicato è una fattispecie a consumazione istantanea. Ed ancora si sostiene
che l’imputato debba andare assolto perché il fatto non costituisce reato: infatti, non si
sarebbe tenuto conto che le munizioni rinvenute possono essere utilizzate anche in pistola
calibro 9×21 e che non trova spazio l’applicazione dell’art. 697 cod.pen. qualora il
munizionamento costituisca l’ordinario corredo della pistola e non ecceda il limite di

dell’arma di proprietà dell’imputato, si conclude che esse erano destinate ad essere
utilizzate con quella pistola, di cui costituivano la normale dotazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO

La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei limiti di seguito spiegati.
Per come detto supra, una perquisizione nella dimora del ricorrente aveva condotto al
rinvenimento di nove cartucce, con cerchio e croce punzonatura GFL anno 1996; le
munizioni erano custodite nella custodia dell’arma del ricorrente (che svolgeva attività di
guardia giurata), ma non riempivano i suoi due caricatori della pistola, i quali erano
caricati con altre munizioni; quelle cartucce erano da lui detenute insieme ad altre circa
140 munizioni, ed erano separate dalle altre stesse.
Nella sentenza di primo grado le munizioni venivano ritenutjl,di calibro 9×21 parabellum, in
uso esclusivo alle forze di polizia ed alle forze armate: conseguentemente si sottolineavano
le caratteristiche di munizionamento per arma da guerra, non acquistabile liberamente in
commercio. Nel corso del processo di secondo grado si appurava, per il mezzo di una
perizia all’uopo disposta, che il munizionamento rinvenuto era di calibro 9×19: così, poiché
il Banco Nazionale di Prova aveva classificato come arma comune da sparo le carabine
9×19 parabellum anche le munizioni di calibro 9×19 dovevano ritenersi come cartucce
destinate ad arma comune da fuoco e non ad arma da guerra.
Alla stregua di questa conclusione è derivata la condanna come prima specificata.
Il ricorso del Danelutti si articola su tre punti: 1) la corretta qualificazione giuridica del
reato posto in essere, che sarebbe quella di cui all’art. 697 cod.pen. e non anche quella di
cui agli artt. 2 e 7 della Legge n° 895/1967; 2) la pretesa avvenuta prescrizione del reato
stesso, per avere il ricorrente commesso l’omessa denunzia nell’anno 1998, quando
sarebbe iniziata la detenzione del munizionamento; 3) l’assoluzione del ricorrente perché il
fatto non costituisce reato, essendo quel munizionamento l’ordinario corredo dell’arma da
fuoco detenuta.
§ 1. Il primo punto di doglianza è fondato.
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capienza del caricatore: poiché la cartucce erano state comunque rinvenute nella custodia

Questa Corte, ritornando sul tema (rispetto a quanto affermato nella decisione n. 12737
del 20.3.2012 rv 252560) ha affermato in più occasioni (sent. n. 52170 del 2014 e n.
52526 del 2014) che le munizioni calibro 9 x 19 non possono essere ritenute munizioni da
guerra.
In particolare, la rimeditazione del precedente orientamento è stata elaborata sia in
riferimento alle armi che in rapporto alle munizioni, nei termini che seguono. Il criterio
della spiccata potenzialità offensiva, che caratterizza la definizione normativa delle armi da
guerra (e delle munizioni destinate al loro caricamento) contenuta nella L. n. 110 del

modello di pistola calibro 9 x 19 alla categoria delle armi da guerra (o tipo guerra), è
contraddetto e messo in crisi dalla pacifica qualificazione normativa come arma comune da
sparo della pistola semiautomatica calibro 9 x 21, liberamente commerciabile come tale
(nell’ovvia osservanza della normativa di pubblica sicurezza) sul mercato interno, che
costituisce un modello di arma corta da fuoco munita di caratteristiche tecniche e di
capacità balistiche pressoché identiche (se non addirittura superiori) a quelle del modello 9
x 19, rispetto al quale l’unica differenza è rappresentata dal fatto di essere camerata per le
cartucce cal. 9 x 21 IMI, dotate di un bossolo più lungo di 2 mm e di una potenza di sparo
certamente non inferiore a quella della cartuccia 9 x 19 parabellum (che costituisce, in
generale, una delle cartucce per pistola più diffuse e utilizzate al mondo, anche al di fuori
dell’impiego militare e da parte delle forze di polizia, perché unisce una traiettoria piatta a
un moderato contraccolpo e a un discreto potere d’arresto, oltre ad avere un costo
economico contenuto). L’esclusione dell’intrinseca potenzialità offensiva, tipica del
munizionamento per armi da guerra (o tipo guerra, secondo la definizione contenuta nella
L. n. 110 del 1975, art. 1 comma 2), della cartuccia cal. 9 x 19 parabellum è confermata
dall’esistenza e dalla commerciabilità sul mercato italiano di munizioni per arma comune
da sparo dotate di una superiore capacità di offesa alla persona (come il calibro 357
magnum 9 x 33 mm R), liberamente detenibili da soggetti privati nel rispetto della
normativa di pubblica sicurezza, nonché – soprattutto – dalla circostanza che armi lunghe
da fuoco camerate per cartucce del medesimo calibro 9 x 19 parabellum, come la carabina
Thureon Defense di fabbricazione USA, hanno recentemente ottenuto dal Banco nazionale
di prova di Gardone Valtrompia la certificazione di armi comuni da sparo importabili e
commerciabili in Italia. La conclusione, che ne consegue, per cui la qualificazione in termini
di arma da guerra della pistola semiautomatica camerata per l’utilizzo di munizionamento
cal. 9 x 19 parabellum non può discendere da un – inesistente – carattere intrinseco della
stessa come arma destinata, in forza di una naturale potenzialità offensiva, all’impiego
bellico, trova riscontro, sul piano normativo-sistematico, nel fatto che la relativa disciplina
è contenuta non già nella L. n. 110 del 1975, art. 1 (che definisce, come si è visto, le armi
da guerra, le armi tipo guerra e le munizioni da guerra), ma nel successivo art. 2, che
definisce le armi e le munizioni comuni da sparo, prevedendo – al comma 2 – il divieto di

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1975, art. 1, commi 1 e 3, come requisito tipico e individualizzante dell’appartenenza del

fabbricazione, di introduzione nel territorio dello Stato e di vendita del relativo modello di
armi corte da fuoco “salvo che siano destinate alle forze armate o ai corpi armati dello
Stato, ovvero all’esportazione”, così presupponendo che, in mancanza di tale divieto, le
armi stesse sarebbero altrimenti commerciabili nello Stato secondo la disciplina delle armi
comuni da sparo (posto che, se si trattasse di armi da guerra rientranti nella definizione
dell’art. 1, l’importazione in Italia e la vendita ai soggetti privati sarebbe di per sè inibita
dalla relativa qualità, senza la necessità di stabilire un apposito divieto al riguardo). Il
divieto assoluto, stabilito dalla normativa nazionale per i soggetti privati, di acquistare,

è dunque funzionale ad assicurarne la destinazione esclusiva alla dotazione delle forze
armate e dei corpi di polizia, e prescinde da una presunta qualità e natura intrinseca di
arma da guerra dovuta a una (inesistente) maggiore potenzialità offensiva delle cartucce 9
x 19 parabellum, il cui impiego sarebbe altrimenti proibito anche per le armi lunghe da
fuoco: la relativa disciplina assolve così la funzione, non già di tutelare la sicurezza
pubblica inibendo la disponibilità ai soggetti privati di un’arma (e di un munizionamento)
dotati della spiccata pericolosità e azione lesiva tipiche delle armi da guerra (che la pistola
calibro 9 parabellum si è visto non possedere), ma di consentire – o per converso di
escludere – l’immediata riferibilità, in termini di tendenziale certezza, all’azione delle forze
armate o di polizia, in caso di sparo o conflitto a fuoco, dei bossoli dei colpi esplosi da armi
corte il cui calibro corrisponda (o viceversa non corrisponda) allo specifico modello della
pistola di servizio in dotazione esclusiva ai corpi armati dello Stato (posto che la similare
cartuccia cal. 9 x 21 IMI, proprio a causa della maggiore lunghezza del bossolo, è
impossibile da camerare sulle pistole munite di una camera di scoppio lunga solo 19 mm).
La destinazione, per quanto esclusiva, all’armamento delle forze armate e dei corpi armati
dello Stato (italiano) non può pertanto assumere, nel caso della pistola semiautomatica
calibro 9 parabellum, alcun ruolo decisivo ai fini della sua classificazione e qualificazione
giuridica come arma da guerra, che – a seguito dell’abrogazione della L. n. 110 del 1975,
art. 7 per effetto della novella di cui alla L. n. 183 del 2011, art. 14 con conseguente
soppressione con decorrenza dal 1 gennaio 2012 del catalogo ivi previsto – non è più
possibile ricavare, per esclusione, neppure dalla mancata iscrizione nel catalogo nazionale
delle armi comuni da sparo. Un’importanza fondamentale riveste, invece, la
sopravvenienza della norma di cui alla L. 7 agosto 2012, n. 135, art. 23, comma 12sexiesdecies, (di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95),
che, a seguito della abolizione del catalogo previsto dalla L. n. 110 del 1975, art. 7 ha
attribuito al Banco nazionale di prova di cui all’art. 11, comma 2, della medesima Legge la
competenza a verificare, per ogni arma da sparo prodotta, importata o commercializzata in
Italia, la qualità di arma comune da sparo, nonché le conseguenti determinazioni che sono
state adottate dal suddetto Banco nazionale di prova in attuazione dei nuovi compiti
assegnati dalla legge nella procedura per la classificazione e il riconoscimento delle armi
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detenere e portare (con le debite autorizzazioni) il modello di pistola calibro 9 parabellum

comuni da sparo. In particolare, per quanto qui interessa, deve essere richiamata la
deliberazione, pubblicata sul sito internet ufficiale del Banco nazionale di prova di Gardone
Valtrompia, adottata all’esito della riunione del consiglio di amministrazione del 1 marzo
2013 e approvata dal Ministero dello sviluppo economico in data 19 aprile 2013, che, con
specifico riguardo alle armi da fuoco corte semiautomatiche calibro 9 x 19 parabellum,
dopo aver dato atto che la normativa nazionale di cui al D.Lgs. n. 204 del 2010, art. 5 ne
consente “la fabbricazione e l’esportazione secondo la normativa delle armi comuni”, ma
“tuttavia ne vieta la commercializzazione in Italia ai soggetti privati”, ha precisato che “per

inserite nell’elenco delle armi classificate, ma che sul certificato di prova rilasciato al
produttore/importatore il Banco dichiarerà che si tratta di “arma comune non
commercializzabile in Italia”. Alla stregua di tale ultima determinazione proveniente
dall’ente istituzionalmente deputato a verificare la qualità di arma comune da sparo delle
armi da fuoco prodotte o importate in Italia, non è dunque più possibile dubitare della
qualità di arma comune da sparo che deve riconoscersi, sul piano normativo, alla pistola
semiautomatica calibro 9 x 19, camerata per le munizioni cal. 9 parabellum, il cui
inserimento nell’elenco delle armi commercializzabili in Italia ai soggetti privati e inibito
soltanto dal divieto normativo – contenuto nella L. n. 110 del 1975, art. 2, comma 2 – che
ne riserva la destinazione d’uso alle forze armate e ai corpi armati dello Stato, e non dalla
natura e qualità intrinseca del modello di pistola in oggetto, che è e resta quella di un’arma
comune da sparo; e tale conclusione, coerente e consequenziale a tutte le considerazioni
che precedono, è condivisa e recepita da questa Corte. Deve dunque essere affermata la
conseguente natura di munizioni per arma comune da sparo delle cartucce cal. 9 x 19
parabellum, prive delle caratteristiche di micidialità e di forza dirompente che costituiscono
il discrimine per poterle qualificare come munizionamento da guerra (vedi Sez. 1 n. 9068
del 3/02/2011, Rv. 249874).
Da ciò consegue che – in accoglimento della prima doglianza – la detenzione delle cartucce
9 x 19 deve essere riqualificata nella violazione dell’art. 697 cod.pen., trattandosi di
condotta che rientra nell’ambito applicativo di detta norma incriminatrice (Sez. 1 n. 51450
del 15.7.2014, rv 261583; Sez. 1, n. 11172/2015, Pres. Siotto, Est. Magi).
Chiarita dunque la natura di munizionamento per arma comune di sparo delle cartucce
rinvenute e sequestrate di cui all’imputazione, va quindi affermato che costituisce principio
acquisito nella giurisprudenza di questa Corte quello per cui la detenzione illegale (perché
non denunciata all’autorità di pubblica sicurezza) di munizioni per arma comune da sparo
non integra il delitto di cui alla L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 7 (come sostituiti dalla L. n.
497 del 1974, artt. 10 e 14), bensì la fattispecie contravvenzionale sanzionata dall’art. 697
cod.pen., comma 1 (Sez. 1 n. 4506 del 5/05/1997, Rv. 207482): la condotta penalmente
sanzionata dalla L. n. 895 del 1967, art. 2 si riferisce infatti, mediante il richiamo al
precedente art. 1, alle (sole) munizioni da guerra, mentre la norma di cui al successivo art.

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evitare equivoci” (come testualmente recita la risoluzione) le armi stesse non saranno

7 estende la punibilità della condotta, a titolo di delitto, alla detenzione abusiva di armi
comuni da sparo (o parti di esse) atte all’impiego, ma non anche al relativo
munizionamento, che continua pertanto a soggiacere alla sanzione residuale di cui
all’originaria contravvenzione del codice penale.
La manifesta erroneità della qualificazione giuridica del fatto integra dunque il vizio di
violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606
cod.proc.pen., comma 1, lett. b), e determina l’annullamento della sentenza impugnata,

§ 2.

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Va poi affermato che il reato de quo non è prescritto: la detenzione abusiva di

munizioni è un reato permanente, caratterizzato da una situazione antigiuridica che ha
inizio con la detenzione stessa e che si protrae per tutto il tempo in cui il detentore omette
di farne denunzia all’Autorità: pertanto, anche volendo accedere all’affermazione dell’inizio
della detenzione del munizionamento nell’anno 1998 (per come sostenuto dal ricorrente),
detta situazione di permanenza del reato si è protratta sino alla data del 10.01.2012,
allorquando la polizia giudiziaria rinveniva il munizionamento; soltanto questa data
potrebbe essere presa in considerazione ai fini auspicati dal ricorrente.
§ 3.

La terza doglianza non può trovare alcun accoglimento: si tratta di ragioni

(munizionamento rinvenuto quale ordinario corredo dell’arma da fuoco detenuta, con
quanto ne consegue in ordine all’affermazione di responsabilità penale) che non risultano
essere state dedotte nella fase dell’appello. In altri termini, le relative questioni non
venivano infatti proposte con i motivi di appello e devolute alla cognizione di secondo grado,
il che ne preclude in questa sede l’esame (Sez. 1, n. 2176 del 20/12/1993, Etzi, Rv.
196414; Sez. 2, n. 40240 del 22/11/2006, Roccetti, Rv. 235504; Sez. 5, n. 28514 del
23.04.2013 Rv 255577).
Il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è delineato dall’art. 609
cod.proc.pen., comma 1, il quale ribadisce in forma esplicita un principio già enucleato dal
sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso
proposti. Detti motivi – contrassegnati dall’inderogabile “indicazione specifica delle ragioni
di diritto e degli elementi di fatto” che sorreggono ogni atto d’impugnazione (art. 581
c.p.p., comma 1, lett. c), e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) – sono funzionati alla
delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata ed all’indicazione delle relative
questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione.
La disposizione in esame deve infatti essere letta in correlazione con quella dell’art. 606
cod.proc.pen., comma 3 nella parte in cui prevede la non deducibilità in cassazione delle
questioni non prospettate nei motivi di appello. Il combinato disposto delle due norme
impedisce la proponibilità dinanzi alla Corte di Cassazione di qualsiasi questione non
prospettata in appello, e costituisce un rimedio contro il rischio concreto di un
annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un
punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo caso,

6

che va disposto senza rinvioi h« 01„1 tc.t. 424,e,L y” (4.02; &) cmjukte,

infatti, è facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della
relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perché mai investito
della verifica giurisdizionale.
Pertanto, la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente alla definizione giuridica del
fatto, che va qualificato ai sensi dell’art. 697 cod.pen.; gli atti andranno trasmessi alla Corte
di Appello di Perugia per nuovo giudizio a carico di Danelutti Amelio per il trattamento
sanzionatorio.
La presente sentenza va comunque dichiarata irrevocabile nella parte relativa

Nel resto, il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla definizione giuridica del fatto,
che qualifica ai sensi dell’art. 697 cod. pen e dispone la trasmissione degli atti alla Corte di
Appello di Perugia per nuovo giudizio a carico di Danelutti Amelio per il trattamento
sanzionatorio. Dichiara irrevocabile la presente sentenza nella parte relativa all’affermazione
della penale responsabilità dell’imputato.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2015.

all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato.

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